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Musiche parallele
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Musiche parallele

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Sul finire degli anni Cinquanta esplode in Italia il fenomeno Mina; fenomeno non solo in quanto artista dotata di straordinario talento, ma evento rivoluzionario sul quale si concentra l’attenzione ossessiva dei media, motivo per cui la cantante deciderà, negli anni, di abbandonare gli schermi televisivi. In queste pagine si ripercorre la gloriosa carriera della Voce per eccellenza, sia attraverso i ricordi che l’autore conserva degli esordi e del successo poi conclamato, mediante la narrazione esegetica di alcuni suoi album, sia attraverso variopinti racconti di fantasia liberamente ispirati dai titoli di più o meno celebri canzoni. È un omaggio appassionato e completo che ci consente di entrare nella produzione musicale di un’artista amatissima, di godere delle tante sfaccettature di un’anima calda e sensibile, di avvicinarci a un mito per stupirci di quanto sia poi simile a ognuno di noi nelle sue fragilità e nella sua forza. 
Musiche parallele è un incontro di musica e parole, ove riecheggiano le note di pezzi indimenticabili che l’autore sapientemente combina con la nostalgia del tempo passato e l’eccitazione di chi guarda avanti. Perché Mina continua a stupire e chissà cos’altro ancora ha in serbo per noi.
LanguageItaliano
Release dateJun 27, 2017
ISBN9788856783704
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    Musiche parallele - Mario Basile

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8370-4

    I edizione elettronica giugno 2017

    Alla mia famiglia

    NOTA DELL’AUTORE

    Senza esagerare si può affermare che Mina sta alla musica leggera come Maria Callas sta alla musica lirica.

    Mina che col suo modo di concepire la voce ha cambiato lo stesso concetto di comunicare attraverso la canzone.

    Mina non è stata e non è solo una grandissima cantante, ma in Italia è stata una straordinaria rappresentante di un grande movimento di rifondazione dei gusti musicali e culturali. Su di lei sono stati scritti molti libri tra i quali uno, molto importante, di Luigi Pestalozza, famoso storico e critico della musica e autore di saggi sulla musica dell’Ottocento e del Novecento, dal titolo: Mina, una forza incantatrice.

    Questo mio volume non ha certamente queste pretese, ma vuole essere solo un omaggio, diverso e, sotto certi aspetti, originale, alla sua arte e alle sue canzoni che hanno fatto da colonna sonora alla mia vita.

    Questi quaranta scritti si possono dividere in due gruppi: metà sono racconti che prendono spunto da titoli di canzoni di Mina, traendo spesso ispirazione dal contenuto di esse, l’altra metà è invece costituita da narrazioni esegetiche di alcuni suoi album, dove, nella maggior parte, sono contenuti spunti miei autobiografici.

    Essi sono stati scritti a partire dal 2001, quando su internet apparve il sito di Mina, tramite il quale noi fans scrivevamo i nostri commenti, e quelli contenuti in questo volume sono soltanto una parte di quello che io ho scritto.

    Mario Basile

    AHI, MI’ AMOR

    L’antica domanda aveva finalmente avuto la sua tragica risposta.

    Vedeva tutto questo adesso e lo vedeva per intero, con un dopo e un prima, anche se il dopo che la riguardava per intero si era abituata da tempo a sentirlo meno doloroso.

    Lei non poteva più parlare di lui, tutto si era livellato adagio.

    Il tempo aveva diviso, il tempo stava per unire.

    Distanze fisiche, distanze di cuore. Ferite aperte, cicatrici rimarginate.

