Il souvenir di Parigi
By Jean Hamant
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About this ebook
Meng Xiang faceva sempre quell’incubo. Si rivedeva, bambino, a Parigi, prima che una violenta catastrofe distruggesse la città. Quell’erede di un’enorme fortuna cinese, innamorato della Francia, aveva allora dedicato la sua vita a ricostruire interamente la capitale. Ma il risultato, per quanto fedele, non attirava i turisti. Troppo simile a una Disneyland, mancava di qualcosa per ridare un’anima alla città.
Aiutato dal suo maggiordomo François e da un giovane antiquario di nome Théophile Gautier, si accinge a un’impresa non meno ambiziosa: formare i suoi dipendenti a diventare parigini!
Tra The Truman Show e Il favoloso mondo di Amélie, Il souvenir di Parigi, terzo romanzo di Jean Hamant, delinea un quadro sfalsato e satirico a un tempo di ciò che definisce un parigino e la sua immagine agli occhi dei turisti stranieri.
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Il souvenir di Parigi - Jean Hamant
JEAN HAMANT
IL SOUVENIR DI PARIGI
© 2016 Jean Hamant
Tutti i diritti riservati
A May, la mia più fedele lettrice.
Ispirato a una storia vera...
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
1
––––––––
Parigi, un pomeriggio di luglio. L’agitazione è quella di un formicaio: incessante, turbinante, frenetica. Quanto al caldo, è soffocante; solo una leggera brezza offre, a tratti, un po’ di tregua. Parigi sembra strana sotto la calura estiva, quasi irreale. Il clima afoso, i rumori del traffico, la promiscuità creano uno stridente contrasto con la serena aurea di pace dei luoghi imperdibili della città: la Senna scorre tranquilla, la Tour Eiffel si erge al di sopra della folla, la cattedrale di Notre-Dame sfida il tempo, come una nonna che guarda divertita i nipoti che giocano davanti a lei.
Parigi è questo: una contraddizione costante, un equilibrio precario tra un continuo brusio e la tranquillità senza tempo della pietra che eleva splendidamente la città.
Controcorrente rispetto agli abitanti e ai turisti in gran fermento, un giovane viaggiatore cinese se ne sta fermo. In cima alla collina di Montmartre, ammira, sopraffatto, il paesaggio... Non sa né dove né cosa guardare, per quanto sono numerose le meraviglie da contemplare. I suoi occhi non riescono a fermarsi, continuamente in movimento, continuamente attirati da un altro punto dell’orizzonte. A quest’ora, il sole ha già iniziato a tramontare. È ancora giorno, ma la luce è più soffusa; tinge la città di rosa e arancione, esaltandone la bellezza. Per un adolescente di dodici anni, l’atmosfera ha un che di fantastico: Meng Xiang ha l’impressione di essere sprofondato in un sogno.
È arrivato da Shanghai tre giorni prima, con i suoi genitori che gli hanno organizzato il viaggio a sorpresa. Per le notti insonni accumulate, tra la differenza di fuso orario e l’eccitazione di essere là, gironzolano, stravolti, come tanti altri loro connazionali, in questa grande terra sconosciuta.
Saltando su un piede solo sui ciottoli dei quartieri popolari, i suoi occhi a mandorla analizzano ogni singolo dettaglio, con la freschezza innocente della sua giovane età. Munito della macchina fotografica ricevuta in regalo per l’ultimo compleanno, è in missione per fare un reportage per i suoi compagni di classe. Assorbe come una spugna l’atmosfera di Parigi: gli scoppi dei motori delle moto, gli spintoni degli abitanti, sempre di fretta, l’odore di un chiosco di dolciumi dietro di lui, mentre prepara le sue praline. Né le urla degli artisti amatoriali dai baffi lucidati, né il fisarmonicista che intona Mon amant de Saint-Jean per la duecentoventisettesima volta, oggi, possono turbare la sua attenzione e la sua concentrazione. Sono parte di un tutt’uno.
I suoi genitori stanno ascoltando attentamente il discorso della guida, che evoca il lato sacro della collina di Montmartre, luogo di culto dalla notte dei tempi, che affascina tutti i bambini della sua età che stanno partecipando alla visita. Ma Meng Xiang non ne è particolarmente attratto; è altrove, fuori dal tempo. Sotto i suoi occhi, la città si estende in tutta la sua lunghezza. Ai piedi della collina, vicino alla giostra, una giovane coppia di sposi si mette in posa. Bisogna farsi immortalare qui, su questa terra sacra, in questo preciso istante. Conservare un po’ di quest’anima parigina dentro di sé, come a voler benedire la loro felice unione. Per la coppia, sarà probabilmente uno dei momenti più belli della loro vita.
