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L’epilogo
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L’epilogo

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Sergio Graffeo prosegue con questo suo terzo libro, L’Epilogo, la storia inizia con Un uomo a metà e la chimica di Dio. Di nuovo abbiamo l’opportunità di seguire le vicende che riguardano Andrea, uomo di notevole tempra, costretto su una sedia a rotelle dopo un gravissimo incidente, ma sempre più coinvolto nella vita della sua comunità, minacciata da una malvagia e scellerata setta che ha, poco tempo prima, ucciso il suo grande amico e confidente Padre Maniscalco. Che cosa ha in serbo il Destino per lui? È poi realmente il Destino o Dio, che con la sua presenza latente sembra insinuarsi in ogni spiraglio lasciato libero dalla Tenebra? Un romanzo inquieto e intrigante, che coinvolge il lettore nei pensieri più profondi e segreti di un animo umano travagliato.
LanguageItaliano
Release dateDec 27, 2016
ISBN9788856781052
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    L’epilogo - Sergio Graffeo

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8105-2

    I edizione elettronica novembre 2016

    A mia moglie Rita,

    per sopportarmi da così tanti anni

    L’uomo cerca ogni forma per esprimere la beltà,

    l’uomo cerca ogni forma per dominare il Mondo,

    l’uomo cerca ogni forma di male per dominare la vita,

    Dio non cerca nulla, si ferma a contemplare nel silenzio assoluto.

    Capitolo I – Dilige et quod vis fac

    Quant’acqua era passata sotto i ponti. Chi l’avrebbe mai immaginato che oggi mi sarei ritrovato in questa stanza, sotto questa poca luce, a riempire pagine bianche di parole.

    La penna scorreva leggera, tracciando voli iperbolici sulla carta, le mani sudavano e la mente concentrata enucleava pensieri fecondi di progetti futuri. Ogni pensiero catturava le sensazioni che dominavano l’anima, ogni pensiero espressione di quel Dio che mi invadeva e che mi ricordava di appartenere a quel genere umano che si stordiva, si inebriava di futile vita, di beni transeunti ed esteriori per dimenticare la sua infelicità. L’uomo è nato per essere felice, l’uomo va alla ricerca continua di quella felicità di cui si sente privo, spinto verso quella meta aulica che non raggiungerà mai, se non in un Dio eterno, infinito, e principio ultimo di tutto il sapere, una meta che potrà raggiungere solo con il cuore, ma senza rinnegare la mente generatrice di pensieri positivi. Uomo, espressione di quella contraddizione perenne, di quell’unione indissolubile tra grandezza e meschinità, equilibrio instabile e consapevole dell’ambiguità umana, consapevole di essere destinato alla grandezza, al bene, alla felicità ma anche di essere miserrimo, conscio di dedicarsi alle bassezze della vita. Utilizzare quei beni prettamente materialistici, quelle passioni estreme e fugaci, anche se necessarie, per raggiungere mete superiori, un fine ultimo, dimenticandosi che sono solo dei semplici mezzi per raggiungere l’agognata felicità. Una vita spesa alla ricerca di qualcosa che non potrà mai soddisfarci, viviamo immersi in un presente non presente, in ricordo del passato e in attesa di un futuro che non verrà mai. Siamo esseri formidabili, unici e irripetibili, non esisterà mai più, neanche tra milioni di anni, un Andrea Graziani. Non so per quale motivo Dio mi ha dato da vivere in questo momento, in questo luogo, tra questa gente. Non so quando morirò, cosa mi aspetta, non so chi incontrerò e chi sarà influenzato dalla mia presenza o quanto durerà la mia vita. Di una cosa, però, sono assolutamente certo, la mia esistenza è stata importante, talmente importante che le discendenze future della Terra ne saranno influenzate per sempre; per quanto miserrimo io sia stato, un semplice gesto, un deviare dal mio percorso abituale, un tossire lieve tra la gente ha creato inondazioni e tempeste. Il Mondo di oggi è frutto esclusivamente di un passato unico e irremovibile.

