La violenza contro le donne: Crimine e psicopatologia del maltrattamento e del femminicidio
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Il manuale è adatto a tutti coloro che devono per motivi professionali, clinici od assistenziali affrontare il delicato e particolare problema della violenza della donna, della prevenzione ed evitamento delle situazioni a rischio.
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La violenza contro le donne - Marilena Cremaschini
Bibiografia
La criminologia della violenza contro le donne
Statistiche dei casi
La criminologia come studio del comportamento criminale è un concetto strettamente connesso a quello di devianza, il crimine non è altro che la forma più grave del comportamento deviante.
Per comportamento deviante si intende un agito, formato da azioni ed intenti diretti volontariamente e deliberatamente alla violazione delle norme sociali, civili, etiche e morali, quando queste ultime hanno, per la società in cui vengono applicate, un valore pari a quello delle leggi civili se non addirittura superiore per la valenza spirituale e di condanna morale che ne consegue.
Il comportamento deviante ha quindi come finalità quello di opporsi all’ordine ed alle regole formali e contravvenire alle restrizioni delle norme sociali, oltre i limiti della tolleranza, cioè di quello che può essere giustificabile e condannabile moralmente ma non a tal punto da richiedere delle sanzioni concrete e tangibili, come ad esempio l’applicazione di multe, richiami, segnalazioni.
La criminologia in quanto tale si occupa di studiare quei processi sociali che determinano il passaggio di un comportamento dall’ambito della conformità e dell’accettabilità, a quello dell’inaccettabile e quindi deviante, fuorviante dai canoni imposti dalle regole.
Un particolare tipo di comportamento deviante è il comportamento violento come atto diretto a ledere una persona, cagionandole un danno e mettendo a rischio la sua incolumità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS – 2002) per violenza intende: " l’uso intenzionale della forza fisica o del potere, soltanto minacciato o anche reale, contro se stessi, altre persone o contro un gruppo di persone o una comunità, da cui conseguono o da cui hanno un’alta probabilità di conseguire delle lesioni, morte, danni psicologici, compromissioni nello sviluppo o deprivazioni."
In questo manuale viene analizzato soltanto una categoria di comportamento deviate ed un particolare modalità del crimine: quello diretto a danni della donna che nella maggioranza dei casi è una moglie, una compagna, una fidanzata o addirittura una ex che ha deciso, per motivi più che comprensibili, di porre fine ad un rapporto malato e per lei dannoso se non addirittura pericoloso.
La violenza passionale – statiche dei casi
In media ogni giorno in Italia 7 donne su 10 subiscono dei maltrattamenti di varia natura e la maggior parte di queste violenze si consumano all’interno dell’ambiente famigliare, in casa e tra parenti prossimi se non addirittura il marito, il convivente, il fidanzato o il compagno.
Questo dato è emerso da un’indagine dell’ISTAT del 2006 ma ritengo che i casi di violenza domestica a danno delle donne siano in questi anni notevolmente aumentati, come dimostrano i tristi fatti di cronaca.
Questo significa che i casi di violenza anche in forma grave contro le donne sono in costante aumento e, cosa ancora più inquietante, è sempre ad opera del partner o di un ex partner, che approfittando di una condizione di sudditanza sia sentimentale che di dipendenza emotiva, abusa di tale posizione e potere per sfogare la sua aggressività e violenza come se fosse uno sfogo legittimo, naturale e consentito in quanto rientrante nei poteri del marito e del maschio dominante.
Le stime dei dati raccolti da statistiche internazionali e comunitarie non fanno che confermare la vastità e la gravità del fenomeno, ancora nella maggior parte dei casi sommerso e sottaciuto e non sempre denunciato.
Le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa e le organizzazioni come l’Unicef e l’OMS si sono espresse sull’argomento attraverso dichiarazioni di intervento, di studio ed analisi delle condizioni favorenti e predisponenti la violenza famigliare e con ricerche dirette a creare forme di prevenzione e tutela delle donne maltrattate.
I dati sono allarmanti: l’OMS rileva attraverso una serie di ricerche condotte in tutti i paesi del mondo che la percentuale delle donne vittima di violenza che hanno denunciato la situazione corrispondono ad una percentuale che va dal 10 % al 69 % a seconda dei paesi di origine, tra loro vi sono coloro che hanno dichiarato di aver subito un’aggressione del partner soltanto una volta, mentre altre sono state vittime per anni.