    I ricordi ritornavano a cercarla come una vertigine, ma poi tornavano a sfinirla, cattivi e testardi. L’ultima volta che lo aveva visto era stato quando era venuto a trovarla in clinica. Di colpo se l’era trovato vicino. Le era stato accanto. La notte ed il giorno. Un lungo cammino per guarire. Le aveva fatto ritrovare la voglia di vivere. Parlavano a lungo. Lei in quel periodo stava leggendo un libro che le piaceva molto. Glielo aveva regalato lui. Era poi guarita, o almeno, così le era stato diagnosticato. Quando poi aveva ripreso a sorridere, non aveva avuto neanche il tempo di sollevare il viso che si era ritrovata sola ancora una volta. Lui, come un fantasma, era sparito di nuovo. Lo aveva amato per gli attimi di estrema felicità che le aveva donato, controbilanciati da incredibili silenzi, vuoti angoscianti, lunghe assenze e tradimenti continui. Il suo cuore insinuava che non fosse stato amore. Era una domanda antica. Tutta la vita, forse, non sarebbe bastata per capire se l’avesse amata oppure no.

    Ora stava ritornando, senza che lei lo percepisse coscientemente, quello spazio dove si erano accumulati gli istanti dimenticati o sopiti nel suo cuore e nella sua mente.

    Era egocentrico come tutti gli artisti. Lo era davvero e tanto. Una forza creatrice era dentro di lui e, come un demone, se ne impossessava. Aveva bisogno di sentirsi ed essere libero, di amare senza condizionamenti. Era inafferrabile. Non si poteva tenere legato. Lei non l’aveva, da quel momento, più rivisto. Lo sapeva artista affermato. I suoi quadri facevano bella mostra nelle gallerie di tutto il mondo e i soggetti raffigurati erano sempre gli stessi. Figure in movimento cangianti, mutevoli, inafferrabili. I volti erano sfumati, quasi che lui avesse voluto fotografare in un attimo le varie molteplicità di un essere umano, non solo un attimo della vita, ma anche un frammento di quella che poteva essere un’altra possibilità di esistenza. Anche la vita di lei era stata continuamente rivoltata, ma con la maturità si era ricomposta. I fremiti della passione erano confluiti e riversati nella vastità di un mare calmo, anche se ogni tanto sfiorato da fremiti di brezze passeggere. Aveva seguito da lontano la sua carriera artistica. Leggeva i giornali. Sapeva dei suoi amori mutevoli. L’elenco delle sue donne, vere o presunte tali, aveva fatto nutrire schiere di avidi giornalisti. L’aveva, con fatica, staccato dalla sua anima. Là dove il tempo era trascorso e fluito, sembrava non rimanere niente di colui che aveva frequentato, conosciuto e amato. Ora però non poteva togliersi dalla mente quella strana figura umana con gli occhi stralunati che compariva su tutti i giornali. L’avevano trovato riverso sul pavimento, nella sua casa piena di quadri e di oggetti decorativi. Stava lavorando a quel quadro. Ritraeva una donna dagli occhi disperati, come quelli di una donna che teme di essere presto abbandonata. Accanto a lui c’erano un vecchio libro e una pistola. Stavano ancora indagando. Gli oggetti sono depositari del tempo. Per lungo tempo restano silenziosi, non raccontano nulla, ma aspettano di rivelare il loro segreto e quando meno ce lo aspettiamo lo urlano. Si era o era stato ucciso?

    Adesso scopriva la dimensione lacerante dei ricordi, quando in un baleno si erano disgelati nella loro orrida e angosciante interezza. E l’istinto e il cuore, riaperto nelle sue antiche ferite, le suggerivano la prima ipotesi. Ebbe come un barlume. Per un istante percepì i suoi pensieri, ormai divenuti morti fantasmi, gli ultimi pensieri di lui, quelli che nessun altro avrebbe conosciuto. Era stato tragico per lui scoprire all’improvviso la dimensione di ciò che forse da tempo stava intuendo man mano che la vita trascorreva. Si erano ricomposti in un istante i frammenti di tutto ciò che era successo e si erano svelati angoli poco illuminati dei suoi ricordi che una luce accecante aveva squarciato tutto ad un tratto. Le parole dette alla leggera, depositate, accumulate e dimenticate erano riaffiorate all’improvviso e pesavano tanto che ogni sforzo per sopportarle risultava vano.

