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L'ultimo libro che leggerai. Prima di scrivere il tuo
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L'ultimo libro che leggerai. Prima di scrivere il tuo

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Romanzieri e appassionati di scrittura, self publisher e non, questo testo è dedicato a voi perché descrive le tappe che permettono a un'idea di diventare prima storia e poi libro. Non è un manuale di scrittura creativa, non ha la pretesa di dirvi cosa e come scrivere, ma è un vademecum scritto da un editor che da anni, ogni giorno, lavora a fianco degli autori con l'intento di migliorare i loro manoscritti. Tra i tanti temi trattati scoprirai come si costruisce la trama di un romanzo, come si caratterizzano i personaggi, come si rivela un'ambientazione, come si creano dialoghi efficaci e quali strade potrai percorrere per pubblicare e promuovere il tuo romanzo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJul 31, 2017
ISBN9788892677654
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    L'ultimo libro che leggerai. Prima di scrivere il tuo - Fabrizio Sette

    Flacco

    Capitolo primo

    Scrivere

    In Italia ogni anno vengono pubblicati migliaia di testi. L’Associazione Italiana Editori nel rapporto annuale sullo stato dell’industria libraria ha calcolato che nel 2014 sono stati dati alle stampe più di sessantamila titoli. Le statistiche dimostrano anche che siamo un popolo che non legge, perché solo il 41% dei nostri connazionali acquista almeno un libro l’anno. La differenza tra alta quantità di pubblicazioni e numero di lettori mostra un paese che ama scrivere molto più di quanto provi piacere a leggere. Le teorie volte a spiegare questo singolare fenomeno sono molteplici, alcuni studiosi sostengono che la poca propensione alla lettura sia imputabile alla crisi economica che ha diminuito il potere di acquisto delle famiglie italiane, famiglie che hanno scelto quindi di tagliare le cosiddette spese superflue; altri invece muovono dal presupposto che la continua diminuzione dei lettori sia dovuta al generale impoverimento culturale che attanaglia la nostra società. Tuttavia capire perché così tante persone, in un momento della loro vita, decidano di scrivere un romanzo o un saggio è molto difficile, perché le motivazioni che ci spingono verso la scrittura sono così intime e profonde da risultare refrattarie a qualsiasi indagine statistica o scientifica. Le parole di Primo Levi sembrano però venire in nostro aiuto. Lo scrittore piemontese infatti sosteneva che si scrive per divertimento, per insegnare qualcosa a qualcuno o a sé stessi, per migliorare il mondo, per far conoscere le proprie idee, per liberarsi da un’angoscia, per diventare famosi, per arricchirsi e per abitudine.

    Questo libro per esempio nasce come risposta a una precisa esigenza, quella di definire un metodo e dei criteri che potessero rendere più fruttuoso e organizzato il mio quotidiano lavoro di editing sui testi narrativi. Non avevo però intenzione di scrivere un manuale, desideravo solo produrre un prontuario a esclusivo uso personale, ciò nonostante da uno scarno indice provvisorio è nato un libro esteso e complesso, un testo che mi ha obbligato a studiare con attenzione ogni argomento trattato, a mettere in discussione il bagaglio di conoscenze professionali acquisite nel corso degli anni e a prendere coscienza delle lacune che ancora dovevo colmare. Scrivere può essere un’occasione di crescita e di formazione e, al di là delle motivazioni soggettive, anche una pacata scelta sovversiva, perché dedicare parte del proprio tempo a un’attività così entusiasmante vuol dire contrapporsi a un mondo che viaggia a ritmi fin troppo frenetici e a una società che teme ogni forma di introspezione.

    Scrittura e letteratura

    Il più delle volte c’è la tendenza ad associare il termine narrazione alla parola scritta, tuttavia questa forma espressiva nacque molto tempo prima della scrittura stessa. Gli inventori della narrativa furono infatti gli uomini delle caverne che, nelle fredde notti preistoriche, al tepore di un fuoco, raccontavano a figli e nipoti storie che avevano per protagonisti uomini, animali o esseri inanimati. Quelle narrazioni avevano una triplice finalità: intrattenevano, educavano e tramandavano alle nuove generazioni i valori del clan di appartenenza.