In Europa, il continente considerato più civilmente ed ideologicamente avanzato, la violenza tra le mura di casa è la principale causa di morte o di invalidità permanenti per le donne che hanno un’età compresa tra i 16 ed i 44 anni.
In particolare l’indagine del 2006 rilevava che su un campione del 14,3 % delle donne che hanno avuto un partner durante la loro vita ben il 5,8 % ha subito una qualche forma di violenza.
Ancora più significativo il dato che la violenza ripetuta e perpetrata per un lungo periodo di tempo avviene più frequentemente ad opera del partner attuale rispetto al non più partner al momento del fatto con una percentuale di stima che va dal 67,1 % al 52,9 % delle donne sottoposte a campionamento.
Gli studi di ricerca hanno inoltre rilevato che i partner sia attuali che ex sono i responsabili delle violenza con una quota più alta quando si tratta di violenze fisiche con danni rilevanti, menomazioni se non addirittura uccisioni, ancora tra le violenze preferite dai compagni affettivi sono le violenza di tipo sessuale come lo stupro o i ripetuti rapporti sessuali di vario tipo senza consenso.
Nella maggioranza dei casi vi era nella vittima il timore, anzi possiamo dire il terrore, che non soddisfacendo i desideri sessuali del compagno o dell’ex sarebbero incorse in azioni violente ben più gravi, contro di loro o contro ai figli o ad altre persone care.
In Italia, in particolare, sempre secondo questi dati storici e quindi non aggiornati, ogni 4 giorni viene uccisa una donna dal marito, dall’amante, dal convivente ma anche dall’ex fidanzato che non si vuole arrendere all’idea della perdita e della separazione.
Infatti tra gli autori di violenze ai danni delle donne vi sono, con una percentuale del 22,4 % uomini che sono ormai, all’epoca dei fatti, ex-coniugi o ex-fidanzati o ex-conviventi, un 13,7 % sono dei mariti o conviventi attuali, mentre il 5,9 % sono fidanzati attuali.
Sempre secondo i dati Istat del 2006 ai tempo dell’indagine vi erano 7 milioni 134 mila donne che avevano subito una violenza psicologica dal partner, che corrisponde al dato allarmante del 43,2 % del totale delle donne sottoposte a campionamento.
Tra questi abusi il 34,5 % delle donne ha dichiarato di aver subito una violenza di tipo molto grave, il 27,2 % hanno subito comunque delle lesioni fisiche, come ferite o percosse, ed il 24,1 % ha subito percosse tali da dover richiedere il ricovero ospedaliero o è dovuta andare dal proprio medico.
Le motivazioni della violenza
Il ruolo della vittima
Come inevitabile conseguenza psichica di tale abuso non può non riscontrarsi il dato che tutte le donne che hanno subito una violenza sia fisica che psicologica hanno poi avuto delle conseguenza più o meno gravi sul loro stato mentale ed emotivo.
Le donne che hanno subito tali soprusi e violenze perdendo stima in se stesse, perdono fiducia nelle proprie capacità e nella possibilità di cambiare la loro vita migliorandola, perdendo fiducia nel prossimo soprattutto del genere maschile perché da ogni persona si aspettano il peggio, il tradimento a danno della loro debolezza, sono pertanto incapaci di reagire a qualunque altra situazione che crea loro disagio perché non hanno fiducia e stima in se stesse e pensano di non meritare altro che frustrazioni e privazioni, sono infine incapaci di trovare un nuovo compagno per ricreare un nuovo rapporto sentimentale stabile, sereno e duraturo.
Come conseguenze cliniche hanno prevalentemente disturbi del sonno, disturbi dell’ansia, attacchi di panico, fobie di qualunque tipo, depressione anche in forme grave.
Un dato particolare delle risposte fornite dalle donne vittime di violenza è che hanno dichiarato come percepito come di valore meno grave e meno preoccupante la violenza del non-partner rispetto a quella del partner attuale.
Lontanamente da quel che si può pensare un altro indice che rileva è che le violenze domestiche non sono una prerogativa dei ceti più poveri, disagiati o non acculturati, la violenza infra-famigliare può colpire ogni tipo di famiglia o situazione relazionale.
Essa non nasce da un disagio pratico come quello derivante da una condizione economica precaria o in situazione di difficoltà, e come conseguenza ad essa, la violenza è totalmente scollegata da tali fattori, che possono incidere sicuramente ma non in maniera da essere un fattore condizionante.
