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Project Archangel
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Project Archangel

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About this ebook

Dall'autore della saga bestseller "CODEX SECOLARIUM", con il contributo della bravissima esordiente ARIEL LORENDIKE.
2 milioni di copie negli store.
Ai primi posti nelle classifiche americane.

"La prima indagine mozzafiato delle agenti CIA, Abigail Harper e Brooke Sue."

Una serie di misteriosi furti coinvolge il complesso più imponente dell'USAF, dove i componenti più segreti dei caccia dismessi dal servizio militare vengono stoccati e catalogati scrupolosamente.
Le agenti Harper e Sue, sotto il comando del direttore Ed Sospecek avranno il compito di risolvere il caso che inizialmente si presenta semplice...
Ma non lo sarà affatto.
Cosa si nasconde in uno di quei complessi?
Perchè L'USAF cerca di tenere la CIA allo scuro di tutto?
Pochi giorni, in cui il tempo scivolerà inesorabile e la soluzione di un'intricata matassa internazionale resterà appesa a un sottilissimo filo... teso dalle sapienti mani del NORAD.

LanguageItaliano
Release dateAug 21, 2017
ISBN9781370774838
Project Archangel

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    Book preview

    Project Archangel - Alessandro Falzani

    Il comandante Foster percorse nervosamente il lungo corridoio battendo i tacchi sul pavimento di ferro, si abbassò leggermente sotto la porta prima di entrare nella sala controllo della nave.

    Un'atmosfera soffusa, fatta di luci cupe e led lampeggianti sui quadri di controllo avvolgeva i tecnici che stavano tentando un disperato ripristino delle comunicazioni, ma l'f-35 del capo squadriglia, il tenente Lavoie, sembrava sparito nel nulla.

    Foster aveva già troppe grane a cui pensare: la Carl Vinson era pericolosamente vicina alla Corea del Nord, seppur schermata dalla costa est del Giappone, una squadra di sette caccia in volo per quel maledetto esperimento e ora ci mancava anche questa, Lavoie che non rispondeva.

    «Simons, tenti ancora», ordinò incutendo timore reverenziale nella giovane leva seduta alla postazione radio; sapeva che l'esito sarebbe stato negativo ma in cuor suo doveva esserne assolutamente certo e voleva avere l'anima in pace di fronte alla commissione governativa.

    «Qui U.S.S. Carl Vinson a capo squadriglia Lavoie, mi sente tenente?»

    Un ansioso fruscio riempì le orecchie di Simons, a testa china sul regolatore di frequenza.

    «Ripeto, qui Carl Vinson a tenente Lavoie...», insisté.

    Sconsolato alzò l'indice dal pulsante del microfono, udì un tonfo elettronico nelle cuffie e la consapevolezza che per il giovane Tom era probabilmente finita.

    Foster gli mise la mano sulla spalla e questo servì a scaldargli il cuore, «Va bene così, sono quattro ore che stiamo provando, ha fatto il possibile, ora si riposi.»

    Il ragazzo annuì con un velo di delusione negli occhi, tolse le cuffie e si alzò dirigendosi alla sala bar, un caffè sarebbe servito a schiarirgli le idee.

    Aveva ascoltato ogni parte delle comunicazioni intercorse tra il capo squadra e la nave sin dalla partenza per quella missione: tutto nella norma, tutto regolare.

    L'operazione sarebbe dovuta iniziare cinque ore prima e sarebbe dovuta durare al massimo quaranta minuti: una semplice azione di routine si era detto, ma non era andata così.

    Da un paio di giorni la Carl Vinson era approdata in acque neutrali e al porto di Tokio aveva fatto salire una decina di tecnici giapponesi, per poi spostarsi a circa venti miglia dalla città.

    Assoluto mistero su quelle presenze, tutto quello che Simons era riuscito ad intuire era che facevano parte di uno strano progetto denominato Blue Sky.

    Quei sette caccia e Tom Lavoie stavano testando proprio questo.

    Simons avrebbe dovuto seguire le comunicazioni di routine; gli f-35 avrebbero raggiunto il confine coreano e poi avrebbero fatto inversione per tornare sino alla nave, nessuno sapeva il motivo di una tale manovra, ma tutti temevano che i coreani se la sarebbero presa con l'America e in primis con quella nave.