    Quando l’uomo scoprì la scrittura quelle storie orali vennero incise su piccole tavole di terracotta e fu proprio l’esame di un frammento di argilla che permise all’assiriologo George Smith, nel 1872, di scoprire l’opera narrativa più antica della storia: L’Epopea di Gilgamesh.

    Quel ritrovamento ebbe una risonanza enorme, non solo perché documentava l’esistenza di una letteratura più antica di quella biblica, ma soprattutto perché quelle tavole di terracotta testimoniavano materialmente il passaggio dalla narrazione orale a quella scritta, segnavano la data di inizio di una nuova epoca. La scrittura infatti favorì lo sviluppo del pensiero logico prima e di quello astratto poi. All’inizio trovò impiego nel settore amministrativo, poi finì per essere associata alla dimensione artistica. La finalità creativa dello scrivere trovò così la propria espressione nel linguaggio letterario, ambiti in cui i vocaboli acquisiscono una capacità di coinvolgimento che non hanno nell’uso comune della lingua. Coinvolgimento derivante dal potere esercitato dalle parole contenute in un’opera letteraria sull’immaginazione di chi legge.

    Differenze di genere

    Le forme espressive letterarie vengono tradizionalmente suddivise in categorie contraddistinte da determinati temi e precise caratteristiche formali e linguistiche. Limitandoci a considerare la narrativa troviamo spesso una contrapposizione tra la cosiddetta narrativa letteraria e quella di genere. La prima accoglie quei testi che impiegano un registro linguistico più o meno elevato e che vogliono essere portatori di messaggi profondi, nella seconda categoria invece confluiscono tutte quelle opere che nascono per intrattenere e svagare il lettore.

    La consuetudine di classificare le opere narrative in gruppi differenti nacque in Inghilterra nel XVII secolo e favorì, in pochi decenni, il radicamento di un pregiudizio ancor oggi molto diffuso e cioè che la narrativa di genere sia di qualità inferiore rispetto a quella letteraria.

    Senza dubbio molti romanzi rosa, fantasy o thriller, non sono altro che meri prodotti commerciali, spesso questi testi sono scritti con un linguaggio fin troppo elementare e privi di qualsiasi valenza culturale, ma è altrettanto vero che molte opere di genere posseggono una qualità artistica particolarmente elevata. Pensiamo per esempio alle narrazioni di Asimov e di Philip K. Dick che, pur appartenendo al genere fantascientifico, possono essere annoverate tra i testi più interessanti della letteratura. Un autore che scrive romanzi non impegnati non deve essere considerato però uno scrittore di basso rango, come il lettore anche chi scrive infatti ha dei gusti e delle preferenze personali rispettabili, oltretutto la stesura di un’opera narrativa non letteraria richiede comunque una notevole conoscenza dei canoni stilistici e tematici propri del genere cui si fa riferimento e una buona, se non ottima, capacità scrittoria.

    Trovare le idee

    Le idee migliori scaturiscono spesso da intuizioni originali, infatti se chiedessimo a un autore di raccontarci come e dove trova l’ispirazione per scrivere storie interessanti otterremmo probabilmente delle risposte più che sorprendenti. Lo scrittore statunitense Daniel Alarcón nel libro Come si scrive un romanzo¹ pone a molti colleghi questa domanda: Qual è stata la molla che ti ha spinto a scrivere l’ultimo romanzo?. Chabon, Freudenberger e Danticat rispondono così:

    M. Chabon: «Un frasario tascabile per turisti inglese-yddish, pubblicato nel 1958, intitolato dillo in Yddish.»²

    N. Freudenberger: «Una casa molto elegante e glamour che ho visitato da bambina; una fotografia dell’artista Rong Rong che ritrae un’esibizione di Zhang Huan; il ricordo di un’insegnante di arte cinese che venne in visita al mio liceo nel 1991 e ci insegnò come dipingere le aragoste.»³

    E. Danticat: «Una conversazione con un amico.»

    Michael, Nell ed Edwige non hanno trascorso intere giornate a fissare la pagina bianca di un editor di testo, ma hanno ricavato lo spunto per scrivere una storia da oggetti, ricordi e momenti di svago.

