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I Nerogatti di Briganti: I Nerogatti di Sodw 3
I Nerogatti di Briganti: I Nerogatti di Sodw 3
I Nerogatti di Briganti: I Nerogatti di Sodw 3
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I Nerogatti di Briganti: I Nerogatti di Sodw 3

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About this ebook

Fantascienza - romanzo (224 pagine) - L'universo sta subendo una nuova invasione dell'ultramondo, ma stavolta sembra tutto perduto. Eppure c'è ancora una speranza. L'epica conclusione della trilogia degli Inframondi.


Dopo le prime due fallite invasioni, l'Ultramondo torna nuovamente all'attacco. Ma questa volta la tecnologia gli consente di sfruttare innumerevoli porte che prima erano precluse, e l'attacco questa volta sembra essere incontenibile. L'unica via di scampo è la fuga nell'inframondo? La trilogia degli Inframondi si conclude con un terzo epico romanzo, che riuscirà ancora una volta a ribaltare la prospettiva.


Lukha B. Kremo è autore di romanzi e racconti non solo di fantascienza. Ha diretto la rivista Avatär, vincendo tre Premi Italia. Ha pubblicato racconti su varie antologie tra le quali Supernova Express (2006, Fantanet), Frammenti di una rosa quantica (2008, Kipple) e Avanguardie Futuro Oscuro (2009, Kipple). Un suo racconto è uscito anche su Robot.

Ha pubblicato cd di musica elettronica con lo pseudonimo di Krell e organizzato il progetto Sonora Commedia.

Ha pubblicato i romanzi Il Grande Tritacarne (2005), Gli occhi dell’anti-Dio (2008), Trans-Human Express (2012). Con Pulphagus® - Fango dei cieli  ha vinto il premio Urania 2016.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJan 19, 2017
ISBN9788825400700
I Nerogatti di Briganti: I Nerogatti di Sodw 3

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    I Nerogatti di Briganti - Lukha B. Kremo

    Immagine

    Parte prima

    Ultramondi

    In the year 3535

    Ain’t gonna need to tell the truth, tell no lie

    Everything you think, do and say

    Is in the pill you took today

    […]

    In the year 6565

    You won’t need no husband, won’t need no wife

    You’ll pick your son, pick your daughter too

    From the bottom of a long glass tube

    […]

    In the year 9595

    I’m kinda wonderin’ if man is gonna be alive

    He’s taken everything this old earth can give

    And he ain’t put back nothing

    Now it’s been ten thousand years

    Man has cried a billion tears

    For what, he never knew, now man’s reign is through

    But through eternal night, the twinkling of starlight

    So very far away, maybe it’s only yesterday.

    In The Year 2525, Zager And Evans (1969)

    1. Eris

    Su Eris il Sole è chiamato la Stella, e non è difficile capirne il motivo. È talmente lontano che è visibile come una grossa stella. Plutone è più vicino al Sole che a Eris, ed è talmente distante da non essere visibile a occhio nudo, se non quando è in congiunzione.

    Quando la Stella passa solcando lentamente il nero del cielo, la sua luce filtrata dal metano attraversa le spesse vetrate creando suggestive ombre azzurrine. Nonostante il piacevole effetto, la luce non è sufficiente per vederci, ma gli abitanti, quando possono, cercano di evitare l’uso di quella artificiale.

    Il presidente Venti è concentrato sul comunicatore. Insieme a lui, Vanth, il massimo sacerdote locale.

    – Bevi qualcosa. Rilassati. Il documento non arriverà prima di domani – dice il sacerdote.

    – Lo so, è più forte di me.

    Vanth solleva leggermente il bordo del saio per non pestarlo e raggiunge l’armadio-bar di Venti.

    – Sai – continua Venti – potrebbe essere l’ultimo mio atto.

    Vanth si sforza di sorridere. – Saresti uno dei pochi che viene a mancare prima dei cento anni.

    – Uno dei pochi… che muoiono di vecchiaia – specifica Venti.

