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Assalto al fronte orientale: La conquista sovietica della Prussia
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Ebook911 pages13 hours

Assalto al fronte orientale: La conquista sovietica della Prussia

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About this ebook

Nel settembre del 1944 l'esercito sovietico si riversa nel territorio tedesco, profanando quello che allora era il cuore militare del Reich, la Prussia. L'intento dell'esercito sovietico era di vendicarsi per l'orrore che i nazisti avevano procurato al loro popolo. Disperatamente in inferiorità numerica contro l'onda umana dell'Armata Rossa, la Wehrmacht combatté con determinazione, ma a poco a poco fu costretta a cedere.
LanguageItaliano
Publisher21 Editore
Release dateNov 14, 2016
ISBN9788899470241
Assalto al fronte orientale: La conquista sovietica della Prussia

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    Book preview

    Assalto al fronte orientale - Prit Buttar

    Elenco delle illustrazioni

    Tra p. 296 - 312

    Dietrich von Saucken, 1943 — (Topfoto)

    Erich Koch — (Topfoto)

    Walter Weiss (secondo da sinistra) e Friedrich Hossbach (quarto da sinistra), estate 1944 — (Bundesarchiv Bild)

    Karl Mauss, 1945 — (Bundesarchiv Bild)

    Karl Lorenz, Ucraina, 1944 — (Bundesarchiv Bild)

    Ivan Khristoforovich Bagramjan, estate 1944 — (akg-images)

    Konstantin Konstantinovich Rokossovsky (sinistra), mentre parla con Georgi Konstantinovich Zhukov, Polonia, fine 1944 — (akg-images, RIA Novosti)

    Membri del consiglio militare del 3º Fronte bielorusso, 1944 — (akg-images, RIA Novosti)

    La Prinz Eugen, porto di Copenaghen, 1945 — (Topfoto)

    L’Admiral Scheer, 1945 — (Bundesarchiv Bild)

    La Wilhelm Gustloff, Amburgo, 1938 — (akg-images)

    La Steuben, 1925 — (Bundearchiv Bild)

    Il Pz.IV, 1944 — (akg-images, ullstein bild)

    I Panther, dicembre 1944 — (Corbis)

    I Tiger — (akg-images, ullstein bild)

    I Jg. Pz. IV, Ungheria, 1944 — (Bundesarchiv Bild)

    Un Jagdpanther, simile al veicolo usato con successo da Bix, estate 1944 — (Bundesarchiv Bild)

    L’IS-2, Berlino, 1945 — (Topfoto)

    L’IL-2 — (Topfoto)

    Il Polykarpov PO-2 — (wikicommons)

    Il ponte a Nemmersdorf, distrutto in battaglia, fine 1944 — (Topfoto)

    Due Panther, Memel, dicembre 1944 — (Topfoto)

    Un ragazzo di 16 anni giura nella milizia Volkssturm, 1944 — (Topfoto)

    Un ragazzo e un veterano, armati di Panzerfaust, aprile 1945 — (Topfoto)

    Combattimenti nelle strade, Königsberg, aprile 1945 — (Topfoto)

    Artiglieria sovietica, Danzica, marzo 1945 — (akg-images)

    Forze sovietiche, Danzica, marzo 1945 — (akg-images)

    Profughi tedeschi, Prussia orientale, inizio 1945 — (Bundesarchiv Bild)

    Profughi tedeschi, Frisches Haff, febbraio 1945 — (Topfoto)

    I T-34, vicino Königsberg, febbraio 1945 — (Topfoto)

    Forze sovietiche, vicino Königsberg, febbraio 1945 — (Topfoto)

    Gli ufficiali tedeschi in marcia verso la prigionia, Königsberg, aprile 1945 — (Bundesarchiv Bild)

    Elenco delle mappe

    Panoramica 11

    L’avvicinamento di Bagramjan verso la costa, nell’ottobre del 1944 77

    L’operazione Gołdap-Gumbinė, ottobre 1945 114

    3º Fronte bielorusso, gennaio 1945 174

    Le teste di ponte a Różan-Serock, gennaio 1945 177

    Gli scontri a Toruń e Bromberg 252

    Tentativo di sfondamento di Hossbach 279

    Pomerania, febbraio-marzo 1945 319

    La sacca di Braunsberg-Heiligenbeil 366

    L’azione di sfondamento da Königsberg, febbraio 1945 393

    Königsberg, aprile 1945 409

    Danzica-Gotenhafen, 11 marzo 438

    AOK Ostpreussen 493

    Le penisole di Pillau e Peyse 503

    I porti di evacuazione sul Baltico 579

    Nota dell’autore

    Questo libro è nato da una conversazione casuale con una signora in là con gli anni, che mi parlò della sua vita nella Prussia orientale e di come abbandonò il suo Paese natale, salendo su un volo nel 1945. Sono in debito con Gretel Caton per avermi raccontato questa pagina quasi dimenticata della seconda guerra mondiale.

    La lista di coloro che mi hanno aiutato in questo progetto è lunghissima. Il mio caro amico David C. Clarke è stato determinante da tanti punti di vista che è impossibile elencarli tutti, e Tom Houlihan, John Mulholland ed Euan Ferguson hanno letto instancabilmente le diverse stesure del libro che ho sottoposto loro. Doug Nash e David Glantz mi hanno incoraggiato varie volte durante il mio cammino, e per questo li ringrazio; allo stesso modo, sono grato a Fee Rushbrooke, che mi ha dato dei suggerimenti sulla conformazione e sul clima di quella regione. I redattori di due siti internet dedicati alla seconda guerra mondiale – Axis History Forum e Feldgrau – sono stati una fonte costante di informazioni e di incoraggiamento. Tra loro, Jan-Hendrik Wendler e Michael Miller sono stati davvero generosi con me in diverse occasioni.

    Il mio agente, Robert Dudley, ha dimostrato una grande pazienza, facendomi entrare nel mondo dell’editoria, e il personale della Osprey, in particolare Jaqueline Mitchell, Jon Jackson ed Emily Holmes, mi ha aiutato a trasformare il manoscritto originale in un testo decisamente più presentabile.

    Ultima, ma non meno importante, la mia famiglia, che per tanti anni ha dovuto fare i conti con la mia ossessione per questo progetto: senza il loro sostegno, avrei lasciato perdere senza riuscire a portarlo a termine.

    Prefazione

    Per esprimermi in termini più chiari,

    Vi dirò che ho pesato esattamente

    Sopra i due piatti d’un’equa bilancia

    I danni che potremo cagionare

    Con le nostre armi e i torti che subiamo,

    Ed ho trovato che i torti patiti

    Son più pesanti delle offese fatte.

    William Shakespeare¹

    Questo libro è la storia degli ultimi mesi della seconda guerra mondiale nel nord-est dell’Europa; mesi che hanno visto la fine di ogni residua speranza di riportare il vecchio continente all’antico ordine, una volta chiuso il conflitto. Infatti, mentre esso volgeva al termine, iniziava una nuova guerra, la guerra fredda, che avrebbe determinato il destino del mondo per quasi mezzo secolo. Nelle pagine che seguono si descrive, in particolare, l’invasione sovietica della Prussia orientale e occidentale nel biennio 1944-45. Il combattimento fu duro, come qualsiasi fase dell’amara contesa che si svolse sull’Ostfront, e cambiò per sempre la mappa dell’Europa. La campagna militare dei russi portò a una delle più massicce migrazioni nella storia europea e, prima che le operazioni fossero finite, si registrarono qui tre fra le cinque maggiori perdite, in termini di vite umane, nelle guerre per mare, con un totale di circa 17.000 vittime. Eppure, nei Paesi di lingua inglese, le campagne e le battaglie che si svolsero in quella che era la parte nordorientale della Germania sono ancora poco note.

    I resoconti occidentali relativi all’ultimo anno della seconda guerra mondiale in Europa ci parlano di eventi epocali: l’invasione della Normandia nel giugno del 1944 e gli aspri combattimenti che ne seguirono; lo sfondamento americano e l’accerchiamento di migliaia di truppe tedesche nella sacca di Falaise; la liberazione di Parigi, accolta con tripudio; e – seppur meno eclatante, ma ugualmente importante – il momento in cui le forze di occupazione tedesche vennero scacciate in altre zone del Belgio e della Francia. Dopo il sanguinoso fallimento con cui si concluse il tentativo degli Alleati di garantirsi una testa di ponte sul Reno ad Arnhem, l’attenzione degli storici tradizionali si sposta sull’ultima offensiva tedesca nelle Ardenne. Da allora in poi, abbiamo la narrazione della serie ininterrotta di vittorie da parte delle forze alleate: l’attraversamento del Reno, l’accerchiamento della Ruhr e la débâcle della Germania. Se altri teatri europei vengono mai menzionati, di solito avviene in relazione all’assalto finale dell’Armata Rossa a Berlino nell’aprile del 1945.

