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Pulchra Silva: Leggende lungo la via francigena
Pulchra Silva: Leggende lungo la via francigena
Pulchra Silva: Leggende lungo la via francigena
Ebook456 pages6 hours

Pulchra Silva: Leggende lungo la via francigena

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About this ebook

Alcuni anni sono passati dai fatti narrati in “Rudiobios”. Le vite dei protagonisti di allora si sono allontanate e l’occasione per ritrovarsi non è delle migliori, trattandosi della morte di uno di loro. Comincia così, con uno strano lascito ed una fitta rete di nuovi misteri la spirale che coinvolgerà la protagonista, suo malgrado, costringendola ad assumere il ruolo di guida di due gruppi eterogenei di persone che perseguono lo stesso obiettivo, pur non avendo ben chiara la via da seguire.
Tra testi alchemici e antichi reperti, nascosti tra Breme e Mortara, i nostri personaggi scopriranno verità nascoste, fondendo arte alchemica e fede religiosa, da tempo immemorabile in simbiosi. La Lomellina ancora una volta si offrirà come sfondo per le vicende narrate, mentre dalla Francia un nuovo grande mistero giungerà dalle acque, portando con sé un segreto risalente a quando Cristo camminava sulla terra.
I nostri protagonisti dovranno proteggere il portatore di questo mistero e condurlo al compimento del suo destino, affrontando sfide e pericoli in un luogo dove anche il tempo è alterato. Un destino che si compirà sull’isola di San Giulio, meta finale del viaggio e punto focale della vicenda.
LanguageItaliano
Release dateJul 17, 2017
ISBN9788869825804
Pulchra Silva: Leggende lungo la via francigena

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    Pulchra Silva - Elisabetta Munerato

    figli.

    Capitolo I

    Ogni viaggio comincia da vicino

    Cala la notte che, come un ladro, scivola lungo i vicoli della  città. Il buio tramortisce come un colpo sferrato in testa. Spaventa, ti disorienta. Ti fa sentire come un ubriaco che percorre le strade di un paese che pare nascondere, nel buio, la casa al suo padrone. Un paese piccolo ma senza confini...

    E

    ro immersa nella lettura di un piccolo vecchio libro, quando un suono dal mio cellulare interruppe lo scorrere degli occhi sul foglio.

    Posai il libro, le cui pagine ingiallite e consumate erano ancora impregnate dall’odore di tabacco del suo vecchio proprietario.

    Presi tra le mani il telefonino ed entrai nel menù per leggere il messaggio.

    Rimasi immobile a guardare il display e lo rilessi più volte, cercando di dargli un significato diverso da quello che mi dettava la ragione.

    Umberto ha intrapreso un viaggio senza ritorno e non è più tra noi. Questa sera, nel suo locale, alle dieci. Passa dal retro

    Per quanto mi sforzassi, il finale di ogni mio pensiero portava sempre ad una sola cosa, la più brutta, quella alla quale non vi era rimedio: la morte!

    Umberto era entrato forzatamente nella mia vita per questioni a dir poco particolari. Egli faceva parte di un’organizzazione segreta derivante da un ceppo discendente dagli antichi Templari. Una specie di pseudo religione, come io l’avevo definita. Un’associazione che ha a che fare con esoterismo, scienza, politica e religione. Un mondo che io ho solamente sfiorato, senza aver avuto modo di addentrarmi nei suoi meccanismi. Il mio coinvolgimento con quel gruppo di persone fu forzato e non casuale, come poteva sembrare all’inizio. Ma appena raggiunto lo scopo ognuno era andato per la propria strada. Solo l’amicizia tra me e Umberto non si era sciolta del tutto. Comunque, nonostante abitassimo nella stessa città, io e Umberto non ci frequentavamo più di tanto. Anzi, tranne qualche sporadica occasione, io e Umberto non ci vedevamo per mesi.

    Ciò nonostante adesso provavo un senso di vuoto in me, come se con lui fosse morto l’affetto che provavo per la sua persona. Persona severa ma di grande umanità.

    Mi guardai un po’ attorno, scrutando ogni angolo della mia casa. In essa cercavo il ricordo degli attimi che avevo passato in sua compagnia. Quando lo sguardo si soffermò sul divano un sorriso amaro mi illuminò il viso. Mi ricordai del giorno nel quale Umberto e Filippo si presentarono, accennando per la prima volta alla società segreta della quale facevano parte… c’era Clavens in mutande quel giorno su quel divano, reduce da una sbornia e con i miei ridicoli zoccoli olandesi ai piedi… l’imbarazzo di tutti fu in un certo senso la scintilla che permise di trovare l’armonia giusta per accorciare le distanze fra di noi.

    Passai il resto della giornata immersa in una apatia svogliata, che non mi permetteva di fare nulla. Di tanto in tanto guardavo l’orologio. Avrei voluto togliere da esso quel numero dieci. Avrei voluto che le lancette tornassero indietro in senso antiorario o che il tempo si fermasse, per ripartire il giorno seguente. Avrei voluto che Umberto fosse ancora tra noi.

