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Dove i cieli svaniscono
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Dove i cieli svaniscono

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About this ebook

Un anno è passato dai tragici eventi che determinarono la distruzione di Peacock Side. Lentamente, la vita nella cittadina ritorna alla normalità.
Mentre l'ingegnere Daniel Lowe, originario di Peacock Side, è incaricato da un'importante ditta di realizzare i primi progetti di ricostruzione, il tredicenne Jody Ryker, spinto dalla curiosità, tenta di capire cosa sia successo veramente alla sua città, e dove siano davvero finiti alcuni personaggi svaniti nel nulla: Jonathan Renter, il professore di Geologia del liceo; l'irlandese Matthew O'Weary, sedici anni, giunto a Peacock Side pochi mesi prima dei drammatici fatti; e Bree Shavres, la misteriosa ragazza che aveva collaborato con i due alla risoluzione di un mistero che annidava le proprie radici in un oscuro passato vecchio di decenni. 
La verità che i due scoperchieranno, unendosi nel corso delle settimane a un ombroso maestro venerabile di un'obbedienza massonica poco nota, farà impallidire gli orrendi misteri venuti alla luce un anno prima. 
Dove sono i due ragazzi? Cosa cercavano davvero i nazisti in Tibet? Quale mistero era conosciuto da popoli antichissimi, che dalle steppe asiatiche colonizzarono l'Europa e l'America? Cosa si nasconde nelle viscere del pianeta, che costringerà Renter a recarsi in capo al mondo per scoprire la verità e tentare di arrestarla?
In un vortice di tensione, tra sette di zingari ostili, iscrizioni runiche, megaliti, enigmi insondabili, ognuno dei personaggi sarà costretto a scavare dentro se stesso e mettere in gioco ogni propria convinzione per disseppellire una verità semplicemente inimmaginabile.

NOTA: La presente edizione del libro è identica alla prima, al netto della totale correzione di refusi e sviste editoriali precedentemente presenti.
LanguageItaliano
Release dateMay 8, 2017
ISBN9788826067247
Dove i cieli svaniscono

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    Dove i cieli svaniscono - Roberto Berenzin

    Roberto Berenzin

    Dove i cieli svaniscono

    Versione revisionata

    UUID: d3dd418a-3433-11e7-badd-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Capitoli

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

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    10

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    13

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    29

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    31

    32

    33

    A V.,

    in attesa di capire perché le persone più meravigliose

    siano anche quelle che devono soffrire di più.

    Vaer dej stjernar vaerdan

    Laydeat zij mijn ravan

    Oever helder bergar

    En i den guldyn luiht

    Moragaens skhinn

    Glantin luiht oevrall

    En vej daar voert

    I groenen veld

    […]

    Foraan

    Wulfan

    Vaer dej svertar staan

    Vaer Stjernar Vaerdan , Falkenbach, 2013

    1

    Peacock Side, dicembre 1995

    Jody Ryker era quello che si potrebbe definire un solitario. Era una definizione che lui stesso si attribuiva, quando gli chiedevano perché passasse la maggior parte del tempo in casa, guardando documentari e telefilm alla TV, o leggendo i suoi libri.

    Jody era onesto con se stesso. Aveva pochi amici, probabilmente una mezza dozzina al massimo, e di solito non ci usciva molto insieme; passava perciò di solito i pomeriggi in casa, e anche se qualche volta gli pesava un po’, questo gli consentiva di portare avanti certe sue peculiari passioni che necessitavano di tempo e ricerca. Sfogliava a lungo i pesanti volumi di un’enciclopedia che suo padre aveva acquistato da ragazzo da un venditore porta a porta, e passava talvolta ore a fare le pulci a certe pagine sulla nascente rete globale che si diceva collegasse tutti i computer del mondo come i nodi di una maglia, e si rivelava ricettacolo di informazioni assolutamente non trascurabile.

    Fino all’anno precedente Jody aveva giocato a pallamano, dove risultava essere un discreto pivot – soprattutto in difesa – ma quello sport aveva smesso da tempo di piacergli, se mai lo aveva fatto davvero. Ci era rimasto tanto a lungo più per l’amicizia con un paio di compagni più piccoli e con l’allenatore, un ex carpentiere paraplegico di origine russa che aveva conosciuto all’età di tre anni. Lo sviluppo asimmetrico di braccia e spalle aveva iniziato a notarsi, così aveva deciso di mollare, dedicandosi a pareggiarlo con meticolosi esercizi fatti in casa con sedie e zaini pieni di libri, e se ne andava a nuotare in piscina per due sere a settimana.