    Rispetto alla guerra in Europa occidentale, i combattimenti sull’Ostfront furono crudeli e brutali, dal punto di vista delle ampie aree coinvolte, degli eserciti schierati e della distruzione e dello spargimento di sangue che tutto ciò comportava. Entrambe le parti in conflitto trattavano i prigionieri nemici e i civili in maniera scioccante perfino per l’epoca, completamente in disaccordo con quelli che nel mondo occidentale erano visti come limiti invalicabili, esemplificati dalle convenzioni dell’Aia e di Ginevra. La guerra sull’Ostfront non aveva come unico obiettivo ambizioni territoriali o vantaggio strategico; in primo luogo, era un conflitto ideologico, uno scontro fra due visioni incompatibili sul futuro del genere umano. I soldati che combatterono a oriente, commettendo azioni tremende, erano descritti dai loro nemici come sadici assassini, il che alimentava ulteriormente l’odio e le differenze ideologiche fra le due parti. Eppure, per la grande maggioranza dei soldati semplici si trattava solo di una guerra come tante altre. Combattevano perché dovevano, chiamati al dovere e al servizio di quei grandi eserciti che si spostavano a suon di battaglie per centinaia di chilometri. Molti di loro lo facevano spinti dal desiderio di proteggere la propria patria; per i sovietici durante la prima fase del conflitto, che si svolse a est, e per i tedeschi nella seconda, che si svolse a ovest, c’era anche la grossa motivazione di voler proteggere il proprio amato Paese da un nemico brutale e implacabile. Tutti questi fattori si potevano riscontrare anche sul fronte occidentale, ma non vi era la stessa esasperante spinta ideologica che condusse gli scontri a est a vette di disumanità mai raggiunte a ovest. Le mentalità del popolo tedesco e di quello sovietico erano inoltre differenti da quelle dei popoli delle altre nazioni occidentali. Entrambi i Paesi erano sotto un dominio totalitario che durava da diversi anni, e un’intera generazione di tedeschi e due generazioni di russi erano cresciute all’interno di sistemi che avevano negato loro l’accesso a un’informazione oggettiva e che le incoraggiavano a credere che il proprio modello fosse intrinsecamente superiore a qualsiasi altro. Era inevitabile che uno scontro fra queste due culture avrebbe portato solamente alla completa distruzione dell’una o dell’altra parte.

    Le guerre vengono combattute per molte ragioni. Lo scopo di quella condotta da Hitler contro la Polonia e l’Unione Sovietica era conquistare territori e distruggere il comunismo; la sua guerra contro la Francia e la Gran Bretagna, invece, aveva come obiettivo quello di garantirsi una libertà di manovra a ovest. La guerra di Stalin con Hitler fu resa necessaria dall’invasione tedesca del 1941, ma esistono molte prove che il leader sovietico stesse prendendo in considerazione una guerra preventiva contro la Germania. Dal punto di vista russo, ciò che era iniziato come una guerra di sopravvivenza lentamente si trasformò in uno scontro motivato dal desiderio di vendetta e di conquista: la sofferenza dell’Unione Sovietica fu così grande da richiedere la conquista di nuove terre a titolo di risarcimento e la mappa dell’Europa doveva essere ridisegnata in modo da impedire che qualsiasi conflitto futuro potesse devastare il territorio russo. Considerando la storia dei rapporti di Stalin con il suo popolo, non sorprende che si prendesse così poco pensiero dei milioni di polacchi e tedeschi che sarebbero sfollati a seguito di questa politica.

    Le vittime di questa fase finale della guerra a est furono i civili della Prussia occidentale e orientale, che affrontarono una prova terribile sia durante il tentativo di fuga in pieno inverno, sia in seguito per mano dell’Armata Rossa. Se alcuni di loro potevano essere stati convinti nazisti, e molti potevano aver votato per i nazionalsocialisti prima che la Germania entrasse in guerra, sarebbe sbagliato attribuire loro tutta la colpa per i crimini della Germania nazista. Non erano più colpevoli di quanto non lo fossero i civili giapponesi che sopportarono i bombardamenti americani su Tokyo, o l’atomica su Hiroshima e Nagasaki. I soldati che combatterono per la Wehrmacht e l’Armata Rossa assistettero – e in molti casi ne furono gli attori principali – a terribili atti di violenza. Stabilire la loro parte di colpa in tutto questo è un compito assai arduo. Quelli che di noi hanno la fortuna di crescere in una democrazia, con libero accesso alle informazioni e il diritto di esprimere le proprie idee, costantemente incoraggiati a mettere in discussione i leader politici, a volte sottovalutano quanto ristretta fosse la libertà dei cittadini nella Germania e nell’Unione Sovietica degli anni Trenta. Ci dimentichiamo, inoltre, che mentre condanniamo il razzismo che ha formato una parte così importante dell’ideologia nazionalsocialista, in quello stesso periodo all’interno dell’esercito americano vigeva ancora la segregazione razziale e l’impero britannico negava l’autonomia politica a gran parte del mondo non bianco.

    I processi che seguirono la fine della guerra vennero criticati come una forma di ‘giustizia dei vincitori’. Molti tedeschi furono puniti per i crimini che avevano commesso, ma molti altri con maggiori responsabilità sfuggirono a una condanna. Pochi sovietici, se mai ve ne fu qualcuno, vennero accusati per i crimini perpetrati durante le terribili campagne in tutta la Prussia. Negli anni che seguirono il 1945, entrambe le parti avrebbero cercato di ritrarsi come vittime; e se anche ammisero i propri crimini, posero più enfasi su quelli dei loro nemici.

    Lo scopo di questo libro non è quello di stabilire a chi appartenga la colpa. La guerra è veramente terribile e spinge le persone a commettere azioni terribili. Se le atrocità della seconda guerra mondiale furono su vasta scala, altre atrocità si erano verificate nei precedenti conflitti. In realtà, l’Europa ha avuto modo di sperimentarle anche dopo il 1945, per esempio quando la Jugoslavia si disintegrò negli anni Novanta. Lo scopo di questo libro è semplicemente descrivere ciò che accadde quando l’Armata Rossa raggiunse il territorio tedesco e le battaglie disperate che ne seguirono. Le conseguenze di queste campagne portarono a ridefinire la mappa del nord-est dell’Europa nel secondo dopoguerra, il cui pieno significato è diventato chiaro solo a seguito della caduta della cortina di ferro.

    Panoramica.psd

    Panoramica

    Introduzione

    Slavi e teutoni

    La Polonia dev’essere trattata come una colonia; i polacchi devono diventare gli schiavi del più grande impero germanico al mondo.

    Hans Frank¹

    Nel 1934, Gretel Dost era una ragazzina che viveva nel villaggio di Friedrichstein, nei pressi di Königsberg, nella provincia tedesca della Prussia orientale. Uno dei giorni più memorabili della sua infanzia fu quando Marion Dönhoff – la figlia di Graf August Karl Dönhoff, la cui famiglia aveva vissuto nella tenuta di Friedrichstein per secoli – visitò la sua scuola. Dost fu colpita dalla bellezza della giovane aristocratica, e si ripromise che, se mai avesse avuto una figlia, l’avrebbe chiamata Marion. Dopo la guerra, la Dönhoff avrebbe scritto un resoconto personale della propria fuga dalla Prussia orientale, e la sua introduzione al libro dipinge un quadro piuttosto movimentato della sua terra d’origine nel corso del xx secolo:

    Questo è un libro sulla separazione. La separazione, per esempio, dalle immagini della mia giovinezza: un vasto cielo, che disegnava un arco sopra campi estesi, i villaggi modesti, i ciottoli, i girasoli nei cortili, le oche sulle strade, e ovunque quei meravigliosi viali che a Occidente erano già stati cancellati dall’invasione dell’asfalto e dei mezzi motorizzati. Separazione da un mondo perduto, in cui le stagioni ancora scandivano il ritmo della vita: le mucche che pascolavano nei prati in estate, le nuvole gonfie di pioggia sui campi di stoppie spogli, il grido delle oche selvatiche che si dirigevano a nord in primavera, il richiamo delle ghiandaie nei boschi in autunno, le orme delle volpi sulla neve fresca nelle foreste.²

    Questa immagine idilliaca nasconde alcune aspre verità. Le famiglie aristocratiche degli Junker, che controllavano gran parte dei territori (e da cui proveniva una grande percentuale degli ufficiali tedeschi), erano tradizionalmente conservatrici e si mostrarono riluttanti ad abbracciare la modernizzazione negli anni precedenti la prima guerra mondiale. Di conseguenza, le loro aziende agricole avevano faticato a competere con quelle delle terre più ricche della Germania occidentale.

