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Contrasti - Storie di calcio sospeso
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Contrasti - Storie di calcio sospeso

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About this ebook

Chi dice che il calcio non è uno sport individuale? Lo chiede Pippo Russo nella prefazione del libro. Ci sono certamente undici giocatori per squadra, ma quanto conta la singola persona nel contesto di una gara?
A incidere sui destini di una partita e di un lavoro di gruppo possono essere stati d'animo individuali, momenti della vita personale, passaggi di esaltazione o frustrazione, una differente propensione a integrarsi nel gruppo o fare da sé, e decine di altri fattori invariabilmente legati alla dimensione soggettiva.
Luca Vargiu autore sempre attento a raccontare le quotidiane zone d'ombra del calcio, con Contrasti si misura con una sfida ambiziosa: raccontare una serie di caratteri che a un dato momento della loro vita, prima ancora della loro carriera, si trovano sul limite di un passaggio che li cambierà. Lì indugiano, si macerano, si chiedono a ripetizione se davvero vogliano spiccare il salto, o se non sia meglio rimanere come sono in quel momento. E fanno tutto ciò consapevoli di essere irrimediabilmente soli, in un frangente dove la loro vita potrebbe cambiare per sempre. Perché i tormenti sono in primo luogo esistenziali. E il calcio può al massimo amplificarli, ma certo non li inventa. L'autore ha una mano felicissima nel lasciare intuire questa sottile differenza. E nel raccontare l'immensa solitudine del calcio.

Il ricavato di “Contrasti - Storie di calcio sospeso” andrà alla ONLUS "Un Cuore Grande Così" nata nel 2004 da un gruppo di tifosi del Genoa che ogni stagione raccoglie fondi per acquistare abbonamenti del Genoa CFC da destinare a centri di assistenza per ragazzi con disabilità di varia natura permettendo così loro di passare qualche ora di svago guardando una partita di pallone allo stadio.
LanguageItaliano
PublisherLuca Vargiu
Release dateApr 1, 2017
ISBN9788826044798
Contrasti - Storie di calcio sospeso

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    Contrasti - Storie di calcio sospeso - Luca Vargiu

    così 

    Prefazione

    di Pippo Russo

    Ma chi l’ha detto che il calcio non è uno sport individuale?

    L’interrogativo pare strampalato, dato che il calcio si gioca fra due formazioni organizzate e composte da 11 elementi per squadra. E dunque non dovrebbe esservi dubbio sul fatto che si tratti d’uno sport di squadra, fondato su una preponderante dimensione collettiva. Però questa risposta semplificherebbe parecchio, e impedirebbe di cogliere il vero mistero del calcio.

    L’essenza che ne fa il gioco più bello del mondo.

    C’è infatti che tutti gli altri sport di squadra sono collettivi per davvero, e le ragioni di ciò stanno nella struttura di queste discipline. Che si giocano su campi di piccole dimensioni e impongono limiti di tempo allo sviluppo dell’azione d’attacco, come è nel caso del basket o della pallanuoto. O annullano il confronto fisico oltre a imporre dei vincoli ferrei nella conduzione dell’azione, come nella pallavolo. Persino lo sport che più somiglia al calcio per dimensioni del campo e abbondanza di atleti per squadra, quello che scaturisce da una radice comune (il rugby), trova nel divieto di passaggio in avanti un limite espressivo. Tutte queste discipline sportive, in virtù dei vincoli imposti ai giocatori e alle squadre, richiedono una ferrea organizzazione collettiva per la ricerca del risultato. Senza quella, e sperando di potersi affidare soltanto al talento del singolo, non ci sarebbe modo di battere l’avversario.