    Alla sua età – tredici anni – gli dicevano che sarebbe dovuto uscire con gli amici tutti i giorni, o almeno il venerdì sera. Ma lui lo aveva fatto qualche volta, e le cose non erano andare come aveva desiderato. Era un tipo strano e difficile, lo ammetteva da se stesso, pur senza essere inutilmente scontroso o eccessivamente timido. Le ragazze gli interessavano, in quel modo caratteristico e spesso catastrofico che è tipico di quell’età; ma non era ancora riuscito a trovare il modo giusto di approcciare Bridget Smoleen, quella che gli piaceva di più, e le poche serate al cinema o al bowling tra una partita e una pizza che aveva passato con i compagni di scuola o del quartiere, gli avevano fatto capire che la bionda non aveva affatto occhi per lui, ma solo per quella pertica di Fabrice Griffiths, un tipo del West Virginia che era arrivato in città da un paio d’anni e parlava con un accento inverosimile. Griffiths fumava già marijuana in abbondanza, beveva Corona e giocava bene a baseball – era un ottimo esterno e un discreto battitore, e pareva che l’anno precedente, prima dell’incendio, i Siders gli avessero offerto un contratto di un anno, poi prolungato. Bridget non era la sola a stravedere per lui: Griffiths frequentava una scuola privata nei sobborghi al limite tra Peacock Side e Locuste Grove, Jody non ricordava esattamente dove, e un nugolo di ragazzine dagli undici ai quattordici anni lo seguiva dovunque si spostasse, e tre volte a settimana si assiepava fuori i reticolati del diamante dove i Siders si allenavano.

    A Jody Griffiths non piaceva per nulla, con quell’aria spavalda, il fisico che era il contrario del suo e la fama che lo precedeva ovunque si muovesse. Era un anno più grande di lui, non di più, ma sembrava che avesse vissuto una vita lunga e tormentata. Una volta ci aveva parlato, in una delle serate al cinema dove un invito per Fabrice non era mancato – a differenza di quello per lui, che si era letteralmente infiltrato – e l’impressione di antipatia era cresciuta non di poco.

    La combinazione tra la lontananza di Bridget, la vicinanza di quello scocciatore, e la semidistruzione a cui Peacock Side era andata incontro un anno prima – la popolazione, nonostante le famiglie stessero tornando nelle proprie case dichiarate agibili, era ancora solo la metà di quella solita – contribuiva ad acuire uno stato di perenne, per quanto vacua, depressione nella quale Jody si crogiolava con una sorta di oscuro piacere.

    Molti, alla sua età, se non erano come Griffiths o come il timido e mediamente intelligente esemplare di tredicenne, erano così, aveva sentito dire. Perciò non se ne preoccupava più di tanto, e continuava a fare quello che aveva sempre fatto. Quello, cioè, che faceva in modo che gli altri sollevassero un sopracciglio con aria perplessa, o l’angolo della bocca con fare sarcastico, quando parlavano di lui. Non che gliene importasse molto, anche se qualche volta si chiedeva perché mai quella scena dovesse ripetersi sempre invariata.

    Lui aveva ripreso a frequentare, all’inizio di settembre, la scuola media di Peacock Side, quella di fianco al Liceo Oppenheimer, che era al momento vuoto – un’ala mezza devastata dalle fiamme che avevano imperversato per dodici ore, poco più di un anno prima, nel centro del borgo, giù fino al Savannah Bar, un locale piuttosto glamour che restava e sarebbe probabilmente restato, senza l’incendio, il locale più ricco e frequentato della contea.

    Jody era tornato a fine agosto, quasi nove mesi dopo che l’incendio era stato domato, dopo un soggiorno dagli zii a Locuste Grove, venendo spesso a fare lunghe passeggiate solitarie per guardare l’ombra del vecchio borgo confinante.

    Jody raccolse le sue cose, dopo essersi riscosso dal torpore in cui i suoi pensieri lo avevano fatto affondare, e si preparò per andare a casa. L’insegnante disse che potevano andare, e che avrebbe chiuso lui le porte del laboratorio. Gli studenti sciamarono lentamente fuori dall’aula, nel corridoio, e poi più velocemente in strada.

