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Trackman
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Trackman

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About this ebook

Davie Watts vive a Edinburgo, lavora in un negozio di musica ed è un ragazzo qualunque. Da diverso tempo è perseguitato dal tragico ricordo della morte del fratello e da un insopportabile senso di colpa, tuttavia, il misterioso incontro con un senzatetto, lo farà entrare in possesso di un magico lettore Mp3. Da quel momento rifuggirà la sua banale esistenza per diventare Trackman, un supereroe un po’ particolare e originale, che aiuta le persone attraverso la musica. Può una semplice canzone cambiare una vita? Può far rivivere persone, momenti e ricordi? Ma soprattutto, riuscirà Trackman, guidato dalle note del lettore Mp3, a salvare se stesso?
LanguageItaliano
PublisherCondaghes
Release dateJun 10, 2017
ISBN9788873569152
Trackman
Author

Catriona Child

Catriona Child was born in 1980 in Dundee. Hailed as 'one of the brightest prospects among a thriving breed of fresh Scottish writing talent', she has a degree in English from the University of Aberdeen and an MA with Distinction in Creative Writing from Lancaster University. Her debut novel, Trackman, was published in 2012 and was described by The Herald as 'having all the makings of a cult hit'. Her second novel Swim Until You Can't See Land, was published in 2014. She has been published in The Sunday Herald, the 404 Ink Earth literary magazine, Northwords Now and in the Scottish Book Trust Family Legends anthology. She lives just outside Edinburgh with her husband Allan and their two children, Corrie and Alasdair.

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    Book preview

    Trackman - Catriona Child

    Catriona Child

    Trackman

    Romanzo

    traduzione di Alessandra Contu

    ISBN 978-88-7356-915-2

    Condaghes

    Indice

    Nota della traduttrice

    Trackman

    1. Mad about the boy

    2. I want you to want me

    3. Welcome to paradise

    4. Why does it always rain on me?

    5. Susan’s House

    6. Stop whispering

    7. Crush with eyeliner

    8. An End Has a Start

    9. Song 2

    10. Three is a Magic Number

    11. I’m a Believer

    12. Boys don’t cry

    13. Goldfinger

    14. Mulder and Scully

    15. Last Night a Dj Saved My Life

    16. At the Zoo

    17. American English

    18. Downer

    19. Bizarre Love Triangle

    20. 20

    21. Smokers Outside the Hospital Doors

    22. End of the Line

    23. Long Time Dead

    24. The End

    L'Autrice e la Traduttrice

    La collana Narrativa tascabile

    Colophon

    per Allan, a te che ci hai creduto

    Nota della traduttrice

    La caratteristica principale di questo inimitabile libro è al tempo stesso la più interessante e la più complicata dal punto di vista traduttivo. Catriona Child, infatti, fa un uso magistrale della sua conoscenza in campo musicale per raccontare una storia in maniera originale e atipica: si serve di diversi titoli di canzoni per ritmare e accompagnare la lettura. Poiché la mia intenzione, congiunta a quella dell’autrice, è quella di non privare il lettore italiano dei riferimenti musicali e della melodia che da essi ne scaturisce, abbiamo deciso di inserire delle note a piè di pagina per ogni brano. A ogni titolo di canzone, necessario per la comprensione del testo, corrisponde una nota che riporta la corrispettiva traduzione in italiano, l’artista, l’album di provenienza e la data di pubblicazione. Nella speranza che i lettori vengano coinvolti in un’esperienza totalizzante e irripetibile non mi resta che augurare loro una buona lettura... e un buon ascolto.

    A.C.

    Trackman

    Mad about the boy

    ¹

    Davie fece cadere il succo d’arancia.

    Il canto echeggia intorno a me e rimbalza contro i muri del sottopassaggio come una palla; sussulto quando sfreccia accanto al mio viso. C’è un gruppo di ragazzi al centro della via. Le luci nel soffitto sono rosse e conferiscono una tinta rosa ai capelli e alle facce. Uno di loro continua a strimpellare una chitarra. Un altro picchietta il ritmo sul muro con un paio di bacchette. Tamburella, tam, tam, contro i mattoni. Altri tre ragazzi cantano, mentre un tipo alto filma tutti con il cellulare; grida indicazioni come se fosse Steven Spielberg in persona. Chino la testa quando passo a fianco a loro; non voglio rovinare la scena.