    Mentre la seconda guerra mondiale era sul punto di scoppiare, questo paesaggio rurale profondamente conservativo era destinato a diventare uno dei più sanguinosi campi di battaglia dell’intero conflitto, nel pieno di un inverno molto freddo. La brutalità con cui l’Armata Rossa avrebbe trattato la popolazione dei civili prussiani fu scioccante, ma i semi di quel terribile raccolto venivano piantati ormai da anni.

    La Prussia orientale era stata una regione tedesca, perlomeno come orientamento, da dopo l’arrivo dei Cavalieri Teutonici nel 1226. Resasi indipendente dai territori slavi, l’area era stata occupata dai tedeschi a nord fino a Riga. I governanti del Brandeburgo e della Polonia si erano alternati alla guida della città di Danzica, ai tempi in rapido sviluppo, prima che i Cavalieri Teutonici la occupassero. Tedeschi e slavi continuarono a mettere in discussione la proprietà di quel territorio, spesso cercando di far valere le proprie pretese sul campo di battaglia. Le differenze religiose fra le varie comunità – la maggior parte dei tedeschi prussiani si convertirono al protestantesimo, mentre i polacchi rimasero cattolici e le popolazioni russe a est cristiano-ortodosse – costituivano un forte impedimento per l’integrazione e contribuirono a preservare un senso di identità da parte del ducato di Prussia, istituito nel 1525. La famiglia degli Hohenzollern ereditò il ducato nel 1618, con un conseguente spostamento del centro di gravità della provincia tedesca. La maggior parte delle terre appartenenti agli Hohenzollern si trovava a ovest della Vistola e – sebbene i territori in loro possesso venissero generalmente considerati semplicemente come Prussia – la regione originaria della Prussia veniva oramai chiamata sempre più di frequente Prussia orientale.

    Nel 1701, la Prussia divenne un regno. Re Federico ii, noto anche come Federico il Grande, si ritrovò a combattere con francesi, russi e svedesi nella guerra dei Sette Anni (1756-63); sostenuto dagli inglesi e dalle scarse risorse della casata degli Hannover, dovette fronteggiare terribili minacce. La sopravvivenza della Prussia doveva molto alla sua abilità militare, ma per la fine del 1761 sembrava che la Prussia stesse per essere sconfitta da un momento all’altro dai propri nemici. Il punto di svolta nella guerra fu la morte della zarina Elisabetta di Russia, nei primi mesi del 1762. Il suo successore, Pietro iii, era molto meno ostile alla Prussia e firmò un trattato di pace con Federico. Anche gli svedesi si ritirarono dall’alleanza anti-prussiana e Federico a questo punto poté dedicare le proprie forze a respingere gli austriaci, battendoli una volta per tutte a Burkersdorf, nel luglio del 1762. Nel giro di pochi mesi, la Prussia passò dal baratro della sconfitta alla vittoria decisiva: un episodio che Hitler continuerà a tenere bene a mente nei giorni bui del 1945.

    Nel 1806, la Prussia soffrì un’umiliante débâcle per mano dei francesi nelle battaglie di Jena e Auerstedt e fu costretta ad aderire al ‘blocco continentale’ di Napoleone contro gli inglesi. Un corpo di truppe prussiane, comandate dal generale von Yorck, formò il fianco nord dell’invasione napoleonica della Russia nel 1812 e il suo comandante ricevette ben presto alcune ambasciate da parte dei prussiani schierati contro Napoleone che gli chiedevano di passare dalla loro parte. Von Yorck chiese consiglio al re Federico Guglielmo iii, ma gli venne semplicemente detto di «agire secondo le circostanze». Posto davanti al dilemma di seguire gli ordini dati o assecondare la propria coscienza, von Yorck esitò per diverso tempo prima di decidere di muoversi contro Napoleone. Fino al giorno della sua morte, rimase nel dubbio di aver fatto la cosa giusta: una crisi di coscienza che doveva essere fin troppo familiare alla generazione futura di ufficiali prussiani, tormentati nella scelta di obbedire agli ordini che venivano inviati loro nel nome del Führer.

    Nel 1870, la Prussia – ora governata dal re Guglielmo i – era impegnata nella guerra contro la Francia. Prima che il conflitto terminasse, il sovrano venne convinto – parzialmente contro la sua volontà – a diventare il Kaiser della Germania unificata. Guglielmo i era un uomo spartano e raramente si faceva vedere senza uniforme. Se esiste una parola per riassumere il carattere di questo archetipico modello di prussiano, potrebbe essere l’intraducibile Nüchternheit, un termine indicante un approccio alla vita che unisce sobrietà, semplicità e austerità. Ulteriori tratti forti del suo carattere, ammirati e al tempo stesso ridicolizzati in altre parti d’Europa, erano un grande senso del dovere e l’essere votato al sacrificio; le campane della Garnisonkirche di Potsdam, il centro spirituale per eccellenza della Prussia, intonavano una canzone ben nota, che recitava: «Mostrati fedele e onesto fino al giorno della morte»³.

    Il figlio di Guglielmo i, Federico, governò per un lasso di tempo breve prima di soccombere al cancro. Suo successore fu Guglielmo ii. Durante il regno di quest’ultimo, gran parte di ciò che era rimasto delle tradizionali virtù prussiane venne spazzato via dalla capitale tedesca in un vortice di lusso e sfarzo. Fu probabilmente l’inizio di una spaccatura fra il mondo cittadino di Berlino e le vette del potere politico da una parte e l’esercito tedesco dall’altra, che rimase per vari aspetti (in particolare, nel corpo degli ufficiali) decisamente prussiano come mentalità. Queste differenze sarebbero riemerse alla scomparsa del Kaiser, con la Germania pronta a un’ennesima guerra.

    Dopo la grande guerra del 1914-18, la geografia della Polonia – per più di un secolo divisa fra le più potenti nazioni vicine – venne ridefinita; ciò in parte fu dovuto alla volontà dei francesi, che reputavano vantaggioso, da un punto di vista politico, circondare la Germania circostante con Stati a loro favorevoli per tutelarsi da ogni futuro attacco tedesco. Immediatamente, sorsero problemi per quanto riguardava i confini polacchi e la condizione delle differenti etnie all’interno di tali confini. Gli anni di occupazione non erano riusciti a eliminare la cultura polacca, ma parti del territorio che sarebbero ricaduti nella nuova Polonia vantavano la presenza di numerosi gruppi di tedeschi, russi e austriaci. I confini occidentali e meridionali del Paese vennero definiti dalle potenze vincitrici. La Polonia avrebbe avuto uno sbocco sulle coste del Baltico, ma la città chiave di Danzica sarebbe stata una ‘città libera’, designazione di cui aveva già goduto nei secoli precedenti. La risposta polacca fu quella di stabilire immediatamente un nuovo porto a nord di Danzica, nella città di Gotenhafen. Dalle piccole dimensioni iniziali, questo porto crebbe fino a diventare, a partire dalla metà degli anni Trenta, il più trafficato del Baltico. Danzica stessa, che vantava un’identità tedesca più forte di quella delle terre che la circondavano, ora si ritrovava isolata. A nord della Polonia si stendeva la Prussia orientale. La Masuria, che ne era la provincia meridionale, era una zona di laghi e boschi. Era popolata perlopiù da persone di etnia polacca, e subito dopo la prima guerra mondiale venne indetto un plebiscito con la convinzione che la popolazione avrebbe votato per unirsi alla Polonia, indebolendo così ulteriormente la Germania. Con sorpresa di quasi tutti, la grande maggioranza degli abitanti di etnia polacca della Masuria votò per continuare a far parte della Germania.