    Ma alla fine, inevitabilmente, giunse l’ora. Uscii di casa in abito scuro. Ero in lutto e, nonostante il nero non fosse il mio colore preferito, mi pareva quello più adatto.

    Il caldo estivo, afoso e umido di giorno, si era ormai mitigato, concedendo a Robbio e ai suoi cittadini un filo di aria fresca. Ma questo naturalmente non era sufficiente per togliere dalla circolazione anche le zanzare. Anzi, proprio le favorevoli condizioni climatiche, sembravano aver dato loro ulteriore vitalità.

    Percorsi pochi passi proprio una di loro mi si infilò sotto l’abito, mordendomi l’interno coscia. Un leggero pizzicore mi bloccò il passo.

    Maledette zanzare… se trovassi il modo di bere veleno per infettare il sangue e farvi morire tutte! pensai, scuotendomi la veste in modo da scacciare l’indesiderata e invadente ospite.

    In breve arrivai al locale di Umberto, una enoteca sulla cui serranda abbassata campeggiava già il cartello Chiuso per lutto.

    Una vera pugnalata per il mio cuore. Pensai che anch’io avrei dovuto esporre quella scritta, sulla porta del mio negozio di antiquariato, il giorno del funerale.

    Proseguii con gli occhi umidi fino al portone. Suonai il campanello e, dopo essermi annunciata, mi venne aperto il portoncino pedonale.

    Mi batteva forte il cuore. Sapevo che stavo per incontrare una parte di coloro che avevano vissuto con me quel capitolo della mia vita.

    Entrai nel cortile della casa di Umberto. Feci per salire le scale, in quanto sapevo che abitava sopra l’enoteca, ma venni bloccata dalla voce di una donna.

    Mi voltai. Non la riconobbi subito, ma il suo sorriso aveva per me qualcosa di familiare.

    - Maria Laura! - esclamai facendo retromarcia e scendendo i primi gradini della scala.

    Ci abbracciammo, piangendo di gioia per esserci riviste e di tristezza per la circostanza.

    - Aspetta, aspetta! Prendo dei fazzoletti… non ho parole! Ma cos’è successo ad Umberto? - dissi frugando nella borsetta e passando anche a lei un fazzoletto di carta.

    - Entra, siamo nella sua enoteca, c’è con noi anche la moglie! - Maria Laura mi invitò a seguirla.

    - Aspetta! Chi c’è? Ho un po’ di paura a rivedere… ma Umberto?- chiesi.

    - Non è a casa. Sua moglie preferisce così. Noi siamo in pochi… solamente io e il Cavaliere di mezzo. Vieni, sai che sei tra amici! - Maria Laura mi invitò nuovamente.

    Entrai nel retrobottega dell’enoteca. Erano tutti attorno a un piccolo tavolo, sul quale era posato il grembiule color ardesia di Umberto. La moglie del compianto stava singhiozzando, seduta accanto al Cavaliere di mezzo.

    Mi avvicinai a loro in silenzio, nel rispetto di un dolore indescrivibile.

    La vedova non appena percepì la mia presenza voltò la testa e mi guardò. Qualche istante dopo si alzò e venne ad abbracciarmi.

    - Grazie per essere qui! Umberto mi parlava spesso di te, fino quasi ad esserne gelosa! Ma poi ho capito quanto hai sacrificato per quella storia… - mi confidò.

    - Grazie signora per le sue parole… mi rincuorano! Ho sempre pensato che Umberto non mi sopportasse, prima di conoscerlo un po’ più a fondo… avevo molto rispetto per suo marito e lo voglio ricordare sorridente, con il suo pancione stretto in quel grembiule, intento a servire vino! - le dissi stringendola a me.

    - Non lo porterò a casa! Lui non voleva far entrare la morte tra le pareti di casa, diceva che il morto sta bene altrove! Dopo il funerale verrà cremato e le ceneri verranno conservate nel… - la donna si fermò lanciando un’occhiata al Cavaliere di mezzo.

    L’uomo mi guardò, accigliato come sempre. Avevo quasi dimenticato il suo viso. Erano passati un po’ di anni e non ci eravamo più visti né sentiti. Non ho mai saputo il suo vero nome, sapevo solo che era un Cavaliere di mezzo, destinato a combattere come un antico Monaco Guerriero.

    - …ma scusatemi, non vi ho offerto nulla. Vi vado a preparare un caffè… - Il viso della vedova era scavato da rughe dalle quali si intuiva il dolore che provava. Gli occhi arrossati, lenta, quasi barcollante, si diresse verso la piccola cucina del retrobottega, seguita da Maria Laura.

