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Vicolo Cieco
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Vicolo Cieco

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About this ebook

Nel decennio immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale l’atmosfera provinciale e tranquilla di una città del Sud Italia viene turbata da un fatto di cronaca, la morte improvvisa ed inspiegabile di una giovane signora paraplegica.
L’Ispettore Pietro Riccio sospetta trattarsi di omicidio ma non ha prove per sostenere la sua intuizione.
Prima di arrendersi e dichiarare chiusa l’inchiesta per morte naturale, con caparbietà riuscirà a dimostrare che il suo presentimento ha un fondamento.
Inizialmente, però, sarà indotto a dichiarare colpevole la persona sbagliata fino a quando, per caso, verrà a conoscenza della verità e il disegno diabolico di chi ha ordito un atroce delitto verrà scoperto.
Un giallo ambientato negli anni cinquanta che trova la sua ispirazione nei ricordi di un fanciullo che forse si è trovato nella situazione di essere involontario testimone di un omicidio.
LanguageItaliano
Release dateMar 6, 2017
ISBN9788868225360
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    Vicolo Cieco - Mario Schiumerini

    MARIO SCHIUMERINI

    VICOLO CIECO

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2017

    Isbn: 978-88-6822-536-0

    Via Camposano, 41 (ex Via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Finché abbiamo dei ricordi

    il passato dura.

    Finché abbiamo speranze

    il futuro ci attende.

    Finché abbiamo degli amici

    il presente val la pena di essere vissuto.

    Nota dell’autore

    Ciascuno di noi si è molto probabilmente trovato almeno una volta nella vita, in una situazione apparentemente priva di alternative nella quale ci si trova alla fine senza vie d’uscita.

    Quando ciò accade si può essere costretti a cercare la soluzione al problema commettendo anche qualche azione contraria al comune senso del vivere civile.

    In altre parole può accadere che cerchiamo di costruire la nostra felicità sacrificando al raggiungimento di essa coloro che ci sembrano di ostacolo.

    Fortunatamente nella maggior parte dei casi subentra la ragione che impedisce di commettere azioni contrarie alle leggi naturali e civili e la paura che non si rimanga impuniti induce quasi sempre a sopportare pazientemente situazioni difficili da accettare.

    Non è così per tutti, però, e qualcuno ritiene di essere talmente onnipotente da intervenire sugli eventi modificandoli anche in modo violento ed agendo su un destino ben delineato per tentare di trasformarlo.

    Esiste il delitto perfetto? Probabilmente non si saprà mai. Il perché appare ovvio: nel mondo vi possono essere molti casi di morti sospette per le quali non è stato possibile conoscere cosa abbia realmente provocato un decesso soprattutto se tutto è stato ben congegnato.

    Un caso in particolare ha segnato la mia fantasia nel periodo della fanciullezza.

    Nella città di Catanzaro dal piano superiore della casa dove abitavo, un giorno sono giunte invocazioni di aiuto da parte di una voce femminile che chiedeva protezione dal marito il quale, lei sosteneva gridando, la stava uccidendo.

    Ciò che avvenne in quella casa è rimasto sempre un mistero ma a distanza di sessant’anni la convinzione che una povera donna avesse effettivamente bisogno di aiuto mi ha indotto a fantasticare su quanto possa essere accaduto.

    È da specificare pertanto che pur essendo i luoghi descritti quelli reali, le situazioni e i personaggi ed i nomi sono completamente inventati ed ogni riferimento a persone o situazioni realmente esistite è puramente casuale.

    Ciò non di meno secondo me le cose si sono svolte più o meno così per cui lascio ai miei lettori il compito di giudicare se finalmente, almeno con un libro, giustizia sia stata fatta nel caso della signora di via Discesa Ospedale Civile. Buona lettura.

    Capitolo I

    Osvaldo

    Millenovecentocinquantotto. In una giornata grigia e fredda del mese di febbraio l’ispettore di polizia Pietro Riccio percorreva, rigorosamente a piedi e di buon mattino il breve tragitto che separava la sua abitazione dal commissariato.