    – Grazie, amico – Spielberg mi fa il pollice in su. Faccio un cenno col capo e proseguo per il sottopassaggio. Un canale scorre lungo i margini dei muri; è pieno di acqua sporca, piscio e merda di cane. Una siringa in mezzo a pacchetti di patatine e lattine vuote. I graffiti scivolano dalla vernice protettiva anti-scritte, come se avessero cercato di dipingere sui pastelli a cera.

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    Davie vide i genitori alla fine del corridoio; sedevano con le schiene contro il muro. Come se stessero aspettando fuori dall’ufficio del preside.

    Lascio il sottopassaggio e sento l’odore di una pizza appena fatta dallo sfiato del Domino all’angolo. Ha un buon odore, ma proseguo. Non posso fermarmi. Devo continuare a muovermi. Continua a muoverti. Un dito, un pollice, un braccio, una gamba. Mi dirigo lungo Delry verso la stazione di Haymarket. Mentre mi avvicino riesco a sentire la voce infagottata dell’altoparlante, e il rumore dei treni che si accostano alla piattaforma.

    Hello, goodbye².

    Persone che vanno via da Edimburgo, persone che arrivano.

    Vado in Australia, Davie, non so per quanto tempo.

    Le strade sono già trafficate pur non essendo neanche l’ora di punta per i turisti. Resto bloccato dietro una coppia che si tiene per mano occupando l’intero marciapiede. Sono tutto nervi stanotte: devo continuare a muovermi, continuare a muovermi, continuare a muovermi.

    Un dito, un pollice, un braccio, una gamba, un cenno di capo.

    Quando mi avvicino a Princes Street, sento la litania di cornamuse spifferata dai negozi di souvenir. Sono quasi le dieci, che cazzo; chi ha bisogno di asciugamani che sembrano kilt a quest’ora di notte? Chi ne ha bisogno in generale?

    Il castello ha le luci accese e rimane sospeso su tutto, come se qualcuno stesse giocando ad attacca-il castello-alla città.

    Poi scomparve nella foschia.

    Sembra di essere in un’altra dimensione rispetto agli schifosi negozi di mattoni di cemento che si vedono qua sotto a livello della strada. I negozi si fanno piccoli dall’imbarazzo; faccia a faccia con il castello che si staglia glorioso.

    Non sono ancora pronto per fermarmi così devio verso George Street: inizio girando intorno all’isolato. Non so cosa c’è che non va in me stanotte. Forse ho assorbito un po’ dell’eccitazione di Lewis. Questa serata, tutto a un tratto, sembra chissà che cosa.

    Un dito, un pollice, un braccio, una gamba, un cenno di capo.

    Fingo di essere Pac-man mentre giro intorno all’isolato.

    Avanti, avanti, avanti.

    Gira a destra.

    Avanti, avanti, avanti, mangia turisti fastidiosi.

    Gira a destra.

    Avanti, avanti, avanti.

    Di nuovo a Princes Street e la fila alla libreria Waterstone serpeggia, fuori dalla vista, fin dietro l’angolo.

    Ce n’è ancora per due ore. Due ore per stare fermi in fila. Un dito, un pollice.

    Comunque meglio farlo; non voglio deluderlo.

    Seguo la fila fino ai ciottoli di Rose Street, supero i pub sudici e i negozi indipendenti. La coda finisce in prossimità del Dirty Dick’s e sono tentato di farmi una pinta. Tuttavia penso alla mia promessa a Lewey e mi metto in coda. Dopotutto è lui la ragione per cui sono qua.

    Fuori dal pub c’è un po’ di gente che fuma. Riesco a sentire il brusio delle conversazioni e il tintinnio di bicchieri all’interno. Passa un addio al nubilato. Sono vestite con magliette rosa identiche; una foto della futura sposa piazzata panoramicamente sopra i seni. Di sicuro la strada acciottolata sta causando qualche problema ai loro tacchi traballanti, oscillano infatti da parte a parte, aggrappandosi l’una all’altra per sostenersi mentre strillano e ridono.