    Le difficoltà reali riguardanti i confini della Polonia, però, erano a est. Dopo la vittoria a sorpresa dei polacchi sugli eserciti di Lenin, il trattato di Riga nel 1921 concesse alla Polonia il controllo di parti considerevoli dell’ex territorio sovietico e ucraino. Gran parte di questo nuovo territorio della Polonia orientale vantava vaste popolazioni di russi, ucraini e bielorussi, mentre i polacchi stessi erano solo una minoranza. Il ministro degli Esteri britannico, Lord Curzon, aveva proposto di fissare una frontiera provvisoria che in seguito prese il suo nome e che si spingeva a ovest del confine disegnato nel trattato di Riga, ma gli eventi fecero sì che questa proposta venisse continuamente accantonata e riaffiorasse in diverse fasi, nel corso dei decenni successivi, con minime ma decisive variazioni.

    Gli anni fra le due guerre, di conseguenza, videro una situazione territoriale che era insoddisfacente per tutti e tre i principali Paesi coinvolti. La Germania protestava perché aveva dovuto concedere quella che era stata la provincia della Prussia occidentale alla Polonia e perché non esisteva un collegamento via terra fra la Prussia orientale e il resto della nazione. I polacchi non accettavano di non avere alcun controllo su Danzica e i russi contestavano i vantaggi territoriali avuti dai polacchi a loro spese. La città di Danzica mantenne un’identità fortemente tedesca, anche se le etnie polacche dominavano la campagna circostante. La Polonia aveva anche notevoli difficoltà con il vasto numero di comunità non polacche all’interno dei propri confini: circa un quarto della popolazione totale era composta da ucraini, ebrei e tedeschi. Inoltre, vi era costante tensione nelle zone polacche della Slesia e dell’ex Prussia occidentale, dove il vasto numero di abitanti di etnia tedesca non vedeva di buon occhio il fatto di fare parte della Polonia.

    La rapida industrializzazione di altre zone d’Europa, nella prima metà del xx secolo, ebbe solo un limitato effetto sull’ex ducato di Prussia, forse perché la regione possedeva alcuni giacimenti minerari e carboniferi che supportavano anche le altre regioni. Inoltre, l’isolamento della Prussia orientale – condizione che metteva costantemente in crisi il fatto di continuare a far parte della Germania – era un forte disincentivo per gli investitori finanziari. Le città di Königsberg e Elbing ospitavano industrie pesanti, in particolare in ambito navale, ma il resto del benessere economico della Prussia orientale era dovuto all’agricoltura e a uno stile di vita rurale che era cambiato poco nel corso dei decenni. Incentivati dalle sovvenzioni statali, senza le quali l’economia agricola della Prussia orientale sarebbe crollata, i proprietari terrieri sostennero il Deutschnationale Volkspartei (dnvp, Partito popolare nazionale tedesco), con la sua politica anti-socialista e il sostegno per quelli che chiamava «i valori cristiani e il modello di vita familiare tedesco». Ma nonostante la relativa povertà di quella regione e l’enorme senso di ingiustizia e isolamento che derivava dalla privazione di un collegamento terrestre con il resto della Germania, le crescenti fortune dei nazionalsocialisti ebbero qui un impatto minore. Nelle elezioni del maggio del 1928, il partito nazista si assicurò meno dell’1 per cento dei voti, il peggiore risultato di tutta la Germania. L’organizzazione locale del partito era caotica e mal condotta, e Hitler decise che qualcosa dovesse essere fatto. Allo stesso tempo, il partito affrontò un problema differente nella Ruhr, dove diverse figure di rilievo erano arrivate ai ferri corti, cercando di minarsi a vicenda per avvantaggiarsi nella propria scalata al potere. Per risolvere entrambi i problemi, Hitler ordinò a Erich Koch, una delle più importanti personalità del partito nella Ruhr, di assumere il controllo anche nella Prussia orientale. Il suo allontanamento dalla Ruhr mise fine alle lotte che rischiavano di frammentare il partito, e la sua smisurata fiducia in sé e la sua energia fornirono la spinta tanto attesa dai funzionari politici demoralizzati della Prussia orientale.

    Koch, uno dei quattro figli di Gustav Adolf Koch, era nato nella città di Elberfeld, nella Ruhr. Durante la grande guerra aveva prestato servizio militare in Russia, dove aveva trascorso solo un breve periodo in trincea, prima che l’esperienza fatta in tempo di pace con il telegrafo, quand’era impiegato nelle ferrovie, gli risultasse utile. Trascorse una lunga fase in un ospedale militare per una malattia, cosa che in seguito sfruttò per inventarsi una storia su come fosse stato gravemente ferito in servizio. Dopo la guerra, fu attivo in una serie di campagne paramilitari, tra cui un tentativo sfortunato di resistere all’occupazione francese del Saarland, un’esperienza che gli fece maturare la convinzione che la Repubblica di Weimar fosse troppo debole per guidare con efficacia la Germania. Koch fu uno dei primi ad aderire al partito nazista, sebbene inizialmente non approvasse in pieno le idee di Hitler, per esempio quelle relative alla supremazia razziale. Fu felice di accettare il ruolo di Gauleiter della Prussia orientale, un ruolo che gli permetteva di dare pieno sfogo alle proprie ambizioni politiche e, contemporaneamente, gli garantiva un buon reddito.

    Nella Prussia orientale, Koch istituì un sistema bizantino di ‘conti neri’, che permetteva il dirottamento di una considerevole quantità di denaro. La somma precisa è ora impossibile da determinare e la destinazione finale di quei soldi rimane un mistero. Parte di questo processo comportò la creazione dell’Istituto Erich Koch, veicolo apparentemente progettato per sviluppare l’industrializzazione e organizzare la formazione dei giovani membri del partito nella Prussia orientale. In realtà, si trasformò in un’enorme impresa economica, con interessi in molte aziende, sia industriali che commerciali, e spesso con soci di Koch come dirigenti e beneficiari. Alcune di queste ditte vennero acquisite in circostanze dubbie, a volte dopo che i precedenti proprietari erano stati arrestati e imprigionati per reati minori. Anche se tali pratiche erano all’ordine del giorno fra i Gauleiter del partito, Koch si guadagnò la reputazione di essere particolarmente privo di scrupoli. Sfruttò le risorse dell’istituto per i suoi scopi, trasferendosi nella tenuta di Friedrichsburg (di proprietà dell’ente) vicino a Königsberg, nel 1938. Stava attento, tuttavia, a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento negli aspetti più discutibili degli affari dell’Istituto, preferendo operare attraverso il responsabile dell’ente, Bruno Dzubba.

    Nei primi anni Trenta, il dnvp era una forza in declino e dopo poco si alleò con i nazionalsocialisti, che rapidamente lo eclissarono e presero il suo posto. Gli altri partiti politici della zona arrivavano di rado nelle grandi città. Data la natura per lo più rurale della vita nella Prussia orientale, non riuscivano pertanto a tenersi in contatto con una grande parte dell’elettorato, a differenza di Koch e dei suoi uomini, che tenevano instancabilmente diversi incontri al giorno per assicurarsi che il loro messaggio fosse ascoltato a dovere. I cittadini della Prussia orientale, che si consideravano pericolosamente isolati a seguito del trattato di Versailles, accolsero con favore gli appelli altisonanti dei nazionalsocialisti affinché Memel e il corridoio di Danzica fossero restituiti al Reich. Dal misero 1 per cento di voti ottenuto nel 1928, i nazionalsocialisti crebbero fino a raggiungere il 47,1 per cento dei voti nel 1932.

    Nonostante i sussidi per l’agricoltura della Prussia orientale, l’economia rimase fragile, sempre per via dell’isolamento della provincia dal resto della Germania. La disoccupazione restava un problema importante e il successo o il fallimento di Koch e del partito nazista sarebbe in gran parte dipeso da come questo problema sarebbe stato risolto. Fortunatamente per lui, il livello di disoccupazione nella Prussia orientale non era così alto come in altre zone della Germania e Koch fu abile a sfruttare i buoni rapporti con Hitler e Hermann Göring, il vice del futuro Führer, per garantirsi fondi sufficienti e consentire a diversi progetti importanti di procedere, riuscendo così in un tempo relativamente breve a sistemare parte della popolazione urbana disoccupata. Molto più efficace, però, fu la manipolazione spietata dei dati sulla disoccupazione per creare l’illusione che quasi tutta la popolazione avesse un impiego, al punto che la Prussia orientale veniva portata a esempio nel resto della Germania. Tuttavia, lo stretto corridoio di terra che permetteva l’accesso polacco al Baltico era ormai sempre più una fonte di tensione fra la Polonia e la Germania, così come lo era Danzica stessa.