    Jody uscì per ultimo, con il suo passo determinato ma regolare, lasciandosi distanziare da tutti gli altri. Solo uno dei compagni gli diede una voce, salutandolo con il suo nome. Lui rispose con un cenno del capo, così vago da non sapere se fosse stato notato o meno. Non gli importava.

    Ryker si incamminò verso Belsen Street, dove risiedeva. Guardò in alto. Le nuvole fredde si addensavano coprendo il sole morente. Presto la notte sarebbe calata dolcemente su Peacock Side, lasciando vedere le luci di Natale che qualcuno aveva iniziato a sistemare fuori dalle finestre e dai bar che andavano riaprendo in serie. Ma la cittadina appariva ancora spettrale, con i palazzi resi mezzi grigi dal fumo, le finestre vuote come orbite senza occhi, e le strade di vari settori ancora completamente deserte.

    Era un bel venerdì, grigio e gelido. Buono per lui e per il suo stato d’animo. E le cinque erano la sua ora preferita del pomeriggio, a meno che non piovesse. Quando pioveva preferiva la notte.

    Dieci minuti dopo era a casa. I suoi genitori non c’erano. Di solito il venerdì tornavano per le sei, staccando dal lavoro un po’ più tardi per chiudere le pratiche settimanali. Entrambi lavoravano in un’agenzia di servizi multimediali: specialista grafico il padre, responsabile delle comunicazioni sua madre. Si erano conosciuti nella stessa agenzia quindici anni prima, e ora stavano pensando di rilevarla.

    Jody prese del mangime per Fox, il suo barbagianni, e riempì una ciotola d’acqua. Poi si recò dall’uccello, carezzandogli le penne sul capo, e parlandogli dolcemente. Osservò i suoi enormi occhi fissi, che lo squadravano con quell’espressione indecifrabile tipica degli stringidi. Fox inclinò leggermente la testa da un lato, osservando l’amico bipede, poi iniziò a mangiare.

    Jody richiuse la gabbia, interrogandosi sul mondo dell’altro, e chiedendosi cosa avrebbe fatto al suo posto. Probabilmente nulla, si disse: si sarebbe limitato a svolazzare in giro in cerca di cibo, o in alternativa ad attendere che un ragazzo un po’ strano si occupasse di lui. Si domandò come l’uccello percepisse il mondo, attraverso i suoi grandi occhi, e quali fossero i suoi pensieri.

    Poi i propri, di pensieri, scivolarono gradualmente altrove. Dentro di sé sorrise, mentre pregustava un weekend a fare quello che gli piaceva di più. A scoprire quello che gli altri non volevano scoprire.

    2

    Il lunedì Jody tornò a scuola.

    La scuola generalmente gli piaceva, anche se aveva con gli insegnanti dei vari corsi un rapporto che il suo barometro interno identificava come variabile e volubile. Era piuttosto intollerante a certe pratiche degli insegnanti, soprattutto quelli più avanti con l’età, per quanto fosse sempre pronto a lasciarsi coinvolgere nelle materie che lo interessavano di più, e a convincersi ad allentare le sue difese verso quei docenti che, sebbene lo annoiassero mortalmente, si mostravano aperti alle sue strane teorie e trovavano interessanti i suoi percorsi mentali, che spesso definivano inusuali e iperbolici. Percorsi così frequenti da destare una certa stizza di Ryker senior, un eclettico e ancor giovane artista – aveva quarant’anni appena compiuti –, ma pur sempre figlio di pratici e finanche rozzi coltivatori immigrati dal Sudafrica un anno prima che lui nascesse. Donald Ryker avrebbe preferito che il figlio fosse un tipo più pratico e per nulla dedico a corbellerie riguardanti UFO o fantasmi.

    «Guarda quante sciocchezze si possono preparare se uno fa il mio mestiere», era solito dire al figlio mentre accendeva il computer e gli mostrava come piazzare credibili foto di dischi o triangoli volanti nei cieli più insospettabili grazie a software che filtravano le immagini. Ma Jody non gli dava troppo credito.