    Il tempo per un istante si era fermato. Ahi, mi’ amor…

    L’antica domanda aveva finalmente avuto la sua tragica risposta.

    (2002)

    IL CANTO DELLA MEMORIA

    Sono troppe le canzoni del mio juke–box personale. Sono centinaia, forse migliaia. Hanno dimora in una parte apparentemente nascosta del mio cervello, sembrano consumate dalla polvere. E invece sono vive, forti. Basta un niente ed eccole che cominciano a risuonare nella mia mente. Io lavoro, parlo, penso ad altro ed ecco che all’improvviso, senza che io me l’aspetti, esse balzano fuori e mi fanno crollare addosso una montagna di malinconia temperata però da una dolcezza incantata. Certe volte mi chiedo quale sia stata la prima canzone, sentita da piccolissimo, che sia rimasta impressa nella mia memoria cosciente. Quando avevo due anni, nell’aria volavano le note di Vola colomba e tutti noi bambini cantavamo la filastrocca Papaveri e papere storpiandone ingenuamente le parole. Successivamente ricordo la tromba di Eddie Calvert che, con la sua Ciliegi rosa, spruzzava di gioia il mattino della mia vita. Per Carnevale nel mio paesello alle falde dell’Etna si stava sempre in piazza a scherzare, a lanciarsi coriandoli, mentre quelli più grandi ballavano allegramente e con molta semplicità si divertivano. Che bei tempi! Che belle canzoni uscivano dall’altoparlante gracchiante collegato in modo rudimentale a uno dei primi giradischi che non aveva bisogno del cambio della puntina ad ogni ascolto, perché era dotato di un nuovo pick-up che solcava vibrante i dischi dal formato nuovissimo e sotto il quale ogni tanto, felicissimo, piazzavo anch’io un mitico ‘45 giri’. Nel febbraio del 1958 le note di Volare ci riscaldavano del freddo pungente che l’aria dell’Etna propagava attorno a noi facendoci provare un Brivido blu. Ricordo che mio papà, di solito così refrattario a esternare la sua contentezza, non faceva che riprenderne sempre il ritornello. A me piacevano tanto anche le nuove canzoni che ascoltavo alla radio oppure quelle che suonavano nel giradischi di mia nonna che era incorporato nella radio a valvole di allora. Ero molto piccolo, ma ricordo ancora bene Mario Riva che cantava Domenica è sempre domenica nella sua storica la trasmissione Il musichiere, nella quale Mina fece il suo debutto televisivo. Mio zio comprava sempre la rivista che aveva lo stesso titolo della trasmissione. Ogni settimana vi era allegato un disco di plastica. Il primo, mi ricordo, conteneva la canzone Con tutto il cuore cantata da Anita Traversi, già lanciata dell’esordiente Betty Curtis. Anche Mina allora era agli esordi, ma il suo debutto fu esplosivo come il suo nome. Sui dischi di plastica della stessa rivista apparve anche qualche sua canzone. Lei allora , con lo pseudonimo di Baby Gate, cantava anche delle cover americane. Sua fu la versione italiana di Personalità, portata già al successo in Italia dalla grande Caterina Valente, che apparve in uno dei dischi flex allegati alla rivista. Si notava chiaramente che Mina adorava quei successi che arrivavano da oltreoceano e anche noi ragazzi nelle ampie aule della mia scuola elementare, riscaldata solo dalla nostra gioia, non facevamo che canticchiare i nuovi successi di allora, mentre, distesi sui banchi di legno, i nostri quaderni neri dal bordo rosso aspettavano, spesso invano, di essere solcati dalle punte delle nostre prime penne a biro. Tanti anni dopo, quando scoprii lo stupendo disco di Mina dal titolo Baby Gate, arrangiato in maniera stupefacentemente filologica da Pino Presti, con sonorità timbriche che sembravano autenticamente d’epoca e che, a volte, parevano quasi riprendere anche certe ingenuità degli arrangiamenti di quegli anni, sono riaffiorati all’improvviso tutti i miei ricordi d’infanzia. Miracolo di una atmosfera di fine anni cinquanta ricreata magicamente. I brani erano stati infatti rivisitati da Mina con la massima cura, in modo estremamente rispettoso dello spirito dell’epoca ed in maniera non modernizzata e assolutamente non caricaturale. Come non ricordare quei giorni… mi pare di rivederli ancora, accanto a me, tutti i miei piccoli compagni entusiasti alle nuove canzoni, che fiancheggiavano i successi all’italiana di Claudio Villa & C. E mia mamma, per me ancora giovane, vestita con una camicetta bianca e una di quelle gonne un po’ lunghe, che ci osservava vigilando su di noi come peraltro facevano anche tutte le mamme