Ma il gruppo di turisti si è già rimesso in marcia. Sballottati tra ponti, strade ed edifici, sfrecciano a tutta velocità, per non perdersi nulla della città. Una passeggiata tanto estenuante quanto inebriante, dove tutto ha una storia. Una piccola sosta all’Ile Saint-Louis per degustare un gelato da Berthillon, considerato dalla guida uno dei migliori gelatai della capitale, per poi riprendere con maggior energia a percorrere l’asfalto parigino. La macchina fotografica si surriscalda: cosa immortalare di tutte queste cose? Ha già costeggiato le cose più belle o gli resta ancora molto da scoprire? Ogni novità lo eccita, come i venditori di libri usati del quai des Grands Augustins, questi guardiani della memoria, che lo incantano. Tutte queste immagini, tutte queste emozioni, si è ripromesso di conservarle, intatte, per lui e per i suoi cari.
Alla curva di un vicoletto, il gruppo si ferma in uno dei piccoli negozi di souvenir di cui pullula il quartiere. Sua madre indugia davanti a una borsetta rosa ornata di profili di parigine alla moda, mentre suo padre fa girare l’espositore di cartoline nella speranza di scovare quella più divertente. Il ragazzino, invece, è affascinato da una palla di neve, che si diverte a capovolgere all’infinito per vedere i fiocchi posarsi delicatamente su un Arco di Trionfo, un Sacro Cuore e una Tour Eiffel lillipuziani. Un simbolo racchiuso in una campana di vetro, per conservarlo meglio. Immacolato. L’intero universo potrà pure trasformarsi, ma, si ripromette, questo piccolo pezzo di Francia, così tipico, sarà sempre immune al passare del tempo.
E pensare che tutto questo sta per finire. Tre miseri giorni per scoprire gli splendori della capitale! Questa sera, la sera del 14 luglio, tutto finirà. Il 14 luglio così caro ai parigini, il 14 luglio simbolo della Rivoluzione francese, quando la popolazione ribelle, restia all’ordine stabilito, si era rivoltata contro Colui che incarnava il potere dispotico sclerotizzato e contro Colei che consigliava agli abitanti affamati, in mancanza di pane, di mangiare delle brioche. Meng Xiang ha scoperto questo aneddoto su un opuscolo trovato alla reception dell’hotel, la sera del loro arrivo.
Questo 14 luglio, attorno ai fuochi d’artificio, il ragazzino lo aspetta a piè fermo da quando conosce questa pietra miliare della Storia della Francia.
Eccoci, finalmente!
Meng Xiang e i suoi genitori, dopo aver cenato su una chiatta ormeggiata lungo la Senna, si sono trasferiti al Trocadéro. Ovviamente affollato, come ogni anno, come se tutta la città si fosse data appuntamento lì. La calura del giorno svanisce gradualmente. Meng Xiang si unisce all’assembramento, troppo felice di far parte del Popolo di Parigi
. Questa sera, prenderà parte ai festeggiamenti di questo Paese, che lo incuriosisce e lo appassiona allo stesso tempo.
Ore 23. Inizia lo spettacolo. Meng Xiang è ammaliato; sotto i fuochi d’artificio che li illuminano, i monumenti rivelano un’altra dimensione, e la loro bellezza, quasi irreale, esplode ancora di più ai suoi occhi.
E poi, all’improvviso, appare lei: la Tour Eiffel. Domina il paesaggio, un maestoso mucchio di ferraglia, radiosa come un totem sacro. La Ville Lumière offre al ragazzino il suo simbolo eterno. Egli cerca la mano della madre per condividere al meglio questa emozione che lo stringe dinanzi a questo spettacolo grandioso. Ma, ben presto, da buona compagna del viaggiatore in erba, la sua macchina fotografica gli ricorda che deve darne testimonianza.
