Il salotto del camposanto
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Tra i loculi di quel cimitero si aggirano anime in pena e anime ribelli, la pace non è di nessun mondo, né di qua né di là. Ma tra i due mondi c’è qualcosa d’impalpabile, un trait d’union che in qualche modo cerca di porre rimedio ai torti ricevuti dalla vita. Un cerchio che si chiude.
Un romanzo ironico ma delicato, crudo ma pervaso di speranza.
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Book preview
Il salotto del camposanto - Loredana Costantini
Tavola dei Contenuti (TOC)
Copertina
Prefazione
Capitolo I
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
LA CENA A CASA DI IRMA.
Capitolo II
IL MONDO DEI VIVI.
Capitolo III
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
Capitolo IV
Capitolo V
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
Capitolo VI
Capitolo VII
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
Capitolo VIII
Capitolo IX
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
Capitolo X
Capitolo XI
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
Capitolo XII
Capitolo XIII
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
Capitolo XIV
Capitolo XV
Un romanzo di
Loredana Costantini
Il salotto del camposanto
ISBN versione digitale
978-88-6660-223-1
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
Autore: Loredana Costantini
© 2017 CIESSE Edizioni
www.ciessedizioni.it
info@ciessedizioni.it - ciessedizioni@pec.it
I Edizione stampata nel mese di luglio 2017
Impostazione grafica e progetto copertina: © 2017 CIESSE Edizioni
Immagine di copertina: © Max Rambaldi
Collana: Green
Editing a cura di: Pia Barletta
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale, pertanto nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza che l'Editore abbia prestato preventivamente il consenso.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.
A tutti, nessuno escluso.
Poco fa, mentre attraversavo il viale, in gran fretta, e saltellavo tra il fango attraverso quel mobile caos dove la morte arriva al galoppo contemporaneamente da tutte le parti, per un brusco movimento la mia aureola è scivolata dalla testa giù nella melma dell’asfalto. Non ho avuto il coraggio di raccoglierla. Mi è parso meno spiacevole perder le insegne che farmi rompere le ossa. E poi, mi sono detto, non tutto il male vien per nuocere. Ora posso passeggiare in incognito, compiere azioni basse, darmi alla crapula, come i semplici mortali. Ed eccomi qui, del tutto simile a voi, come vedete!
Baudelaire
Prefazione
Chi di noi non si è domandato, almeno una volta nella vita, che cosa troverà dopo aver varcato l’invisibile confine che separa il mondo dei vivi da quello dei morti?
Morti, be’, su questo ci sarebbe senz’altro da discutere!
Tra le più svariate e suggestive ipotesi che l’Uomo nel corso del tempo ha elaborato trova un posto di tutto rispetto la tesi proposta ne’ Il salotto del camposanto
di Loredana Costantini che, grazie a una narrazione briosa, ci conduce in una dimensione dove tutto è ancorato alla normalità, benché luogo e situazioni smentiscano, in verità, l’apparenza.
Senza nulla anticipare della narrazione che scorre leggera e frizzante come un vino novello, immaginate questo luogo, il salotto dei morti per l’appunto, che in sé non ha nulla di alieno o di inquietante. Qui difatti i cari defunti mangiano, alzano il gomito, spettegolano, si innervosiscono, sognano e, perché no, si lasciano sedurre dalle tentazioni della carne.
Ma quale carne?, obietterete, qui stiamo parlando di morti! Ed è proprio a questo punto che l’Autrice, partendo da quella normalità
ultraterrena a cui ci ha già abituati, con indubbia perizia ci conduce a scoprire quanto sia facile – sì, perfino fra i cari estinti – cadere in grossi errori di valutazione.
Attenti, perciò, a non farvi ingannare anche voi dalla rude scorza di Irma, assassinata da un marito violento, o dalla rabbia esplosiva di Adna investita da un’auto per salvare la sua bambina, o da un vicino di loculo che ha un leggero difetto di pronuncia. Tutto è illusione! Quello che conta invece è cogliere ciò che si nasconde dentro ciascuno, poco importa se questo qualcuno sia vivo
oppure morto
.