    Foster era visibilmente preoccupato di una possibile ripercussione coreana e da quando erano approdati a Tokio era diventato troppo nervoso, il suo primo ordine una volta al largo fu di tenere in modalità attiva le due batterie Sea Sparrow, cosa che la diceva lunga sulle preoccupazioni del comandante.

    Foster era un po' il termometro della tensione nervosa che si respirava sulla nave: se lui sparava cazzate erano tutti allegri, se dava ordini di continuo e in modo imperioso, specie se si trattava di attivare batterie di missili, beh, allora c'era da preoccuparsi, e non poco.

    Simons poteva intuire più cose del resto della truppa, standogli appiccicato alle chiappe praticamente di continuo, eseguendo ogni genere di trasmissione radio che il comandante gli chiedeva, e una delle ultime comunicazioni lo aveva lasciato molto perplesso.

    Prima della virata di ritorno dei sette caccia esattamente sul confine coreano, Foster gli aveva chiesto di commutare la trasmissione sul canale di riserva della nave; così facendo la comunicazione poteva essere recepita solo dal capo squadra e solo se questi era stato precedentemente avvisato di una tale possibilità.

    Dunque Foster e Lavoie si erano parlati all'insaputa del resto dei piloti, e questa era una manovra non molto corretta.

    Simons finì il caffè buttando il bicchiere di plastica accartocciato nel cestino, uscì dalla saletta e tornò in corridoio.

    Non sapeva per quale motivo Foster fosse così preoccupato, dato che in quella comunicazione segreta fu dato ordine a Lavoie di estendere la portata del test spingendosi entro un ragionevole spazio del cielo coreano.

    Lavoie aveva risposto in modo affermativo, quindi virò staccandosi dal resto della squadra e proseguendo da solo.

    Dopo quell'ordine Foster sbatté le cuffie a terra e questo poteva significare solo una cosa: quell'ordine non era venuto da lui, ma gli era stato imposto da qualcuno.

    Simons si abbassò per passare sotto la porta della sala controllo e riprese posto, il comandante aveva il palmo della mano sulla fronte e la grattava lentamente, ancora un segno che le cose non andavano affatto bene.

    «Simons, ho bisogno di un'ultima comunicazione e voglio che sia lei a farla...»

    «Certamente signore, comandi...», rispose il tecnico sull'attenti.

    «Riposo, stia pure. Ascolti Simons: quell'ordine che lei ha ascoltato deve restare segreto, quello a Tom Lavoie intendo, su frequenza di riserva, intesi?»

    «Sì signore...»

    «Bene...»

    «Signore...», replicò con voce incerta il giovane.

    «Che altro c'è Simons?»

    «Con permesso signore, quell'ordine non era suo, vero?»

    Foster corrucciò le sopracciglia, poi si addolcì capendo che il ragazzo era semplicemente in pena, o forse si sentiva in colpa per come erano andate le cose.

    «Secondo lei io avrei mandato un tenente dell'USAF, uno dei migliori piloti in circolazione da solo su un territorio ostile... sulla Corea, anzi. No, Simons, quell'ordine non è certamente mio: ho ricevuto l'incarico di ospitare a bordo dei tecnici giapponesi e sette caccia dell'aereonautica per quel dannato progetto...Blue Sky. Il segretario Statam dell'USAF mi ha dato quell'ordine specifico e io non ho fatto altro che trasmetterlo a Lavoie. Questo è tutto, spero di essere stato chiaro.»

    «Grazie signore di avermelo detto, sapevo che lei non avrebbe dato quell'ordine.»

    Foster accennò un sorriso, non immaginava che quel giovanotto avesse una tale stima per lui.

    «Bene, capisco il suo stato d'animo ma ci faccia il callo, non sapremo quanto resteremo qui e quante di queste missioni suicida l'USAF avrà intenzione di svolgere. Noi siamo solo dei corrieri, dei corrieri che hanno posato il culo su una mina che sta per esplodere da un momento all'altro.»

    Derec Simons non aveva mai visto il suo comandante in quello stato d'animo e immaginò quale battaglia doveva aver portato avanti contro i vertici USAF e della stessa marina per non mettere a repentaglio la vita di quei piloti...e del povero Lavoie.

    «Signore, quindi la comunicazione che vuole farmi trasmettere...è per il tenente Lavoie?»