    Vanth si rende conto della trappola linguistica. Il presidente ha ragione, la vita biologica va ben oltre i cento anni, eppure la durata della vita media è drasticamente scesa intorno ai cinquanta, a causa delle interruzioni volontarie.

    Il sacerdote schiva l’imbarazzo: – È per questo che stiamo lavorando…

    Venti e Vanth si guardano. Era stato il sacerdote a scegliere il nome mitologico in modo da essere simile a quello del presidente.

    – Sì, ma mio nipote… è particolare. Ho decine di nipoti e pronipoti, ma lui è… il preferito di mia moglie – dice il presidente non potendo elencare tutte le particolarità di Julius.

    – Lo so! – dice in tono stentoreo Vanth. – Ha un’intelligenza postumana. Merita quel posto, a prescindere da… quello che dovrà fare.

    – Sì, ma è un Asperger – abbassa lo sguardo Venti.

    Vanth alza le spalle e aggriccia le labbra. – Soltanto molto timido. Dovrà essere aiutato.

    Venti sorride all’amico sacerdote e gli dà una pacca sulla spalla. Sa che sta minimizzando. Ma Vanth è convinto di quello che dice e ripete: – Se abbiamo scelto lui per lavorare al Tevatron, ci sarà un motivo…

    Venti annuisce. – Lo so, sono io che da vecchio sono diventato apprensivo. Speriamo se la cavi…

    – Venti, sei ancora lì? – chiede una voce femminile.

    La moglie di Venti è statuaria, ha un’età indefinibile, dato che è una cyborg centenaria. Le sue parti biologiche sono invecchiate, ma quelle artificiali, pelle compresa, negli anni sono state rinnovate. Il risultato è una bella donna, vagamente anziana, ma con il fisico ancora molto prestante.

    La donna gli ha assicurato più volte che Julius se la caverà meglio di lui quando era giovane. Del resto Venti era succeduto al padre in un’importante industria quantistica di riciclo quando ancora si trovava su Caronte, l’astro compagno di Plutone. E la sua strada era stata già spianata. Ma grazie a ciò era riuscito a fare molti figli e creare una famiglia di imprenditori e scienziati all’interno dello Stato interplanetario chiamato per brevità S, che negli anni era riuscito a scardinare il rigido dualismo che vigeva nel sistema solare tra le supernazioni U e D.

    – La cerimonia non può aspettare noi ogni volta… – insiste la moglie.

    – Sono pronto, sono pronto – si affretta Venti sistemandosi i magneti ai piedi.

    I tre entrano nell’ascensore, che comincia a risalire il canyon verso la superficie esterna di Eris. Il piccolo pianeta non ha particolarità eccezionali, a parte i riflessi azzurrognoli del metano nei canyon. Atmosfera impercettibile, gravità quasi nulla, nessuna attività sismica, nemmeno una luna a cambiare il cielo. Un comodo sasso, come amava dire Venti.

    Il tragitto è lungo e l’ascensore non può andare più veloce di così. Ma Vanth non prova nemmeno per un attimo a parlare di Julius. Se lo tiene stretto nella mente come un segreto inconfessabile, come se fosse un pupillo tutto suo, anche se sa che appartiene a tutta la comunità di Eris, per l’intera colonia di Kuiper cui il piccolo pianeta appartiene, e che sarebbe stato importante persino per l’intero S, a cui la fascia di asteroidi e pianeti nani era stata ceduta da ormai quasi un secolo.

    È il momento di agire, non è possibile attendere ancora rischiando di essere semplici spettatori, da lontano, di ciò che si prospetta come un vero e proprio genocidio planetario.

    2. Julius

    Il ragazzo è seduto sulla sedia, è bianco in volto e ha i capelli mogano un po’ in disordine. In mano una jaunt. I numeri schizzano dal gioco sottoforma di fumanti ologrammi. La stanza è goffamente arredata con oloquadri pacchiani, si capisce che è solo un luogo di passaggio.

    La porta si apre.

    – Julius K – dice un uomo vestito in abiti formali.

    Il ragazzo ascolta il suo nome e si blocca per un secondo. Quindi si alza di scatto, si mette la jaunt nella tasca del giubbotto e avanza a passi lunghi e svelti. È il suo momento.

