L'altra Iliade, l'altra Odissea
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L'altra Iliade, l'altra Odissea - Francesco Chiappinelli
omerico-virgiliana.
1. LE MORTI DI POLIDORO
C’è più di un personaggio, nel mito troiano, che porta il nome di Polidoro. Le fonti classiche e medievali ne fanno concordemente un figlio di Priamo, l’ultimo: ma non tutti lo dicono figlio di Ecuba, anche se in questo convengono Omero, Euripide e Virgilio. Ma è sulla morte di Polidoro che le fonti discordano: Omero lo fa uccidere da Achille il giorno stesso della sua prima battaglia, Euripide e Virgilio raccontano che egli era stato consegnato a Polinestore, suo cognato e re di Tracia, con molte ricchezze che ne determinarono la morte. Quando Enea profugo sbarca in Tracia, per fare un sacrificio agli dèi estirpa i ramoscelli d’un cespuglio e assiste a un orrendo prodigio: da quegli sterpi viene fuori la voce di Polidoro che racconta l’empio agguato. E’ l’episodio che Dante imiterà per Pier delle Vigne, nel XIII canto dell’Inferno, e che riproduciamo in nota nella versione classica di Annibal Caro. Euripide, naturalmente ignoto al Medioevo occidentale, fa di Polidoro il protagonista (il primo attore in ordine d’apparizione) dell’Ecuba. Presentiamo qui, a mo’ di parafrasi, il racconto di Omero, Iliade XX e quello delle fonti medievali, Benoît de Sainte-Maure e Guido delle Colonne, che sulla scorta di Ditti Cretese (di cui riportiamo il passo originale) dànno una terza versione della morte del fanciullo.
1. Omero, Iliade XX, 407-20
Priamo non glielo aveva mai permesso: era troppo legato al più giovane dei suoi figli. Certo, Polidoro gli ripeteva sempre che non doveva temere per lui: era o no il più veloce di tutti nella corsa? Sarebbe riuscito comunque a fuggire in città se i Greci avessero preso il sopravvento. Alla fine il re si era fatto convincere, ma non aveva avuto il coraggio di dirlo ad Ecuba…ora Polidoro era con gli altri Troiani nel campo di battaglia, e godeva della sua agilità. I suoi compagni lo guardavano mentre velocissimo si spostava da un punto all’altro, e i nemici non riuscivano ad
impegnarlo seriamente nello scontro. Ebbro di orgoglio, Polidoro si sentiva insieme giovane ed immortale.
Achille lo vide passare come una meteora, e capì subito che quella ricca armatura doveva appartenere a un principe. Frenò il suo impeto, l’agguato non doveva fallire. Si inoltrò tra le file nemiche, ma tenendosi a distanza da Polidoro e riuscì ad aggirarlo senza che lui se ne accorgesse. Poi, mentre gli altri Troiani che lo conoscevano bene come per incanto si scostavano, fu d’un tratto alle sue spalle; e ricordando Patroclo ebbe un moto d’ira che annullò la simpatia istintiva per quel giovane bello e valoroso, tanto simile a lui quando aveva sorriso sprezzante a Teti che non voleva farlo partire.
Polidoro quasi non sentiva dolore, anche se la lancia lo aveva trapassato tutto, dalla schiena all’ombelico. Quando era stato colpito vilmente da Achille era caduto a terra urlando, ma ora gli pareva di entrare lentamente in una nube nera; le grida e i rumori gli giungevano sempre più fiochi e parevano innaturali ed estranei.