    La sua materia preferita restava Storia, anche se aveva una certa passione per le scienze e la geografia. In particolare, l’anno precedente avevano studiato Storia dell’Europa, e lui aveva adorato leggere quel libro di cui non ricordava il titolo – tranne che per la parola Medioevo –, con tutte quelle immagini e miniature a colori che si era divertito a tentare di riprodurre, la rotazione delle colture, l’incastellamento e i monasteri, e quelle inserzioni di letteratura tra le quali spiccava quel tizio che affermava di essere passato per Inferno, Purgatorio e Paradiso, raccontando di tutti i personaggi che vi erano relegati. Jody si era innamorato di quella materia e di quel periodo, e aveva ottenuto risultati migliori di quanto sperasse, terminando il corso con l’unica lode della classe.

    Pertanto, tra le materie a scelta per il primo semestre dell’ultimo anno, Jody aveva optato di nuovo per Storia dell’Europa, che era anche il corso che stava seguendo quel giorno, alle dieci e quindici di mattina, insieme ad altri sedici ragazzi di cui stentava a mettere insieme facce e nomi. La signora Jane Crosby – una sessantenne magra come un chiodo, con orribili capelli neri posticci e che fumava sigarette sottili come stuzzicadenti – stava snocciolando, per la verità in tono troppo piatto e amorfo per risultare interessante, i fatti che all’inizio del ventesimo secolo avevano condotto all’indipendenza dell’Irlanda dalla Gran Bretagna.

    Il corso si teneva per due ore a settimana, il solo mercoledì, in un’aula buia nell’ala est dell’edificio. Era cominciato parecchio in sordina, e alcuni studenti avevano protestato, chiedendo a gran voce che si passasse a studiare solo le due guerre mondiali. La signora Crosby, dietro la sua maschera rinsecchita, aveva parzialmente acconsentito, specificando però che era necessario affrontare quantomeno l’indipendenza dei Paesi anglofoni extra-europei, ottenuta con lotte protrattesi fino alla metà del ventesimo secolo. I ragazzi avevano bisogno di sapere dell’India, del Canada e dell’Irlanda. Suonava ragionevole.

    Fin da subito, la Guerra d’indipendenza irlandese aveva suscitato l’interesse di molti dei ragazzi, con una certa sorpresa della stessa Crosby – i cui genitori, entrambi nati nella povera Limerick di inizio secolo, erano emigrati in America nel 1923. Su diciassette studenti, tredici o quattordici nelle loro famiglie possedevano una qualche percentuale di sangue irlandese.

    Anche Jody, fin da subito, si sentì più che coinvolto in quel breve ciclo di lezioni. Ma le ragioni per cui sentiva vicine a sé le battaglie di Éamon de Valera e Michael Collins erano completamente diverse. Lui in Irlanda non c’era mai stato, né ne aveva quasi mai neppure sentito parlare. In famiglia non gli risultava ci fosse qualche legame con quell’isola. Ma l’attrazione che aveva iniziato a provare per quella terra, durante l’estate, era stata crescente.

    Nella sua raccolta di ritagli di giornale e articoli rinvenuti sulla rete Internet, che raccoglieva ordinatamente in cartelline sulle quali appiccicava metodicamente delle targhette con la data e il nome del dossier, si era imbattuto in una serie di notizie che gli erano valse le risate stizzite di suo padre e quelle sprezzanti di tutti i suoi amici, compresi i sei che frequentava più o meno regolarmente. Ma a Jody e al suo barbagianni non importava poi così tanto.

    C’era qualcosa, là dentro. Qualcosa di serio, di innegabile.

    La maggior parte delle notizie aveva iniziato a rinvenirle su un forum aperto nella primavera precedente, che lui aveva preso a consultare regolarmente dall’aula computer della sua scuola a Locuste Grove, salvando su un floppy disc e stampando metodicamente tutti gli elementi più interessanti, che spesso studiava fino a notte fonda alla luce dell’abat-jour che svettava sulla mensola sopra il letto della stanza di motel dove aveva vissuto per mesi. Qualche volta si collegava in rete anche dal computer che suo padre aveva comprato e fatto installare lì dentro. Quando infine se n’erano andati, per far ritorno a Peacock Side, nella sua valigia aveva dovuto inserire un vero e proprio faldone del peso di almeno due chilogrammi. E il faldone non aveva fatto che continuare ad arricchirsi.

    In quei documenti c’era di tutto. Spesso le notizie rasentavano l’inquietante. C’era gente che parlava di quello che era successo in città, dell’incendio che l’aveva quasi resa un cimitero di caldarroste, e degli eventi precedenti ad esso. Soprattutto di quegli eventi.