dei miei compagnetti. Come non ricordare la letterina spedita a Mina in cui le chiedevo, ingenuamente, di mandarmi un cenno di saluto in una puntata di Canzonissima 1960, nella quale lei presentava Tintarella di luna. Come non ricordare con tenerezza la mia delusione di bambino quando lei non lo fece. Come non ricordare la mia piccola felicità quando invece mi arrivò una foto con su scritto ‘Al mio piccolo amico Mario, Mina’. Foto che, purtroppo, non conservai. Ricordo ancora, con tenero affetto, le serate ad ascoltare la radio, le mattinate passate a giocare per le strade, allora libere dal traffico, mostrando orgoglioso i regali che credevamo ci fossero stati portati in dono dai cari defunti, o i pomeriggi trascorsi a leggere il Corriere dei Piccoli o i più trasgressivi Intrepido e Il Monello oppure ad immaginare fantascientifiche avventure in compagnia dei vari Nembo Kid o a divorare Sorrisi e Canzoni, alla ricerca di preziose informazioni sul mondo della canzone, oppure a sbirciare i fotoromanzi per ‘adulti‘ di Grand Hôtel. Ricordo ancora la fresca primavera che tinteggiava di giallo la mimosa della casa di mia nonna, la cui fioritura già preannunciava le altre pennellate di colore sui fiorellini di campo, che avrebbero poi dipinto la vasta campagna, che allora circondava le case del paese, sui davanzali delle quali il profumo delle pastellate violaciocche annunciava lo stupore della Santa Pasqua, mentre il coccodè delle galline del pollaio dell’orto ci faceva pregustare il dolce sapore delle ciambelline con le uova, i giochi tra i fiori variopinti del giardinetto di casa con il mio fratellino, e poi il calore dell’estate, attutito dall’invitante freschezza delle verdi angurie poggiate sui blocchi di ghiaccio trasparente e il sapore struggente dei coni gelato dell’unico bar del paese, che ci regalavano dieci minuti di felicità al modico prezzo di 10 lire, mentre i primi juke-box diffondevano l’altrettanto struggente canzone To be loved di Jackie Wilson e, in certi pomeriggi sonnolenti, l’emozionante compagnia dalle avventure di Rin Tin Tin e del piccolo sergente Rusty, che vedevamo a casa di quei pochi fortunati che possedevano già il televisore, e, la domenica mattina, l’inebriante fragranza del mare di Acitrezza, che penetrava le narici, anche se si era lontani centinaia di metri dai faraglioni, mentre la sera, dopo la Messa, l’intenso profumo del gelsomino arabo si sprigionava nell’arena estiva dove, sull’enorme parete bianca, nel notturno stellato, una lanterna magica proiettava dei sogni meravigliosi, e, in autunno, l’aspro odore che si sprigionava nei palmenti quando l’uva veniva faticosamente pigiata dagli uomini e qualche volta, per gioco, anche da noi ragazzini, oppure, nel gelido inverno, il suono delle ciaramelle che scaldavano le giornate, che precedevano il Natale, che noi passavamo a giocare con le noccioline o a raccogliere, lungo i rugiadosi viottoli del paese, non ancora sepolti dal grigio cemento, il verde fragrante muschio speziato, per adornare il presepe riscaldato poi dall’intenso e familiare profumo delle bucce di arancia e di mandarino, sparse sul braciere ancora caldo, che incensava sempre le nostre bianche e sussurrate preghiere. E le canzoni di allora sono ancora qui, nella mia mente. Mina dovette, credo, metterci l’anima quando incise il disco dei suoi ricordi. Chissà quante volte avrà pensato alla sua adolescenza e a sua nonna Meme. Le sono infinitamente grato perché quelle che sono state le sue care canzoni della sua gioventù sono state anche le care canzoni della mia infanzia, come la dolcissima Mr. Blue dei Fleetwoods o la calda e struggente Don’ t dell’amato Elvis Presley oppure il grossissimo hit di Conway Twitty It’s only make believe. Ricordo ancora il morbido e intenso sapore dei panini spalmati di strutto o quello delle acciughe salate oppure il lusso di un panino imbottito con una mortadella profumata e accompagnato da una spumeggiante e fresca gassosa con il tappo di vetro. Sapore raggomitolato nella memoria che non scambierei con quello del più prelibato dei prosciutti crudi sorseggiato con un raffinato vino d.o.c. Assaporavo queste delizie mentre la radio trasmetteva l’elegantissima Amorevole cantata dal nostro bravissimo Nicola Arigliano e riproposta ora in questo disco da Mina, con l’accompagnamento al pianoforte del grande Renato Sellani, in modo essenziale e assolutamente definitivo.