    Faccio un passo e poi un altro. Continua a muoverti, continua a muoverti, continua a muoverti.

    Un dito, un pollice, un braccio, una gamba, un cenno di capo.

    La fila aumenta mentre aspetto. Mi metto in punta di piedi e tendo il collo per guardare dietro di me oltre la folla, ma non riesco più a scorgerne la fine. Molte persone si sono davvero impegnate: si sono presentate in costume e in maschera. Mi sento del tutto fuori luogo qua. Da solo. In agitazione. A Lewis sarebbe piaciuto molto. Lui dovrebbe essere qui, non io. Continua a muoverti, continua a muoverti, continua a muoverti, un dito, un pollice, un braccio, una gamba, un cenno di capo.

    In un universo parallelo, Lewis sta facendo la fila per avere il suo libro.

    Ho due donne dietro di me, sono vestite da strega, e continuano a soffiarmi fumo di sigaretta in faccia.

    Mi sta venendo voglia di una cicca nonostante abbia smesso da anni. Voglio dir loro di smettere di essere delle ignoranti di merda, smettetela di esalarmi in faccia, ma mi sto godendo il fumo passivo e lo inalo.

    Lo tengo dentro di me.

    Puoi provare con degli esercizi di respirazione, dovrebbero aiutarti a calmarti quando ti sembra che tutto stia diventando troppo.

    Aspetta.

    Aspetta.

    Aspetta.

    Espira.

    Si portano appresso una ragazzina che non sembra neanche abbastanza grande da saper leggere. È tutta agghindata con un’uniforme scolastica, completa di parrucca folta e bacchetta magica. Un altro addio al nubilato si ferma quando la vede.

    – Wow, guardate questa ragazzina.

    – Oh mio Dio, è stupenda.

    – Ehi, Annie, dovrebbe farti da damigella, te la immagini?

    La ragazzina punta contro di loro la bacchetta di plastica, quelle ridono. Ma io riesco a vederglielo negli occhi: le sta maledicendo tutte quante.

    – Ciao, sono Andy dell’Evening News. Ti dispiace se faccio qualche foto per il giornale?

    Un tizio si ferma di fronte a Hermione e le streghe, le fumatrici incallite. Ha con sé una macchina fotografica dall’aspetto stravagante e un tesserino identificativo che porta fuori dalla giacca. Il tesserino è appeso al collo con una cordicella, ingarbugliata alla cinghia della macchina fotografica. Lancio un’occhiata alla foto sul tesserino, spero non sia un esempio delle sue abilità da fotografo.

    Le streghe buttano le cicche e spingono Hermione verso il fotografo. Una sigaretta a metà finisce tra due ciottoli. La punta è ancora accesa e il luccichio arancione fa spirali di fumo.

    Liberati dei vestiti, poi siediti con la schiena al muro.

    Un dito, un pollice, un braccio, una gamba, un cenno di capo.

    Sto per inchinarmi a raccoglierla, quando qualcuno arriva con un cazzo di gufo gigante. Da dove diavolo se lo sono tirati fuori?

    Hermione sembra terrorizzata quando le piazzano il gufo sulla spalla. Guardo i suoi artigli arricciarsi e serrarsi su di lei. Sarebbe così facile per quegli artigli perforare la pelle; perforare la pelle e portarla via come un agnellino. Quelle streghe devono essere più prudenti. Basta un’unica decisione sbagliata. Un singolo errore e finisci per sperare di avere il tasto Reset.

    – Va bene, tesoro? Perfetto. Posso avere un bel sorriso ora? Magnifico.

    Andy dell’Evening News inizia a scattare freneticamente. Alcune ragazze dell’addio al nubilato provano a introdursi nello scatto, e poi anche la gente fuori dal Dirty Dick’s comincia a fare foto con il cellulare, chiamano gli amici perché escano a vedere la scena.

    Il gufo si solleva scuotendo le ali; una raffica d’aria mi soffia contro e le piume mi sfiorano il viso.

    – Gesù.

