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La Bella Terra
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La Bella Terra

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Analisi al processo di sviluppo e crescita della nostra economia digitale che, per mancanza di visione strategica e buonsenso, stenta a decollare. Italia che, grazie al digitale, potrebbe  davvero diventare quella Bella Terra che tutti vorremmo e che molti ormai hanno paura persino di sognare.
LanguageItaliano
Release dateDec 2, 2016
ISBN9788890876790
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    La Bella Terra - Alfonso Fuggetta

    INDICE

    L'autore

    Prefazione di Stefano Epifani

    Premessa

    Introduzione - Il difficile e insostituibile rapporto tra Politica e Tecnica

    Capitolo 1 - Italia e Europa: quale direzione porta al futuro?

    1.1 Seminare per la crescita: come investire in innovazione, startup e sviluppo di impresa?

    1.2 Ripartire dal territorio

    1.3 La sfida strategica che l'industria europea (e italiana) dovrà affrontare

    1.4 Sulle competenze tecniche

    1.5 I dieci anni persi nel digitale in Italia

    1.6 Perché spesso non si innova

    1.7 Esisterà mai una terza via?

    Capitolo 2 - Partire dalle persone: risorse umane, formazione e relazioni

    2.1 Le sfide nello sviluppo del capitale umano

    2.2 Il resto viene prima

    2.3 Perché servono le competenze tecnologiche del saper fare

    2.4 Insegnare ad imparare

    2.5 Per innovare dobbiamo dimenticare il ROI

    Capitolo 3 - Banda Larga: cosa é, cosa ne sappiamo e a che serve

    3.1 L'ignoranza italica sulla banda larga

    3.2 Piccolo vademecum sulla banda larga

    3.3 Banda larga dove c'é gente, o c'é gente dove c'é (anche) banda larga?

    3.4 Razionalizzazione dei datacenter pubblici: gli errori che rischiamo di fare

    3.5 I cinque stereotipi sullo sviluppo della banda larga

    Capitolo 4 - Agenda Digitale: come sviluppare il digitale in Italia?

    4.1 Quali sono le priorita nello sviluppo dell'Agenda Digitale?

    4.2 Uccidiamo il termine digitalizzazione

    4.3 Build Platforms and Ecosystems - not just Products

    4.4 Come declinare una strategia digitale per le amministrazioni pubbliche del Paese?

    Capitolo 5 - Il ruolo dell'ICT e delle tecnologie nella PA e nelle aziende

    5.1 Per razionalizzare e qualificare (sul serio) la spesa ICT Italiana

    5.2 L'insostenibile iattura del procurement al massimo ribasso

    5.3 C'e Innovazione senza Tecnologie?

    5.4 Il capitale umano ICT Tutti lo invocano, ma chi se ne cura realmente?

    5.5 L'Ipocrisia di un mercato malato 

    L’autore

    Alfonso Fuggetta: dopo la laurea presso il Politecnico di Milano nel 1982, ha lavorato per una società di consulenza software dal 1980 al 1988, quando entra, come ricercatore senior, in CEFRIEL, azienda che promuove e sostiene l'innovazione nelle imprese e amministrazioni pubbliche; Professore associato presso il Politecnico di Milano, viene promosso a Professore Ordinario e, dopo aver ricoperto il ruolo di Vicedirettore presso il CEFRIEL, ne diventa Direttore Scientifico nel 2003 e Amministratore Delegato nel 2005.

    TechEconomy

    Tech Economy c/o Info srl, Via Ottaviano, 42, 00199 Roma

    www.techeconomy.it

    redazione@techeconomy.it

    TechEconomy è il portale fondato da Stefano Epifani nel 2012 nato per rispondere alla sempre maggiore domanda di informazione e conoscenza sulle tematiche connesse agli impatti dell’IT nel business e sulle modalità di gestione del cambiamento da parte dei manager dei diversi settori.