    Le idee sono ovunque, possono nascondersi tra le nostre esperienze o sedersi vicino a noi nella carrozza di un treno in attesa di essere scovate. Possiamo quindi dirigere l’attenzione verso la nostra dimensione interiore o volgerla verso il mondo che ci circonda, ambedue le scelte sono efficaci, anche se il più delle volte sono gli elementi e i particolari esterni a fornire la giusta ispirazione, per esempio fu dopo la lettura di un articolo di giornale dedicato a un caso di cronaca nera che De André scrisse La Canzone di Marinella, così come fu un programma tv a far conoscere al pubblico la storia di Kim Peek e a convincere Barry Morrow e Ronald Bass a scrivere la sceneggiatura del film Rain Man.

    La capacità di cogliere stimoli creativi dall’ambiente in cui si vive è un dono naturale ma anche un talento che può essere allenato, molti insegnanti di scrittura consigliano di esercitare lo spirito di osservazione rispondendo a domande di questo tipo:

    cosa tormenta le persone? L’aspetto fisico? La carriera? L’insicurezza lavorativa? La salute?

    Sull’autobus, in treno, in metropolitana, ti è capitato di ascoltare qualche conversazione da cui trarre ispirazione?

    C’è qualche informazione proveniente dalla tv o da internet, che puoi utilizzare come punto di partenza per scrivere un romanzo?

    Le domande a cui rispondere, se si sceglie di volgere l’attenzione verso la propria interiorità, potrebbero invece essere di questo tenore:

    quali sono le mie paure più profonde?

    Quali sono gli eventi che hanno segnato la mia vita?

    Quali sono le cose per cui è importante vivere?

    L’unico rischio insito nello scrivere una storia che prende spunto dal proprio vissuto, soprattutto se le esperienze personali non sono particolarmente originali, è dato dalla possibilità di creare un’opera autoreferenziale dotata di una scarsa presa sul lettore.

    Quanto e dove scrivere

    Italo Svevo sosteneva che la strada migliore per arrivare a scrivere sul serio fosse quella di farlo ogni giorno, sempre e comunque. Come lo spirito di osservazione, del quale si è parlato nel paragrafo precedente, anche la scrittura deve essere esercitata continuamente, non solo perché la pratica quotidiana porta al miglioramento del proprio stile, ma anche perché ci si abitua a rimanere concentrati per un tempo via via sempre più lungo. Non bisogna dimenticare infatti che la stesura di romanzo costringe l’autore a lavorare sul testo per centinaia di ore ed è quindi importante elevare la soglia di sopportazione dello stress inevitabilmente indotto da questa mansione. Può sembrare strano che un’occupazione creativa possa essere associata a stati d’animo spiacevoli, ma scrivere una storia è pur sempre un’attività che costa molta fatica.

    Poiché l’impegno, soprattutto all’inizio, è molto più importante dello scrivere qualcosa di interessante, è necessario dedicare una parte del quotidiano a questa attività. Non è semplice, perché con ogni probabilità avrai un gran numero di incombenze familiari e lavorative da espletare, ma se riuscissi a scrivere ogni giorno per almeno un’ora di seguito potresti ottenere dei risultati più che lusinghieri.