La impugna e la porta all’altezza degli occhi. Da qui, la vista non è male, anzi è bellissima, ma può certamente trovare di meglio. Si avvicina al bordo del piazzale. Una scarica blu, come una pennellata impressionista, sale di nuovo in cielo. Potrà immortalare per sempre questo quadro sulla pellicola, quando gli resta solo una foto da scattare? Meng Xiang indietreggia un po’ per trovare l’angolazione migliore. Un gruppo di curiosi, anche loro desiderosi di godersi la serata, si posiziona davanti all’obiettivo. « Cazzo», dice tra sé e sé, in perfetto francese. Si sposta allora di lato, sperando così di avere più fortuna, quando altri spettatori, a caccia della migliore angolazione, gli si appiccicano addosso. Poi altri e altri ancora. Riuscirà a scattare questa dannata foto? Sembra proprio che la sfortuna lo perseguiti. Meng Xiang impreca tra sé e sé. Riuscirà, sì o no, a immortalare un pezzettino di Parigi, senza quella moltitudine di parigini che lo affolla? Come fanno gli autori delle cartoline a offrire quella perfetta ripresa dal basso verso l’alto di Notre-Dame, che si intravede tra il fogliame? È forse l’illusione di un fotomontaggio? O aspettano il momento propizio, passando ore a scrutare il minimo movimento umano, prima di poter fotografare il monumento nella sua nudità? Il giovane turista decide di scattare la sua foto, nonostante non sia perfetta. Dopotutto, se l’era ripromesso e se la merita, e poi non ha la pazienza di un fotografo di animali.
Quando gli accordi dell’Orchestra Nazionale di Parigi arrivano a sottolineare il gran finale dei fuochi, all’improvviso, risuona il boato di una tremenda esplosione, seguito da un bagliore.
Lasciai andare la macchina fotografica, che cadde al suolo, ricorda vagamente Meng Xiang. E poi? Un grido disperato lanciato simultaneamente dalle migliaia di uomini e donne lì riuniti. Poi il trambusto generale. Cos’era successo?
Istintivamente, Meng Xiang cerca con lo sguardo i suoi genitori. Non ha il tempo di scorgerli che sua madre urla già nella sua direzione.
— Xiang! Vieni subito qui!
Un immenso frastuono regna su quella piazza dove, un paio di secondi prima, il giovane cercava di scattare la foto che, secondo lui, sarebbe stata il simbolo del suo viaggio. La loro guida, solitamente gioviale, sembra pietrificata, incapace di dire neanche una parola.
In preda al panico, la folla si raduna intorno a loro, cercando di rifugiarsi nella stazione della metro più vicina. Per fortuna, quella del Trocadéro spalanca verso di loro la sua bocca, pronta a inghiottire i cittadini smarriti.
Per la prima volta, vidi i miei genitori venire meno davanti a me. Totalmente disorientata, incapace di contenere la sua agitazione, mia madre crollò per prima. Il viaggio che lei mi aveva regalato con mio padre, consapevole del mio interesse per la Francia e la sua cultura, dall’alto dei miei dodici anni, assumeva una dimensione drammatica.
Meng Xiang e la sua famiglia, nel più totale smarrimento, sono letteralmente ammassati dai soccorritori nei corridoi della metropolitana, sui marciapiedi, fino alle scale mobili, che il bambino si era divertito a immaginare come montagne russe durante il suo breve soggiorno. Ma, quella sera, immobili, hanno perso la loro magia. Le sirene di allarme vomitano i loro decibel, mentre vengono diffusi messaggi di appello alla calma, aggiungendo solo confusione al panico.
Mio padre si mise a mormorare una frase incomprensibile. Interrogai mia madre con lo sguardo: lei capì che dalla sua bocca usciva un dialetto dello Jiangxi, di cui era originario mio nonno. Papà però si era sempre ben guardato dall’utilizzare quel dialetto in nostra presenza. Il momento era decisamente gravissimo.
La gente parcheggiata sottoterra, con un’angoscia che non cerca neanche più di dissimulare, attende lo sviluppo degli eventi. Quanto ai parigini presenti sul piazzale al momento dell’esplosione, essi non sono meno inquieti.
All’improvviso, i muri della metropolitana iniziano a vibrare. Una leggera scossa tellurica si aggiunge al fragore dell’esplosione. La madre di Meng Xiang se lo stringe al petto. I loro compagni di sventura trattengono il respiro mentre la terra trema; alcuni, in un accesso di misticismo, implorano un’ultima volta il loro dio di risparmiarli. Il tutto è durato appena qualche secondo, lungo quanto l’eternità.
Poi il silenzio.
Assordante.
Plumbeo.
Disturbato soltanto dal tintinnio sordo delle luci intermittenti della metro.
Alzai la testa lentamente, cercando mio padre con lo sguardo. Era sempre là, accanto a me. Eravamo vivi e, in quel momento, era l’unica cosa che contava.