    Le urla dei bambini che venivano dal chiostro mi riempivano di gioia e mi richiamavano alla realtà. Non so se la mia esperienza servirà a qualcuno. Quello che mi è successo mi ha cambiato definitivamente. Quello che è successo ha dell’inconcepibile, dell’inspiegabile, ma lascerò a voi decidere se lo sia stato, se il vero abbia confortato la mia mente falsa. Il mondo, la sostanza di cui è fatto, ha del miracoloso, tutto è congeniato affinché la vita esista. Ogni tassello si incastra perfettamente con l’altro, come in un mosaico, dove ogni tessera si incunea assolutamente con quella tessera e nessun’altra, e ad ogni mosaico se ne incastra un altro e un altro ancora, in un continuum spazio temporale senza fine.

    Il 15 dicembre alle ore 22.00 era morto un uomo giusto, un uomo perbene, aveva lottato con le unghie e con i denti per quel bene di cui siamo fatti tutti, e dico tutti, anche quelli che seminano terrore e odio. La morte di Padre Maniscalco mi aveva lasciato un immenso vuoto nel petto, come se qualcuno mi avesse lacerato le carni e strappato via il cuore.

    La sera dei funerali, nel cimitero, ero certo di aver intravisto tra le lapidi un’ombra circospetta che in silenzio osservava le esequie del presbitero. Un’ombra come tutte quelle che avevo visto da quando conoscevo Maniscalco. Da allora la sensazione di essere osservato non mi aveva più abbandonato. Ogni mio pensiero, ogni mia azione, era intercalata da quella sensazione, e scrutavo ogni dove alla sua ricerca.

    I giorni seguenti furono davvero duri, silenti e pensierosi per tutti quanti. Donna Carmela era divenuta ancora più piccola e smagrita. La sua mano ossuta richiusa sulla Bibbia di Gerusalemme, lo sguardo chino, e le labbra sottili recitavano sottovoce le preghiere, mentre con l’altra mano chiusa a pugno contava i grani della sua corona del rosario. Aveva abbandonato per sempre la cucina. Quella donna taciturna e di intelligenza vivace oramai era racchiusa nel suo dolore. La sua mente fragile non poteva sopportare una morte assolutamente inutile.

    Non potevo crederci: Maniscalco era morto, Nostro Signore nasceva e lui moriva. Quel Natale passò senza che nessuno di noi se ne fosse accorto. Marco e Maria vennero a casa mia come da tradizione, poco dopo giunse anche Daniela. Donna Carmela apparecchio per cinque.

    «Io mi siedo a tavola quando arriva Padre Maniscalco» mi disse con voce perentoria, sedendosi composta all’estremità destra del divano. Lì rimase per tutta la sera a guardare il soffitto. Quella sera aveva deciso di indossare un tailleur di colore bianco dimenticato nell’armadio trent’anni prima, con un grande foulard nero sul collo nudo. La sua mente offuscata confondeva la realtà con la fantasia. Il geriatra mi disse che si trattava forse di demenza senile o forse un trauma momentaneo, sta di fatto che con il tempo andò peggiorando.

    Daniela indossava un abito nero, un tubino semplice, senza grandi pretese, ma con il suo fisico appariva, quasi, esageratamente elegante e sensuale.

    Marco al solito era distratto nel vestire. Maria era al quinto mese di gravidanza, la sua pancia era visibilmente sporgente. Il ginecologo le aveva detto che sarebbe stata una femmina. Daniela ci servì una cena fredda, mangiammo e bevemmo. Non conversammo quasi per nulla. Poche parole, tanti pensieri, molte preoccupazioni.

    Nessuno di noi era certo di cosa sarebbe successo dopo. La vita ripartiva, ingorda continuava la sua irrefrenabile corsa. Dove andasse, non mi era consentito sapere. Il dolore veniva lasciato indietro, racchiuso in un cantuccio dei nostri cuori, non era e non è utile alla vita.

    Dopo il Natale, arrivò Capodanno, un giorno come tanti.

    Donna Carmela nel suo mondo fissava il tetto bianco. Io, nel mio, guardavo le mie grandi ruote da circo. Daniela fissava i miei occhi. Matteo e Maria guardavano la pancia di lei. Era giunto il nuovo anno in sordina.