    Mi ritorna ancora in mente la struggente ebbrezza provata a volare sull’enorme altalena che si trovava nel cortile della casa di una famiglia con tanti figli, tutti miei compagni di gioco e d’avventura, quando ascoltavamo le note accattivanti di Bird dog. Ora che ho ricomprato in versione rimasterizzata il cd, gusto ancora meglio quel bellissimo evergreen che è I only have eyes for you, ennesimo omaggio di Mina al suo caro Frank Sinatra, di cui attendo con ansia l’album che Mina gli ha dedicato, o l’altrettanto delicata e splendida That’s when your heartaches begins di Elvis Presley, altro grande amore di Mina, simile nella struttura a Are you lonesome tonight?, ma forse ancora più bella (a quando un intero cd dedicato a Elvis Presley?) oppure la preziosa I’m in the mood for love, alla quale Mina diede poi uno splendido seguito inserendo la strepitosa Moody’s mood nell’album Ridi pagliaccio o la versione piena di soffice ironia di Flamingo, che, con l’apporto di un coretto, stravolta strepitoso, riesce a rievocare, con un pizzico di rimpianto e una velata nostalgia, quegli anni favolosi, ma soprattutto adesso mi assale un fresco stupore quando ascolto, in versione digitale, l’intenso, dolcissimo e intimo brano Non so del grande e sfortunato Umberto Bindi, che chiude l’intero album, che, col magico accompagnamento al pianoforte di Oscar Rocchi e al basso di Pino Presti spruzzato dalle spazzole di Andy Surdi, crea un’atmosfera estremamente rarefatta, che annulla, con una morbida, ma vibrante poesia, ogni distanza tra il Cielo e la Terra. La realtà terrena viene così trasportata su, su, verso ed oltre le nuvole, della cui meravigliosa evanescenza la musica e le parole finiscono per assumerne le sembianze. È un’atmosfera magica, quasi da fiaba, molto particolare per una canzone d’amore. E mi fermo qui. Penso che questi cari ricordi, che non potranno mai essere cancellati né dal tempo, né dal dolore, né dalla morte, da soli, possano bastare a darmi calore e conforto nei momenti più

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