Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Sfida al destino - Atlantic Princess
Sfida al destino - Atlantic Princess
Sfida al destino - Atlantic Princess
Ebook458 pages8 hours

Sfida al destino - Atlantic Princess

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Europa-Stati Uniti, XX sec.
Tatiana Romanov, nipote dello zar Nicola, è in fuga dalla Russia in rivolta assieme alla cameriera e alla dama di compagnia. A Dover sale a bordo del lussuoso transatlantico Atlantic Princess, diretto in America, per dare una svolta alla propria esistenza e dimenticare il passato.
La vita di bordo scorre tra feste e intrattenimenti, ma la navigazione è più avventurosa del previsto e un’inattesa minaccia mette in pericolo il transatlantico e l’incolumità dei passeggeri. Ancora una volta il destino crudele si accanisce contro Tatiana, che tuttavia trova la forza e il coraggio di sfidare le avversità e uscire vittoriosa dalle innumerevoli prove che incontra sul proprio cammino, fino a ritrovare, dall’altra parte dell’Oceano, l’amore che credeva perduto…

”Atlantic Princess“, pubblicato nella collana “Romantica Nord” nel 1998 in prima edizione e successivamente proposto dal Club degli Editori, esce ora in formato digitale in una nuova versione, titolo diverso e una cover strepitosa creata da Cora Graphics.
La protagonista della storia è sempre Tatiana, l’altera principessa in fuga, ma nel nuovo romanzo la sua vicenda va oltre il viaggio sul transatlantico e prosegue a New York, nel Nuovo Continente che tanto desidera raggiungere per lasciarsi alle spalle il passato e i ricordi più dolorosi.
Ma non tutto ciò che è legato al passato porta sofferenza e l’amore può giungere attraverso le vie più tortuose e impervie perché non conosce frontiere e nessun ostacolo può fermarlo.

Alexandra J. Forrest è lo pseudonimo con cui Angela Pesce Fassio firma i suoi romance storici. Nata ad Asti, dove risiede tuttora, è un’autrice versatile, come dimostra la sua ormai lunga carriera e la varietà della sua produzione letteraria.
L’autrice coltiva altre passioni, oltre alla scrittura, fra cui ascoltare musica, dipingere, leggere e, quando le sue molteplici attività lo consentono, ama andare a cavallo e praticare yoga. Discipline che le permettono di coniugare ed equilibrare il mondo dell’immaginario col mondo materiale.
I suoi libri hanno riscosso successo e consensi dal pubblico e dalla critica in Italia e all’estero.

Altri titoli di Alexandra J. Forrest in eBook:

La locanda dell’Angelo
La sposa del Falco
L’Artiglio del Drago
Inganno e sortilegio
Lo sparviero e la rosa
Come cerchi sull'acqua

La trilogia di Zenobia, la Leonessa di Palmira:
1. Sotto il segno delle Aquile
2. Il disegno del Fato
3. Il sogno di una Regina
LanguageItaliano
Release dateOct 26, 2016
ISBN9788822859693
Sfida al destino - Atlantic Princess

Read more from Alexandra J. Forrest

Related to Sfida al destino - Atlantic Princess

Related ebooks

Historical Romance For You

View More

Related articles

Reviews for Sfida al destino - Atlantic Princess

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Sfida al destino - Atlantic Princess - Alexandra J. Forrest

    Alexandra J. Forrest

    Sfida al destino

    Atlantic Princess

    Romanzo

    Della stessa autrice in formato eBook

    Come cerchi sull’acqua

    Inganno e sortilegio

    L’Artiglio del Drago

    La locanda dell’Angelo

    La sposa del Falco

    Lo sparviero e la rosa

    La trilogia di Zenobia:

    Sotto il segno delle Aquile

    Il disegno del Fato

    Il sogno di una Regina

    Sfida la destino - Atlantic  Princess

    I edizione digitale: ottobre 2016

    Copyright © 2016 Angela Pesce Fassio

    Tutti i diritti riservati. All rights reserved.

    Sito web

    Facebook

    ISBN: 9788822859693

    2016 © Immagine di copertina by Cora Graphics

    Edizione digitale: Gian Paolo Gasperi

    Sito web

    1

    Era una gran bella nave, forse la più bella dopo il Titanic, colato a picco nella primavera del 1912 mentre navigava verso New York.