    Fumava la terza sigaretta della giornata, la prima l’aveva accesa dopo il caffè appena alzato, la seconda in bagno e mentre si guardava distrattamente intorno con il pensiero già si proiettava al lavoro che lo attendeva.

    Il suo sguardo si poggiava più per abitudine che per interesse, sulle macerie che incontrava lungo il cammino percorrendo ogni giorno il medesimo tragitto.

    Nell’immediato dopoguerra la città di Catanzaro, come quasi tutte le città d’Italia, presentava ancora i segni evidenti del cataclisma generato dall’evento bellico che, per fortuna, nel Sud Italia era stato di breve durata e di poca intensità.

    Tuttavia erano molte le case rase al suolo e non ancora ricostruite e l’erba aveva già riempito le buche lasciate dalle bombe.

    Le poche pietre rimaste ancora intatte a formare un basso muretto servivano da riparo alle bande dei bambini che combattevano lanciandosi reciprocamente sassi con le fionde simulando quelle battaglie tra soldati di cui avevano sentito parlare dai loro genitori.

    Lungo il percorso, nel 1958, non si incontravano macchine ma solo gente a piedi. Si passava davanti a piccoli negozietti specializzati nell’unico articolo che trattavano, che poteva essere di genere alimentare tipo panetteria, frutta, carne, oppure di altro genere tipo biancheria, casalinghi, perché non esistevano i supermercati e i bambini dividevano la loro giornata tra Scuola e strada.

    La posta si occupava solo di corrispondenza e le banche si occupavano solo di denaro e tutto era più semplice.

    Il commissariato di polizia alle otto del mattino era già in piena attività e la guardia di servizio al portone salutò l’ingresso dell’ispettore con la mano destra allineata alla visiera del berretto.

    L’ingresso nella sua stanza, posizionata al primo piano del commissariato, era sempre preceduto dall’accensione della quarta sigaretta e dalla domanda formulata più per consuetudine che per avere risposta: «Novità?», rivolta al brigadiere Caputo il quale prestava servizio ormai da quasi dieci anni in quel commissariato ed aveva origini campane.

    «Qualcuno si degna di rispondere a questo caspita di telefono?» era stata la prima frase di senso compiuto indirizzata dall’ispettore verso il corridoio mentre il brigadiere Caputo faceva il suo primo rapporto della giornata.

    Riferiva che c’erano state due denunce per furti avvenuti durante la notte uno riguardante una moto e l’altro relativo ai copertoni di una macchina che era stata trovata con le quattro ganasce poggiate su mattoni e che il commissario capo lo aveva cercato lasciando detto che voleva vederlo non appena fosse arrivato in ufficio.

    Riccio sapeva perfettamente cosa il capo volesse da lui e non aveva nessuna voglia di parlargli. Avrebbe, infatti, dovuto confessare di non essere ancora riuscito a sciogliere il bandolo della matassa del fatto delittuoso che aveva riempito le pagine dei giornali locali nelle ultime due settimane e che non sapeva assolutamente dove sbattere la testa per trovare un minimo indizio che potesse fornirgli l’indirizzo da seguire per la soluzione del caso.

    Scelse, quindi, la strada della fuga per rimandare quanto più possibile quel colloquio e strappando in corsa il giaccone dall’appendiabiti si allontanò percorrendo il corridoio verso l’uscita e gridando a Caputo: «Vado a prendere un caffè ci vediamo tra poco».

    Il povero Caputo rimase attonito a guardarlo uscire mentre reggeva un vassoietto sul quale era posizionata una macchinetta del caffè napoletana fumante, una tazzina e una zuccheriera.

    L’aria esterna pulita rispetto all’atmosfera cupa e fumosa dell’interno del commissariato gli schiarì le idee e anziché recarsi verso il bar Guglielmo, prese per il Fondachello imboccando via Discesa Ospedale Civile dalla parte bassa.

    Via Discesa Ospedale Civile era una strada larga non più di tre metri tra due file ininterrotte di case a due piani oltre il piano terra che era a livello della strada, dove le uniche auto che transitavano erano i furgoni che portavano la merce alla cantina di don Ciccio e una FIAT Topolino che di tanto in tanto parcheggiava davanti al numero civico quarantotto di proprietà del fidanzato di una bella ragazza che abitava lì.