    Il gufo ruota la testa, come quella tipa de L’esorcista. Fissa proprio me. Occhi gialli enormi. Non sbatte le palpebre. Mi intimidisce con lo sguardo.

    Ho la sensazione che lui sappia qualcosa che io non so.

    Sbatto le palpebre e interrompo il contatto visivo. Riesco ancora a vedere i suoi occhi lampeggiare su di me quando mi giro, come se prima stessi guardando direttamente dentro un bulbo oculare. Le orbite mi seguono e io chiudo gli occhi. Quando li riapro il gufo e il fotografo se ne sono andati via a cercare qualcun altro che abbia l’aspetto sufficientemente stupido da fare notizia.

    Rabbrividisco. Mi ha sfiorato un fantasma.

    Un dito, un pollice, un braccio, una gamba, un cenno di capo, continua a muoverti, continua a muoverti, continua a muoverti.

    A qualcuno dentro il Dirty Dick’s cade un bicchiere, dal pub provengono grida di esultanza.

    Vai a bere qualcosa dopo il lavoro?

    Sì, tu?

    Sì.

    Mi abbottono la giacca in jeans. La temperatura è calata rispetto a quando sono arrivato. Un gruppo di ragazze passa con indosso appena qualche vestito. Ma come fanno?

    Ho gli occhiali sporchi così li pulisco con la maglietta. Senza, tutto è una foschia. Solo forme e colori, niente con un contorno vero e proprio. Senza gli occhiali, posso fare finta che l’ombra a fianco a me sia lui: Lewis, che aspetta con me.

    Hai presente, nel video In Bloom?

    Un braccio, una gamba, un cenno di capo.

    La gente che passa è sempre più ubriaca man mano che mezzanotte si avvicina.

    – Harry muore! – urla qualche testa di cazzo.

    L’amico ride di gusto come se l’altro se ne fosse uscito con una battuta degna di Billy Connolly.. Come se fosse il primo ad averla pensata. I suoi capelli sono come se qualcuno avesse riempito un annaffiatoio di candeggina e gliel’avesse rovesciato in testa: altro che il calciatore Derek Riordan.

    Merda, devo calmarmi.

    Comincia con l’espirare, poi inspira.

    Magari dovrei chiedere una sigaretta a una delle streghe? Un dito, un pollice.

    La fila sembra muoversi, ma non procediamo, ci accalchiamo sempre di più. Le streghe fanno a turno per tenere in braccio Hermione addormentata mentre l’altra fuma. Potrei chiederle una sigaretta. Solo una. La bacchetta di Hermione è in terra così la raccolgo e me la tamburello sul petto.

    Tam, tam, tam, tam, continua a muoverti, continua a muoverti, continua a muoverti.

    Sento qualcosa nella tasca della giacca e mi ricordo che ci ho ficcato dentro il lettore MP3. Non sono sicuro del perché ce l’ho con me. In realtà non è mio e non so come farlo funzionare.

    C’è qualcosa in quell’oggetto però.

    Il Tizio Col Dread fermò Davie che stava rientrando a casa dal lavoro.

    Ehi, tu, figliolo, vieni qui.

    Davie non aveva mai sentito il Tizio parlare prima di allora: una parlata dolce per un orso simile.

    Sì, che c’è? Rispose Davie, scavando nelle tasche per qualche spicciolo.

    Ti devo dare una cosa.

    Eh?

    Davie non aveva mai sentito un senzatetto offrirsi di regalare qualcosa.

    Vieni qua, te lo devo dare, Archie mi ha detto che devo.

    Chi è Archie?

    Archie, il mio amico Archie.

    Non ti preoccupare, ok?

    Il Tizio Col Dread si sfilò le cuffie dalla testa. Scivolarono giù dai capelli arruffati che pendevano nella schiena a forma di pagaia rettangolare. Sui capelli e sulle spalle c’erano bricioline come se ci avessero disseminato un pacchetto di patatine formaggio e cipolla accartocciato.

    Ecco, prendilo, il Tizio Col Dread aveva in mano qualcosa.

    Le dita erano gonfie e sudice, le nocche spaccate e ammaccate. C’era una cicatrice rettangolare in entrambe i palmi delle mani, come se fosse stato ustionato da qualcosa e la forma di quello si fosse impressa nella pelle. Offrì il lettore MP3 a Davie.