    Il Cavaliere di mezzo si alzò in piedi, ricordandomi anche la sua statura e il suo corpo leggermente muscoloso. Serio e con la solita freddezza, senza nemmeno un saluto passò subito a dirmi:

    - Abbiamo aperto e letto il suo volere testamentario. Nel suo testamento da adepto ha espresso il desiderio che tu possa accedere al Tempio Cenerino!-

    - Testamento da adepto? Tempio Cenerino? - chiesi perplessa, con la necessità irrefrenabile di grattarmi l’interno coscia, dove un lieve ma fastidioso pizzicore reclamava un mio intervento per ridurre il prurito.

    - Coloro che fanno parte della nostra cerchia lasciano due testamenti: uno ufficiale, per la propria famiglia, ed uno morale, destinato al proprio gruppo di appartenenza… tu sei stata nominata in quest’ultimo… questo conferma quanto tenesse alla tua amicizia! - il Cavaliere di mezzo spiegò, lasciandomi ancora più perplessa.

    Un’altra veloce sfregatina sulla pelle lo fece accigliare, ma ciò non lo fermò dal proseguire:

    - È un grande onore per te poter accedere al Tempio Cenerino. Molti di noi non ne confidano l’esistenza nemmeno ai propri familiari -

    Compresi che la mia convocazione era legata al testamento che Umberto aveva redatto, ma nello stesso tempo mi stupii della velocità con cui l’avevano letto, così esclamai:

    - Abbiamo un cadavere ancora caldo e già si sono aperti i suoi testamenti? Caspita che fretta! -

    Ormai la mia mano pareva vivere tra le gambe. Il mio grattare non faceva altro che aumentare il fastidio sulla pelle. Il morso di quella zanzara mi obbligava ad effettuare movimenti che potevano far equivocare quanto stavo facendo.

    Il Cavaliere di mezzo con sguardo severo mi osservava. Forse la mia ultima esclamazione lo aveva ammutolito?

    - Dopo la morte, il corpo viene cremato. Questo non per scelta, ma per obbligo… è una regola imposta, ma non è questo il punto… - riprese.

    - Per testamento l’individuo scomparso può lasciare una parte di ceneri ai familiari ed una al Tempio Cenerino. Ma c’è anche chi desidera che le proprie ceneri vengano depositate solo nel Tempio Cenerino, come nel caso di Umberto. Il Tempio Cenerino è il nostro cimitero… solo noi sappiamo dove si trova e solo noi vi possiamo accedere. - concluse.

    Non dissi nulla. Rimasi a pensare per riordinare le idee.

    Maria Laura nel frattempo si avvicinò con la zuccheriera fra le mani. Sorrise e poi mi disse:

    - Credo che tu abbia una certa confusione in testa, o mi sbaglio? -

    - No, non ti sbagli… ma se un appartenente al gruppo non confida nulla alla famiglia?… Cosa succede dopo la sua morte? Viene fatto il suo funerale religioso e sepolto nel cimitero? Come fate a cremarlo e a depositare le ceneri nel Tempio Cenerino? - domandai un po’ disorientata.

    - Allora non mi hai seguito! - esclamò seccato il Cavaliere di mezzo.

    - Vi è l’OBBLIGO di farsi cremare dopo la morte! Umberto ha confidato alla moglie la sua appartenenza, ma anche se non lo avesse fatto, sarebbe comunque stato cremato, per sua espressa volontà… una volta compiuto il rito una parte delle ceneri viene sottratta e deposta in un’urna. Ovviamente per la cremazione non ci si affida a chicchessia, ma ci si rivolge a un’organizzazione i cui membri sono a loro volta degli affiliati! - continuò nervoso.

    Per me non era né il luogo né il momento per discutere di queste cose, sia per il dolore che provavo per la perdita improvvisa, sia per rispetto alla vedova presente.

    Inoltre il prurito mescolato al bruciore che sentivo sulla pelle mi innervosivano al punto di desiderare con una certa fretta di tornarmene a casa.

    Così presi la decisione di andarmene. Salutai la signora, che nel frattempo aveva portato un vassoio con le tazze e, dopo le condoglianze, me ne andai, precisando al Cavaliere di mezzo  che  sapeva dove trovarmi per terminare le sue spiegazioni.

    Salutai i presenti ed uscii. Maria Laura mi accompagnò, dicendomi che condivideva la mia decisione, ed aggiunse:

    - Il funerale è per dopodomani, a Robbio. Ti farò sapere l’ora-rio… se vuoi vedere Umberto è… - la bloccai scrollando la testa.

    - Capisco! Anch’io non ho avuto il coraggio di andare a vederlo! - mi confidò.

    Prima di varcare la soglia del portoncino le chiesi:

    - Ma cosa gli è successo? -

    - Un infarto! Ieri sera si trovava in negozio a sistemare alcune scartoffie, quando si è sentito male. La moglie era intenta a pulire quando lo ha visto posare il grembiule sul tavolo, portarsi la mano al petto e accasciarsi a terra! -

    Strada facendo non riuscivo ad immaginarmi Umberto che cadeva a terra. Lo vedevo grande e forte come una roccia. Quasi indistruttibile. E invece… quella roccia si era sgretolata in un attimo cadendo ai piedi della morte, come ogni altro uomo.

