Dreaming Portugal
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Attraversano l'estate portoghese quasi inconsapevolmente, travolti e immersi in una teoria di avvenimenti e situazioni incredibili e affascinanti, che li porterà a sostenersi e a conoscersi a fondo, per completare finalmente il loro viaggio.
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Book preview
Dreaming Portugal - Dario Polonia
DARIO POLONIA
Dreaming Portugal
Nota dell’autore
Devo assolutamente evidenziare che le righe che ho scritto in questo racconto non sono frutto della mia immaginazione, bensì la descrizione accurata di fatti realmente accaduti, magari con qualche abbellimento.
È altresì chiaro che, per motivi di opportunità, ho cambiato i nomi dei protagonisti perché magari, a distanza di tutti questi anni, ci si pente di quello che è stato fatto o detto.
O anche no…
Prologo
Lo squillo del telefono mi solleva dalle pagine e dal fascino di Castelli di Rabbia
.
Mi alzo dalla poltrona letto, illuminata di taglio dalla porta finestra, e sollevo il ricevitore, appoggiato sul mobile in corridoio:
Pronto
.
Ciao Paolo, allora?
Ciao Massimo, allora che?
Fra quanto vieni
?
Perché, devo venire?
Si pirla, oggi è il giorno che fottiamo Lucrezia
.
Cacchio, me n’ero totalmente dimenticato.
Già, hai ragione. Tra mezz’ora sono lì
.
Ok, ti aspetto
.
Riappoggio il ricevitore, mi volto alla ricerca delle scarpe, le infilo e dopo avere indossato il giubbotto sono in strada ed in auto, parcheggiata sotto casa.
Massimo abita ad una decina di chilometri dalla mia abitazione, un sole pallido mi accompagna mentre mi infilo nel blando traffico del venerdì pomeriggio brianzolo.
In poco tempo sono a destinazione, intravedo Max mentre imbocco la rotonda prima della sua abitazione, che mi sta attendendo davanti al suo cancello a fianco a Lucrezia. È in pantaloni della tuta e polo, un poco appesantito per il suo metro e settanta, barba di qualche giorno e con pochi capelli. Mi fissa con l’aria scocciata di chi è troppo che aspetta.
La mia attenzione è catturata però dall’auto; in effetti dall’anno scorso non è cambiata, la guardo mentre parcheggio ed una marea di ricordi mi avvolge e mi intenerisce.
La vecchia Renault 5 sembra che mi faccia l’occhiolino quando un raggio di sole intercetta il vetro del suo faro destro e mi acceca.
Hai preparato tutti i documenti?
chiedo.
Si tutto fatto, andiamo
.
Invece non resisto e mi avvicino all’auto, le accarezzo il cofano e noto che il tettuccio ormai si sta sfilacciando.
Ma il carburatore non l’hai più cambiato poi?
No, è andata benissimo finora, perché buttare via soldi?
Non commento e risalgo in macchina.
Fammi strada.
Borbottando il vecchio motore romba fedele, zoppicando nell’aritmia della sua vecchiaia.
In pochi minuti siamo di fronte allo sfasciacarrozze. All’ingresso ci attende un uomo vestito con una tuta da meccanico, unta da generazioni, che ci indica un parcheggio vicino al muro sinistro dello spiazzo.
Massimo scompare per qualche minuto all’interno del minuscolo ufficio, dopo aver posizionato per l’ultima volta Lucrezia dove indicato.
Infine esce e si getta in auto.
Andiamo
ordina.
Ti sei commosso?
domando crudele.
Ma finiscila
risponde era il suo momento, tutto qui:
Durante il breve percorso verso la sua abitazione nessuno parla, ognuno immerso nelle proprie reminiscenze indotte da questo abbandono.
Lo lascio di fronte casa.
Stasera birretta in memoria?
chiedo.
Certo
mi risponde passa dopo cena.
Lo guardo entrare in casa, quindi metto in moto e mi avvio.
Mentre guido non riesco a non pensare al perché siamo andati insieme dallo sfasciacarrozze, al patto fatto sotto al sole spagnolo dentro un buco di officina, dove Lucrezia giaceva agonizzante ed un barbuto personaggio cercava di farci tornare in Italia, ancora con la vecchia R5 sotto le chiappe.
Lì decidemmo che, quando sarebbe accaduto, avremmo accompagnato insieme l’auto nel suo ultimo viaggio, come ringraziamento per la fedeltà e la complicità dimostrata.
Perché ce n’è voluto di coraggio, per partire con quell’auto già abbondantemente vissuta, ed affrontare 5000 km di strade approssimative, in un tour iberico di lucida follia.