    Oltre la porta c’è un ufficio. L’uomo guarda il ragazzo entrare, sa chi è e da dove viene, per quello si prende qualche attimo per osservarlo. Inserisce qualcosa sul computer, quindi si dirige verso un’altra porta. – Vieni – dice.

    L’uomo apre la porta e invita il ragazzo, restandone fuori. Julius entra e l’uomo richiude. Il nuovo ufficio è più importante, più accessoriato, più agghindato, non più bello, ma più denso. Julius pensa queste cose senza guardare la donna che siede alla scrivania.

    – Prego, siediti. Posso chiamarti Julius?

    Il ragazzo annuisce a scatti, quindi raggiunge la sedia senza staccare lo sguardo dalla donna. Interessante, autorevole, equilibrata, densa. Senza profumo.

    Julius incrocia le mani dito per dito, cerca in questo modo di scaricare la tensione e di tenere ferme le mani. Ma non riesce a evitare di rotearle leggermente.

    – Sono Maria Denisova, direttrice del Tevatron di Nihon, che lei sa essere la più grande struttura terrestre dell’U – comincia la donna non senza un po’ di orgoglio. – Ho avuto modo di leggere il tuo curriculum e sono rimasta molto colpita. Il tuo nome mi è stato fatto da Vanth e conosco la storia della tua famiglia – aggiunge. – Detto questo non penso ci siano grossi problemi per il tuo inserimento, nemmeno a livello psicologico. Ma questo devi dirmelo tu.

    Julius rotea le mani intrecciate, il suo viso ondeggia ritmicamente.

    – Mi farai sapere come procede giorno per giorno, soprattutto i primi – continua la donna.

    Julius annuisce senza guardare la donna in faccia.

    – Pensi di non avere problemi? – insiste la donna.

    Julius annuisce, mentre rotea le mani e ondeggia la testa.

    – Mi fai sentire la tua voce? – chiede la direttrice col sorriso ironico.

    – Sì. Grazie – dice Julius.

    – Bene, in questi anni il nostro acceleratore di particelle sta lavorando a vari progetti. Il principale è quello delle trasmissioni con infra e ultramondo. – La direttrice sa che il ragazzo è risultato il migliore dell’Università più prestigiosa di Schweitz e, nonostante l’apparenza, si fida di quello che le hanno riferito e parla in modo tecnico. – Abbiamo ottenuto ottimi Einstein-Rosen che si aprono all’interno del bosone di Higgs in modo molto stabile, migliori di quelli ottenuti dal D e dallo S – prosegue la direttrice riferendosi agli altri due superstati.

    Julius annuisce.

    – Da qui abbiamo anche inviato dati alle brane e, lo avrai letto sui notiziari, anche un cervello mappato nell’inframondo. Primi fra tutti – prosegue la direttrice senza preoccuparsi del proprio orgoglio. – Infine, sono anche giunti dati dall’ultramondo. – Denisova non ha bisogno di spiegare a cosa si stia riferendo. Julius è uno scienziato e conosce le ultime teorie sulla struttura della realtà, composta da dieci dimensioni, di cui solo quattro sono esplose, mentre le altre sono rimaste accartocciate nel microscopico.

    Purtroppo – continua Denisova – a causa del comportamento irresponsabile delle genti dell’ultramondo, c’è stato un incidente, qui al Tevatron, che ha portato alla legge di Cautela Quantica, che come saprai oggi vige in tutti i superstati.

    Julius alza lo sguardo. – Cos’è successo?

    La direttrice scuote la testa. – L’ultramondo ha provato a occupare le menti degli abitanti del villaggio vicino. Siamo stati costretti a spostare i laboratori operativi a distanza di sicurezza di almeno sedici chilometri dai cannoni e dall’anello di accelerazione. Di conseguenza, tutti gli acceleratori del sistema solare sono stati costretti a farlo. Ora controlliamo i macchinari a distanza.