    Non lo voglio, tienilo tu.

    No, me l’ha detto Archie.

    Il Tizio fece un passo verso Davie. Davie trattenne il respiro per il suo odore di sporco stantio.

    Tuo adesso, disse il Tizio e premette il lettore MP3 contro il petto di Davie.

    Il respiro del Tizio era caldo e appiccicoso; cosparse la faccia di Davie di uno strato di melma.

    Che cos’è? Chiese Davie.

    Lo scoprirai, rispose il Tizio.

    Davie osservò il Tizio mentre si metteva uno zaino dopo l’altro sulla schiena, e si trascinava via, borbottando tra sé e sé.

    Davie strofinò il lettore sui suoi jeans. Era coperto di impronte unte e sembrava rotto. Lo schermo era spento ed era spaccato da una parte.

    Davie stava per lasciare il lettore MP3 sul marciapiede quando qualcosa glielo impedì. Una voce nella sua testa.

    Se lo lasci te ne pentirai. Tornerai indietro più tardi.

    Aveva la sensazione che fosse prezioso. Davie non poteva lasciarlo, così come non poteva lasciare il portafoglio, le chiavi, il cellulare.

    Ma non solo, gli venne anche l’improvvisa urgenza di mettersi le cuffie.

    Prendo il lettore dalla tasca girandolo e rigirandolo tra le mani. Le cuffie sono bloccate all’interno del lettore e non vengono fuori. Hanno dei cardini che permettono di ripiegarle. I cardini sono duri e coperti di ruggine. Li faccio ruotare avanti e indietro. Aperte. Chiuse. Aperte. Chiuse. Aperte. Chiuse. Il lettore non ha nessun pulsante: niente volume, niente accensione, niente Play. È strano.

    Forse il Tizio Col Dread lo usava solo per tenersi le orecchie al caldo dal freddo dalla strada? Me lo sto portando appresso dal momento in cui me l’ha dato. Non so perché.

    C’è qualcosa in quell’oggetto.

    Lo sto ancora guardando quando inizia il conto alla rovescia.

    Comincia davanti a me ma poi continua in un effetto domino nel resto della fila.

    – 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1!

    Tutti quanti esultano allo scoccare della mezzanotte, e sento suonare alcuni allarmi di orologi e cellulari. Sono un impostore. Non dovrei esserci io qui. Non merito di farne parte. È come se fossi a un concerto e il cantante avesse smesso di cantare nel bel mezzo di una canzone. Tiene il microfono verso la folla che così può cantare per lui, e io sono l’unico a non conoscere le parole.

    Me ne sto in silenzio, mentre tutti quanti attorno a me partecipano al momento di condivisione.

    Un braccio, una gamba, un cenno di capo, continua a muoverti, continua a muoverti.

    Il conto alla rovescia si rivela essere una delusione visto che la fila rimane immobile. Sono le due del mattino quando finalmente riesco a raggiungere la cassa con la copia del libro per Lewis. È troppo tardi per andare a trovarlo ora. Dovrà aspettare.

    Una ragazza mi porge un palloncino di elio quando lascio Waterstones.

    Mi dirigo a casa risalendo Lothian Road, la parte Jekyll e Hyde di Edimburgo: impiegati d’ufficio di giorno, sordidi discotecari di notte. Saune e club di lap-dance escono fuori dal loro nascondiglio in mezzo alle paninoteche.

    We only come out at night³.

    Adesso sono Mario in un videogioco a piattaforma. Mentre manovro i piedi verso casa, mi risuonano in testa i motivi del Gameboy vecchia scuola.

    Scansa l’uomo ubriaco.

    Salta un cumulo di vomito.

    Schiva il gabbiano che trasporta patatine.

    Salta ancora vomito.

    Testata al blocco e raccogli il fungo.

    – Ciao, mi dai quel palloncino? – una ragazza sbronza mi afferra il braccio mentre le passo accanto.

    La ignoro e continuo a camminare.

    – Ti ho fatto una domanda.

