L'uomo che dovevo uccidere
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Nuova edizione riveduta e corretta.
Nato a Roma nel 1975, Stefano Mannucci si laurea presso la facoltà di Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla produzione fotografica dell'Istituto Luce. Dopo aver collaborato con alcune riviste e siti di Storia Contemporanea, inizia a pubblicare diversi saggi riguardanti la fotografia durante gli anni della Seconda guerra mondiale, il periodo del colonialismo italiano, la storia dell'Istituto Luce, cercando di individuare nelle fotografie ufficiali dell'epoca quei dettagli ed indizi che possano descrivere la realtà sociale al di là del messaggio propagandistico. È anche autore di alcuni racconti e di diverse poesie sui temi dell’amore, della memoria e della guerra. L'uomo che dovevo uccidere è il suo primo romanzo noir.
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Anteprima del libro
L'uomo che dovevo uccidere - Stefano Mannucci
Stefano Manucci
L'uomo che dovevo uccidere
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Il libro
Jack Settano non poteva sapere che entrando in quella stanza d’albergo quella notte il suo futuro sarebbe potuto cambiare. Ma di certo egli sapeva che salvare la vita a quella donna avrebbe sancito la propria condanna a morte. Ed ora qualcuno lo stava cercando nelle strade innevate della città con l’ordine di ucciderlo. Perché si può nascondere il proprio passato, ma non si può ingannare il proprio destino. Soprattutto per chi - come Jack Settano - il destino aveva reso di professione un assassino.
L'autore
Nato a Roma nel 1975, Stefano Mannucci si laurea presso la facoltà di Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla produzione fotografica dell'Istituto Luce. Dopo aver collaborato con alcune riviste e siti di Storia Contemporanea, inizia a pubblicare diversi saggi riguardanti la fotografia durante gli anni della Seconda guerra mondiale, il periodo del colonialismo italiano, la storia dell'Istituto Luce, cercando di individuare nelle fotografie ufficiali dell'epoca quei dettagli ed indizi che possano descrivere la realtà sociale al di là del messaggio propagandistico. È anche autore di alcuni racconti e di diverse poesie sui temi dell’amore, della memoria e della guerra. L'uomo che dovevo uccidere è il suo primo romanzo noir.
Dello stesso autore
Saggistica:
Luce sulla guerra. La fotografia di guerra tra propaganda e realtà. Italia 1940-45
La guerra d'Etiopia. La fotografia strumento dell'imperialismo fascista
La fotografia dell'Istituto Luce. Storia e critica
Narrativa:
Frammenti di vite altrui. Racconto breve di un fotografo di strada
Un inverno gelido dopo un autunno caldo. Racconto di una strage
Poesia:
Barricate e poesia
D'amore e di rabbia in un tempo di guerra
Nota dell'autore
Questo romanzo è un'opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto dell'immaginazione dell'autore.
Qualsiasi eventuale rassomiglianza con avvenimenti o persone reali, viventi o defunte, è da ritenersi puramente casuale.
Copyright
© Stefano Mannucci 2017
Tutti i diritti riservati.
In copertina: foto © Stefano Mannucci 2007
Progetto grafico: Stefano Mannucci
Prima Edizione Digitale 2013
Seconda Edizione Digitale 2017
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche se parziale, non autorizzata
L'uomo che dovevo uccidere
Parte Prima
Capitolo Uno
Chi mi lesse la mano - una ragazza dagli occhi scuri nell'alba di un nuovo anno - mi predisse con voce triste che per me l'arte sarebbe stata un ozio e l'amore un sofferto vizio, e che la mia vita sarebbe stata breve come doloroso ne fu l'inizio.
Ma chissà se quella ragazza aveva intuito, fra le linee della mia mano, il disegno del destino che mi avrebbe reso di professione un assassino.
Tutto ebbe inizio in una sera di dicembre.
Ero seduto al bancone di un pub, bevendo un bicchiere di rum, quando qualcuno dietro di me pronunciò il mio nome:
«Jack... Jack Settano! Sei tu Jack, vero?»
Mi voltai verso quella voce.
Un uomo si avvicinò alla mia sedia con fare discreto.
Lo osservai per qualche minuto senza riuscire a dargli un'identità.
Soltanto dopo che l'uomo disse di chiamarsi Marcus, riconobbi il suo volto.
Ci eravamo conosciuti ai tempi della guerra.
Non avevo ricevuto medaglie d’onore il giorno in cui avevo ucciso il tenente.
Era una mattina di maggio.
Eravamo entrati nel villaggio nelle prime luci del mattino.
Avevamo l'ordine di sparare a qualsiasi ombra che si muovesse, a qualsiasi respiro che fremesse nell'oscurità.
Avevamo l'ordine di uccidere tutti, prima che fossero loro ad uccidere noi.
Una donna si era affacciata da una porta.
Un soldato le aveva scaricato addosso tutti i proiettili.
La donna era caduta esanime a terra.
Fra le braccia reggeva un bambino e nessun'arma.
Nessuno ci aveva detto che c'erano soltanto donne e bambini in quel villaggio sperduto.
I guerriglieri erano lontani dalle proprie case.
I guerriglieri erano a combattere nella foresta e sulle alture.
Gli abitanti del villaggio, allarmati dagli spari, erano usciti dalle abitazioni.
Il terrore si era impadronito di quei volti.
Qualcuno era rimasto immobile sull'uscio ed aveva iniziato a piangere e pregare.
Qualcuno aveva iniziato a correre senza mai voltarsi dietro, per non vedere la morte balenare sui nostri elmetti sporchi di fango, sulle nostre divise macchiate dall'altrui sangue, sui nostri anfibi che la vita andavano furiosamente calpestando.
Qualcuno era divenuto un facile bersaglio ed era caduto sotto le raffiche dei proiettili.
Le loro vesti erano giocate ai dadi.
Le loro vite erano scolpite sulle armi.
Una tacca di coltello incisa lungo la canna del fucile per ogni corpo ucciso.
Le case del villaggio erano in fiamme.
Il fuoco aveva attecchito sui tetti ed il fumo nero oscurava il cielo.
I civili ancora in vita venivano spinti con forza verso una desolata radura, che era solita fungere da piazza centrale nei giorni di festa e nelle celebrazioni religiose, ma che in quel dannato giorno era diventata un luogo di morte.
Venivano fatti sistemare in fila sul ciglio di una fossa comune che alcuni soldati stavano intanto scavando.
Una volta avvenuta la fucilazione, i loro corpi vi sarebbero stati gettati dentro per poi essere coperti da cumuli di terreno.
Sarebbero rimasti sepolti in quell'oscurità fin quando qualcuno, che fosse passato di lì, non li avrebbe scoperti e recuperati dall'oblio.
Quel giorno io ero stato assegnato al plotone di esecuzione.
Avevo gli occhi annebbiati dalle