    L’eco di quella immane tragedia del mare non si era ancora spenta del tutto, sebbene gli otto anni trascorsi fossero stati funestati da avvenimenti altrettanto gravi e di risonanza mondiale come la Grande Guerra e la Rivoluzione d’Ottobre che aveva sconvolto la Russia e decretato la fine dell’impero degli zar. Nei paesi dell’Est soffiava forte il vento del comunismo, ma sulle banchine del porto di Dover, in quella soleggiata mattina di primavera, regnava un’atmosfera mondana; la lieve brezza marina accarezzava le guance delle eleganti signore in attesa di salire a bordo e impettiti gentiluomini in abito scuro e bombetta osservavano con aria distratta la folla che li circondava.

    A terra e sulla nave ormeggiata regnava una certa confusione, ma le operazioni di carico avvenivano in modo ordinato. Da alcune automobili appena arrivate scesero altri passeggeri. Bauli, valigie, cappelliere e borse da viaggio, ingombravano il passaggio solo per pochi minuti e subito gli incaricati li facevano scomparire a bordo. Era un affaccendarsi frenetico, ma perfettamente organizzato.

    L’Isotta Fraschini  color amaranto si aprì a fatica un varco in mezzo alla calca. Poi si arrestò accanto alle altre automobili. L’autista scese per andare ad aprire lo sportello. Ne scesero due donne: una elegante signora di mezza età e una giovane cameriera. Tuttavia fu la terza passeggera ad attirare l’attenzione di coloro che erano nelle vicinanze: poco più che ventenne e di straordinaria bellezza. Nel posare piede a terra, sollevò con entrambe le mani la veletta per osservare la nave, e la fugace apparizione suscitò un mormorio ammirato. Indifferente alla curiosità, la giovane donna sussurrò qualcosa alla cameriera, che subito si allontanò per andare a parlare con gli inservienti.

    Tornò poco dopo portando un bauletto di pelle che consegnò alla padrona. Nel frattempo l’autista, conclusi i propri compiti, prese congedo e risalì al volante dell’auto. Con una lenta retromarcia lasciò la banchina e ripartì.

    «Non sopporto tutta questa folla», sospirò la giovane rivolta alla sua compagna.

    «Abbiate pazienza, altezza. Fra poco ci imbarcheremo.»

    «Ti prego, non chiamarmi così. Dimentica il nostro rango e comportati come fossi davvero mia madre.»

    L’altra assentì, a disagio.

    «Ne va della mia vita, e forse anche della tua. Non dobbiamo correre rischi.»

    «Ci sono molti nobili russi che viaggeranno insieme a noi. Qualcuno vi potrebbe riconoscere.»

    «Non tutti erano ammessi a corte e hanno avuto l’opportunità di incontrarmi. E poi mi sono tinta i capelli. No, non credo che ci sia pericolo.»

    «Speriamo.»

    «Rilassati, mamma. Andrà tutto bene.»

    «Ho l’impressione che qualcuno ci stia osservando con troppo interesse. Quei due uomini laggiù, per esempio. È da quando siamo arrivate che ci guardano.»

    «Ignorali. La nostra identità è ben protetta e non c’è da preoccuparsi. Soprattutto se tu non commetterai errori.»

    La donna non replicò e si limitò a sospirare. Non sarebbe stato facile per lei, dama di compagnia, trattare in modo confidenziale la sua principessa. Anche se la situazione d’emergenza lo richiedeva, come dimenticare che Tatiana Romanov era cugina dello zar Nicola? Anni di rispettosa sottomissione le rendevano assai arduo quel compito.

    «Possiamo salire a bordo, mamma», disse Tatiana distogliendola dalle proprie riflessioni. «Vedi, si stanno avviando verso la passerella.»

    Infatti i passeggeri avevano cominciato a imbarcarsi e lentamente venivano incanalati verso la passerella della prima classe. Le due donne, seguite dalla cameriera, si avviarono insieme agli altri.

    «Vuoi dare a me il bauletto?» chiese la dama.

    «No, grazie», rispose lei serrando il manico con forza. Lì dentro c’erano i suoi preziosi gioielli, tutti quelli che era riuscita a portare via da San Pietroburgo e a salvare dalle avide mani dei Bolscevichi, più un oggetto ancora più prezioso e unico che era pronta a difendere a costo della vita.

    Quando venne il loro turno, l’ufficiale che controllava la lista dei passeggeri rivolse loro un cordiale sorriso.

    «La baronessa Letizia Lecci?»

    «Sono io», annuì la dama di compagnia.

    «La signorina è sua figlia Rossana, immagino.»

    «Esatto. E poi c’è la nostra cameriera, Irene Fanti.»