    Questa fu una delle ultime città a sostenere il partito nazista. Nelle elezioni del 1927 per il governo cittadino, il partito riuscì ad assicurarsi un solo seggio su un totale di 120. Per un po’, Koch cercò di far rientrare Danzica sotto il proprio controllo, aumentando così il potere personale, ma Hitler aveva altri piani. In primo luogo, escluse dal partito i funzionari locali più anziani. Göring venne inviato a Danzica per due volte nel 1930 a tenere importanti discorsi e a cercare di ricomporre la frattura fra le diverse fazioni della zona, e quando tornò a Monaco consigliò a Hitler di inviare un uomo nuovo a Danzica. Il nome suggerito fu quello di Albert Forster.

    Questi era il figlio di un funzionario carcerario della città di Fürth, nella parte settentrionale della Baviera conosciuta come Franconia. La sua vita fino a quel momento era priva di nota: aveva incontrato numerose difficoltà a scuola, impiegando due anni in più prima di completare l’istruzione di base. In una città dove la componente ebraica era numerosa e prospera, Forster, che viveva in una condizione non di certo agiata, ci mise poco a provare risentimento per le famiglie ebree di successo intorno a lui, e fu uno dei primi membri e sostenitori entusiasti del partito nazista. Dimostrò di essere un amministratore e un oratore pubblico molto capace, e a lui fu dovuto il rapido aumento delle fortune del partito in Franconia. Era quindi il candidato ideale per essere inviato a Danzica.

    Forster vi arrivò nell’ottobre del 1930, ritrovandosi davanti una città in cui il problema principale era la disoccupazione, una questione di gran lunga più importante a livello locale dei disordini politici che vessavano la stessa Germania. Armato di un documento di Hitler che gli concedeva il pieno potere sulla sezione locale del partito, Forster si dedicò energicamente alla campagna elettorale che era allora in corso. Negli anni successivi, fu a capo di un partito sempre più dominante: nel mese di novembre del 1930, i nazisti videro salire a dodici i propri seggi nel nuovo e ristrutturato Danzig Volkstag, il parlamento locale, che ne contava in totale 72, e divenne partito di coalizione del governo di minoranza; nel maggio del 1933, il partito conquistò la maggioranza assoluta con 38 seggi a Danzica; e, nel mese di aprile del 1935, 43 seggi.

    Le ragioni del successo furono molteplici. Gli avversari erano stati minati nella loro efficacia con ogni tipo di mezzi estremi. Forster aveva svolto anche un ruolo di primo piano, come membro della coalizione di minoranza, nella creazione di un programma di lavori pubblici per dare un impiego ai 40.000 disoccupati presenti in città. C’era anche la sensazione crescente nella popolazione tedesca locale che le speranze di ritornare a una qualche prosperità fossero riposte nella possibilità di riunirsi al Reich tedesco e il partito nazista pareva essere lo strumento più efficace per raggiungere questo obiettivo.

    I polacchi osservavano sempre più infelicemente l’evolversi della situazione a Danzica, consapevoli del fatto che, al di là del suo status internazionale, la città veniva sempre più vista come se fosse parte del Reich. Infatti, nel mese di ottobre del 1936, Forster dichiarò in un discorso: «Danzica oggi è già come se fosse tedesca, e presto lo sarà completamente. A dire il vero, la gente parla di trattati. Ma i trattati sono solo carta, che può essere stracciata»⁴.

    Koch e Forster erano personaggi molto diversi. Hermann Rauschning, che fu per breve tempo il presidente del Senato di Danzica prima di essere cacciato da Forster, scrisse in seguito un libro in cui paragonava Forster a Koch, a svantaggio del primo, descrivendoli come «Sigfrido e Hagen del partito»⁵. Proseguiva suggerendo che Forster proveniva dall’ala «nazionalista» del movimento ed era un «autentico nazista», limitato dalla totale fiducia in tutto ciò che Hitler diceva, a prescindere dal fatto che lui stesso lo comprendesse. Tale asservimento lo ridusse allo stato di «mero portavoce di Hitler»⁶. Koch, al contrario, arrivava dall’ala socialista del partito, era più ricettivo alle nuove idee e non si prendeva troppo sul serio. Ma altri contemporanei fecero un quadro molto meno lusinghiero del Gauleiter della Prussia orientale:

    Non aveva la minima preparazione per un incarico così importante, eppure non smetteva di disquisirne in tutti i modi. Aveva un bisogno innato di sentirsi approvato e una fame insaziabile di potere, di salire i vari gradini verso i massimi poteri, sempre cercando di farsi notare dal proprio Führer in ogni sua nuova impresa.

    In un incontro con Göring e gli altri funzionari nel maggio del 1939, Hitler fece in modo di chiarire ai suoi subordinati il proprio punto di vista sulla Polonia. Austria e Sudetenland erano stati incorporati nel Reich, ed ora era abbastanza evidente la via che si voleva seguire per quanto riguardava la Polonia. Disse ai propri sottoposti:

    La Polonia continuerà a stare dalla parte dei nostri nemici. Nonostante i trattati di amicizia, ha sempre avuto il tacito desiderio di sfruttare ogni occasione per farci del male. Danzica non è affatto l’oggetto della controversia. Si tratta di espandere il nostro spazio vitale a est e garantirci riserve alimentari, di risolvere il problema del Baltico. Le riserve alimentari ci possono arrivare solo dalle aree scarsamente popolate. Al di là della fertilità naturale di cui godiamo, lo sfruttamento radicale tedesco richiederà un’enorme eccedenza. Non c’è altra possibilità per l’Europa. Le colonie: bisogna stare attenti alle risorse che ci giungono da questi territori. Ciò non risolve il problema alimentare. Ricordate [...] il blocco.

    Se per caso entreremo in guerra con l’Occidente, il possesso di aree estese a est sarà un vantaggio per noi. Potremo contare ancora meno in tempo di guerra che in tempo di pace su dei raccolti straordinari. La popolazione delle zone non tedesche non sarà impiegata per il servizio militare e sarà disponibile come forza lavoro.

    Il problema polacco è inseparabile da quello del conflitto con l’Occidente. La capacità interna della Polonia di resistere al bolscevismo è dubbia. Così come è dubbio che quella nazione possa essere una valida barriera contro la Russia. È lecito chiedersi se si possa ottenere un successo militare in Occidente con una rapida decisione, e discutibile è anche l’atteggiamento della Polonia. Il governo polacco non resisterà alle pressioni della Russia perché il Paese vede come un pericolo la vittoria tedesca in Occidente, e tenterà di ostacolarci. Non vi è quindi alcun dubbio se risparmiare o meno la Polonia, e così ci ritroviamo con una sola decisione da prendere: attaccarla alla prima opportunità.

    Al di là della Polonia, però, vi era l’Unione Sovietica, il nemico ideologico della Germania nazionalsocialista. Ancora una volta, Hitler non si faceva illusioni su chi fosse il suo vero avversario, ed era frustrato dal fatto che le potenze occidentali non riuscissero a vederlo, come disse alla cerchia più ristretta dei propri uomini l’11 agosto del 1939: «Tutto il mio impegno è rivolto contro la Russia; se l’Occidente è troppo stupido e cieco per capirlo, sarò costretto a venire a patti con i russi, per colpire l’Occidente, e poi, dopo averlo soggiogato, rivoltarmi contro l’Unione Sovietica sfruttando tutte le mie forze»⁹.

    Fortunatamente per Hitler, anche Stalin e i sovietici avevano una bassa opinione dei polacchi. In una lettera a Vjačeslav Molotov (ministro degli Esteri di Stalin) nel 1944, Ivan Majskij, ex ambasciatore russo a Londra, scrisse:

    Lo scopo dell’

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    deve essere la creazione di una Polonia indipendente e vitale: tuttavia, non siamo interessati a vedere una Polonia troppo grande e troppo forte. In passato, questo Paese è stato quasi sempre nemico della Russia, e nessuno può essere sicuro che in futuro diventi un vero e proprio amico dell’

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    (almeno per quanto riguarda la generazione che ora sta nascendo). Molti ne dubitano, ed è giusto dire che ci siano buone ragioni per farlo.¹⁰

    Sebbene questa lettera fosse stata scritta mentre la guerra già stava volgendo al termine, i sentimenti che essa conteneva non erano nuovi. Il patto Molotov-Ribbentrop era stato annunciato, fra lo stupore generale del mondo, il 23 agosto del 1939. La Germania e l’Unione Sovietica avevano accettato di non andare in guerra l’una contro l’altra. Ma la parte più importante del trattato era un protocollo aggiuntivo che rimase segreto e che non sarebbe stato finalizzato fino a un’eventuale caduta della Polonia. In sostanza, il nord-est dell’Europa veniva spartito fra i due Paesi; l’articolo ii del protocollo affrontava specificamente il tema della Polonia:

    Nel caso di un riassetto territoriale e politico delle aree appartenenti allo Stato polacco, le sfere di influenza della Germania e dell’

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    sarebbero state limitate pressappoco sulla linea dei fiumi Narev, Vistola e San. La questione se gli interessi di entrambe le parti rendessero auspicabile il mantenimento di uno Stato indipendente polacco e quali dovessero essere i confini di tale Stato erano argomenti che si sarebbero potuti definire solamente nel corso di ulteriori sviluppi politici. In ogni caso, entrambi i governi avrebbero risolto questo problema per mezzo di un accordo amichevole.