    Appena arrivai a casa mi spogliai e stesi un unguento sulla pelle arrossata della mia coscia.

    Era una crema puzzolente, ma molto efficace contro le punture di zanzara. Dava immediato sollievo, se stesa tempestivamente sulla zona interessata.

    Non avevo il coraggio di scrivere il cartello da esporre fuori dal negozio. Ma, volente o nolente, la vita ti porta spesso a fare cose contro voglia, rimettendo coercitivamente ordine nel caos della tua libertà e dettando regole di vita alle quali non puoi dire di no.

    Il foglio bianco mi guardava, aspettando qualche cosa da me.

    - Che ti aspetti? Che ti disegni sopra qualche cosa di bello?

    O che ti scriva una frase carina? - borbottai tra me e me.

    Poi, con la mano incominciai a far scorrere il pennarello nero.

    "Un uomo senza cuore è come un albero senza radici. L’albero, come l’uomo, se non si nutre è destinato a morire e a non lasciare frutti. Oggi nella mia vita è scomparso un uomo di cuore e il vuoto che ha lasciato dentro di me, insieme all’affetto che proverò sempre per lui, sono i suoi frutti.

    A Umberto"

    Mi presentai al funerale, ma non alla sua cremazione. Forse perché contraria all’obbligo imposto, o forse per paura di chissà cosa.

    Me ne rimasi a lavorare nel rustico dietro casa mia,  ormai trasformato in laboratorio, nel quale riportavo in vita o salvavo da morte certa vecchi mobili e piccole opere d’arte. Il lavoro di restauratrice mi impegnava molto, ultimamente. Grazie al cielo negli ultimi mesi avevo ricevuto alcuni importanti lavori che stavo portando a termine e che mi avrebbero fruttato parecchi soldi. La vendita di mobili antichi, al contrario, andava a rilento e molti di essi sembravano aver deciso di mettere radici nella mia bottega.

    Il mio cellulare iniziò a squillare, destandomi dalla concentrazione nella quale mi ero immersa. Tralasciai l’operazione di restauro e corsi a rispondere. Era Maria Laura:

    - Carissima, come stai? - le domandai.

    - Bene ma… dovrei chiederti una cortesia! -

    - Anche due! Dimmi tutto! - la incalzai.

    - Sei a casa? - mi chiese.

    - Sì, certo! -

    - Posso venire a trovarti? -

    - Ti aspetto! - esclamai.

    Lasciai il lavoro e mi recai nel retrobottega del negozio. Salii la scala a chiocciola per raggiungere il mio appartamento. Mi lavai e preparai due scodelline per poter offrire alla mia ospite del gelato. Era pomeriggio, un caldo e afoso pomeriggio d’estate. Uno di quelli che ti lasciano a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, anche davanti ad un ventilatore e che ti fanno sudare anche solo a respirare. Uno di quei torridi pomeriggi che ti fanno sentire come un Tuareg nel deserto. Non avevo ancora fatto installare dei condizionatori e le uniche armi a mia disposizione erano ventilatori ed imposte chiuse, per non permettere ai raggi del sole di entrare in casa.

    Non appena sentii suonare il campanello corsi giù di sotto ad aprire. Purtroppo, non solo non avevo ancora fatto installare i condizionatori, ma non avevo nemmeno ancora pensato ad un’entrata per casa mia, separata dalla bottega di antiquariato.

    Così, ogni volta che qualcuno mi veniva a trovare, ero costretta ad accogliere l’ospite nel mio negozio e da lì, attraverso il retrobottega, farlo salire lungo la scala a chiocciola che portava al piano superiore, dove vivevo.

    Maria Laura non era sola, con lei vi era un uomo. Questi, per la massa corporea, mi ricordava vagamente Umberto; ma i suoi occhi chiari e i suoi baffi neri erano ben in contrasto con la fisionomia del mio compianto amico.

    Ero felice di poter ospitare nuovamente nella mia casa Maria Laura e, dai suoi occhi lucidi, mi parve di capire che anche lei fosse emozionata.

    - Quanti ricordi! - esclamò guardandosi attorno.

    Eravamo così prese a rivivere i momenti passati insieme che ci scordammo persino dell’uomo, che ci seguiva ascoltando in silenzio le nostre parole.

    - Il divano… hai ancora questo divano! …E se non ricordo male, da questa parte c’è il bagno… - Maria Laura disse aprendo la porta della toilette.

    - Sì, caspita che memoria! - esclamai.

    - Il rustico… posso rivedere il rustico? - poi mi chiese.

    Così l’accompagnai nella parte opposta del cortile, dove vi era il rustico che ora fungeva da laboratorio.

