La gabbia di Cassandra
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Anteprima del libro
La gabbia di Cassandra - Liviana Ferdeghini
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatrosilfilo.it
ISBN 978-88-567-8283-7
I edizione elettronica aprile 2017
Capitolo 1
Il quartiere delle feste
Le stelle opache e la luna velata dalle nubi non riuscivano a scalfire il buio fitto del vicolo che si snodava stretto fra le vecchie case del quartiere dietro la piazza. Ma Wolf non aveva intenzione di desistere; era certo che i due fossero andati da quella parte. Se si concentrava riusciva ancora a distinguere i loro passi veloci nel frastuono del quartiere delle feste che giungeva appena attutito fino a lì. Poco dopo la stradina prendeva a salire a spirale seguendo la forma di un edificio sghembo. Wolf proseguì ostinato appoggiandosi con la mano al muro che si sfarinava sotto le sue dita e maledicendo la sbadataggine del compagno che gli aveva messo fuori uso la lampada. Attento a non inciampare, procedeva cauto, quando d’un tratto si ritrovò bersaglio di pugni da entrambi i lati; passato il primo momento di sorpresa si rese conto però che non facevano poi tanto male: sembravano mani di bambini. Con un movimento ampio e possente allontanò da sé gli aggressori e intanto li afferrò per le braccia, stringendoli con le sue grandi mani, che provocarono gemiti di dolore. Wolf trascinò quel groviglio di membra verso un balcone di roccia che si affacciava sulla piazza sottostante. Al fioco chiarore che arrivava dal basso riconobbe due volti adolescenti, poco più che bambini.
Che ci fate in giro a quest’ora? Non lo sapete che è proibito per voi uscire di notte?
li apostrofò rude, ma mentre formulava la domanda sapeva già che non avrebbe ottenuto risposta. Lo leggeva nelle loro labbra serrate, nelle membra contratte, ma soprattutto glielo dicevano gli sguardi di sfida negli occhi scuri e scintillanti dei due ragazzi. Era sempre così: quella gente non apriva bocca, fingeva di non capire anche se uno si sforzava di parlare la loro lingua. Wolf ci provava sempre a parlare con i nativi, anche se questo non era benvisto dai capi. Lo faceva non tanto per comunicare con loro, che era impresa impossibile, ma perché i suoni della loro lingua avevano per lui il fascino di una melodia. Mentre si diceva che era inutile insistere, sentì i passi cadenzati della pattuglia che si stava avvicinando, come lui temeva, scendendo proprio per quel vicolo. D’istinto coprì i ragazzi con la sua mole e con l’indice teso di traverso sulle labbra, fece loro segno di tacere. Ma anche così erano decisamente esposti. Tutti e tre rimasero un attimo paralizzati, uniti dalla stessa tensione; poi uno dei due ragazzi si scosse, fece cenno di seguirlo e attraversò rapido la stradina mentre i passi si facevano sempre più vicini. Il ragazzo si infilò in un corridoio strettissimo fra il vecchio muro e una torre che occupava parte della spirale dei gradini, spinse una porta verso l’interno e si gettò dentro trascinando con sé il compagno. Un attimo ancora ed ecco apparire i primi soldati. Wolf era rimasto nel vicolo e temeva che si fosse sentito il cigolio della vecchia porta.
Chi va là?
chiese il sergente.
Wolf si affrettò a farsi riconoscere.
Aiutante Kleist, agli ordini sergente Xu.
Che ci fa Lei qui, a quest’ora?
Stavo perlustrando la zona. Mi pareva di aver sentito dei rumori, ma qui è tutto a posto.
Bene socio.
Wolf trattenne il respiro perché di tutti i sergenti che potevano capitargli, quello era proprio il più diffidente e fanatico. Per fortuna era una sera di festa e la pattuglia aveva ancora un giro lungo davanti a sé. Dopo un’occhiata che trapassava l’anima, il sergente gli lanciò un Tenga gli occhi aperti!
e dette ordine ai suoi di ripartire. Wolf salì per qualche gradino, poi, quando i passi dei soldati si furono dispersi, tornò indietro guardingo e a fatica si infilò nel pertugio dove erano spariti i ragazzi. Con cautela aprì la porta ed entrò in un andito angusto e polveroso da dove partiva una scala a chiocciola con molti gradini di legno rotti che lasciavano scoperta la vecchia struttura metallica. Dietro la scala erano rannicchiati i ragazzi, stretti l’uno contro l’altro, immobili, rigidi, sembrava che neppure respirassero. Colpiti da un raggio di luna, tenevano la testa nascosta l’uno nell’incavo del braccio dell’altro, come due bambini che volessero rendersi invisibili coprendosi gli occhi. L’immagine strappò a Wolf un mezzo sorriso.
Scampato pericolo – disse – se ne sono andati
.
Solo allora Wolf sentì allentarsi la tensione dei loro corpi e il respiro tornare a sollevare i loro petti.
Perché l’hai fatto?
chiese quello che pareva il più grande dei due. Il suono della voce lasciò Wolf sbigottito: impossibile sbagliare, quella era una ragazza.
L’abbigliamento trasandato, i capelli corti, il viso magro l’avevano tratto in inganno; ma ora guardando meglio notò i lineamenti delicati, le labbra morbide, gli occhi grandi con le ciglia lunghe e folte. Istintivamente, come per sincerarsi della scoperta, allungò una mano ad accarezzarle il viso. La ragazza si scansò bruscamente e con un tono che voleva suonare minaccioso gli disse:
Non ci provare!
Per la seconda volta nel giro di pochi minuti Wolf si ritrovò a sorridere: il coraggio di quella ragazza era spropositato rispetto alla forza che poteva mettere in campo. Wolf decise di dire la verità:
Non mi ero accorto che sei una ragazza. Lo sai che per te è ancora più pericoloso disattendere gli ordini? Riesci a immaginare cosa ti sarebbe successo se ti avessero trovato loro?
In risposta la ragazza strinse le labbra e si rannicchiò di nuovo mettendo la testa fra le ginocchia. Quando ormai Wolf non aspettava più risposta venne