    Foster sollevò le sopracciglia, come se avesse momentaneamente dimenticato quella triste faccenda, «Sì. Avverta il comando NORAD che il tenente Tom Lavoie non risponde alle comunicazioni da quattro ore e sedici minuti e che risulta...disperso sul suolo coreano. Poi dia la stessa comunicazione all'USAF.»

    «Ricevuto signore...ma perché interessa anche il NORAD?»

    Foster sospirò, anche le domande di quel bravo ragazzo iniziavano a dargli fastidio, «Perché Tom è figlio di Marc Lavoie, il vice comandante del NORAD. Conosco quell'uomo e il suo valore...non oso immaginare come prenderà la notizia.»

    Langley, Virginia, sede della CIA.

    Martedì 6 ottobre, ore 7:31.

    Capitolo1

    Entrò nel garage con un filo di acceleratore di troppo, la moto assorbì il colpo grazie agli ottimi ammortizzatori anteriori e curvò a destra mentre il borbottio meccanico rimbombava tra le spesse mura di cemento armato. Il posto numero sedici l'aspettava, con la piccola targa fosforescente e due strisce bianche da poco ripassate sull'asfalto, l'odore della vernice ancora persistente nell'aria, resa pesante dai gas di scarico delle vetture.

    Abigail tolse il casco e lasciò che la folta chioma rossa le scivolasse sulle spalle, lo infilò nel manico del manubrio e scavallò le gambe. Jeans aderenti e Converse facevano da contrasto ad una camicetta stile ufficio, bianca e orlata sui manici. Tolse il giubbetto di pelle e lo ripiegò sul braccio destro, si avviò verso l'ascensore lanciando uno sguardo di controllo alla sua piccolina. Quella Ducati 748 aveva qualche annetto ma era stato un affare che per nulla al mondo si sarebbe lasciata sfuggire: gialla come il sole incastonato nel cielo terso, l'aveva subito rapita con un fascino per nulla dissimile da quello che lei aveva esercitato sul suo uomo: solo la pioggia poteva farle tenere le sue chiappe lontane dal sedile avvolgente e spazioso di quel mostro italiano.

    Pigiò il tasto del quarto piano e salì, quel giorno il direttore Sospecek le avrebbe riservato il primo appuntamento, mettendola davanti a tutti i suoi impegni giornalieri, la sera prima si era caldamente raccomandato di presentarsi da lui di buon ora, guardò l'orologio a cristalli liquidi: sette e venti di mattina.

    In verità, ora che ci rifletteva, gli era parso ben più agitato del solito, cosa normale per un tipo con l'ansia incorporata come lui.

    La porta d'acciaio del quarto piano della sede CIA si spalancò e il tanfo di fumo, che lei aveva riconosciuto essere ancora quello del giorno prima le diede un disgustoso benvenuto; sentiva il caffè di pocanzi iniziare a farsi strada in una faticosa risalita lungo l'esofago.

    «Harper!», fu l'originale saluto di Frank.

    Lei contraccambiò serrando appena le labbra e sollevando svogliatamente la mano destra, quell'uomo era cotto di lei sin dal primo giorno e Abigail faceva di tutto per tenerselo alla larga. Non che fosse un brutto ragazzo, era anzi atletico e aveva ancora abbastanza capelli, caratteristica non da poco per gli agenti del settore crimini informatici.

    Abigail Harper era il vice di quel settore.

    Prima che potesse toccare la maniglia della porta il direttore di settore l'anticipò e le si mostrò con una velata preoccupazione riflessa negli occhi. Sotto le braccia si erano fatte largo due vistose chiazze di sudore e la cravatta allentata era già raggrinzita.

    «Direttore... cosa intendeva lei per buon ora?», chiese la donna con una leggera ironia palesemente impressa sulle sottili labbra rosee, non era inusuale vederlo in ufficio già dalle sei di mattina.

    «Harper, entri e chiuda...», fu l'imperativo senza possibilità di replica.

    Ed Sospecek aveva un caratterino niente male e questo era risaputo; la mattina lo si poteva trovare a canterellare uno di quei motivetti anni sessanta mentre lavorava al computer, oppure capitava che incontrandolo lungo il corridoio ti prendesse per un braccio e ti offrisse un caffè. Ma c'erano anche volte come quella, in cui diventava un muro di granito che non si poteva scalfire e Harper, che lo conosceva bene da ormai sei anni, aveva compreso che era inutile cercare di farsi largo nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni: se anche la ex moglie ci aveva rinunciato dopo undici anni di matrimonio e due di convivenza, che speranze poteva avere lei?