    Riccio si fermò proprio all’altezza del numero 48 davanti a un portoncino in legno a due battenti e alzò lo sguardo verso i balconi prospicenti la strada. Al secondo piano di quello stabile c’era stato un furto in una abitazione e la padrona di casa, una donna paralitica, era stata trovata morta senza alcuna traccia di sangue né ferite di qualsiasi tipo. A scoprire il cadavere era stato il marito al rientro dal lavoro.

    Era un rappresentate di commercio che trattava esclusivamente articoli di oreficeria di alta classe in quanto era stato allievo di un grande maestro di San Giovanni in Fiore ed aveva appreso da lui ogni segreto sui gioielli. Motivi economici e di gelosia avevano impedito la sua collaborazione nel tempo con il maestro per cui aveva intrapreso quella attività tutto sommato molto redditizia.

    La coppia si era trasferita in quella casa di recente e il vicinato non aveva ancora avuto la possibilità di raccogliere notizie più particolareggiate su di loro. Cosa che invece avveniva in modo sistematico tra i restanti abitanti del quartiere che si conoscevano tutti e di ognuno era nota la provenienza, l’attività, la posizione economica ed anche i particolari più piccanti che, anzi, erano i preferiti.

    D’altra parte, i punti di incontro delle comari erano molteplici. Quello privilegiato era la piazza della Croce, chiamata così perché in quella piazza affluivano quattro strade formando appunto una croce di cui la piazza era il centro.

    Vi erano collocate le attività commerciali di uso quotidiano tra i quali il fruttivendolo che si chiamava Purverata, nessuno sapeva se fosse veramente il suo nome oppure un nomignolo, e il fornaio don Ciccio.

    La fase dell’acquisto era di sicuro il momento più indicato per fare quattro chiacchiere sia con i gestori che con le vicine ed era inevitabile spettegolare su questa o su quella famiglia in rapporto agli avvenimenti di cui si era venuti a conoscenza.

    Si spettegolava in particolare in quel periodo sulla nuova coppia arrivata in via Discesa Ospedale e qualcuno aveva mormorato che avesse dei comportamenti a dir poco fuori dal comune. Era infatti giunta voce che durante il giorno, quando il marito era fuori per lavoro, giungessero dalla casa lamenti, urla e richieste di aiuto da parte di una voce femminile e che nessuno aveva mai visto fuori la moglie.

    Riccio era stato tentato di entrare nel portone di legno salire le due rampe di scale, rompere i sigilli apposti dal Procuratore alla porta d’ingresso dell’appartamento e dare un’occhiata più accurata. Gli era di certo sfuggito qualche particolare importante.

    Al momento della denuncia quando era entrato per la prima volta nell’appartamento sembrava che in quella casa fosse entrato un tornado.

    La serratura della porta d’ingresso appariva forzata e pezzetti di legno pendevano ancora sul lato fisso della porta, nel punto in cui era stato scardinato il chiavistello.

    L’ingresso dava direttamente nella stanza da pranzo e a destra entrando c’era la porta della camera da letto dove i cassetti del comò erano per terra e il loro contenuto sparpagliato per tutta la stanza e alcune scatole che avevano contenuto collane e bracciali erano anch’esse per terra vuote.

    Il fattaccio doveva essere avvenuto di pomeriggio dal momento che la donna che accudiva la signora aveva dichiarato di essere andata via alle tre del pomeriggio come ogni giorno.

    Il marito sosteneva di essere rientrato la sera e di aver trovato quello sfacelo e la moglie senza vita distesa nel letto dove era costretta in quanto era paralitica.

    L’autopsia eseguita sulla donna aveva dato esito negativo circa la possibilità di violenze subite. Morte per arresto cardiaco era stato il referto. Eppure lui sentiva che doveva esserci qualche indizio, qualche messaggio che la povera signora, forse negli ultimi istanti della sua vita, doveva necessariamente aver lasciato per indicare chi aveva provocato la sua morte.