In uno slancio un po’ vano, tutti cercano di contattare l’esterno, chi un amico, chi un parente, per avere delle informazioni, ma le comunicazioni sono interrotte, perfino gli interfoni di emergenza, che sono fuori uso. Per miracolo, i muri hanno retto. Un vago mormorio comincia a elevarsi da quegli uomini e quelle donne venuti a festeggiare la Storia e ormai sfollati a circa sei metri sotto terra e presto il mormorio diventa un frastuono incomprensibile. La situazione è ancora caotica, ma una cosa è certa: parigini e turisti sono come prigionieri. Decisamente temerario colui che oserà risalire in superficie.
Ciononostante, un gruppo di una decina di persone si offre volontario. Bisogna vedere ciò che resta dei dintorni. Loro sono sopravvissuti, ma che ne è di Parigi?
I miei genitori mi presero per mano e si unirono al gruppo. Vedevo l’apprensione sui loro volti. Cosa avremmo scoperto in superficie? Quel viaggio desiderato per tanto tempo e che doveva concludersi in grande quel 14 luglio stava diventando un incubo. « Bei fuochi d’artificio, comunque! » mi era parso di sentire dire a un uomo, che sottolineava così l’ironia della situazione.
Il gruppo così composto esce fuori.
E vede...
O, piuttosto, non vede, poiché non c’è più niente da vedere.
Un vento diabolico ha spazzato via Parigi.
La mia città, quella città che avrei tanto voluto fare mia... La Tour Eiffel, che contemplavo qualche istante prima, era stata spazzata via. La notte componeva un quadro infernale, con Parigi che si consumava, avvolta dalle fiamme. Un attacco terroristico? Un castigo divino? Alla fine, i motivi non interessavano: per il momento, contava solo il risultato, che superava la comprensione.
Niente ha potuto proteggere i luoghi. Parigi, la sua storia, i suoi monumenti, le sue pietre antiche e i suoi bar di quartiere, le sue strade acciottolate pensate per il gioco della campana, i suoi piccioni che fissano le briciole... tutto questo è ormai solo un sogno lontano e un incubo innegabile. Il viaggio è bruscamente finito, il mondo di Meng Xiang è crollato. E anche la sua innocenza.
Ripensavo alla foto che avrei dovuto scattare o che avevo scattato: mi sembrava di aver avuto il tempo di premere l’interruttore. Ora era probabilmente sepolta, con la macchina, sotto un mucchio di detriti fumanti. Una nuova Pompei si delineava davanti a me, e la mia foto sarebbe forse ricomparsa tra qualche secolo, come testimonianza archeologica di un’epoca e di una città scomparse per sempre.
Parigi era stata derubata, e io con lei.
L’amore breve ma intenso che avevo vissuto con quella città, come un rapido idillio, non esisteva più.
2
––––––––
Meng Xiang si era svegliato da un sonno agitato. Sempre il solito incubo: la sera del 14 luglio, lui bambino con i suoi genitori, sul piazzale del Trocadéro, l’esplosione, poi il panico. Un rifugio trovato nei corridoi della metropolitana vicina. Infine, la scoperta di una Parigi devastata. L’apocalisse.
Con le sue mani rugose, si toglie le cuffie con cui si addormenta tutte le sere. I suoi occhi si aprono dolcemente sull’arredamento Art Nouveau della sua camera. Uno stile che gli piace particolarmente, soprattutto le graziose coppe di vetro di Emile Gallé. Uno stile di un’epoca passata e, tuttavia, molto attuale, dove il progresso tecnico si confonde in modo sottile con l’arte, e l’Oriente con l’Occidente.
Monsieur Meng è disteso accanto a una bombola d’ossigeno, che testimonia il declino della sua salute. L’anziano uomo si alza con difficoltà. Il risveglio è sempre brusco: in pochi secondi, lascia il suo corpo da bambino per quello di un vecchio. Novantatré anni la settimana scorsa. Un compleanno che le sue articolazioni dolenti gli ricordano continuamente. Afferra il bastone e fa qualche passo dall’equilibrio compromesso. L’anziano barcolla in quella stanza troppo grande per lui, cercando di radunare gli ultimi dolci istanti del ricordo svanito. Un trauma radicato in lui, come una macchia indelebile.
Si avvicina alla finestra, che lo distrae con i rumori della città, e scruta l’orizzonte con uno sguardo malinconico. Quell’incubo... Parigi...
pensa tra sé e sé.
Le forze sembrano abbandonarlo. E, tuttavia, la Parigi che ha sempre immaginato è lì, ai suoi piedi, splendida e ancora addormentata.
Il suo sogno di bambino.
Si dirige verso un piccolo secretaire su cui si trova il più prezioso dei suoi souvenir. Agita la palla di neve e osserva i fiocchi lucenti che cadono