    - Come puoi vedere è cambiato parecchio! Adesso è qui che lavoro… - le dissi.

    Maria Laura si avvicinò silenziosamente ad una libreria. Come me sapeva benissimo cosa celava.

    Non dicemmo però una sola parola. Entrambe sapevamo che il muro dietro ad essa nascondeva un grande mistero.

    L’esperienza che avevo vissuto con Umberto, Clavens, il Cavaliere di mezzo e Filippo, era stata tremenda. Sapevo che dietro a quel muro non vi era più nulla. Eppure, ogni notte, lavoravo nel rustico anche per vegliare su di esso. L’esperienza vissuta era stata così orrenda che avevo persino paura di dargli le spalle e mai gliele avevo voltate, tanto che mi ero fatta realizzare, da un amico ingegnere, un tavolo girevole grazie al quale poter lavorare senza spostarmi.

    Ripercorremmo il cortile e rientrammo nel retro bottega. L’uomo ci seguiva ancora. Osservava tutto, ogni nostro sguardo, ogni nostra smorfia e pareva soppesare le nostre parole. Guardava quello che ci circondava con una certa curiosità, ma senza proferire parola. Sembrava un’ombra, la nostra ombra.

    - Ti ricordi anche questa scala? - le domandai invitandoli a salire.

    - Come posso non ricordarla? - rispose.

    Mostrai loro l’appartamento e li feci accomodare in salotto. Aprii leggermente le imposte per fare un po’ di luce, ed offrii  loro un gelato. Eravamo sudati ed era quello che ci voleva, un buon gelato alla frutta. Ma quando mi accomodai con loro e i nostri occhi s’incrociarono, capii che  la visita della donna non era dovuta a motivi di cortesia.

    Solo a quel punto Maria Laura si rese conto che non ci aveva ancora presentati.

    - Che sciocca… non ti ho ancora presentato Giancarlo… è stato nominato esecutore testamentario di Umberto. Sarà lui ad esporti tutto quanto! - Maria Laura mi disse mentre osservavo l’uomo che man-giava il suo gelato con gusto, senza sporcarsi i baffi.

    Le cucchiaiate erano abbondanti e la sua bocca si spalancava per ospitare il gustoso boccone.

    Di lui mi piacevano le scarpe marroni, con intarsi e piccoli fori, che intravedevo sotto al tavolino di vetro che ci divideva.

    Lo fissavo immobile ed aspettavo con ansia di ascoltare la sua voce.

    Posò lo scodellino, che ormai conteneva solo tracce di gelato, e si passò sulla bocca il tovagliolo di carta. Poi appoggiò il tovagliolo e, come se fosse un po’ imbarazzato, incominciò a parlarmi.

    - Posso darti del tu?… Potresti essere mia figlia! - mi chiese per prima cosa.

    - Certamente! Nessun problema! - concessi ansiosa di sapere cosa mi avesse riservato Umberto.

    - Nel suo testamento… -

    - Da adepto, vero? - domandai.

    - Quello morale, se vogliamo… bene, Umberto, come forse già ti è stato spiegato, desidera che tu possa andare a pregare sui suoi resti direttamente nel Tempio Cenerino. Al Tempio, possono accedere solamente gli adepti, ma visto il tuo passato coinvolgimento con noi, i grandi Maestri stanno valutando la possibilità di concederti uno speciale permesso… nel rispetto delle disposizioni che Umberto ha lasciato nel testamento! -

    Le sue parole uscivano dalla bocca passando a fatica tra i denti. Pareva che parlare con me gli costasse molto.

    Lo guardai dritto negli occhi e gli feci un cenno con la mano.

    - È una cosa che va contro le vostre regole! Io non sono una vostra adepta e non mi sembra giusto obbligarvi ad accettare la mia presenza in un Tempio a voi caro. Penserà sua moglie a portare le mie preghiere ai suoi resti! - dissi sperando di sollevarlo da quell’antipatico incarico.

    L’uomo arricciò i muscoli del viso. La bocca e gli occhi si rimpic-ciolirono, come se stesse trattenendo un insulto.

    Giancarlo e Maria Laura si guardarono.

    La donna abbassò la testa. Intuii che doveva esserci dell’altro dietro alla loro visita, se si erano presi il disturbo di venirmi a parlare.

    - Il fatto è… che sua moglie non ha diritto di entrare nel Tempio Cenerino! Questo non è previsto e non è concesso a nessun familiare. Umberto poteva lasciare parte delle sue ceneri alla famiglia, ma non ha espresso la volontà di farlo, dando disposizioni che venissero conservate con gli altri fratelli defunti, intatte. - spiegò Giancarlo.

    - Umberto ha sempre rinfacciato alla moglie di averlo costretto a rivelarle il suo segreto. Quando lei glielo ha estorto lui le ha fatto un giuramento: sarebbe rimasto con lei fino al giorno della sua morte ma, una volta morto, sarebbe appartenuto per sempre solo all’ordine Templare, andando a riposare con i suoi fratelli! -

    Le parole di Maria Laura mi lasciarono attonita.