    Il calcio è diverso. È uno sport di squadra atipico soprattutto perché la sua struttura lascia uno spazio incolmabile al fattore umano, ciò che lo rende resistente a ogni tentativo di scientificazione. E questa refrattarietà alla razionalizzazione crea lo spazio per la sopravvivenza dell’individualismo. Il calcio è una delle ultime oasi d’umanesimo in cui si assegna alla persona un peso determinante. Nel bene e nel male. Perché a incidere sui destini di una gara e di un lavoro di gruppo possono essere stati d’animo individuali, momenti della vita personale, passaggi di esaltazione o frustrazione, una differente propensione a integrarsi nel gruppo o fare da sé, e decine di altri fattori invariabilmente legati alla dimensione soggettiva.

    Allo scavo di questa complessa sfera individuale sono dedicati i racconti collezionati in questo libro da Luca Vargiu. Che è un autore sempre attento a raccontare le quotidiane zone d’ombra del calcio, e stavolta si misura con una sfida ambiziosa: raccontare una serie di caratteri che a un dato momento della loro vita, prima ancora della loro carriera, si trovano sul limite di un passaggio che li cambierà. Lì indugiano, si macerano, si chiedono a ripetizione se davvero vogliano spiccare il salto, o se non sia meglio rimanere come sono in quel momento. E fanno tutto ciò consapevoli di essere irrimediabilmente soli, in un frangente dove la loro vita potrebbe cambiare per sempre.

    Tutto ciò avviene dentro quella sfera magica che è il mondo del pallone. Che è soltanto una parte della questione. Perché i tormenti sono in primo luogo esistenziali. E il calcio può al massimo amplificarli, ma certo non li inventa.

    L’autore ha una mano felicissima nel lasciare intuire questa sottile differenza. E nel raccontare l’immensa solitudine del calcio, il gioco più bello e individualista del mondo.

    Introduzione

    di Lorenzo lari

    Dove non è contrasto, non è vita.

    Arturo Graf, Ecce Homo, 1908

    Luca Vargiu e il mondo del calcio hanno una relazione complicata.

    Una relazione dove i contrasti e le difficoltà hanno il 75 per cento di possesso palla.

    Una relazione dove per non crollare bisogna essere maledettamente forti.

    Ho conosciuto Luca più o meno 4 anni fa, quando ci propose un’interessante collaborazione con il nostro blog sportivo e in questo lasso di tempo è stato facile farmi un’idea sulla persona. Oggi sono arrivato alla conclusione che Luca è un tipo: schivo per natura, probabilmente troppo umile e sicuramente molto intelligente.

    Bene, ora fermatevi un attimo. Pensate brevemente a quello che ci offre ai giorni nostri il mondo calcistico, dove l’esibizionismo più sfrenato e una preoccupante ignoranza collettiva sono all’ordine del giorno. Pensate a come una persona come Luca possa integrarsi in tutto questo.

    Molto complicato, a meno che non si è mossi da una grande passione e non si possieda una qualità che sempre in meno possono vantare: il riuscire (ancora) a scandalizzarsi.

    Se è facile parlare del calcio che vorremmo e di quello che dovrebbe essere, più difficoltoso risulta dare un seguito alle semplici parole. Luca in Contrasti ci racconta di storie sospese, in cui saranno momenti precisi a segnare nel bene o nel male la vita sportiva – e non solo – dei protagonisti. Storie in cui noi lettori vivremo in una riga precisa del racconto, un momento di sgomento. Un momento di rivelazione in cui non sarà possibile schierarsi. In cui l’emozione, la rabbia o la delusione prenderanno il sopravvento.

    In aggiunta, Luca nel suo racconto prova a fare quello che fa ogni maledetto giorno.

    Prova a combattere l’omofobia e lo fa rivolgendosi agli omofobi in mondo prettamente omofobo

    Prova a dare risalto alle tante truffe presenti dove l’omertà regna sovrana

    Prova nel suo piccolo a urlarci come questo sia un calcio tremendamente malato.

    Ora sta a noi ascoltarlo. 

    Uno

    N. 86

    Guardo fuori dalla finestra.

    Accendo la sigaretta.

    Leggo il messaggio ricevuto sul telefono mentre il primo tiro mi riempie i polmoni di fumo.

    Riguardo fuori e soffio sul vetro quel che resta della boccata di veleno che in piccola quantità mi concedo ogni giorno.