    La Bella Terra è la raccolta di articoli e riflessioni sull’innovazione nel nostro Paese: il percorso costruito in questo ebook è il frutto delle analisi e delle soluzioni, ancora profondamente attuali, proposte attraverso la rubrica di Alfonso Fuggetta su TechEconomy, sul suo blog e su Medium negli ultimi anni. Dalla creazione di competenze all’analisi dello stato dell’arte, dalle possibili soluzioni fino alla proposta di modelli da adottare per uscire dalla stagnazione e dell’immobilismo in cui, sui temi del digitale, riversa l’Italia, la nostra Bella Terra.

    Prima edizione 2016

    ISBN 9788890876790

    Licenza Creative commons - Attribuzione - Non Commerciale- Non opere derivate 3.0.

    Prefazione di Stefano Epifani 

    Se la digitalizzazione del nostro Paese dovesse acquisire una dimensione letteraria potrebbe passare dal Beckett di Aspettando Godot allo scrittore e giurista sardo Salvatore Satta quando, ne Il giorno del giudizio, afferma che: questa era la sua vocazione: attendere sempre prima di cominciare, restando fuori dalla realtà, come se l’inizio delle cose non facesse parte di questa, non dipendesse da noi. Pare proprio la Digital Transformation tricolore: nell’attesa di un Godot che ogni semestre cambia nome ma non cambia sostanza, rimaniamo ad aspettare (e sperare) che qualcosa succeda. 

    Vero è che in spagnolo aspettare si dice esperar, perché in fondo aspettare è anche sperare, ma la vera speranza è quella di non finire come Oscar Wilde quando afferma se non ci metterà troppo, l’aspetterò tutta la vita. Perché l’amara realtà è che tutta la vita non l’abbiamo. Ci sono cose che vanno fatte, e fatte subito. Anzi, andavano fatte anni fa. Banda larga e alfabetizzazione alle competenze digitali sono partite da troppo tempo aperte; ma soprattutto viviamo in una nazione che ancora non ha capito davvero che il digitale non è un obiettivo da raggiungere, ma uno strumento attraverso il quale raggiungere gli obiettivi del Paese. Uno strumento a supporto di un processo di rinnovamento dell’economia e della società che da una parte potrebbe aprire grandi opportunità nei più diversi settori, ma dall’altra trasforma ogni opportunità non colta in una vera e propria minaccia per chi non è in grado di cogliere il cambiamento. Troppi Governi e per troppo tempo lo hanno considerato - quando lo hanno considerato - semplicemente un orpello, uno strumento per distribuire qualche poltrona, un mezzo per accontentare qualche fedele servitore di turno. Ma uno di quei servitori non troppo importanti, perché la partita è sempre stata considerata povera. Eppure la partita del digitale sarebbe tutt’altro che povera, se si considera che il contributo di questo settore al PIL è di meno della metà di quanto lo è nella media degli altri paesi europei, e che le stime sull’economia digitale italiana parlano di un possibile contributo al PIL di oltre quattro punti percentuali (ossia circa 75 miliardi di euro) da qui al 2020.