    Calò un silenzio tombale, per rimanere in tema. Coglievo un pizzico di bugia e un pizzico di follia contorta in quello che mi era stato appena detto. Avevo il sentore di un cane segugio e sospettavo che ci fosse altro dietro le loro parole. Ma non capivo cosa ci potesse essere e perché.

    - Ma io non sono obbligata ad accettare! Non voglio più avere a che fare con voi e mi pare di essere stata chiara con lui… inizio però a dubitare che Umberto lo avesse accettato, visto che ora, con il pretesto della sua morte, mi vuole ancora trascinare nel vostro mondo! - sbraitai agitandomi sulla poltrona. Percepivo il mio fondoschiena umido. Gocce di sudore mi scivolavano anche da sotto le ascelle, provocandomi un leggero solletico. Pareva che nel salotto il caminetto fosse acceso, dal caldo che provavo. Ma era solamente la mia agitazione a farmi sudare. Portai il busto in avanti. Anche la schiena grondava sudore e sentivo la maglietta incollata alla mia pelle.

    - Sei stata chiara! Comunicheremo ai Maestri il tuo rifiuto e alla moglie di Umberto la tua decisione. Questo l’amareggerà, perché sperava di potergli portare comunque qualche preghiera attraverso te- disse Giancarlo. Subito dopo si ammutolì.

    Maria Laura estrasse dalla sua borsetta una piccola scatola di metallo ed una busta. Si alzò lentamente e con cura si portò verso di me, consegnandomele entrambe.

    - Cosa sono? - domandai quasi seccata.

    - Questa busta apparteneva ad Umberto. Gli era stata consegnata dal nostro Maestro Supremo, scomparso solo qualche mese prima di lui. Nessuno di noi sa cosa vi è dentro. Umberto ha disposto nel suo testamento che, qualora gli fosse capitato qualcosa, questa busta passasse direttamente a te! - la donna mi confidò.

    Con questo ebbi la conferma definitiva che Umberto volesse coinvolgermi nuovamente nel suo mondo. Ma perché? Perché proprio io?

    I due non aggiunsero più nulla e capimmo che era giunto il momento di lasciarci. Li accompagnai giù di sotto e li salutai. Solo prima di andarsene Maria Laura mi suggerì di non aprire la scatola, se non dopo aver letto la lettera che l’accompagnava.

    Mi ritrovavo al punto di partenza. La sensazione che avevo era quella di essere fuggita, tenendomi per anni lontana da un qualche cosa. Quella stessa cosa che adesso mi si ripresentava davanti, come se la mia fuga si fosse svolta girando in tondo. Mi sentivo arrabbiata e tradita.

    Presi la scatola e la busta e mi recai nel rustico dal quale tutto era partito. Tenevo tra le mani il piccolo astuccio di metallo, indecisa sul da farsi. Sarebbe stato facile aprirlo, non vi erano serrature che lo bloccassero. Solo un piccolo gancetto, rimosso il quale bastava alzare il coperchio e guardarvi dentro. Facile no?

    Lo feci. Lo aprii per dispetto e per ripicca, prima di leggere la lettera. Lo feci con stizza verso Umberto, perché mi aveva legata a lui e a quelli come lui nel modo peggiore: come suo ultimo volere! Lo leggevo come un ricatto morale, un tentativo di forzare la mia volontà inducendo ancora una volta i miei sentimenti e la mia logica a lottare fra di loro.

    Sollevai leggermente il coperchio e sbirciai dentro la scatolina stretta e lunga. Non vi era nulla. Era vuota. Mi misi a ridere nell’aprirla del tutto, confermando ai miei occhi che non contenesse nemmeno un granello di polvere.

    - Oh, Umberto! Ma che caspita mi stai combinando? Anche da morto mi metti alla prova? - dissi ad alta voce.

    - Soddisfatto ora? Sei riuscito a farmi arrabbiare e adesso io mi sento un verme… non ho seguito le tue disposizioni, ma la mia rabbia! E così ho fatto la figura della stupida! - continuai a parlare come se lui fosse lì con me.

    Portai la scatola vicino al naso. Un dolce profumo m’invase le narici, scuotendo i miei sensi. Ma cosa poteva far profumare così tanto una scatola vuota? Mi chiesi cosa avrebbe potuto contenere un tempo: petali di fiori? Erbe essiccate? O un profumo liquido? La richiusi e la posai sul tavolo.

    Sedetti sullo sgabello girevole e presi la busta bianca. Incominciai a cullarmi, facendo girare lo sgabello un mezzo giro a destra ed un mezzo giro a sinistra, tenendo la busta tra le mani.

    L’annusai. Non sapeva di nulla, se non di carta. Sul retro, era sigillata con della cera lacca rossa che portava impresso un marchio: una specie di radice quadrata al contrario con un prolungamento orizzontale a sinistra che poi proseguiva verso il basso.