    Di certo il dittatore non aveva alcuna intenzione di rispettare a lungo i termini del trattato, ma per il momento era nell’interesse di entrambe le parti. Poche ore dopo la firma del patto, Stalin disse ai propri confidenti: «Certo, è tutto un gioco per vedere chi può ingannare chi. So cosa sta progettando Hitler. Crede di superarmi in astuzia, ma in realtà sono io che l’ho ingannato»¹¹.

    Molotov spiegò la questione al Soviet Supremo ancora più nei dettagli, proprio mentre le truppe tedesche invadevano la Polonia: «Basteranno due attacchi lampo contro la Polonia, prima da parte della Wehrmacht tedesca e poi dell’Armata Rossa, e non resterà più nulla delle odiose conseguenze del trattato di Versailles»¹².

    I tedeschi invasero la Polonia il primo settembre del 1939, in quella che Hitler deliberatamente presentò come un tipo differente di guerra. Subito prima dello scoppio del conflitto, dichiarò in un congresso: «Ho ordinato alle mie unità Totenkopf di muoversi a est e di uccidere senza pietà o compassione tutti gli uomini, donne e bambini di razza o lingua polacca»¹³. Mentre gli scontri prendevano il via, ordinava alle sue truppe di essere spietate: «Ho dato degli ordini precisi e chiunque dirà una parola in contrario verrà fucilato. Lo scopo della guerra non è raggiungere una linea designata, ma la distruzione fisica del nemico, [...] impedite ai vostri cuori di essere compassionevoli. Serve la bruta azione. La forza è l’unica soluzione»¹⁴.

    I primi spari della seconda guerra mondiale, provenienti dalla vecchia corazzata tedesca Schleswig-Holstein, furono uditi partire dalla baia di Danzica. La nave con quattro bocche di fuoco da 280 mm abbatté la piccola guarnigione polacca a Westerplatte, appena fuori Danzica, e il bombardamento fu seguito da un attacco via terra condotto da un corpo di fanteria della Marina tedesca e dalle unità ss locali. Con grande sorpresa dei tedeschi, la piccola guarnigione di meno di 200 soldati polacchi resistette per una settimana prima di arrendersi, pur essendo stata bombardata per terra, mare e aria.

    Altrove a Danzica, gli edifici amministrativi polacchi furono confiscati senza incidenti prima dell’alba. La resistenza fu minima, limitata ai palazzi che ospitavano l’ufficio postale in Heveliusplatz. Albert Forster, che durante la notte era stato dichiarato la suprema autorità civile in Polonia, fu accompagnato in piazza da un carro armato. Il comandante dell’unità di polizia a cui era stato affidato l’incarico di occupare l’ufficio postale, il Polizeioberst Willi Bethke, in preda alla frustrazione disse a Forster che avrebbe fatto saltare in aria l’edificio e i suoi 50 difensori. Forster si rifiutò per paura di danni ai palazzi circostanti. A questo punto, gli agenti di Bethke portarono della benzina nel seminterrato e gli diedero fuoco. Cinque uomini, posti lì a presidio, morirono sul colpo nel rogo. Altre sei persone, fra cui una ragazza di 12 anni, riportarono ustioni gravi e spirarono il giorno dopo senza ricevere alcun trattamento medico¹⁵. Era un chiaro segno della natura brutale della nuova guerra di Hitler nell’Est.

    C’erano migliaia di persone di etnia tedesca sul territorio polacco, all’inizio del conflitto, e in molti casi i loro vicini polacchi si rivolsero contro di loro. I residenti tedeschi del piccolo corridoio di terra che correva lungo la costa baltica immediatamente a ovest di Danzica furono arrestati dalle autorità polacche nel mese di agosto del 1939. Quando iniziò la guerra, vennero fatti marciare a piedi verso Łowicz, nei pressi di Varsavia. Molti vennero maltrattati durante il tragitto e spesso si sparava a chi non era in grado di proseguire. La Wehrmacht li raggiunse il 9 settembre, ponendo fine alle loro traversie. Nella città di Bromberg, circa il 10 per cento dei 117.000 abitanti era di etnia tedesca, e questo gruppo patì notevoli sofferenze fino a quando la città non cadde di fronte all’avanzata dei tedeschi, il 6 settembre. Durante tali episodi furono uccisi fra i 3.500 e i 5.800 tedeschi¹⁶. Successivamente venne stilato un rapporto per Hitler, che subito pretese venisse modificato, insistendo sul fatto che le cifre presenti nel rapporto fossero moltiplicate per dieci. In questo modo, si arrivò a sostenere che fossero circa 58.000 i tedeschi che erano rimasti uccisi dai loro vicini polacchi, una cifra poi utilizzata per giustificare le misure dure attuate contro la popolazione polacca. Alcune comunità di etnia tedesca avevano organizzato delle Selbstschutz, o gruppi di autodifesa, nei pochi giorni precedenti l’arrivo delle truppe germaniche, e questi gruppi venivano ora utilizzati per delle ‘rappresaglie’ contro i polacchi. Entro ottobre, vantavano una forza di oltre 17.000 unità solamente nella zona di Danzica-Prussia occidentale e avevano ucciso più di 4.000 polacchi. Chiunque fosse sospettato di aver fatto in precedenza discorsi contro la Germania divenne passibile di arresto. Le decisioni su chi dovesse vivere o morire furono prese nel modo più arbitrario, senza alcuna procedura legale. Le Selbstschutz vennero formalmente sciolte alla fine dell’anno, e molti dei loro appartenenti inseriti fra le file delle ss, dove proseguirono la loro attività.

    Oltre alle Selbstschutz, in Polonia vennero impiegati diversi Einsatzkommandos (task force). Il loro compito principale era quello di mettere a tacere l’intellighenzia polacca; l’intenzione di Heinrich Himmler, capo delle ss, era di privare la società polacca della propria testa pensante, lasciando una massa di lavoratori malleabili e relativamente non qualificati per lo sfruttamento tedesco. Gli elenchi delle vittime furono preparati in anticipo e gli Einsatzkommandos agirono rapidamente per portare a termine alla lettera gli ordini. La loro attività fu particolarmente intensa dalle parti di Danzica e in quella che adesso era conosciuta come Prussia occidentale: questa zona doveva essere ripulita completamente dai polacchi. Quando tale opera di pulizia volse al termine, nei primi mesi del 1940, gli Einsatzkommandos avevano ucciso fra le 60.000 e le 80.000 persone¹⁷. Solo pochi tedeschi mossero delle proteste verso questo omicidio di massa. Il Generaloberst Johannes Blaskowitz, comandante delle unità dell’esercito tedesco a est, si lamentò della natura indiscriminata degli attacchi e palesò la forte opposizione al piano di mandare a morte l’intera popolazione maschile polacca di alcuni villaggi. Hitler rispose deridendo l’atteggiamento infantile della leadership dell’esercito, aggiungendo che aveva sempre avuto in antipatia Blaskowitz e non si era mai fidato di lui. Lily Jungblut, moglie di un agricoltore di Hohensalza e lei stessa membro del partito a partire dal 1930, scrisse a Göring, allora presidente della Prussia orientale, lamentandosi che le esecuzioni di massa e gli arresti non dovevano essere sicuramente volontà del Führer. Göring mise Himmler a conoscenza di questa lettera e questi promise di investigare. Il risultato fu che Jungblut venne arrestata dalla Gestapo¹⁸.