    Lo immaginavo, non smette da questa mattina.

    "It’s snowing, we don’t play tonight."

    L’inglese è per il mio compagno russo, uno dei due che divide l’appartamento con me, l’altro non ci prova nemmeno a parlare una lingua diversa dalla propria, per questo motivo il traduttore ufficiale è il primo.

    "Esta nevando, esta noche no entrenamos" è invece il messaggio indirizzato al quarto coinquilino che, per fortuna oltre all’incomprensibile e intraducibile lingua del posto, avendo origini colombiane un po’ di spagnolo lo mastica. Una scialuppa di salvataggio tra le varie lingue della casa.

    Цас орсон, бэлтгэл хийхгуй è quello che invece ricevono gli altri componenti della squadra che qui non ci sono arrivati da chissà dove ma ci sono nati.

    Dal balcone del decimo piano di questo palazzone si vede la città diventare sempre più bianca. Rinunciamo alla cena fuori, niente ristorante stasera meglio stare a casa. Nel frigo qualcosa da mangiare c’è: due buste di lapsha la pasta fresca del posto (una sorta di tagliatella un po’ più spessa), carne di capra, patate e wurstel da bagnare con acqua, coca cola, tè e per chi vuole – ed è abituato – horse drink un tè con latte di cavallo da bere caldo, molto caldo, chiamato anche airag e con anche varianti alcoliche. Non certo cibi e bevande che garantiscono una rigorosa cena da atleta, ma va bene lo stesso.

    Cucino io. Già non è pasta immagino cosa potrebbe diventare nelle mani di due russi, a loro lascio il compito meno rischioso di abbrustolire i wurstel e friggere le patate. Qualche parola in inglese tradotta gesticolando e il supporto della tecnologia che con Google Translator riduce le distanze tra di noi, e la cena è servita, gustosa e improvvisata.

    Poi, nel silenzio che scende nella casa, ognuno si prende i propri spazi: qualcuno esce a fare due passi nella neve, uno resta in sala a guardare la televisione mentre io mi chiudo in camera con il migliore amico di chi viaggia tanto senza famiglia al seguito, il mio pc. Mi serve per navigare un po’ in rete nell’attesa che arrivi l’ora per accendere la webcam e collegarmi per salutare le persone cui sono legato e, devo ammetterlo, che un po’ mi mancano. Non sempre ci riesco, anzi spesso la connessione non funziona a meraviglia e bisogna farsi bastare solo la voce o procedere con lunghissime conversazioni scritte su Messenger o WhatsApp. Le mie notti le passo quasi sempre così, a chiacchierare con parenti, amici che di sicuro non rivedrò fino al mio rientro ma soprattutto con la mia fidanzata che forse riuscirà a raggiungermi tra qualche mese.

    Forse.

    Succederà quando avrà le ferie e se il biglietto aereo per arrivare fino a qui non avrà costi troppo alti, cosa probabile considerando che sarà agosto.

    Vado a letto molto tardi, sette ore di differenza di fuso orario ti costringono a fare le ore piccole. Quando qui è mezzanotte in Italia la mia ragazza ha ancora davanti a sé un’ora di lavoro prima di poter abbandonare l’ufficio. Il che significa che inizieremo a sentirci quando rientra a casa, se va bene, o mentre cena. Qui sono le due di notte.

    La famiglia lontana e la difficoltà a portarmi dietro quella che sto costruendo è uno dei prezzi più alti da pagare per la scelta che ho fatto: rincorrere un sogno cioè correre dietro al pallone. Che poi significa girare il mondo guadagnando non abbastanza da permettermi di mantenere qualcuno al mio fianco. Ma sono fortunato, lei mi sostiene e aspetta. Sempre.

    Perché sono venuto qui?

    Me lo sono chiesto fin da subito, appena sceso dall’aereo lungo il tragitto dall’aeroporto alla citta quando mi sono ritrovato in mezzo al nulla, al buio respirando l’aria pesante e inquinata del capoluogo di questa

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