E poi ci sono quelli che rimangono nell’aldiqua, molti vivono con il pensiero costante della morte e si pongono domande, quando avverrà, cosa ci sarà oltre la Vita? A differenza di chi invece ha già superato quel confine e non ha più questo assillo. Le domande, già, quelle ce le poniamo tutti, a volte ci sentiamo perfino colpevoli di sopravvivere a un nostro caro, ma abbiamo mai pensato alla disperazione di chi se ne va
?, all’angoscia di dover lasciare una parte di sé sapendo di non poterla rivedere né sapere come sta?
Eppure un miracolo può sempre accadere, una chance, per chi continua a sentirsi vivo, con il cuore che ancora pulsa, bisogna soltanto crederci.
Una storia narrata con brio, lo ribadisco, e tuttavia soffusa di una sottile malinconia che ci induce a riflettere su noi stessi, sul nostro passato e su quello che, con grande ottimismo, consideriamo il nostro futuro.
Conoscenza, accettazione e superamento dei propri egoismi personali sono gli elementi su cui si fonda non soltanto questo originale e piacevolissimo romanzo ma tutta la nostra esistenza. Ovviamente, non ha alcuna importanza se, al momento, siamo abitanti dell’aldiqua o aldilà, in fin dei conti – datemene atto! – è solo una questione di cambio di prospettiva.
Pia Barletta
Capitolo I
IL SALOTTO DEL CAMPOSANTO
«Adna! Adna!» gridò Irma. «Adna, sei sveglia?»
«Mm… che cosa c’è? Stavo dormendo» brontolò una voce roca.
«Svegliati!»
«Dai, che vuoi, lasciami in pace. Sto fumando.»
«Fumi e dormi nello stesso momento?»
«Fumo e dormo, sì. Non rompere!» tuonò Adna.
«Accidenti. Vieni subito qui!» intimò con più livore Irma.
Tutta scapigliata, Adna spalancò la porta di casa dell’amica. «Cristosanto, eccomi eccomi. Non si può stare in pace nemmeno qui. Insomma, sono le due del mattino!»
«Hai ragione, ma è una cosa importante. Siediti.» Le ordinò Irma poggiandosi una mano sul cuore, come a calmarlo.
Adna sbuffò e sprofondò sulla poltrona beige posta al lato del salotto. Accese una sigaretta, gettò il pacchetto sul tavolino basso, di fronte, e con il mignolo raccolse la spallina della sottoveste viola, scivolata sul braccio. «Forza, spara! Sto passando delle notti infernali ultimamente, su parla!» la incitò con la mano.
Irma la fece alzare e la condusse verso la finestra aperta. «Guarda» le disse. «La vedi quella? È una cometa rarissima. La si può avvistare una sola volta nella vita, una sola! È un evento eccezionale e noi siamo tra i pochi fortunati.» Poi sospirò beandosi della straordinaria visione.
Adna si scostò, rimpolpò i capelli, gettò a terra la sigaretta e, con la punta dell’infradito, la schiacciò più volte, tanto che si bruciacchiò l’alluce.
«Quante volte lo devo dire di non gettare i mozziconi per terra? Santiddio! È inutile, è come parlare al muro. E poi…» le guardò i piedi scuotendo il capo. «Quando te le compri un paio di scarpe? Sembri una zingarella morta di freddo, ma tu non sei morta di freddo, accidenti!»
Adna prese il pacchetto di sigarette, ne tirò fuori un’altra e l’accese con un’infantile sfida ficcandole lo sguardo negli occhi. Aspirò a fondo strizzando nervosamente il filtro, con le labbra, e ribattè infuriata. «E tu mi hai tirata giù dal letto per farmi vedere una stupida stella? Devi essere impazzita, non sei normale, tu non stai bene. Sai cosa ti dico? Credo che tu abbia bisogno di uno sfogo, sai cosa intendo, vero? Una sana trombata. Magari con il tuo amico Bote che blatera blatera di cose acculturate! Lui e tutta la sua cultura bla bla bla.»
«Smettila! Sei insopportabile.» Sbottò Irma richiudendo la finestra sul cielo notturno.
«La verità è che ti annoi, non hai niente a cui pensare e mi disturbi per una stella! Accidenti, un altro schifo di nottata…»
Oltre alla voce mascolina e agli occhi color dell’ebano, Adna aveva anche un carattere aspro come un limone. Ma le sue gambe affusolate avrebbero fatto ritornare in sentimenti perfino un moribondo.