    In un contesto che per mille motivi fatica a trovare una strada non mancano le voci che di quella strada indicano con forza la direzione da anni. Non mancano coloro i quali di quella che dovrebbe essere una vera e propria rivoluzione culturale per il nostro Paese raccontano potenzialità, problemi, prospettive. Non mancano persone che il cambiamento non si limitano a raccontarlo, ma ne sono protagoniste attive, portandolo con fatica e determinazione in aziende ed università. Voci autorevoli che da anni accogliamo anche su Tech Economy. Voci che - spesso fuori dal coro - spiegano con chiarezza i perché dei fallimenti e le possibili soluzioni. Voci che raccontano di come l’Italia, grazie al digitale, potrebbe  davvero diventare quella Bella Terra che tutti vorremmo e che molti ormai hanno paura persino di sognare. Quella Bella Terra in cui la tecnologia diventa strumento al servizio della società, delle persone, delle aziende e dell’amministrazione ed in cui tale funzione ne fa un vero e proprio fulcro attorno al quale far ruotare i processi di crescita e di sviluppo. Quella Bella Terra che ha dato il nome alla rubrica di Alfonso Fuggetta. Una esperienza e una vita vissute a cavallo tra industria e università, Alfonso è Amministratore Delegato del Cefriel e professore ordinario al Politecnico di Milano. Ma soprattutto è  una delle menti più lucide e lungimiranti nello scenario del digitale italiano. Da anni - con la competenza di chi le cose le fa, la capacità di spiegarle di chi è abituato ad insegnare e la penna spesso sferzante di chi non ha paura di dire sempre ciò che pensa - Alfonso, sulle pagine di Tech Economy fa un controcanto al processo di sviluppo e crescita della nostra economia digitale. Un controcanto da non perdere per comprendere ciò che potremmo fare, e come farlo. In questo eBook abbiamo raccolto i pezzi più significativi: pezzi che decontestualizzati dall’attualità, per la quale spesso sono stati scritti, compongono un vero e proprio manuale di buon senso per una visione strategica della digitalizzazione del nostro Paese. Perché oggi - purtroppo - non sono le tecnologie o le possibilità a mancare, ma semplicemente la visione strategica e il buonsenso. 

    Premessa

    Feci il militare nel 1983-84, come ufficiale di complemento nel Corpo Tecnico dell’Esercito. Dopo il corso alla Cecchignola (Roma) prestai servizio nell’allora aeroporto militare di Montichiari, a un paio di chilometri dalla base di Ghedi. Era un piccolo reparto che si occupava di riparazioni per l’artiglieria contraerei dell’esercito (i missili Hawk, per chi se li dovesse ricordare). Eravamo pochi: il comandante, un maggiore, un capitano, molti marescialli che si occupavano del lavoro dei laboratori e delle officine, e noi 3 sottotenenti di complemento: un sottotenente medico e due per l’appunto del corpo tecnico. La vita del reparto era tranquilla, ma non mancavano attriti e frizioni, specialmente con i marescialli che volevano un po’ fare quello che volevano. Capitavano screzi e anche contrasti accesi. Credo fossero inevitabili.

    Quando il sottotenente più anziano di me si congedò, al circolo ufficiali disse alcune parole di circostanza. In particolare, concluse dicendo ho cercato di andare d’accordo con tutti, frase che fece una bella impressione e chiuse con la dovuta retorica quel momento di saluto.

    Tre mesi dopo toccò a me e non riuscii a restare sul generico. Dissi: Chi vi ha salutato prima di me disse che aveva cercato di andare d’accordo con tutti. Io non ho cercato di andare d’accordo con tutti. In buona fede, certamente anche con errori, ho cercato innanzi tutto di fare il mio dovere, anche a costo di non andare sempre d’accordo con tutti.

    Forse fui arrogante. Ma devo dire che non mi sono mai pentito di quella frase. Mio papà, immigrato dal sud e operaio, da ragazzo mi diceva mi raccomando: onestà e schiena dritta, che poi era anche un motto di quel galantuomo di Ciampi. Per cui ho sempre cercato di viverla così, anche se di certo non è facile né comodo.

    In primo luogo si fanno errori, si sbaglia. Non mi capacito quando vedo e sento persone che si credono infallibili, che non dicono mai ho sbagliato. È impossibile, non ci credo, è solo paura e incapacità di vedere i propri limiti. O l’insicurezza che si nasconde sotto quel tremulo e fragile orgoglio.

    In secondo luogo, al di là della retorica e delle chiacchiere che spesso ci sommergono, la nostra società ha altri parametri di successo e di comportamento.

    Da noi valgono soprattutto le relazioni, il network che ti sei creato, l’equilibrio degli interessi dei singoli, peraltro spesso di per se stessi legittimi, se fossero gestiti con buon senso. Sono le relazioni

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