    L’Unione Sovietica si unì all’attacco alla Polonia il 17 settembre, quando la stragrande maggioranza dell’esercito polacco era impegnato a ovest. Le forze sovietiche affermarono di essere lì per salvare i polacchi dagli invasori fascisti, il che dovette produrre un certo smarrimento quando l’Armata Rossa e la Wehrmacht passarono in parata per la vittoria congiunta a Brėst-Litovsk. Il risultato dell’invasione fu che Polonia era nuovamente divisa dalle forze vicine e il confine fra le due potenze era vicino alla Linea Curzon. Tutto il territorio a est fu annesso da Stalin, anche se accettò di concederne una parte alla Lituania. L’anno successivo, con il consenso dei tedeschi, Stalin annetté la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. I tedeschi presero possesso dei territori che avevano perso in Polonia nel 1919.

    La condotta della guerra a est – contro gli Untermenschen (i subumani), come Hitler definiva quei popoli – sarebbe sempre stata differente da quella a ovest. A loro merito va detto che molti ufficiali e soldati semplici tedeschi ignorarono gli ordini più brutali che provenivano dall’alto; ma un gran numero di altri ufficiali e soldati furono fin troppo disposti a eseguirli. Un esempio dei diversi modi con cui le autorità tedesche si comportarono lo si può riscontrare nel caso del maggiore Sahla. Alla fine del 1939, il maggiore, un famoso campione di equitazione, stava bevendo in un hotel della città di Preussisch Stargard – località poco più a sud di Danzica – in compagnia del sindaco locale Johnst, l’ss-Scharführer Schicks e un funzionario della sanità pubblica, il dottor Völkner. La conversazione a un certo punto volse sulla questione dell’eliminazione di persone considerate «biologicamente inferiori». Völkner e Schicks, che avevano già preso parte attiva all’esecuzione di persone infettate di sifilide, accennarono al gran numero di soldati tedeschi che avevano contratto infezioni dopo incontri con prostitute polacche. Johnst subito ordinò alla polizia di arrestare otto donne, colpevoli di aver trasmesso malattie sessuali. Queste vennero trasportate nelle celle attaccate al tribunale della città. A mezzanotte, le stesse persone che si erano ritrovate a bere nell’hotel – tranne Johnst – raggiunsero le celle e selezionarono cinque donne, che vennero portate in un’altra cella. Là, Völkner tentò di strangolarle con delle bretelle. Fallì, e Sahla decise di sparare loro un colpo alla nuca, sostenendo poi che aveva agito per mettere fine all’infelicità di quegli esseri sofferenti. Gli uomini lasciarono le celle, per poi tornare più tardi, quando scoprirono, con loro stupore, che c’erano solo quattro cadaveri: una delle donne, gravemente ferita ma non deceduta, era riuscita a fuggire. Venne trovata e portata all’ospedale della prigione. Una donna che presentava colpi di arma da fuoco ebbe come conseguenza un rapporto scritto, portando così la questione all’attenzione delle autorità superiori.

    Quando si rese conto dell’incidente, il generale Fedor von Bock, comandante tedesco dell’esercito locale, ordinò immediatamente l’arresto di Sahla. Ma nessuna azione fu presa contro alcun funzionario del partito coinvolto; Johnst era un vecchio commilitone di Forster e quest’ultimo si mosse rapidamente per proteggere il proprio collega. Aveva anche cercato di intervenire a favore di Sahla, telefonando a von Bock per informarlo che aveva intenzione di discutere la questione con lo stesso Hitler. Diede delucidazioni sull’incidente, suggerendo che non fosse opportuno punire Sahla per il proprio coinvolgimento, sostenendo anche che non vedeva nulla di penalmente rilevante nel suo comportamento e che senza dubbio il Führer avrebbe considerato la situazione allo stesso modo.

    Von Bock rifiutò di lasciarsi influenzare da Forster. Sahla venne mandato alla corte marziale e, una volta dichiarato colpevole, fu condannato a morte. Hitler intervenne prontamente, concedendogli il perdono, anche se Sahla fu abbassato di rango e condannato a sei anni di carcere. Prestò servizio in un battaglione punitivo e venne ucciso sull’Ostfront nel 1942. Nessuna azione legale fu presa nei confronti di tutti gli altri presenti all’uccisione delle donne polacche. Il Ministero degli Interni del Reich destituì Johnst dal suo posto di sindaco, ma nel giro di due settimane Forster gli aveva già trovato una nuova posizione¹⁹.

    Koch aveva a malincuore ceduto parte della Prussia occidentale a Forster, ma in cambio ricevette un’importante fetta della Polonia, pari a più di 16.000 km² e più di un milione di abitanti, pochi dei quali tedeschi. L’area a est della Prussia orientale, intorno alla città di Suwałki, fu teatro di numerose esecuzioni di massa e deportazioni da parte dei funzionari nazisti locali – con il pieno appoggio di Koch –, mirate a far battere in ritirata la maggioranza polacca per far posto ai ‘coloni tedeschi’. Molti di questi erano di etnia germanica, rimpatriati dagli Stati baltici; altri tedeschi del Baltico erano stati reinsediati negli ex territori polacchi di Danzica e in quelli circostanti. L’area intorno alla città polacca di Ciechanów, ribattezzata Zichenau dai tedeschi, entrò a far parte della Prussia orientale e venne pensata da Koch come futuro centro industriale.

    Le esecuzioni di intellettuali polacchi nella zona di Zichenau raggiunsero un picco nel 1940, con circa 3.000 persone uccise o lasciate morire in condizioni pessime nel campo di prigionia di Soldau, 50 km a nord-ovest di Zichenau. Negli anni successivi, il bilancio delle vittime nel campo aumentò, ma fu più dovuto agli sforzi per sopprimere il nascente movimento di resistenza polacco che a una vera e propria prosecuzione del tentativo di sterminare l’intellighenzia polacca. Nel frattempo, i normali cittadini polacchi si ritrovarono a condurre una vita fatta sempre più di ristrettezze. I tedeschi avevano la priorità nei negozi e nei ristoranti; i liberi contatti fra civili tedeschi e polacchi erano molto limitati e le opportunità di occupazione per i polacchi erano state ridotte alle attività ritenute più essenziali. Le deportazioni di massa dalle parti annesse della Polonia furono organizzate dalla fine del 1940 ai primi del 1941 e molti di questi deportati – in particolare, ebrei – furono spediti al ghetto di Częstochowa. Altre deportazioni seguirono fino a marzo del 1943. L’impatto di queste esecuzioni e deportazioni sulla popolazione fu enorme. Quando le truppe tedesche presero il quartiere di Zichenau nel 1939, vi abitavano circa 80.000 ebrei. Nell’estate del 1944, questo numero scese a sole 350 unità. In totale, la popolazione del distretto scese di 160.000 persone durante l’occupazione tedesca.

    Nella Polonia occupata dai sovietici, le condizioni non erano meno dure. Più di un milione di polacchi vennero spediti in Siberia dalla nkvd, ovvero la polizia di Stalin. Diverse migliaia di ufficiali polacchi che erano stati fatti prigionieri dall’Armata Rossa furono giustiziati e sepolti nella foresta di Katyń. Quando i tedeschi scoprirono questa fossa comune, gli Alleati fecero tutto il possibile per far scomparire l’evidenza delle atrocità commesse dai sovietici, per paura dell’effetto che avrebbe potuto avere sulla loro difficile alleanza con Stalin.

    Il 22 giugno del 1941, Hitler scatenò il suo esercito contro l’Unione Sovietica. Era la manifestazione più lampante del suo desiderio di vedere la Germania espandere i propri territori a est. Al fine di raggiungere questo obiettivo, le popolazioni slave delle terre occupate avrebbero dovuto fare posto ai nuovi coloni tedeschi. Molti cittadini russi erano destinati a essere ridotti allo stato di servi, mentre altri sarebbero semplicemente morti di fame. Fin dall’inizio, nessuna delle due parti mostrò alcuno scrupolo nel rispetto delle regole di guerra stabilite. A Erich von Manstein, comandante del xlvi Corpo Panzer nel nord, furono mostrati i cadaveri di un’unità di ricognizione tedesca che era stata uccisa e fatta a pezzi²⁰. Molti dei corpi erano stati deliberatamente mutilati. Altrove, anche le divisioni tedesche non avevano mostrato alcuna esitazione nell’utilizzare le misure più brutali contro i prigionieri.