Le difficoltà aumentano il disagio che porta a delle situazioni di stress ed emotivamente critiche, condizioni che possono portare a nervosismo, sfoghi di rabbia e ad un minor controllo della propria irritabilità, ma le violenze di cui stiamo trattando sono condizioni mentali che creano abitudinarietà anche quando non vi sono difficoltà o motivi di crisi diversa dall’errata maniera di comunicare.
La violenza domestica si può verificare nei contesti più vari, indipendentemente dalle condizioni sociali, culturali, razziali o religiose, e non è nemmeno detto che culture che consentono la violenza sulla donna e la spersonalizzazione di essa siano gli ambienti culturali più a rischio.
Le motivazioni della vittima – il ruolo sociale della donna
Così riassume lo psicologo Pedoni in un articolo intitolato " la professione di Psicologo pubblicato sul numero di aprile del 2008 del Giornale dell’Ordine Nazionale degli Psicologi (pag. 13):
dall’indagine emerge un quadro impressionante non solo per l’ampiezza e l’intensità del problema, ma anche perché finalmente, nero su bianco, con la freddezza dell’analisi statistica, viene delineato quanto le donne siano costrette a subire, spesso in silenzio, e quanto poco ancora il mondo esterno
conosca questa realtà.
Molto indicativi in questo senso sono i dati relativi alle denunce effettuate (pochissime), ma anche e soprattutto i dati ci illuminano sulla valutazione che le stesse donne fanno della violenza subita.
Molte ancora, purtroppo, lo considerano un fatto della vita
che è accaduto, da dimenticare.
In qualche modo l’indagine rappresenta perciò un punto di non ritorno nel cammino contro la violenza alle donne: ora il problema è stato adeguatamente stimato e analizzato in tutte le sue sfumature, si può solo lavorare per cercare gli strumenti per risolverlo."
Punto di partenza per risolvere tale problema è innanzitutto capire come e perché all’interno di una coppia viene ad instaurarsi la violenza, la minaccia, le molestie, la ritorsione psichica e le percosse, ma sopratutto "l’ emprise", vocabolo utilizzato dalla psichiatra e psicoterapeuta francese Marie-France Hirigoyen (1998) per indicare il dominio, la sudditanza psicologica ed il plagio.
È opportuno comprendere e spiegare come questo condizionamento agisce e opera nel processo di vittimizzazione della donna in un rapporto di coppia.
Le femministe si sono dedicate ad analizzare il contesto sociale, secondo loro gli uomini sono incontestabilmente più violenti delle donne, poiché la società prepara gli uomini ad occupare un ruolo dominante e loro, se non lo raggiungono in modo naturale, tendono a farlo con la forza.
Seppure tale pensiero ha delle verità che sono valutabili con la semplice osservazione degli atteggiamenti maschilisti di una società che vuole ancora relegare la donna al ruolo di madre e moglie, costringendola diversamente a delle difficoltà e delle differenziazioni che non passano inosservate, così come il fatto che la violenza perpetrata dal marito, in quanto titolare del diritto di poter abusare della moglie quando questa non si comportava bene secondo i canoni della società o quelli suoi personali, non può essere però tale linea di pensiero letta come la sola possibile giustificazione.
Questa lettura femminista non è in grado di spiegare la violenza nella coppia che apparentemente non patisce alcun disagio sociale né ruolo imposto a danno di uno dei due partner, la violenza nasce da una motivazione e da dei meccanismi psichici ben diversi, variabili da caso a caso ma con delle costanti.
La reazione violenta differisce da una sana relazione sentimentale per l’asimmetria del rapporto che si instaura all’interno della coppia: l’integrità, il rispetto, l’identità dell’altro nella relazione violenza sono fattori personali schiacciati, repressi con l’unico fine di far dominare un soggetto sull’altro svilendola, umiliandola prima ancora, ed in maniera più invalidante, della violenza fisica e delle percosse.
Lo scopo dei maltrattamenti fisici e della violenza psicologica così come quello dell’abuso sessuale è sempre e soltanto il dominio di un soggetto sull’altro.
Il motivo sta in quei processi di condizionamento mentale messi in atto da parte dell’uomo ma che derivano spesso dall’intera società, dall’ambiente culturale di appartenenza e dall’educazione acquisita in famiglia, visti i comportamenti dei genitori che probabilmente non erano molto lontani e diversi da quelli perpetrati dai figli seppure adulti.
Esiste una forma di sottomissione psicologica della donna che le impedisce di lasciare il coniuge violento, che la porta addirittura a tollerare botte ed insulti.