    Chiuse la porta e si accomodò di fronte a lui, cercando tuttavia di interpretare la sua preoccupazione tra le pieghe raggrinzite della fronte.

    «Ascolti agente, ho per le mani una certa questione, a dire il vero è da un paio di giorni che rifletto sulla possibilità di affidare il caso a lei, e non perché è una donna, ma sa...con un collega maschile al suo fianco sarebbe tutta un'altra storia.»

    «So badare a me stessa direttore, credo di averglielo dimostrato in molte occasioni», ribatté decisa e calma lei, facendogli capire che era rimasta amareggiata da quel pensiero che per quanto non volesse dare a vedere Sospecek, era ovviamente maschilista.

    Ora capiva perché la moglie non ne poteva più di lui.

    «Non è questo, Abigail...»

    Ecco ci siamo, la chiama per nome, inizia la ramanzina sui pericoli del mestiere, che ci sono cose che una donna non potrà mai fare ecc...

    «Lei è la migliore in questo reparto, probabilmente una degli agenti più in gamba della CIA e questo lo sa bene. Così come sa che due anni fa la promozione a direttore del reparto crimini informatici sarebbe dovuta spettare a lei e non a me. Ma questo è inutile rivangarlo ancora.»

    In effetti Sospecek si era dimostrato umile almeno sotto quel profilo e non aveva mai nascosto le maggiori capacità della collega nel campo di competenza. Poi, come ogni cosa importante che si rispetti, il suo salto di carriera aveva avuto ciò che si definisce una brusca frenata.

    Imprevisti politici e maschilisti, li definiva lei.

    «Non si preoccupi Ed, ho sempre apprezzato la sua sincerità ma ora non serve tornarci su, ok? Lei è il mio capo e sono qui per un incarico, dunque non mi tenga sulle spine. Se si tratta di qualcosa di diverso io ci sono.»

    Ed cercò di muovere i muscoli facciali e manifestare un sorriso: in tutti quegli anni Harper non era cambiata di una sola cellula. Lo sguardo sereno, gli occhi azzurri e vispi, mai traditori. Dedita al lavoro anche per quindici ore al giorno; l'aveva sempre invidiata per come era riuscita a tenersi stretto il suo uomo mentre lui, Ed, si era sempre più convinto che la causa del suo naufragio sentimentale fosse da imputare alla ex moglie e non a sé stesso.

    In fondo se una donna voleva, sapeva come restare al fianco del marito.

    Cazzo.

    «Ok Abigail, ascolti allora. Primo, sarà un incarico riservato solo ed esclusivamente a lei, andrà in coppia con una collega perché come le ho detto non ho uomini disponibili in questo momento. Immagino di sapere già chi sarà la sua collega...»

    «Infatti direttore, non c'è bisogno di pensarci su.»

    «Come immaginavo», rispose lui, osservando nuovamente il Casio a cristalli liquidi.

    «Infatti è per questo che ho tirato per le lunghe sino ad ora. Diciamo che calcolando il solito quarto d'ora di ritardo dovrebbe...»

    La porta si spalancò senza preavviso, due vistose lenti nere specchiavano i volti di Ed e Abigail, la sigaretta in un angolo della bocca e quel fastidioso tintinnare di catenine varie e assortite che le avvolgevano i polsi e il collo.

    «Buongiorno, agente Sue.»

    Una velata rassegnazione si era stampata sul volto del direttore.

    Brooke si sedette senza rispondere, fece l'ultimo tiro di sigaretta inspirando a fondo, poi tolse gli occhiali e due ovali neri le contornavano gli occhi castani.

    «Ciao Ed», rispose lei, poi toccò il braccio della collega con il suo gomito, le fece l'occhiolino e Abigail contraccambiò.

    Era il loro rituale di saluto giornaliero e anche il modo di dirsi ti voglio un casino di bene.

    «Ok Brooke, ora che ci sei anche tu possiamo iniziare seriamente», le disse in un tono più confidenziale dovuto al fatto che in precedenza avevano avuto una relazione sentimentale. Nulla di che, solo una breve frequentazione prima che Ed si sposasse.