    Mi segue lungo il marciapiede, poi dà un colpo secco al palloncino con la borsa. Quello mi colpisce un lato della testa e fa quel suono profondo ed echeggiante che solo i palloncini di elio sanno fare.

    – Lasciami in pace.

    Continua a muoverti, continua a muoverti. Un dito, un pollice.

    – Per favore, è il mio compleanno – dice sbattendo contro la vetrina di un negozio.

    Mi fermo e la guardo scivolare giù lungo il vetro.

    – E va bene – le do il palloncino e la abbandono seduta sul marciapiede per proseguire verso casa.

    Un dito, un pollice, un braccio, una gamba.

    1) Pazzo del ragazzo, scritta e cantata per la prima volta da Noel Coward nel 1932, tuttavia è diventata molto popolare quando venne interpretata da Dinah Washington nel 1952.

    2) Ciao, addio, The Beatles, Magical Mystery Tour, 1967.

    3) Usciamo solo di notte, The Smashing Pumpkins, Mellon Collie and the Infinite Sadness, 1995.

    I want you to want me

    Davie lottò per aprire la porta d’ingresso. Proprio non riusciva a far entrare la chiave nel buco della serratura.

    Davie fece cadere il succo d’arancia.

    – Per favore, foto per favore.

    Sbuca fuori una coppia di giapponesi e mi blocca il passaggio. Il tipo mi porge una fotocamera digitale, me la sta regalando.

    Basta con la merda elettronica gratuita.

    – Per favore, foto per favore – ripete quello.

    Assimilo le parole e capisco quello che mi sta chiedendo.

    Il mio cervello non si è ancora svegliato. Entrambi sorridono, già in posa, lui la circonda con un braccio. Mi focalizzo sui bottoni del giaccone di lei. Grandi e rossi, la grandezza di una moneta da due sterline. Li conto per mettere in moto il cervello. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette. Il suo giaccone ha sette bottoni.

    Sono le sei e mezza del mattino, merda.

    Sei e mezza.

    Vedo a malapena attraverso gli occhi mezzo aperti; guardo il mondo attraverso delle fessure. Odio i turni della mattina presto.

    Princes Street è morta. Deserta. Reggo la fotocamera. Sembra abbastanza costosa. Ci sono un sacco di pulsanti e interruttori e manopole.

    Non riesco a capire cosa premere per fare la foto.

    Faccio spallucce e il tipo si fa avanti indicandomi il pulsante corretto. Annuisco.

    – Okay allora, dite "cheese".

    Entrambi mi mostrano per un attimo grandi sorrisi, lui ha denti perfettamente bianchi mentre lei porta l’apparecchio. Lei mi fa il segno della pace. Sullo sfondo il castello, un velo di nebbia mattutina gli brilla attorno. Sembra sovrapposto, come se fossero davanti a un blue screen.

    Restituisco la fotocamera e la coppia ispeziona la mia opera. Lei sorride, lui mi fa il pollice su e sì con la testa.

    – Molto grazie, molto grazie – dice.

    – Di niente – rispondo e proseguo per la mia strada.

    Ho un sapore indistinto in bocca così mi frugo nelle tasche sperando di trovare qualche gomma. Nulla da fare però. Mi frullo la saliva in bocca e sputo, mi strofino la lingua sui denti. Mi sento come se fossi stato in giro a bere; insomma qualcosa di più sordido rispetto a fare la fila per un libro.

    Mi fermo, voltandomi guardo nuovamente il castello. È davvero impressionante, mica cazzi. I due giapponesi ora si fanno foto a vicenda con il castello alle spalle. Ci cammino a fianco quasi tutti i giorni, ma non l’ho mai notato. La nebbiolina sale lentamente e resta sospesa attorno alla cima dei bastioni.

    Il racconto di Lewis fu appuntato nella bacheca di cucina.

    Il Giorno in cui il Castello Scomparve.

    Ci aveva abbinato un disegno: un castello con nuvole nere che vorticavano intorno alle torrette.

    La frase finale era sempre a livello degli occhi quando passavi accanto alla bacheca. In seguito si sarebbe conficcato nel cervello di Davie un motivetto ricorrente.

    Poi scomparve nella foschia.

    Poi scomparve nella foschia.

