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Hikikomori- Nuova forma di isolamento sociale
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Ebook113 pages1 hour

Hikikomori- Nuova forma di isolamento sociale

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Globalizzazione contro individualità, social network e cyber bullismo, rapporto genitoriale e rapporto con la società: questo e molto altro viene approfondito in un manuale che non si limita a dare definizioni a problemi psicologici, ma che scava a fondo, alla ricerca della verità, di un male nuovo che verrà definito come una "malattia sociale".
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 20, 2017
ISBN9788892650657
Hikikomori- Nuova forma di isolamento sociale

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    Hikikomori- Nuova forma di isolamento sociale - Iveta Vrioni

    specie.

    Capitolo I

    Approccio socio-antropologico

    Il Giappone e la nascita dello studio di hikikomori

    I primi approcci allo studio del fenomeno iniziano già alla fine degli anni ’80, in Giappone, grazie allo studioso Tamaki Saito, psicologo, scrittore e psichiatra adolescenziale, direttore del dipartimento psichiatrico dell’Ospedale Sofukai Sasaki di Chiba. Da lui stesso fu coniato il termine Hikikomori che significa isolarsi, chiudersi, stare in disparte, definito anche sindrome da reclusione volontaria. In Giappone si stima che, su 128 milioni di abitanti, siano più di un milione. Il ministero giapponese della Salute definisce hikikomori gli individui che rifiutano di uscire dalla casa dei genitori, isolandosi nella propria stanza per periodi superiori ai sei mesi, con la possibilità che la permanenza in autoreclusione si prolunghi per un numero non breve di anni, in una condizione di stabile dipendenza economica dalla famiglia. Sono prevalentemente ragazzi giovani, perlopiù maschi tra i 14 e i 17 anni d’età. Lì il fenomeno esiste da più di vent’anni e non accenna a diminuire, anzi, di recente, agli adolescenti si sono aggiunti gli adulti (età media tra i 30 e i 40 anni) colpiti dalla crisi, senza lavoro e senza certezze. Poiché il fenomeno è tendenzialmente sotto-riportato, definire il numero delle persone coinvolte è difficile. Il problema è ulteriormente complicato dal fatto che le famiglie spesso non sanno a chi rivolgersi, oppure sperano che il loro ragazzo possa uscirne spontaneamente, o non desiderano attirare l’attenzione dei vicini su di loro, e di conseguenza i casi possono rimanere celati per un tempo imprevedibile. Rispetto ai fattori che influiscono sul diventare hikikomori, nella storia personale degli autoreclusi è piuttosto facile riscontrare esperienze di sofferenza psicologica, causata per esempio da atti di bullismo subiti durante l’infanzia o la prima adolescenza. A questa teoria si aggiungono quelle sostenute da molti sociologi, che pongono l’attenzione sull’aumento del fenomeno grazie alla crisi economica presente in Giappone, che sta producendo maggior pressione sociale rispetto al passato e molte difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro (Furlong, 2008). L’ambiente scolastico tuttavia si presenta come quello decisivo secondo Tamaki Saito1 (1998), che ha notato che il 90% degli hikikomori, prima di cominciare il ritiro, è frequentemente assente da scuola, e che di questi il 6% prolunga l’assenza per un periodo superiore a tre mesi. Secondo l’antropologa Carla Ricci2 dell’Università di Tokyo, i ragazzi non escono dalla loro stanza neppure per mangiare, frugano da un vassoio lasciato sulla porta dai familiari. Escono dalla stanza solo di notte, quando gli altri dormono, comunicano solo attraverso la porta, oppure lo fanno attraverso la tastiera del computer o lo smartphone. Non sono maniaci della tecnologia, i computer non sono responsabili dell’addio al mondo, ma sono solo i compagni di

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