    Una cosa rapida e indolore.

    Sospecek prese il telecomando sulla scrivania e improvvisamente il suo volto divenne più tirato, da quel momento in poi avrebbe preteso massima concentrazione dai suoi agenti.

    L'immagine dei depositi segreti dell'USAF comparve sul monitor.

    «Stavolta lavoriamo per loro, agenti. Vedetela come una sorta di collaborazione, un piacere che ci devono restituire. Mi stanno con il fiato sul collo da quasi una settimana, mi hanno chiesto i migliori del campo perché credono che si tratti di qualche problema legato ad infiltrazioni nei server principali; io sinceramente ho visto questi filmati e non so perché abbiano una tale teoria. Mi è stato fatto rapporto dal segretario dell'USAF in persona di alcune mancanze nei magazzini dell'aereonautica, all'apparenza nulla di preoccupante. Si tratta di prelievi non autorizzati di parti meccaniche di vecchi caccia in disuso, nello specifico schede di controllo di navigazione, vecchi radar e circuiti di lancio missili. Complessivamente mancano all'appello otto di questi componenti.»

    Brooke e Abigail si guardarono interdette, «Tutto qui?», chiese la prima un po' annoiata.

    «Tranquille, non vi ho fatto cadere dal letto per questa cazzata. Abbiamo esaminato il caso e i pezzi che mancano sembrerebbero far parte nello specifico dei Tomcat F-14 e dei Crusader A-7. Un po' strano che qualcuno abbia per le mani quei ferri vecchi, non credete anche voi?»

    Abigail si avvicinò alla scrivania e guardò insistentemente il monitor, «Depistaggio. Qualcuno vuole farci credere di avere per le mani vecchi caccia di contrabbando e che quei pezzi servono per rimetterli in volo. Ma sarebbe da pazzi, verrebbero abbattuti in men che non si dica.»

    «Io e il segretario siamo giunti alla medesima conclusione Abigail. Quei pezzi sono stati prelevati nell'arco di pochi giorni e di qualunque cosa si tratti sappiamo per certo che è imminente, dobbiamo scoprire chi c'è dietro a questo furto e perché.»

    «Telecamere di sorveglianza?», chiese Brooke, ora leggermente più coinvolta.

    «Le riprese all'infrarosso mostrano scene disturbate da qualche segnale magnetico molto potente e osservando i cd ci si accorge che ogni volta che un militare passa in ricognizione tra gli scaffali la visuale scompare improvvisamente. Da qui l'idea di interpellare noi.»

    «Non sappiamo chi sia il ladro...», intervenne ancora Brooke.

    Abigail annuì, «potrebbero essere tutti d'accordo ma lo credo impossibile, oppure potrebbe trattarsi di un sistema comandato a distanza che si attiva ogni volta che viene rilevata una presenza. Anche questo fa parte di un possibile depistaggio.»

    Ed si alzò improvvisamente, poggiò il telecomando sul tavolo e si voltò verso la finestra, il sole gli esplose in faccia con tutta la sua forza e illuminò i suoi occhi scuri. Quell'uomo aveva subìto il colpo del divorzio ma restava di un certo fascino, almeno per Brooke.

    «Vedo che avete iniziato le vostre congetture, mi fa piacere. Tuttavia sappiate che abbiamo esaminato le medesime possibilità e le reputiamo alquanto probabili. Non dobbiamo escludere nulla. La tesi del furto interno è avvalorata dal fatto che l'impianto di allarme non è mai intervenuto, segno che qualcuno ha agito da dentro le mura. Se questa cosa si risolverà come io credo e spero, dovrete solo dare una bella strigliata ai soldati e far confessare il bastardo. Tuttavia non sottovalutiamo nemmeno la possibilità che stiano reperendo caccia per l'Isis, e se le cose stanno così non è un depistaggio, ma sono problemi seri.»

    «E per questo l'USAF chiede l'intervento dei cervelloni della CIA.»

    «Corretto agente Sue», replicò il direttore regalandole un leggero sorriso.

    Brooke sentì un fremito risalirle dalle caviglie ma per il momento si sforzò di ignorarlo.

    «Materiali da esaminare?», intervenne Abigail interrompendo un momento che si stava prolungando oltre

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