    Uno degli utenti che parlavano di tali cose, il quale si firmava con lo pseudonimo di r_nter8, aveva parlato di fenomeni che andavano al di là della normale comprensione che la gente era disposta ad accettare. Alle ripetute domande degli altri utenti, che gli chiedevano come potesse credere davvero a ciò che stava dicendo, r_nter8 rispondeva di aver visto le cose con i propri occhi, giurando che non avrebbe voluto, e concludeva sempre – poi Jody aveva scoperto che quel messaggio era in realtà già incluso nella firma che il personaggio immetteva automaticamente all’atto di inserire un post o un commento – «Aprite gli occhi su verità che sembrano impossibili.» L’utente affermava di essere stato coinvolto in una serie di fenomeni che avevano segnato per sempre la sua vita, tanto da indurlo a lasciare permanentemente Peacock Side per una destinazione migliore.

    Jody ricordava di aver deciso il maggio precedente di stampare tutte le schermate contenenti i messaggi di r_nter8 che era riuscito a rinvenire, pur senza controllarne sistematicamente il contenuto, e aveva accuratamente sigillato i fogli nella cartella titolata «PEACOCK SIDE, 1994», insieme a un chilo e mezzo di pagine di giornali e riviste. Era giunto alla conclusione che la chiave per aprire le porte della verità su quanto successi nel paese sei mesi prima fosse quell’uomo.

    Durante l’estate aveva studiato accuratamente tutto il materiale, facendo anche qualche telefonata e spacciandosi per un giovane giornalista di Tallahassee, Florida. Non aveva ottenuto molte altre informazioni, ma neppure nessuna. Da qualche parola che un ex rappresentante degli studenti del liceo aveva lasciato trapelare, Jody era praticamente certo di aver identificato r_nter8 con Jonathan Renter, un ex professore di scienze del liceo Oppenheimer che sembrava aver avuto a che fare con una strana sospensione della propria attività scolastica nei giorni immediatamente precedenti quel giorno del dicembre del ’94 in cui il devastante incendio era improvvisamente scoppiato a Peacock Side. Sembrava inoltre che quel Renter avesse spesso parlato con un collega, Andrew Meyers, che era stato occupato a compilare calendari lunari relativi ad alcune annate tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e che veniva spesso avvistato in compagnia di una ragazza con gli occhiali e i capelli castani e di un ragazzo dall’accento forse britannico o irlandese. L’ex studente gli disse che qualcuno si era preso la briga di seguire lo straniero, dopo uno scontro fisico che questi aveva avuto con un ragazzo dell’ultimo, e che a quanto pareva l’irlandese si recasse spesso a casa di Jonathan Renter.

    Dei due ragazzi, al momento, non c’era più traccia, come non ce n’era – almeno ufficialmente – di Jon Renter, e neppure delle loro famiglie. La tesi ufficiale era che i tre avessero lasciato il borgo solo dopo l’incendio.

    Ma Jody Ryker sapeva che non era così.

    Le notizie trapelate da qualche giornale e qualche forum di nicchia, le quali collimavano pienamente con quanto affermava r_nter8 sul blog, affermavano che in realtà Matthew O’Weary, un sedicenne irlandese giunto in Georgia dopo che sua madre aveva guadagnato cinquecentomila dollari vendendo i diritti di uno strano thriller storico che si era in realtà rivelato un flop clamoroso, era morto nella chiesa di St Paul, a pochi metri dal centro del borgo, non distante dalla zona delle scuole, la quale dopo l’incendio non esisteva praticamente più. Le fiamme, in quel punto della città, erano durate molte più ore che lontano da lì, come se fossero divampate dalla sommità sulla quale la chiesa e le scuole sorgevano. E per la mente iperbolica e inusuale di Jody Ryker, quella coincidenza era decisamente troppo per non nascondere qualcosa.

    Dopo scuola corse a casa. Mangiò un piatto di riso e verdure a fatica, il cervello impegnato in pensieri e connessioni a velocità supersonica, poi corse nella propria stanza. Gli era venuto in mente qualcos’altro. Qualcosa che, se avesse trovato conferma, avrebbe potuto imprimere una svolta alle sue indagini, approfondendo il mistero che sembrava sepolto sotto le rovine della chiesa.