    Di tanto in tanto ripensavo alle parole di Maniscalco, riprendevo la lettera che mi avevo scritto e leggevo l’ultima parte come se volessi imprimermela nella mente:

    Devi contattare monsignor Arnoux Dubois, è un grande esperto di misteri, teologo raffinato e archeologo, lo troverai presso la chiesa seminarista di Saint Sulpice, lui è il responsabile ordinatore dei giovani seminaristi. Contattalo e mostragli questa lettera e la croce, lui saprà cosa fare. Andrea, il mio destino era segnato già da tempo, sapevo che non sarei mai diventato vecchio. Mi dispiace averti conosciuto così tardi. Ricordati, tu sei il futuro.

    A presto mio Andrea, a presto.

    Non ero certo quale fosse la scelta giusta. Dentro di me sentivo una voce che mi sussurrava: Resta, non partire, tua madre ha bisogno di te... e poi sei su una sedia a rotelle, l’hai dimenticato? Non sei in grado di fare l’eroe, ma dall’altro lato un’altra mi urlava Parti, raggiungi monsignor Arnoux Dubois, hai una vita sola, non sprecarla per paura di perderla, vivi con coraggio, fai in modo che la morte di Maniscalco almeno sia valsa a qualcosa.

    La vita di un uomo è disseminata di bivi, o l’uno o l’altro, senza soluzione certa. Un’infinità di bivi che, susseguendosi, rende unica ogni singola vita.

    Maniscalco era morto per le sue idee, che come un virus erano capaci di contagiare chiunque venisse a contatto con lui, ed era certo che loro ne avessero paura, altrimenti non si sarebbe spiegato il suo omicidio. Le sue idee così perfette e immutabili, da superare i tempi, sono a fondamento del genere umano. Noi siamo nati per essere felici, e amare incondizionatamente è il mezzo per raggiungere tale felicità. Le idee di Maniscalco erano e forse sono il modello unico e perfetto di cui parlava Platone, destinate a risiedere nell’Iperuranio, destinate a forgiare il Mondo. Allora perché il suo Dio ha permesso che morisse? Padre Giuseppe non doveva morire, non era il suo momento. «Ehi, lassù, mi stai a sentire? Hai sbagliato come la tua creatura, non dovevi riprendertelo, forse non sei così perfetto come si crede...» proferii queste parole amare, mentre il mio sguardo calava su una foto sopra al comodino che ritraeva me e don Giuseppe davanti la Chiesa di San Domenico. Scorsi a fatica sullo sfondo un’ombra nera indistinta dietro un’auto in sosta. Ancora quei maledetti! Avevano sporcato per sempre la mia vita.

    Il giorno dopo Capodanno mi recai con Daniela alla Chiesa di San Domenico, forse nella sciocca illusione di trovarci ancora il mio prete che ammoniva i suoi fedeli. Non mi stupì, tuttavia, vedere che teneva messa un omone alto con occhi cerulei e fieri, capelli folti e pancia forte. Era il cardinale Koler, quello stesso cardinale che ci aveva accolto nella Chiesa Madre di Nostro Signore, ed era giunto da bambino, in Italia, con il babbo tedesco e la mamma italiana, nella Città Eterna, sotto i bombardamenti degli Americani. Aveva il viso contrito e le parole gelate dalla sua bocca uscivano con fatica, ora mostrava la sua vera età. Eravamo giunti tardi in chiesa, solo per ricevere la sua benedizione finale. Ma prima di congedare la platea, si soffermò due minuti in più.