    Erano circa le undici quando fece ritorno al commissariato. Senza neanche togliersi il giaccone bussò alla porta del commissario il quale lo assalì immediatamente prima rimproverandolo per essere arrivato al lavoro a quell’ora e poi, dando per assodato che non avesse alcuna novità sul caso della paraplegica, lo invitò a chiudere immediatamente l’inchiesta accettando il fatto che la signora avesse avuto un attacco di cuore in conseguenza della visita dei ladri.

    Riccio, mentre dalla bocca del commissario uscivano miliardi di parole urlate contro di lui teneva la testa bassa e non in segno di mortificazione per i rimproveri ricevuti ma perché aveva lo sguardo fisso sul pavimento di maiolica della stanza dove tra ghirigori e rombi c’era disegnata un’ampolla di quelle che si usano in farmacia per contenere i distillati. Un’ampolla simile a quella che era stata trovata nella stanza della morta che conteneva veleno.

    Quell’ampolla era come se gli parlasse quasi sentiva ciò che quell’ampolla gli diceva ma non riusciva ancora a coglierne bene il significato. Uscì dalla stanza del commissario dopo avergli chiesto ancora quarant’otto ore di tempo dopo di che avrebbe chiuso il caso.

    Nella sua stanza riprese in mano il fascicolo e cominciò a sfogliare le foto che vi erano contenute. La donna, distesa sul lato sinistro di un letto matrimoniale sembrava che dormisse. Aveva un viso molto bello ma sotto gli occhi chiusi si intravedevano della macchie nere, le mani erano distese lungo i fianchi che apparivano prosperosi anche sotto il lenzuolo, e lunghi capelli biondi tra i quali appariva qualche ciocca bianca erano sparsi sul cuscino. Un rivoletto di saliva si notava sul lato della bocca. Riccio richiuse il fascicolo e si poggiò con i gomiti sulla scrivania tenendosi il mento con le nocche della dita.

    * * *

    La Sila del versante crotonese inizia proprio dal confine di San Giovanni in Fiore. Gioacchino da fiore è il personaggio storico maggiormente noto ma da quel ridente paese sono venuti fuori tanti talenti nei settori più disparati quali ad esempio la tessitura sotto forma di arazzi e l’arte dell’oreficeria.

    Negli anni 40 già esistevano scuole di cesello, di lavorazione dell’oro e di taglio delle pietre e molti giovani per cercare di emergere seguivano quella strada.

    Osvaldo Preiato era stato uno di questi giovani fino a quando, ritenendo di aver raggiunto un ottimo livello non ebbe la pretesa di chiedere al suo maestro il riconoscimento dei suoi meriti mediante l’attribuzione del titolo di mastro cesellatore.

    La reazione del maestro era stata piuttosto violenta e ne era nata una lite furibonda al termine della quale il giovane era stato scacciato dalla scuola.

    Era scaturita quindi in lui la decisione di allontanarsi il più possibile da quell’ambiente retrogrado e conservatore e il suo pensiero corse immediatamente al Nord Italia dove sicuramente avrebbe trovato mentalità più aperte e possibilità concrete di lavoro.

    In pochissimi giorni aveva raccolto in una valigia le poche cose che potevano essergli utili nell’immediato e con una manciata di soldi che la madre gli aveva messo in mano, frutto dei risparmi di una vita, aveva preso l’autobus per Cosenza dove un trenino a vapore lo avrebbe portato fino a Paola che era la stazione di transito dei treni a lunga percorrenza per tutte le destinazioni d’Italia.

    La sua mèta finale era Milano dove giunse in un caldo pomeriggio d’estate stanco per il lungo viaggio con in tasca un nome ed un indirizzo che suo padre gli aveva consegnato dicendogli che il compare gli avrebbe sicuramente dato asilo in attesa che trovasse qualche sistemazione.

    Trascorsero così due lunghi mesi nei quali aveva cercato qualsiasi occupazione principalmente presso i cantieri edili.

    Sarebbe stato disposto ad accettare anche di impastare sabbia e cemento pur di rendersi autonomo e d’altra parte, pur essendo il compare di suo padre molto disponibile e gentile nei suoi confronti, si rendeva conto di non poter continuare ad accettare in eterno

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