    Poi scomparve nella foschia.

    Riprendo a camminare e schivo una donna che sta leggendo il nuovo libro di Harry Potter. Non alza nemmeno lo sguardo su di me quando faccio un passo laterale fuori dalla sua traiettoria, si limita a camminare, gli occhi immersi nella pagina.

    Stupida vacca.

    Devo portare il libro a Lewis. Lo sto mettendo in secondo piano rispetto a chiunque altro.

    – Tutto ok? – dico a Louise e Derek, che stanno aspettando fuori dal negozio. Mi appoggio al muro e chiudo gli occhi, in quel momento arriva Laura, la manager. Fa scattare le chiavi nella porta di vetro e l’allarme fa bip. Ci tiene la porta aperta e noi marciamo dentro in fila. Le luci ci mettono un po’ ad accendersi e io sono già giù per le scale, a metà strada con il piano seminterrato, quando cominciano ad illuminare.

    Il suo viso venne illuminato quando aprì lo sportello. Tirò fuori il cartone svitandone il tappo.

    Il negozio è piuttosto inquietante alle prime ore del mattino, le luci sono spente e in giro non ci sono clienti.

    Ghosts.

    Tutti fanno battute sul magazzino infestato.

    Ho sentito una presenza lì dentro, disse Stewart a Davie.

    Chi cazzo ti credi di essere, Dart Fener?

    Sul serio, non sto scherzando. La stanza è diventata fredda e ho sentito qualcosa dietro di me. Ho provato a comunicarci.

    Come hai fatto?

    Ho solo proteso le braccia, ho detto che ero un amico, un credente.

    Ah sì?

    Davie guardò le unghie di Stewart, erano laccate di nero. Non aveva avuto le mani ferme però e si era macchiato di smalto tutt’intorno alla punta delle dita. Sembrava che non si lavasse le mani da giorni. Forse era così. Una volta aveva detto a Davie che dormiva in una bara. Davie non aveva capito se intendesse in casa o in giardino.

    Mollo la borsa e la giacca nel mio armadietto. Sto girando la chiave quando mi rendo conto di aver dimenticato qualcosa. Riapro l’armadietto e frugo tra le mie cose. Cosa ho dimenticato? Forza cervello, concentrati, concentrati. Badge con il nome? Macché, è ancora appuntato alla maglietta. Non lo tolgo mai, lo metto anche in lavatrice. Penna? No, ne prendo una dalla sala del personale. Che cosa allora?

    Tiro fuori il lettore MP3 dalla giacca e quella sensazione assillante va via. La parola sulla punta della mia lingua non prude più. Con le cuffie piegate, la cosa intera non è più grande del mio portafoglio, così me la infilo nella tasca posteriore dei jeans e vado alla sala del personale per una tazza di tè.

    – Buongiorno, David – mi dice Laura quando le passo accanto nel corridoio mentre torno al negozio. Rispondo annuendo. Perché non può chiamarmi Davie come tutti gli altri? David suona così formale.

    Apro con un calcio la porta che conduce al negozio. È pesante e specchiata, oscilla all’indietro e mi sbatte addosso prima ancora che io abbia il tempo di attraversarla. Il tè si rovescia sul pavimento appena lucidato dagli addetti alle pulizie. Spargo il tè con la suola delle mie scarpe in tela, non ho voglia di tornare indietro a prendere un fazzoletto di carta. Eminem strilla dagli altoparlanti del soffitto. Louise dal reparto musica classica di sopra dev’essere arrivata per prima al lettore CD. Questo è quello che ottengo dal fermarmi a farmi un tè. Non è che non mi piaccia Eminem, è solo che non voglio ascoltarlo a tutto volume alle prime ore del mattino. Louise sostiene che la svegli ma a me fa solo male al cervello.

    Cosa penserebbero i clienti se lo sapessero? Quella tenera ragazza che vende loro Beethoven e Russell Watson in realtà è appassionata di chiassosa musica rap.

    Io preferisco abituarmi alla giornata a passo più dolce, mi trasporto galleggiando fino alla pausa mattutina sull’onda dei Lambchop, gradualmente mi sollevo su Malcolm Middleton, prima di arrivare al crescendo dei Lemonheads. Niente di più chiassoso della voce soffice di Evan Dando.