Molti studiosi della materia e terapeuti che hanno avuto in cura sia le vittime che i carnefici affermano che all’origine della violenza domestica vi sia una vulnerabilità psicologica di base, senza la quale non vi sarebbe nessun maltrattamento perché la donna forte e non sottomessa mai accetterebbe un simile comportamento dal compagno.
Stando a tali studiosi è soprattutto dall’interazione tra il disturbo narcisistico di personalità ed il tratto perverso, o stile relazionale perverso, che si può rintracciare l’origine della perversione relazionale, o perversione narcisistica come la chiamerebbe Racamier, e della violenza coniugale.
Quanto alle vittime si è cercato di rintracciare nella loro personalità caratteristiche, elementi che sono una costanza nei casi, aspetti simili o correlati, tratti comuni che possono essere indicatori di una certa vulnerabilità, o condizione accondiscendente a tali forme di abuso, che portano la donna a cercare uomini violenti ed a sottomettersi alla loro violenza, accettandola e ricercandola addirittura quanto l’abitudine malsana della condizione mentale di vittima si è talmente insinuata nella donna da costringerla in quel ruolo e a non poterne fuggire.
In un’ottica di prevenzione è importante riuscire ad intervenire sul quel processo mentale che costringe la donna al ruolo di vittima e che crea un vero e proprio ciclo della violenza per cui il carnefice cerca la vittima che a suo volta ricerca il carnefice.
Occorre studiare quel meccanismo perverso della mente che, per una difesa che di fatto non lo è, porta la donna a ripetere le medesime situazioni devianti, creando il terreno fertile per le recidive, per le nuove aggressioni, per le violenze perpetrate per anni senza nessuna forma di ribellione da parte della donna.
Storia della violenza che riguarda le donne
Il ruolo della donna nei secoli
Si definisce violenza di generale quella perpetrata ai danni delle donne ed è un insieme ampio di atti violenti , molesti, aggressivi, di dichiarazioni offensive e sminuenti, dispregiative, che possono avere diversa natura e modalità di modo e di metodo.
Tutte queste azioni lesive, che corrispondono a dei reati penali specifici o di ampio raggio come lo Stalking, costituiscono le violenze di genere per distinguerle dai fatti a carattere meramente sessuale, di cui comunque fanno parte.
La violenza sessuale consiste in un complesso di azioni per cui il sesso può soltanto rappresentare l’apice, l’atto finale, di un comportamento violento che si realizza con una serie di atti ed atteggiamenti che costituiscono il contesto ma che anch’essi costituiscono violenza.
Storicamente i due termini di violenza di genere e violenza sessuale hanno avuto una diversa rilevanza e considerazione, per non dire una tutela, che solo recentemente viene considerata unitariamente.
Per la mentalità del secolo scorso, non così distante dai nostri giorni, il potere all’interno della famiglia era in mano all’uomo il quale si poteva comportare come padrone di tutte le cose inerenti la questione famigliare, moglie compresa.
Non dimentichiamo che soltanto nel 1946, in Italia è stato riconosciuto il diritto di votare, il 31/01/1945 è stato emesso il primo Decreto Legislativo luogotenenziale che citava per la prima volta il diritto di voto della donna avente almeno 21 anni, confermato poi nel successivo Decreto legislativo n. 74/46 che ha consentito le prime elezioni amministrative e poi quelle costituzionali del 1948.
Nel 1975 vi fu finalmente la riforma della famiglia ha permesso il divorzio, ed è soltanto nel 1978 che con la Legge n. 198 è stato introdotto l’aborto come libera scelta della donna su una responsabilità così grave ed impegnativa come quella della gravidanza e dei figli da seguire e mantenere, Legge ad oggi ancora contestato da anti abortisti uomini che non si sono mai realmente messi nei panni di una donna prima di sparare critiche e pensieri contrastanti o addirittura compromettenti l’esercizio di un diritto della donna riconosciuto per legge.
Per molto tempo la donna è stata esclusa da qualunque carriera riguardasse un certo potere e l’esercizio di esso, ed ancora ai giorni nostri la donna che desidera esprimersi nel lavoro e nella carriera è costretta a limitarsi nella scelta del matrimonio o nella possibilità di avere dei figli.
Perché una donna che lavora deve sempre dimostrare il suo valore dando il doppio, rendendo più dell’uomo per superare la barriera mentale che non ne sia capace o non sia all’altezza, giudizi che a priori difficilmente vengono espressi quando il lavoro