    L’aprii e rimasi senza respiro. Bloccai il mio movimento ritmato e fissai il foglio.

    Una serie di strani segni precedevano una precisa e attenta calligrafia. Non sapevo se fosse quella di Umberto, così a prima vista. Ma nel leggerne il contenuto, compresi che quella lettera era stata scritta di suo pugno.

    Perdonami! Perdona un uomo di sentimenti! Perdona un uomo di ragione! Perché è quest’uomo che ti ha spinta, ancora una volta, nella fossa dei leoni! Non ci saranno demoni, né angeli lungo questo tuo viaggio, ma solo il male fattosi carne… e TU!

    Delle commosse lacrime incominciarono a riempirmi gli occhi. Sapevo cosa intendesse con quel TU scritto in maiuscolo e staccato dal resto della lettera. Sapevo che quello era un modo camuffato agli altri, ma chiaro per me, per riferirsi al mio essere. Quell’essere indefinito quale ero io.

    Il testo che precede la mia lettera mi è stato tramandato direttamente dal mio Supremo Maestro. È a lui che ho chiesto di stravolgere ulteriormente le nostre regole per coinvolgerti ancora una volta, ed egli stesso mi ha concesso il benestare per far sì che ciò accada. Sei l’unica persona che ha ricevuto la benedizione degli Interni senza accedere all’educazione e al rito di iniziazione. Confido nel tuo buon senso e nel cuore che batte in te! Tra gli alberi andrai e tra le loro radici troverai… perché ogni viaggio comincia da vicino! Umberto

    Ancora una volta ero stata prescelta per una missione sconosciuta, ma questa volta la scelta era ricaduta su di me attraverso un uomo e non per volere del fato. Questo mi disorientava, seppur mi spaventava di meno.

    Rilessi la sua lettera e con un dito toccai l’inchiostro. Con le lacrime agli occhi fissavo il foglio con la curiosità di vedere se quella calligrafia cambiasse forma e significato. Invece nulla di tutto questo accadde. Mi asciugai gli occhi con il lembo della maglietta. Nel ritirare il foglio nella busta mi consolai col fatto che avrei potuto rifiutare tale incarico o meglio ancora metterlo a tacere. Nessuno poteva sapere cosa vi fosse scritto, visto che la busta mi era stata consegnata chiusa. Così ritirai il tutto in un cassetto del comò, nella mia camera.

    Già, la mia camera da letto! Quel letto che poco usavo se non per passarvi una o al massimo due ore alla settimana. Era un record per me riuscire a riposare ad occhi chiusi per una o due ore alla settimana, un vero record.

    L’insonnia per me non era una malattia, né tanto meno uno sconvolgimento della mia vita. Vi convivevo da molti anni e mi stupivo che ultimamente riuscivo ad addormentarmi qualche ora la settimana.

    Quella notte mi coricai fissando il cassetto del comò davanti a me. Quel cassetto che custodiva un mistero che non mi apparteneva e che forse avrei dovuto buttare o meglio ancora, bruciare.

    Mi appisolai. Il caldo scivolava sotto il lenzuolo come un serpente fatto di brace. Mi svegliai non appena sentii una zanzara ronzarmi vicino all’orecchio. Mi svegliai lasciando un sogno, uno dei primi che riuscissi a ricordare.

    Stavo camminando vicino ad un uomo robusto, simile ad Umberto. Era più anziano di me e, camminandomi affianco, mi osservava sorridendo. Il suo viso paffutello e i suoi occhi piccoli, incastonati in una carnagione chiara, parevano illuminati dal sole. Era vestito di scuro. Sembrava mi stesse conducendo in un luogo, ma non so bene dove. Lungo la via ci accompagnava un austero muro grigio, credo molto alto perché non vedevo la sua fine. Camminavamo una affianco all’altro, sereni, quasi felici ed io ad un tratto gli chiesi:

    «Allora, mi ha preparato il titolo e la traccia del tema?»

    Il suo sorriso si rimarcò e con la testa mi fece segno di sì.

    «lo so… lo so già… non so come, ma lo so già!» - gli risposi con il desiderio di dargli un bacio.

    Io desiderare di dare un bacio? Non sapevo nulla di sensazioni tali da portarmi il desiderio di baciare qualcuno. Era come se i miei sensi dormissero. Forse la mancanza di mestruazioni o l’incompleta formazione del mio sesso, mi portavano ad avere i sensi, gli appetiti sessuali, assopiti.

    Ma per me era normale, più che normale essere così asessuata.

    Il giorno dopo arrivò a casa mia il Cavaliere di mezzo.

    Lo vidi alquanto nervoso.

    - Questa sera partirai con me! C’è qualcuno che ha bisogno di parlarti! -

    - Questa sera? Non so se… - cercai di trovare una scusa.