    Prese il dossier, iniziando a sfogliare foto, articoli di giornale, appunti dattiloscritti o buttati giù a mano, ma soprattutto le stampate di quei dialoghi sul forum dei reduci dell’incendio. Nell’insieme, si rese conto leggendo qua e là, costituivano una storia del tutto assurda, e suo padre e i suoi amici non potevano essere biasimati per riderne ogni volta che ne sentivano parlare.

    Scorse una volta di più le pagine che parlavano di O’Weary e della ragazza scomparsa, Bree Shavres. Infine, dopo circa venti minuti, trovò quello che cercava: i due, con Jonathan Renter come insegnante, frequentavano il liceo scientifico, che si trovava a soli trenta metri dalla scuola media. E a cinquanta dalla vecchia chiesa di St Paul. Non di più. A dire il vero Jody non ricordava con assoluta certezza se la ragazza avesse frequentato la stessa scuola, ma ne era ragionevolmente sicuro.

    Prese una piantina della città e confrontò i tre punti.

    «Bingo», mormorò.

    Tornò agli articoli. C’era chi parlava di incendio appiccato volontariamente, e c’era chi parlava di lupi mannari e altre cose altrettanto incredibili. Un’idea, per quanto apparentemente inverosimile, si andava formando nella sua mente. Ma cosa c’era di verosimile in tutta quella storia, dopotutto?

    Poi Jody si mise a fissare le foto in bianco e nero dei due ragazzi scomparsi e del loro insegnante. Lo fece a lungo. Era ormai buio quando si rese conto di essersi addormentato in mezzo ai suoi fascicoli.

    Daniel Lowe stava tornando a Peacock Side, dopo anni circa dieci anni.

    Mentre guidava la sua Ford Orion lungo le curve che scendevano verso Locuste Grove e la famigerata Priest’s Well, sentiva la mente trasmettergli una strana, quasi dolorosa miscela di sensazioni. Da un lato c’era una sorta di gioia nel tornare lì dov’era nato; dall’altra l’amarezza e il peso nel cuore per ciò che era successo e per quello che avrebbe visto.

    Avrebbe voluto tornarci in condizioni migliori. Non per vedere come rimediare a un disastro di quella portata.

    Se mai avesse fatto ritorno a Peacock Side, si era sempre detto, avrebbe voluto gustare di nuovo la pace della cittadina, leggere un giornale in un bar in una mattina silenziosa e soleggiata, discorrere indolentemente con le persone incontrate lungo la strada, sorseggiare un caffè davanti al televisore appena sveglio, in attesa di programmare gli immensi spazi delle sue giornate.

    Non avrebbe voluto, mai e poi mai, tornare a logorarsi di lavoro in quel buco di provincia. Non che non lo amasse, ma non riusciva a vedersi fare qualcosa di diverso in quel luogo che spendere lunghe vacanze.

    Da quando i suoi genitori erano morti, lui era restato a New York, aveva completato il suo percorso di studi ed era diventato un ingegnere civile. Ora lavorava per la ZODEN Group, una compagnia edilizia che sulla costa est del Paese lavorava su progetti colossali ormai da decenni, e lui si stava facendo un nome al suo interno. Negli ultimi due anni era stato messo a capo di una squadra incaricata di vagliare la fattibilità del progetto di una diramazione di una linea della metropolitana in direzione di Staten Island, e di buttare giù alcuni studi. Daniel non era quello che normalmente si definisce un workaholic, uno stakanovista che talvolta dimentica di mangiare e ruba ore al sonno per ottenere risultati fulminanti sul lavoro, ma il suo incarico gli piaceva, e il sogno che la sua posizione all’interno della compagnia potesse presto progredire stava per assumere i contorni più definiti della realtà. E quella città lo aveva assorbito completamente, con le sue fredde luci al neon e le sue giungle di metallo.

    A Peacock Side, in pratica, contava di tornarci per la pensione.

    Ma dopotutto in città molti si ricordavano ancora di lui, e avevano seguito, per quanto possibile, la sua carriera nella Grande Mela, dandosi di gomito e applaudendo mentalmente ad ogni voce che confermava – o ingigantiva – i suoi successi. E lui era pur sempre un ingegnere che progettava strutture e impianti, e un pezzo grosso in quel settore a Peacock Side non era mai capitato.

    Dopo quello che era successo le telefonate non si erano fatte attendere, e dopo il quarto o quinto tentativo Daniel aveva deciso di proporre alla ZODEN G. di dare un’occhiata a quanto rimaneva di Peacock Side, per decidere se fosse il

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