    «Nell’augurare a tutti un Buon Anno, vorrei spendere due parole in ricordo di un caro amico. Tutti siamo addolorati della perdita di Padre Maniscalco, ma se questo è successo, probabilmente era già previsto nel grande disegno di Dio. Non dimentichiamolo mai: Maniscalco, prima di tutto, è stato un uomo buono e poi un prete premuroso e devoto. Ringraziamo Dio che ci ha dato la possibilità di conoscerlo, il grande onore di ascoltare le sue parole. Non scoraggiamoci, perché Dio ha progetti tanto grandi che nessuno di noi può intendere. Don Giuseppe non temeva gli uomini, le loro armi, le loro parole, non potevano scalfire la sua anima dura come il diamante. Ma la più grande arma che aveva, e che ogni buon cristiano dovrebbe avere, era ed è il perdono. Mentre tu mi trafiggi il cuore, io dico Ti perdono. Mentre il tuo piede mi schiaccia la testa, io dico Ti perdono. Maniscalco amava ripetere: Un uomo che non ha paura di morire non muore mai. Lui non è morto, è vivo, è vivo più che mai. La sua anima vive e vivrà per l’eternità. Chi mi dà questa sicurezza? Il Cristo, il Cristo redentore che sta preparando forse un posto per me nel Regno Celeste, un posto per ognuno di voi. Siate felici, lui si incarnò nel seno della Vergine Maria, nacque in carne d’uomo e dimorò in mezzo a noi, per raccontarci la buona novella, per mostrarci la via, la salvezza, la vita. Molti non lo riconobbero, altri non lo vollero riconoscere, altri lo disprezzarono e altri ancora ne ebbero paura. Ma anche uomini che mi hanno preceduto nei secoli, nei millenni, più illustri e più famosi di me, mi trasmisero la certezza della vita oltre la morte. Loro si interrogarono sull’esistenza, sull’uomo, sulla natura, sulle leggi matematiche che reggono l’Universo, sui numeri che sono elementi fondanti della vita, ma tutti aspiravano a trovare il senso del vivere, arrivando ad un’unica soluzione: il vivente è di natura divina, il vivente ha in sé il seme della sua grandezza e ne ha coscienza. Abbiate fede, perché la fede ripaga sempre. Io ho paura come voi di morire, ma solo del trapasso, dopo, senza ombra di dubbio, mi aspetterà una vita più concreta di quanto possiate immaginare. Cari fedeli, cari fratelli, oggi sono qua, oltre che per ricordare il compianto Giuseppe, anche per presentarvi il vostro nuovo parroco, almeno per il momento. Vieni avanti Padre Paolo» concluse Koller volgendo uno sguardo tenero verso il nuovo arrivato.

    Padre Paolo Mansueta era molto giovane, forse poco meno che trentenne, camminava con passo svelto e deciso, fisico asciutto, di bell’aspetto, aveva lineamenti gentili e occhi neri e grandi.

    «Buon Anno a tutti, cari fratelli. Mi dispiace ritrovarmi in mezzo a voi dopo che una disgrazia così grande ci ha reso orfani di un grande prete. Non conoscevo bene padre Maniscalco, ebbi l’occasione di incontrarlo quando fui ordinato sacerdote. Ho ricordi di lui come di una persona carismatica, devota e dolcemente umile ma pronta come un leone ad azzannare la preda. Come ben vedete sono un sacerdote che appartiene all’Ordine dei frati predicatori, Ordo fratrum praedicatorum, un Domenicano. Resterò con voi su ordine del vostro vescovo finché non si insedierà un nuovo parroco. Forse per un mese o due, o forse per un anno o finché il buon Dio vorrà. Sapete, noi Domenicani siamo legati profondamente al Cristo redentore, via attraverso la quale si raggiunge la salvezza. Noi siamo un ordine Cristocentrico, il fulcro del nostro predicare è lui, anche se abbiamo una devozione profonda e sincera per Maria. Cristo, però, è la nostra luce, che ci guida attraverso le tenebre del Mondo, al Padre. Per la natura del mio Ordine, ho offerto la mia esistenza a Dio, in modo contemplativo alla sua magnificenza. Sono anche un docente di Teologia morale. In parole povere sono uno che insegna a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, a rivedere le proprie azioni alla luce della religione, rivalutando i dettami morali ed etici che devono condurci alla felicità, alla beatitudine, alla vita vera. La morale deve essere una scienza che deve fornirci gli elementi per intendere e discernere il falso dal vero. Questo non comporta giudicare, anche se spesso è un diritto che ci arroghiamo, quando in verità ciò è di esclusiva pertinenza del Padre cui dobbiamo fede e amore. Ma non vorrei annoiarvi con una dissertazione sulla morale, voglio solo che sappiate che potete disturbarmi quando volete, potete contare su di me, sono con voi sempre e in ogni caso».

    La messa era finita, Daniela spingeva la mia carrozzina, con le sue grandi ruote da circo, in sacrestia, avevo voglia di conoscerlo. Padre Paolo era insieme al cardinale Koller. Quest’ultimo mi riconobbe venendomi incontro con il braccio disteso e la mano aperta. Lo salutai con fervore, appoggiando la mia mano sul suo gomito mentre con l’altra gli afferravo la sua. Daniela chinò la testa baciandogli l’anello. Padre Paolo mi diede la sua mano calda e mi fissò con i suoi grandi occhi.

    «Salve, sono il

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