2. Virgilio, Eneide III, 22-57
Era nel lito Un picciol monticello, a cui sorgea Di mirti in su la cima e di corniali Una folta selvetta. In questa entrando Per di fronde velare i sacri altari, Mentre de’ suoi piú teneri e piú verdi Arbusti or questo, or quel diramo e svelgo; Orribile a veder, stupendo a dire, M’apparve un mostro: ché, divelto il primo Da le prime radici, uscîr di sangue Luride gocce, e ne fu ’l suolo asperso. Ghiado mi strinse il core; orror mi scosse Le membra tutte; e di paura il sangue Mi si rapprese. Io le cagioni ascose Di ciò cercando, un altro ne divelsi; Ed altro sangue uscinne: onde confuso Vie piú rimasi; e nel mio cor diversi Pensier volgendo, or de l’agresti ninfe, Or del scitico Marte i santi numi Adorando, porgea preghiere umíli, Che di sí fiera e portentosa vista Mi si togliesse, o si temprasse almeno Il diro annunzio. Ritentando ancora, Vengo al terzo virgulto, e con piú forza Mentre lo scerpo, e i piedi al suolo appunto, E lo scuoto e lo sbarbo (il dico, o ’l taccio?), Un sospiroso e lagrimabil suono
Da l’imo poggio odo che grida e dice: Ahi! perché sí mi laceri e mi scempi? Perché di cosí pio, cosí spietato, Enea, vèr me ti mostri? A che molesti Un ch’è morto e sepolto? A che contamini Col sangue mio le consanguinee mani? Ché né di patria, né di gente esterno Son io da te; né questo atro liquore Esce da sterpi, ma da membra umane. Ah! fuggi, Enea, da questo empio paese: Fuggi da questo abbominevol lito: Ché Polidoro io sono, e qui confitto M’ha nembo micidiale, e ria semenza Di ferri e d’aste che, dal corpo mio Umor preso e radici, han fatto selva
. A cotal suon, da dubbia téma oppresso, Stupii, mi raggricciai, muto divenni, Di Polidoro udendo. Un de’ figliuoli Era questi del re, ch’al tracio rege Fu con molto tesoro occultamente Accomandato allor che da’ Troiani Incominciossi a diffidar de l’armi, E temer de l’assedio. Il rio tiranno, Tosto che a Troia la fortuna vide Volger le spalle, anch’ei si volse, e l’armi E la sorte seguí de’ vincitori; Sí che, de l’amicizia e de l’ospizio E de l’umanità rotta ogni legge, Tolse al regio fanciul la vita e l’oro. Ahi de l’oro empia ed esecrabil fame! E che per te non osa, e che non tenta Quest’umana ingordigia?
3. Benoît de S.M. e Guido delle Colonne
Polidoro pensò che lo avevano portato nella piana davanti a Troia per lasciarlo libero. Tra breve sarebbe tornato a casa, dai fratelli e dai genitori. Certo, sua sorella Iliona, la moglie di Polinestore, era stata affettuosa con lui, ma aveva dovuto anche lei arrendersi alle ragioni dei più forti. Aiace aveva minacciato di mettere a ferro e a fuoco la Tracia se manteneva l’alleanza con Priamo, e aveva preteso lui in ostaggio: e Polinestore aveva accettato. Ma Polidoro era troppo piccolo per capire quello che era successo, e aveva creduto alle parole di Iliona. Ora pareva essere arrivato quel momento tanto sospirato: Aiace e Ulisse erano gentili, non gli avevano mai fatto minacce.
Priamo ed Ecuba non potevano darsi pace. Avevano sempre diffidato di Polinestore, ma era un alleato potente e conveniva non averlo nemico. Quando gli avevano dato in moglie Iliona, la guerra era ancora lontana e il piccolo Polidoro non era ancora nato; poi, però, quando il conflitto si era
fatto aspro, era sembrato prudente inviarlo in Tracia con gran parte delle ricchezze. Chi poteva immaginare il vile tradimento di Polinestore?
Ma quello che bruciava di più era stato l’atteggiamento degli altri figli: tutti, da Ettore a Troilo, tranne i soliti profeti di sventure Eleno e Cassandra, avevano concordemente respinto la proposta dei Greci di scambiare Polidoro con Elena. Sarebbe stata anche la fine di quell’assurda guerra…Persino Enea, di cui tutti lodavano la pietà, aveva detto delle parole inutilmente crudeli: di figli Priamo e Ecuba ne avevano tanti, potevano anche rinunciare a Polidoro!
Il corpo martoriato del bambino era stato portato in città. Sulla spianata, restavano le centinaia di pietre che lo avevano colpito. In fondo, i Greci erano stati di parola: se Priamo non restituiva Elena, essi avrebbero comunque restituito Polidoro. Avrebbero preferito consegnarlo vivo, ma questo dipendeva dai Troiani. Possibile