    - È di vitale importanza… si potrebbe riaprire il varco… - mi disse afferrandomi per un braccio.

    - Ma che fai? - domandai.

    - Questa sera, dopo le venti! - mi precisò andandosene silenzioso.

    Non appena fui sola, tornai al piano di sopra. Le parole del Cavaliere di mezzo mi avevano spaventata. Ricordavo ancora cosa avevo passato e la sua frase si potrebbe riaprire il varco, mi fece subito pensare alla parete del mio rustico.

    Girovagai per la casa tutto il giorno, fino a che non arrivò sera. Non avevo nemmeno mangiato per l’ansia di dover, ancora una volta, intraprendere un viaggio nel mistero.

    Quando il Cavaliere di mezzo arrivò gli chiesi se il nostro viaggio mi avrebbe trattenuta fuori di casa molto.

    - No! Domani mattina sarai già al lavoro! - mi disse.

    Il viaggio fu silenzioso. Dopo qualche domanda a vuoto capii che non voleva parlarmi e così stetti in silenzio.

    Ma quel tacere mi opprimeva, facendo crescere in me un senso di ansia che mi soffocava.

    - Dove stiamo andando? Chi dovrò incontrare? - provai a chiedere.

    Il Cavaliere di mezzo tacque. Sapevo che proveniva da un’antica e ricca famiglia francese e che i suoi avi, compreso egli stesso, facevano parte di un gruppo di antichi Templari.

    In passato mi era stato spiegato che la congregazione di cui faceva parte si suddivideva in classi sociali.

    A difesa della comunità e a sorveglianza che le norme venissero seguite, vi erano i Cavalieri di Mezzo. Istruiti per combattere, come monaci armati, contro il male.

    Anche il Cavaliere di mezzo aveva delle regole ben precise da seguire, anche se, alcune delle regole originali, erano state modificate o sostituite con altre più adatte ai giorni nostri.

    Ad esempio, sapevo che non poteva mangiare da solo, che doveva tenere un comportamento serio e riservato e che, nel relazionarsi con gli altri, doveva seguire determinati modelli comportamentali.

    Diedi un’occhiata al sedile posteriore. Poi dissi:

    - Non vedo il tuo sacco… non porti più con te la spada e la tua veste? -

    Trasse un lungo respiro, ma non rispose.

    - Io conservo ancora la croce con l’acqua benedetta! Oh, no!

    Me la sono scordata a casa! - borbottai.

    - Non importa! Non ci saranno spiriti contro cui usarla… - esclamò.

    Finalmente riuscii a farlo parlare.

    - Ma allora mi stai ascoltando, vero? - domandai sorridendogli.

    - Un po’ mi sei mancato… sei ancora mio amico? - chiesi.

    - Io non ti sono amico e non lo sono mai stato, nemmeno in passato… io eseguo solo gli ordini e faccio in modo di fare del mio meglio per portare a termine il mio compito! - mi precisò severo.

    - E adesso quale sarà il tuo compito? -

    - Portarti a destinazione e poi nuovamente a casa! -

    - Ma no… intendo dire… più avanti… quale sarà il tuo compito nei miei confronti? - lo incalzai.

    - Non capisco cosa intendi dire! - disse a denti stretti.

    - Combattere e salvarmi dai malvagi? - continuai a pizzicarlo.

    - Ti ho detto che non ci saranno spiriti da combattere… e comunque io avrò solo l’amaro compito di dover sopportare le tue domande! - disse chiudendo seccamente la conversazione.

    - Ora sono io a non comprenderti! Comunque, sia come vuoi! - ribattei.

    Avrei voluto chiedergli chi fosse il Supremo Maestro. Ma nello stesso momento dovevo anche fingere di non aver letto il testamento.

    Dai cartelli stradali e da alcuni scorci compresi che ci stavamo recando in Valsesia.

    Percorrendo la strada che affiancava il fiume Sesia, in lontananza vidi le luci del Sacro Monte di Varallo, che anche nel buio della notte dominava la città.

    Sembrava amorevolmente posato nel paesaggio, con la stessa cura con la quale si allestisce un presepe adorno di luci.

    Superammo il cimitero della città, anch’esso colmo di piccole luci. Poco dopo avevano realizzato una nuova rotonda stradale. Non me la ricordavo, non c’era l’ultima volta che sono stata qui. Proseguendo ancora vidi le luci del vecchio ponte. Un ponte bianco, dedicato al Generale Antonini, che pare il prolungamento nel vuoto delle vecchie viuzze del centro e che unisce le due sponde della città, divisa dalle acque del torrente Mastallone.

    A Varallo città, però, non ci fermammo. Il Cavaliere di mezzo proseguì il nostro viaggio, lungo un tortuoso percorso di montagna, per circa altri venti minuti, fino ad arrivare in un paesino chiamato Fobello.

    Qui parcheggiò l’auto e scendemmo.

    Era buio ormai

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