    – L’ultramondo è in grado di occupare la mente di qualsiasi essere che si trovi nei pressi dell’esperimento, mentre noi non possiamo farlo nei loro confronti, ma solo nell’inframondo – dice rapidamente Julius, come se si misurasse in un complesso scioglilingua. Denisova è piacevolmente sollevata del fatto che Julius si sia sbloccato.

    – Esatto. Una catena di mondi.

    Julius annuisce più volte, con convinzione, guardandosi intorno come se cercasse la soluzione a un problema.

    – Ci dobbiamo difendere. Almeno a quanto si dice nei piani alti – conclude la direttrice facendo intendere un certo dissenso nei confronti della gestione politica della scienza sperimentale.

    Infine la donna passa alla fase burocratica. Preleva il pad. – Abbiamo compilato un contratto a termine. La presenza non è indispensabile, ci atterremo alla produttività, ci sono delle clausole…

    – Ho già letto tutto – la interrompe Julius.

    – Bene, allora mi serve la firma retinica – taglia corto la direttrice puntando il lettore verso il viso pallido del ragazzo.

    Julius solleva lo sguardo per una frazione di secondo, quindi torna a combattere la sua personale lotta contro il movimento convulso delle mani. Riesce per un momento a vincerla, ma è costretto ad alzarsi in piedi.

    – Signora Denisova, grazie ancora per l’opportunità, non se ne pentirà.

    La direttrice sorride all’estrema formalità del ragazzo e annuisce. Nessun colloquio è meglio di un periodo di prova. Lei non rischia nulla. Se il ragazzo dovesse rivelarsi inadatto, sarebbe passata per quella che ha erroneamente ascoltato le parole di Vanth.

    3. Vertice

    La scia luminosa attraversa il cielo nero. Una corte di luci, stelle e nebulose colorate si dipana da Saturno come un’aspersione magica. Il pianeta è grande, appena sopra l’orizzonte, ma è il suo scialle di stelle e brillantini che lo rende così particolare. Sembra una galassia aggiunta, personale. E invece sono gli anelli.

    Dimitri Falso von Dwarf osserva il cielo di Giapeto attraverso l’oblò che protegge la cittadina di Iapeter, capitale del satellite saturnino. Chiunque, capitando su questo astro nel periodo in cui gli anelli non si vedono di taglio, rimarrebbe a testa in su. E Giapeto è l’unico corpo abitato su cui è possibile vedere gli anelli da questa angolazione.

    – Che spettacolo – dice il Presidente D.

    – Avrà modo di vederlo dalla terrazza panoramica – risponde la segretaria personale.

    – Grazie, ma non siamo qui per una gita.

    – Certo – ribatte imbarazzata la donna.

    – È il secondo vertice trilaterale nel giro di pochi mesi. E questo non è un buon segno – si preoccupa il presidente.

    Pochi giorni fa Ophelia Kokyangwuti Burke, Consigliera Suprema U, ha di nuovo convocato le controparti dei superstati D e S per parlare degli inframondi. Giapeto non è certamente stato scelto solo per l’eccezionale vista. Appartiene al territorio S, il superstato più piccolo, che funziona anche da cuscinetto tra le superpotenze U e D, anche se nell’ultimo secolo una parte si è alleata con l’U, e questo mette più a suo agio la Consigliera Suprema.

    Ksenja ibn Ata Allah McDevaki, portavoce di turno del governo S, ha già accolto le delegazioni D e U, facendo le presentazioni e una sorta di padrona di casa.

    – Il problema è che gli abitanti dell’U si sentono più potenti, più furbi – dice von Dwarf. – E questo li porta a commettere gravi errori.

    – Pensa che vogliano chiedere aiuto?

    Il presidente von Dwarf stacca gli occhi dalla volta stellata e guarda la propria segretaria. Lui è alto, ha gli occhi del colore del ghiaccio, capelli bianco uniforme e indossa la giacca di ordinanza. Scuote la testa, con un’espressione amareggiata. – Credo vogliano dividere i loro errori con noi, per poi costringerci a rimediare.