Sono i progetti più strambi che nascono di impulso, senza pensieri né dubbi, solo il piacere di vivere un’avventura intensa e originale con un amico che indossi come un vecchio maglione. Quindi ci stai certamente comodo.
Tutto aveva avuto inizio dalle vacanze dell’estate 1988 quando Massimo aveva avuto una delle sue solite sbandate e si era convinto che al mondo non vi fosse nulla di più eccitante e interessante che girare l’Europa con Interrail.
Quindi si era messo su di un treno e treno dopo treno, aveva visto, conosciuto, capito e subito il fascino delle persone di altre culture, altri linguaggi, altre consuetudini. E gli era anche piaciuto.
In tutto questo vivere aveva condiviso un poco di esperienze con una coppia di amici portoghesi, con i quali aveva legato particolarmente.
Uno lo aveva conosciuto a Porto, dove gestiva l’ostello che gli aveva fatto da tana per qualche giorno.
L’altra invece era stata compagna di viaggio per lunghi tratti sulle rotaie europee.
Infine si erano lasciati con la promessa di Massimo di recarsi l’anno successivo a Porto per rivedersi, quelle promesse che generalmente dopo una settimana ti scordi.
Invece lui aveva perseverato e, ovviamente, non poteva fare altro che coinvolgere me nella sua utopia.
Come se io mi fossi fatto scrupoli per accettare…
E quindi, mentre arrivo a casa, mi ricordo che avevamo addirittura scritto un diario di viaggio, convinti di poter narrare come nuovi Magellano la scoperta di incredibili vie tra Spagna e Portogallo.
Era rimasto in mio possesso, ora mi nasce l’impellenza di rileggerlo, di ricordare i frammenti dipinti tra quelle pagine.
Si ma…dove l’avrò mai messo?
Quando entro in casa mi dirigo immediatamente verso la libreria, primo posto logico dove potrei averlo posizionato.
Nello scaffale centrale ci sono, ben disposte nel mio disordine organizzato, tutti quei documenti che devono essere da me rivisti e successivamente catalogati: bollette, lettere, offerte di vario genere, contratti, multe.
Non c’è. Significa che ha già passato la fase di catalogazione.
Allora inizio a cercare tra i libri, disposti per generi, ma nulla, introvabile.
Inizio a disperare quando allungo lo sguardo sul ripiano delle guide turistiche e delle cartine stradali: eccolo lì!
In fondo è logico, si parla di viaggi.
È una agenda di una banca, quelle che ti arrivano a Natale nella loro busta di cartone, per ringraziarti che mantieni presso di loro, malgrado siano una categoria poco raccomandabile, un conto corrente che gli permette di spillarti soldi per ogni inezia dandoti in cambio interessi irrisori.
La apro. Era di Massimo, già compilata in alcune pagine con appunti, appuntamenti e altre cazzate.
Dopo qualche pagina inizia il diario; riconosco la scrittura minuta di Massimo e quella mia, sghemba e appuntita.
Mi rendo conto solo ora che non ho mai letto alcuna nota di questa narrazione.
Ci eravamo posti l’obbiettivo di seguire passo passo il procedere della vacanza, cercando di appuntare situazioni particolari o eventi interessanti.
Chissà se ci siamo riusciti?
È ora di scoprirlo.
Mi siedo comodamente sul divano e inizio a leggere.
I
MAX - Partenza. Un giorno di luglio 1989, Ore 6.10 (Km 65127).
Mentre mettevo il borsone nel baule vidi Massimo chino a scrivere.
Cosa fai?
Scrivo
.
Lo vedo, grazie. Ma cosa scrivi?
Il diario no? Non abbiamo deciso di tenere un diario? Sto iniziando
.
Ok. Devo guidare io?
Si
.
Mi posizionai dietro al volante, controllai la mia casa con gesto istintivo, porte e finestre erano chiuse. Potevamo partire.
Misi in moto e andammo.
L’afa brianzola già aleggiava pesante, luglio si avviava verso la sua prima metà arrancando.
Dietro ho messo le cassette, ho fatto tutte compilation
dissi.
Massimo si voltò e raccolse le custodie per poi riporle nel portaoggetti.
Inserì invece un’altra cassetta nell’autoradio e la musica si diffuse nell’abitacolo, avvolgendoci sinuosa. Edie Brickell con Circle
iniziò la sua avventura con noi.