    Erich Koch vedeva la conquista del territorio sovietico come un’ulteriore opportunità per allargare la propria base di potere, e nel luglio del 1941 fu nominato Reichskommissar (commissario del Reich) per l’Ucraina. Fece poi pressione con successo su Hitler affinché gli venisse affidato il territorio intorno alla città di Białystok, la quale fu anche assegnata alla sua giurisdizione, fornendogli così un corridoio di terra ininterrotto dal Baltico al Mar Nero. Białystok aveva precedentemente fatto parte della Polonia ed era stata riconsegnata all’Armata Rossa dalla Wehrmacht nel 1939. Era, anche per gli standard dell’Europa orientale, una zona molto poco sviluppata, poco meno estesa della stessa Prussia orientale prima che vi venisse annesso il territorio polacco, con una popolazione di 1,5 milioni di persone, la maggior parte delle quali viveva in piccole aziende agricole e nei villaggi. Le restrizioni per i residenti non tedeschi della regione furono draconiane: i viaggi non essenziali, così come l’uso del telefono e dei servizi postali, e anche vari tipi di lavoro, furono tutti vietati. Le limitazioni alla mobilità si rivelarono particolarmente dure per la popolazione di una zona rurale così vasta, con conseguente e diffusa scarsità di cibo. La punizione per la maggior parte dei crimini era l’esecuzione capitale, e c’era una politica di responsabilità collettiva, con interi villaggi che venivano puniti per i reati di singoli individui. La provincia era solo qualcosa da sfruttare, con il minimo investimento possibile; Koch aveva dichiarato che era indifferente e del tutto privo di importanza [...] se alcuni milioni di stranieri sarebbero dovuti morire di fame²¹.

    Il maggior guadagno di Koch nell’assegnazione dei territori fu l’Ucraina. Hitler aveva indicato quest’area come la più importante delle conquiste a est e di conseguenza aveva insistito sul fatto che la persona che considerava il migliore Gauleiter si occupasse di amministrarla. L’area in questione era vasta, circa 340.000 km², con quasi 17 milioni di abitanti, di cui circa 1,5 milioni erano ebrei. Koch, aderendo consapevolmente al punto di vista di Hitler, aveva chiarito in che modo avesse intenzione di governare l’Ucraina:

    Se queste persone lavorano dieci ore al giorno, allora otto di queste ore devono essere per noi. Ogni tipo di sentimentalismo deve essere lasciato da parte. Queste persone devono essere governate con vigore, in modo che ci aiutino a vincere la guerra. Noi non li abbiamo liberati per il bene dell’Ucraina, ma con lo scopo di fornire alla Germania il necessario Lebensraum [spazio vitale, ndt] e adeguati rifornimenti di cibo.²²

    Come in Polonia e a Białystok, alla popolazione locale fu proibito di vivere insieme ai tedeschi, e i loro movimenti furono strettamente limitati. Il popolo ucraino, che aveva accolto i liberatori tedeschi con le braccia aperte, rapidamente giunse a odiare le forze occupanti. Data la fame diffusa in tutta l’area negli anni prima della guerra, i sentimenti anti-sovietici erano forti e il fatto che i tedeschi non avessero saputo sfruttare tale situazione fu forse un’occasione persa per vincere la guerra a est. Milioni di tonnellate di grano e altri prodotti agricoli vennero sequestrati e spediti in Germania, con il conseguente diffondersi della carestia fra la popolazione ucraina. A peggiorare le cose, l’assenza di molti uomini ucraini per via del servizio militare, combinata con le politiche draconiane di occupazione, determinò un enorme calo nella quantità di terreno coltivato; rispetto agli anni precedenti la guerra, solo il 63 per cento di grano venne seminato nel 1942, e il raccolto si ridusse al solo 39 per cento in rapporto alle cifre pre-conflitto. Per Koch e i suoi, l’unica cosa che aveva importanza era produrre il quantitativo sufficiente da spedire in Germania; il destino della popolazione ucraina veniva guardato con profonda indifferenza. In una mossa pensata appositamente per migliorare la propria immagine, Koch predispose che i treni ucraini che trasportavano prodotti locali venissero inviati alle principali città tedesche, un fatto che ebbe ampia eco sulla stampa tedesca. Rifornimenti alimentari vennero inviati ai soldati della Prussia orientale che servivano al fronte e Koch usò il controllo di quella regione per dipingere il quadro di una provincia in cui gli ucraini, eternamente grati ai tedeschi per la loro liberazione dal bolscevismo, lavorarono volentieri per i nuovi padroni. La realtà era molto diversa.

    Mentre la guerra continuava, l’attività partigiana in Ucraina, come in altri territori, era in costante crescita. Diverse formazioni dell’esercito tedesco lottarono per reprimere i partigiani: le ss, le formazioni della Wehrmacht e unità costituite da Koch e dai suoi subordinati, che agivano anche al di fuori del comando militare regolare. L’efficacia di tutte queste formazioni come forze contro-insurrezionali, in particolare quelle al di fuori delle ss e della Wehrmacht, era limitata, sebbene ciò non impedisse loro di massacrare migliaia di persone durante le rappresaglie. Eppure le zone di retrovia, i ponti e le ferrovie subirono una costante azione di disturbo da parte dei partigiani. Molti dei subordinati di Koch caddero vittime di agguati. Vennero fatti alcuni tentativi per assassinare lo stesso Koch, ma questi raramente si trovava in Ucraina, e tutti questi piani fallirono.

    Alla fine del 1942, in alcune parti del Paese l’autorità tedesca oltrepassava a malapena i confini delle città principali, riducendo ulteriormente i raccolti disponibili. Nel tentativo di sconfiggere i partigiani riducendoli alla fame, il bestiame e tutte le altre fonti di cibo venivano sottratte da vaste aree agricole. Insieme alla politica draconiana di restrizioni alla popolazione locale, questa misura portò a una crescente mortalità dovuta a carestie e malattie. La concomitante rivalità tra tutte le forze coinvolte – i comandanti della Wehrmacht, le ss, Koch e i suoi subordinati – minò ulteriormente gli sforzi tedeschi. Mentre molti ufficiali germanici in seguito addossarono tutte le responsabilità per la brutalità delle misure antipartigiane sulle ss, esistono numerose prove a sostegno del fatto che anche la Wehrmacht fu ugualmente colpevole. Il 16 luglio del 1941, venne inviato un ordine a tutte le unità della Wehrmacht:

    Il principio guida per tutte le azioni e tutte le misure che devono essere prese è la sicurezza incondizionata del soldato tedesco. [...] La necessaria e rapida pacificazione del Paese può essere ottenuta solo se ogni minaccia da parte della popolazione civile ostile verrà spietatamente repressa. Ogni dimostrazione di pietà e arrendevolezza sarà prova di debolezza e costituirà un pericolo.²³

    Le politiche tedesche furono quasi deliberatamente progettate per isolare la popolazione dei territori occupati. Gli ordini affermavano che

    ogni caso di attività ostile alle autorità tedesche d’occupazione, indipendentemente dalle circostanze specifiche, deve essere letto come di derivazione comunista; [...] inoltre, non si deve dimenticare che nei Paesi in questione, la vita umana spesso non significa nulla e che l’intimidazione può essere raggiunta solo grazie a un’eccezionale severità di misure. La vita di un soldato tedesco deve essere generalmente considerata commisurata alla vita di 50/100 comunisti. Le modalità di esecuzione devono ancor più avere un effetto deterrente.²⁴

    L’effetto pratico di quest’ultima minaccia fu che i plotoni di esecuzione cominciarono a mirare al di sotto della vita, in modo che le vittime subissero morti dolorose e lente, spesso venendo sepolte prima ancora di essere effettivamente spirate. Una tale politica prevedeva pure che tutti i bambini fra i prigionieri sarebbero dovuti essere colpiti allo stesso modo, evitando la necessità di organizzare per loro delle esecuzioni separate.

    Anche il trattamento dei soldati sovietici arresisi fu spaventoso. L’Unione Sovietica non era uno dei firmatari delle convenzioni di Ginevra e dell’Aia e questo, insieme al disprezzo per l’Untermenschen, fu un argomento utilizzato per giustificare un regime di trattamento diverso per i prigionieri russi, se confrontato con quello riservato ai soldati britannici, francesi e americani che si erano arresi in Occidente, come descrive il resoconto di un campo di prigionia nei pressi di Ržev:

    Li stanno tenendo in capanne non riscaldate, con una o due patate congelate al giorno come cibo. I tedeschi hanno lanciato carne marcia e alcune ossa attraverso il filo spinato per i prigionieri. [...] Ogni giorno 20-30 persone muoiono. Quelli che sono troppo malati per lavorare vengono eliminati.²⁵

    Di norma le razioni che venivano assegnate in cambio di lavoro erano insufficienti. A un certo punto, un ufficiale delle ss suggerì che la metà di tutti i prigionieri sovietici andava fucilata immediatamente, per garantire a chi era rimasto di ricevere qualcosa che si avvicinasse

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