    Il sistema gerarchico e autoritario dell’U non è in realtà così diverso dalle loro controparti. Qualche secolo prima il potere era accentrato in poche mani e le oligarchie controllavano il governo. Il D rappresentava l’antagonismo liberale, in mano alle classi medie. Ciò non aveva impedito la nascita di una terza via, il superstato S, libertario e progressista, fortemente basato su presupposti tecnologici digitali, ma che rappresentava una piccola minoranza di nazioni.

    La colonizzazione del sistema solare aveva distribuito il controllo dei tre superstati nei corpi abitabili su cui era possibile installare cupole geodetiche per creare una biosfera adatta all’uomo o, nel caso di Marte, le prime terraformazioni a cielo aperto. Con la dispersione su scala planetaria, le autonomie locali avevano assunto un’importanza maggiore, e alcune parti dello S si erano alleate con l’U – come il caso di Giapeto – fungendo da ago della bilancia.

    A causa di questa situazione, negli ultimi anni una serie di Consiglieri Supremi cautamente riformisti aveva ammorbidito la struttura dell’U, avvicinandola ai loro antagonisti.

    Questo non aveva impedito dei programmi scientifici separati, sia di colonizzazione spaziale, sia di esplorazione degli inframondi, ma almeno ora era possibile il dialogo.

    Cassini è il palazzo dei congressi di Iapeter, dove già altre volte le delegazioni si sono incontrate.

    La portavoce di turno del governo S, McDevaki, accoglie le altre delegazioni e fa accomodare Kokyangwuti Burke e Falso von Dwarf al tavolo principale. McDevaki è una donna alta, mora, austera, in abiti scuri, mentre Burke è minuta e indossa il tradizionale casco che mette in mostra tutta la rotondità della sua testa.

    – Signora Kokyangwuti Burke – premette McDevaki, in un tono formale che non vede l’ora di abbandonare – lei ci ha convocato in questo palazzo due volte nel giro di pochi mesi. Per questo le lascio subito la parola.

    Burke si alza, preferisce stare in piedi, data la sua statura.

    – Ringrazio sentitamente della vostra ospitalità, signora McDevaki – dice verso Ksenja assentendo con il viso – e naturalmente della vostra presenza, signor Falso von Dwarf – ripete il gesto nei confronti di Dimitri. – Sono felice che abbiate applicato prontamente la Cautela Quantica, da noi suggerita la volta scorsa.

    La piccola donna guarda l’uditorio come un gerarca magnanime. La sala è stipa di ministri, consiglieri, segretari, portaborse e giornalisti. La Consigliera Suprema Burke si prende tutto il tempo per raccogliere l’attenzione. Quindi parte: – Ormai da più di un secolo padroneggiamo la tecnologia di mappatura del cervello. Ogni nazione ha almeno un sistema di memorizzazione. Ed è ovvio che ogni persona, vicina o lontana dalla morte, abbia il desiderio di salvare la propria mente, in attesa che sia disponibile un nuovo corpo da utilizzare in sostituzione del vecchio, ormai deperito.

    Il presidente von Dwarf inarca le sopracciglia, poi guarda di sfuggita McDevaki. Questa premessa non se l’aspettavano.

    Burke prosegue: – Al momento, com’è ovvio, disponiamo soltanto di vari gradi di corpi artificiali. Però, dai dati in nostro possesso, per quanto ci riguarda, la percentuale di chi accetta di rivivere sottoforma di automa è veramente bassa. E immagino che ciò valga anche per voi. La gente preferisce aspettare la disponibilità di un corpo naturale.

    McDevaki e von Dwarf annuiscono. Pochi infatti erano disposti a rivivere come un robot o una specie di cyborg.

    – Di conseguenza, le banche dati continuano a riempirsi di mappature in attesa di corpi disponibili. Del resto, i nuovi nati, sia in modo naturale, che tramite clonazione, hanno una propria mente, e pochi sono i genitori disposti a sostituire le loro menti con la mappatura di qualcuno che non hanno mai conosciuto. Infine, nonostante le nostre pratiche di clonazione anonima, le richieste sono enormemente superiori alle disponibilità di corpi…

    Burke si volta direttamente verso McDevaki: – …oltre al fatto che nei vostri territori questa pratica è illegale.