Viaggiammo tranquilli verso la Liguria, non c’era traffico, il motore ronzava accattivante, noi parlavamo poco e guardavamo il paesaggio; ci aspettava un viaggio di 2000 km, avremmo avuto certamente tempo di fare qualunque cosa.
MAX - Ore 10.00: Ventimiglia.
Fino a questo punto del viaggio Massimo non si era certamente impegnato allo spasimo per la nostra traccia di viaggio, sul diario solo due annotazioni…
Passammo il confine con la Francia dopo circa quattro ore di tragitto, una buona media.
La Liguria ci era sfuggita a lato dolcemente, con il suo mare ansioso e le città incollate alle montagne, che si affacciavano stupite sul rifrangere delle onde.
Era il primo viaggio lungo insieme. Però eravamo così affiatati che ci era sembrato naturale programmare questa vacanza; da quando l’università ci aveva fatto conoscere avevamo scoperto di stare bene tra noi, di condividere passioni e vizi, senza differenza e senza valutare se fare emergere più gli uni degli altri.
Massimo è una persona che affronta la vita in sordina, facendosi travolgere dagli eventi e non riuscendo a gestirli. Fatica a lottare, preferisce racchiudersi e involversi, rifiutando di guardare oltre la possibilità di gestire le difficoltà.
Io con il mio pragmatismo gli offro spesso sponda, recuperandolo dagli abissi dove si inserisce e si nasconde. Non certo per misericordia, bensì perché egli è persona di spessore, con valori e qualità oltre il comune.
La fatica maggiore è convincerlo di ciò.
MAX - Ore 13.30 Pranzo a Salon De Provence.
Ci fermammo per mangiare qualcosa in questo paesino della Provenza.
Lucrezia borbottava un poco prima di parcheggiare, però Massimo non dimostrò alcuna preoccupazione, io invece non mi sentivo tranquillo, il singhiozzare del motore mi inquietava.
Comunque ripartimmo verso Carcassonne.
Prima del paese incrociammo due autostoppisti.
Io volevo proseguire, Massimo invece mi inondò con un discorso infervorato sulla bellezza e sulla giustezza di aiutare e confrontarsi con alte persone, altri modi di viaggiare e di proporsi verso le vacanze.
Troppo esausto per controbattere accostai, facemmo spazio nel porcile in cui si era trasformato il sedile posteriore e caricammo i due personaggi, gli zaini e il loro simpatico afrore che, misto con il nostro, dovette rendere l’abitacolo qualcosa di indescrivibile.
Subito egli si lanciò in inglese in una discussione intensa chiedendo dettagli, indizi, modalità del loro viaggiare.
Era entusiasta, direi euforico della situazione.
Io invece pensavo a guidare ed a notare il rumore irregolare del motore, situazione che al momento mi intrigava un poco di più.
MAX - Ore 17.30: Carcassonne, guasto, aiuto dagli autostoppisti e dal benzinaio con papà di Venezia.
Infatti l’auto di colpo scoppiettò e si spense.
Panico.
Non è che portano sfiga?
Comunque scendemmo e chiesi loro se per caso si intendessero di meccanica.
Ovviamente no. Fra l’altro, notando il loro look, pensai che le materie sulle quali potevano avere conoscenze specifiche erano più affini a coltivazioni di particolari tipologie di piante…
Guardai la strada, verso l’orizzonte.
Mi parve di notare un’insegna in lontananza, probabilmente una area di servizio.
Che dite se spingiamo tutti verso quell’insegna?
dissi in inglese.
E così facemmo. Dopo venti minuti di fatica, ridotta per fortuna dal fatto che la strada fosse pianeggiante, giungemmo nella piazzola.
La sorte ci fu benevola, il benzinaio possedeva anche un’officina!
Si avvicinò subito vedendoci in difficoltà e, notando la targa italiana, provò a parlarci in italiano.
Fu un dialogo surreale con lui in franco-italiano incomprensibile e noi in italo- francese imbarazzante; però servì: egli mise mano al carburatore e, dopo un’accurata pulizia dello stesso con maneggi vari, con cacciaviti e pinze, Lucrezia tornò fra noi.
Nel contempo i due autostoppisti ci avevano giustamente abbandonato valutando inaffidabile il nostro mezzo.
A questo punto chiesi al benzinaio se la macchina ora fosse affidabile.
Mi chiese dove eravamo diretti; la sua faccia dopo la mia risposta fu abbastanza eloquente.
Ma noi eravamo oltre, eravamo superiori al parossismo della meccanica.
Lo pagammo e via, come nuovi.
Fino ad ora il navigatore lo aveva fatto Massimo il quale è famoso per essere dotato