    Un altro tema interessante riguarda la scelta del luogo in cui scrivere. Molti autori amano lavorare in un ambiente tranquillo e isolato, altri invece riescono a essere produttivi solo quando attorno a loro c’è un po’ di confusione. Murakami ha bisogno di una stanza silenziosa, di una scrivania decente e dei brani di G. P. Telemann come sottofondo musicale. Isabel Allende scrive circondata dalle foto dei suoi affetti e in completa solitudine. Un autore che invece detesta l’eccessiva tranquillità è Francisco Goldman, che afferma:

    «A volte ho bisogno di stare in mezzo al rumore che diventa una sorta di muro, un muro di rumore a prova di suono che mi aiuta a concentrarmi, mentre la quiete e la solitudine del mio appartamento possono sembrare un opprimente deserto senza fine »

    Entrambi gli ambienti, al di là delle preferenze personali, posseggono delle peculiarità interessanti. Il silenzio di una stanza favorisce la riflessione e l’analisi, mentre il lavorare in un luogo rumoroso può stimolare la creatività, non è raro infatti che molti autori trovino spunti originali in contesti che a prima vista sembrano i meno adatti alla scrittura, per esempio il romanziere Dinaw Mengestu sostiene di aver svolto alcune delle sue migliori sessioni di lavoro nella carrozza di un affollato treno marocchino. Lo scrivere in un luogo pubblico, non per forza gremito, presenta anche il vantaggio di fornire meno distrazioni di quelle presenti in casa (piatti, telefono, tv, lavatrice, etc.). Una volta seduti al tavolo di un bar non è poi così facile alzarsi per andare a fare qualcos’altro.

    I due tempi della scrittura

    Il tempo che un autore dedica alla scrittura di un testo può essere diviso idealmente in una parte pratica e in una parte progettuale o creativa. La prima consiste nello scrivere, rileggere e correggere quanto si è prodotto, la seconda invece coincide con i momenti dedicati alla riflessione su ciò che si è scritto e sul lavoro che ancora deve essere svolto.

    Sulla parte pratica non c’è molto da dire, se non ribadire quanto sia importante scrivere il più possibile. In merito alla parte creativa è bene porre l’attenzione su un’eventualità, solo in apparenza preoccupante, che tutti gli scrittori prima o poi devono affrontare, quel momento in cui le idee sembrano esaurirsi e non si riesce a proseguire la narrazione. In quegli istanti è importante non abbattersi e, se proprio non si riesce a superare l’impasse, prendersi una pausa.

    Interrompere la scrittura può sembrare una perdita di tempo, ma i periodi in cui non si lavora sul testo possono essere comunque molto produttivi. Il romanziere statunitense Joe Caldwell per esempio sostiene che riesce a superare questi momenti di difficoltà passeggiando nella natura, mentre l’autore nigeriano Chris Abani afferma:

    «Lo stare stesi sul divano a esplorare con il pensiero i personaggi del romanzo costituisce una giornata di lavoro molto produttiva.»

    Le considerazioni di Caldwell e Abani non negano le difficoltà insite nel lavoro dello scrittore, ma ci invitano a trasformare le diverse criticità in occasioni di riflessione e di meditazione su ciò che si è scritto e su ciò che si vorrebbe scrivere.

    Capitolo secondo

    La trama

    Quando ci viene chiesto di raccontare la trama di un romanzo pensiamo subito all’intreccio di vicende che ne caratterizzano la storia, in effetti questa riflessione combacia con le definizioni restituiteci dai principali dizionari della lingua italiana. Il vocabolario Treccani qualifica la trama così: «Linea essenziale di svolgimento dei fatti più importanti che costituiscono l’argomento di un’opera narrativa, teatrale, cinematografica o televisiva.». La spiegazione più esaudiente è però fornita da Donna Levin, insegnante di scrittura creativa alla Berkeley University, che afferma: «La trama è costituita da una serie di eventi legati da un rapporto di causa effetto, situazioni che nascono da una serie di conflitti sempre più intensi e che alla fine dimostrano una premessa.»¹. La precisazione della professoressa americana è interessante e, se riflettiamo con attenzione, non possiamo che darle ragione, perché le trame più riuscite vengono nella maggior parte dei casi costruite così: la narrazione prende avvio da

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