    McDevaki non annuisce. Non vuole entrare nel mood del consenso, è un vecchio trucco che ormai conoscono tutti. Si chiede piuttosto dove voglia arrivare la donna. Quindi sfrutta uno dei silenzi retorici della Consigliera Suprema per interporre una frase, senza che sembri un’interruzione: – Non credo che il problema sia la carenza di memoria, miliardi di Terabyte sono disponibili su ogni pianeta.

    – Infatti – si affretta Burke a riprendere in mano il discorso. – Non è questo il punto. Ora io vi dovrei riferire delle nostre sperimentazioni.

    La frase è seguita da un brusio sotteso nella sala.

    – Anche se penso che sia inutile perché sono personalmente convinta – dice mettendo l’accento sul fatto che sia una sua idea e non del governo U – che voi siate già a conoscenza di tutto. Ma farò come se foste all’oscuro – dice indugiando con lo sguardo verso von Dwarf, che fa di tutto per apparire una statua di cera. Tutti sanno dell’esistenza di una rete di spionaggio, ma naturalmente nessuno lo può ammettere.

    – Mi riferisco alle sperimentazioni con l’inframondo. Voi siete al corrente che abbiamo contatti attraverso infinitesimali cunicoli spaziotemporali. Naturalmente sappiamo che anche voi avete avuto dei contatti. E quindi siete anche a conoscenza che si tratta di un mondo-specchio, identico al nostro. Ma che qualcosa, a un certo punto della storia umana, un evento epocale, una singolarità tecnologica, ha cambiato il corso degli eventi, differenziandolo dal nostro.

    Burke fa un’altra pausa, guarda tutte quelle facce, quegli sguardi di un campione di umanità riunito su un satellite periferico a parlare di continuum spaziotemporale, e sente tutto il peso della responsabilità. Ma è abituata, è il suo mestiere.

    – Purtroppo – prosegue la donna cambiando tono – abbiamo scoperto, come riferitovi nello scorso vertice, che anche noi siamo l’inframondo di un altro continuum, che abbiamo chiamato ultramondo. Il nostro universo è totalmente inscritto in una loro dimensione infinitesimale. Insomma, anche se gli scienziati non si esprimerebbero così, perché le rispettive dimensioni sono disgiunte eccetera, in sostanza ci troviamo all’interno di un loro bosone. Questo ci porta a essere in loro soggezione. L’inframondo è il nostro Slave, ma l’ultramondo è il nostro Master.

    Burke lascia ancora spazio a commenti di fondo e brusii, quindi procede: – La Cautela Quantica serve proprio a questo: evitare di subire interventi dai nostri Master.

    Von Dwarf alza la mano e chiede come questa cautela possa essere efficace. Ma la Consigliera Suprema lo ferma con un gesto di attesa e continua: – Non so fin dove arrivino le vostre informazioni ma, come dicevo, sono convinta che ancora pochi saranno stupiti del fatto che ci siamo spinti oltre.

    Il brusio nella sala si alza, soprattutto quello dei giornalisti. Tutti pendono dalle sue labbra.

    – Abbiamo provato a inviare mappature nell’inframondo. Per poterlo fare, è necessario localizzare una mente libera, ovvero avere le coordinate di una persona in coma. Questo si può fare tramite i tag. Se non ci si spinge in un passato troppo remoto, non è difficile localizzare questi tag nell’inframondo.

    I giornalisti sono molto attenti alle sue parole.

    – Abbiamo effettuato dei trasferimenti interdimensionali di mappature di cervelli umani, con un discreto successo. Ma trovare persone in coma nei pressi di oggetti taggati non è facile e prima o poi avremo terminato le possibilità a nostra disposizione.

    Burke incrocia le dita, come se fosse in procinto di fare un sacramento.

    – Alcuni nostri scienziati hanno proposto un metodo alternativo, molto ingegnoso, per trasferire mappature in cervelli non comatosi. – Burke evita di usare l’espressione coscienti. – Grazie a un acceleratore di particelle o un interferometro è possibile l’invio

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