    Niente rap.

    Niente death metal.

    Niente new metal.

    Certamente niente musica dance.

    A Derek piace la musica dance e ringrazio che Louise sia arrivata per prima al lettore CD. Moby e gli Air sono quanto di più dance conosco.

    Così è come dovrebbe essere la musica dance. Come la cover dei Frightened Rabbit di Set You Free. Non la conosci? È incredibile. Ti dimostra quanto può essere bella la musica dance se viene rallentata nel modo giusto, suonata da chitarre, e non ha più niente della musica dance.

    Cavolo, di che umore sono oggi. Questo è quello che ti fanno quattro ore di sonno e una promessa a tuo fratellino. Sono stanco morto. Mi nascondo sotto la rampa di scale che dal piano principale conduce sotto. Sorseggio il mio tè. Provo a darmi una svegliata. È un po’ più buio qui sotto. Non riesco reggere il bagliore accecante delle luci al neon. Perfino la maglietta rossa che sono costretto a indossare è troppo luminosa per me in questo momento. Fingo di mettere in ordine le scatole di DVD che abbiamo di scorta qua sotto. Le scatole sono state impilate una sopra l’altra, e dal peso si stanno lacerando ai bordi. Mi siedo sul bordo di una ma non permetto che sostenga tutto il mio peso, in caso all’interno ci siano DVD.

    Lose yourself.

    Decido di organizzarmi così da essere il secondo della fila per il lettore CD. Mi colloco in un’ottima posizione. Non posso lasciar arrivare Derek con la sua merda dance prima di me. In più posso ammazzare i venti minuti successivi cercando qualcosa di decente da mettere nel mentre che Eminem finisce. Dovrei fare l’inventario e rifornire gli scaffali prima dell’apertura alle nove, ma dato che è tanto tempo che sono qua ho perfezionato l’arte del far sembrare che io stia lavorando quando in realtà non sto facendo un cazzo. Odio questo lavoro ma è l’unica cosa in cui sono davvero bravo.

    Pensiamo sia meglio che tu ti prenda un po’ di tempo, poi potrai tornare e ripetere l’anno quando ti sentirai meglio.

    Alle nove il negozio apre e vengo raggiunto nel reparto vendite da Martha. È nei suoi soliti jeans a zampa di elefante e Doc Marten in cattivo stato.

    – Ciao – mi fa – che si dice?

    – Non molto – rispondo. – Ti va di finire l’inventario per me? Dovrei avere ventitré copie in DVD di Le ali della libertà, ma ne trovo solo cinque.

    – Certo – risponde, allungando il braccio per prendere il pezzo di carta che tengo in mano.

    La luce cattura i suoi capelli, il viola luccica.

    – Ti sei tinta i capelli?

    – Sì – risponde – mi andava un cambiamento. Che ne pensi? Sei l’unico ad averlo notato.

    Sembra compiaciuta e avvolge una ciocca di capelli intorno alla penna mentre studia il resoconto che le ho dato.

    – Come si chiama il colore?

    – Prugna di Mezzanotte – ride. – Indovina che ho fatto però? Mi stavo risciacquando i capelli nella vasca e mi è caduto il cellulare dentro.

    – È morto?

    – Sì – scuote la testa – ma sono speranzosa. Ho usato l’asciugacapelli ieri notte e l’ho lasciato sul termosifone. Incrociamo le dita. Non posso permettermene un altro.

    Martha telefoni al magazzino per favore, Martha telefoni al magazzino.

    La voce di Derek attraverso l’altoparlante convoca Martha al telefono. La osservo mentre si appoggia al bancone per richiamarlo; i suoi piedi sono ruotati all’interno e i suoi jeans strisciano per terra, l’orlo sfilacciato cattura la polvere. Le sue labbra brillano di lucidalabbra e gioca con il piercing, facendolo rotolare a sinistra e a destra, sinistra e destra, lungo il labbro inferiore.

    – Sul serio? – dice, la sua faccia s’illumina. Catturo un luccichio del suo piercing e sento quel piccolo balzo in pancia.

    Le

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