Un giorno un’auto l’aveva travolta e uccisa.
«Non ti ho svegliata solo per questo e inoltre sei anche una sciocca!» protestò Irma. «Bote è solo un amico, un caro amico, e questo argomento non voglio più toccarlo. Dovresti averlo anche tu un amico come lui. Tutto questo tormento che hai dentro, questa ansia, ti rende antipatica e irritante. E comunque non è una stella qualunque, è speciale!»
«Speciale… speciale. Sei esagerata. È una stella, santiddio. Che idiozie!» Adna sospirò e si gettò ancora sulla poltrona. «Be’, visto che ormai mi hai svegliata, preparami un caffè, ne ho proprio bisogno.» Si stropicciò gli occhi nel tentativo di eliminare quel poco di cispo che si era formato.
«Sì, proprio una stella speciale. Si è posata sulla casa di Alberto e la sua luce mi ha quasi accecata da quanto splendeva» continuò Irma.
«E dimmi, per caso hai visto anche i Re Magi? E poi, scusa, ma chi è Alberto?» sogghignò Adna.
«Come chi è! Quel ragazzo morto accoltellato, vicino al fiume. È arrivato lo scorso anno, più o meno di questi tempi. Strano che non lo ricordi» disse sorniona Irma.
E, alla parola morto, Adna si assentò con la mente ricordando quel giorno.
Era appena uscita dal pronto soccorso con la sua piccola tra le braccia. Margherita aveva compiuto da poco cinque mesi e la febbre che l’aveva colpita era stata molto alta. Troppo per un esserino così piccolo. Aveva quindi deciso di portarla al pronto soccorso. Il medico di guardia, dopo aver visitato e dato le prime cure alla piccola, le aveva rimandate a casa, raccomandando alla madre di ritornare in caso di bisogno. Adna si era diretta verso l’uscita e, con passo spedito, si era avviata in strada. Talmente spedita che non si era accorta dell’utilitaria che stava giungendo a tutta velocità.
La bambina sbalzò su un cespuglio, ai margini della via. Adna, riversa sull’asfalto, cercò di rialzarsi. Percorse qualche metro verso la piccola. Pochi goffi passi: le gambe non ressero e ricadde. Un rigagnolo di sangue prese a scorrerle lentamente dalle labbra. Si appoggiò sui gomiti e strisciò cercando di raggiungere la bimba, mentre il sangue lasciava sull’asfalto una linea scura, ma le forze l’abbandonarono costringendola a terra. Non le usciva nemmeno un filo di voce. I lamenti della bimba erano divenuti sempre più lontani. Adna girò il capo, in cerca di uno spiraglio per scorgerla, ma la folla le si stringeva intorno impedendo la visuale. Poi la intravide tra le braccia di qualcuno che correva verso un’ambulanza. Piangeva di un pianto sincero. Era viva! Sapeva, in cuor suo, che ormai non l’avrebbe più rivista e in quel preciso istante una farfalla dalla coda di rondine, quelle che sfidano il diluvio di luce sopra il deserto, si posò sulla sua mano. Adna la guardò e sorrise. La coscienza di morire aveva preso il sopravvento con la calma che precede la rassegnazione di chi si lascia andare all’ignoto. All’improvviso si ritrovò a nuotare nell’aria, a vagheggiare tra alberi rigogliosi di frutti mai visti. E mentre nuotava nel cielo, udì tutti i rumori del mondo. Tutti insieme, uno dopo l’altro: il respiro delle onde, gli sbuffi salini, la marea lunare salire, vide il pescatore senza volto, l’esca all’amo. E ascoltò la risacca e il richiamo del vento di terra che al mattino soffia frizzante. E quei gorgoglii, il guizzare repentino, le alghe diafane. Nuotava sempre più in alto. E più non riluceva.
Irma la scosse. «Ehi, che diamine! Appena si parla di morte parti per la tangente.»
«Già» ammise pensierosa accarezzandosi la spalla e chinando il capo. «Il fatto è che mi sento viva, capisci? Come se non fosse mai successo nulla. Mi sento di esistere! Sento dentro di me il sangue che scorre e il mio cuore che pulsa! Sento tutto! Se devo dire la verità non mi sono mai sentita così viva. Sarà anche grazie ai miei ricordi. Ma tu che ne sai» disse saputa, «tu non ne hai di