    «Benvenute a bordo, signore. Questo giovanotto è William e sarà a vostra disposizione per qualsiasi cosa vi occorrerà. Ora vi accompagnerà alle vostre cabine e vi aiuterà a sistemarvi. La partenza è prevista per le undici e alle dodici e trenta sarà servita la colazione nella sala del Ponte A. Dimenticavo, mi chiamo Alan Goodwin e sono il commissario di bordo.»

    Appena le signore si allontanarono con l’inserviente, il commissario si dedicò ai passeggeri seguenti.

    «Conte Roman Waleskij e cameriere. Benvenuti a bordo, signori. Le vostre cabine si trovano nel corridoio B. Vi auguro una piacevole traversata.»

    Poi venne il turno di un altro passeggero, pure lui in compagnia di un servitore.

    «Conte Alessio Stroganoff», sorrise il commissario dando un’occhiata all’elenco. «E cameriere. La West Star Line vi dà il benvenuto a bordo della Atlantic Princess e vi augura buon viaggio. Anche la vostra cabina è nel corridoio B come richiesto. Partenza alle undici e colazione alle dodici e trenta.»

    «Grazie», rispose il conte con un ampio sorriso. Si sentiva alquanto a disagio senza l’uniforme e aveva la sensazione che l’abito da civile lo rendesse goffo e impacciato. Timori infondati, dato che Alessio portava benissimo qualsiasi tipo di abbigliamento. Che sfoggiasse l’uniforme della Guardia Imperiale o un doppiopetto grigio, riusciva a essere ugualmente affascinante. Incarnava il genere d’uomo per cui le donne fanno follie. A San Pietroburgo aveva fatto strage di cuori fra le ragazze e le dame dell’aristocrazia, ma ora quei bei tempi erano finiti e il viaggio oltreoceano non era per diporto. Stava svolgendo una missione assai delicata e non priva di rischi cui non aveva potuto esimersi. Avrebbe preferito rimanere in Russia per combattere nelle file dei controrivoluzionari, i Russi Bianchi che appoggiavano la nobiltà e tentavano di opporsi al dilagare dei comunisti capeggiati da Lev Trotsky. Come ufficiale appartenente alla Guardia Imperiale riteneva che sarebbe stato suo dovere difendere la patria e gli ideali in cui credeva, ma gli era stato assegnato un altro compito.

    L’inserviente accompagnò le tre donne fino alle cabine loro assegnate.

    Nel corridoio c’era un intenso andirivieni di gente che prendeva possesso dei propri alloggi e molti sguardi curiosi indugiarono sulla giovane misteriosa. La dama di compagnia cincischiava nervosamente i guanti aspettando che William aprisse le porte.

    «I vostri bagagli sono già qui», le informò l’inserviente guardando dentro. «Le cabine sono comunicanti e dotate di un ponte di passeggiata privato.»

    Tatiana entrò per prima. «Quelli sono i miei. Volete per cortesia portare gli altri nelle cabine adiacenti?»

    «Ma certo, signorina.»

    Le cabine di Tatiana e della dama di compagnia erano piuttosto ampie e arredate in modo lussuoso, mentre quella della cameriera era più piccola e modesta. Tatiana le ispezionò e annuì soddisfatta. Niente di paragonabile all’appartamento che occupava nel Palazzo d’Inverno, o nelle numerose residenze dello zar, ma c’era spazio a sufficienza e i mobili erano piuttosto raffinati.

    «C’è una cassaforte?» chiese Tatiana che ancora non aveva lasciato il bauletto.

    «Sì, signorina. Si trova nello stipetto laggiù.»

    Lei si avvicinò al mobiletto barocco e lo aprì. La cassaforte non era molto grande, ma le parve sicura. Prese le chiavi e aprì lo sportello. Come immaginava, il bauletto non ci sarebbe potuto entrare e avrebbe dovuto estrarre i gioielli per poterli mettere al sicuro. Decise che se ne sarebbe occupata dopo e richiuse lo sportello. Si voltò e vide l’inserviente che dava istruzioni alla cameriera circa il modo di accendere il riscaldamento.

    «Appena saremo in navigazione avrete acqua calda, fredda e potrete usare la toilette. Questo campanello serve a chiamare il personale di servizio che sarà sempre a vostra disposizione. Se lo desiderate potrete ordinare i pasti in cabina, e se dovesse rivelarsi necessario c’è un piccolo ambulatorio medico ben attrezzato. Il dottor Spencer e il suo assistente sono pronti a curare ogni vostro disturbo. Ora vi mostro il ponte di passeggiata…»

    «Vai tu, mamma», disse Tatiana. «Io e Irene mettiamo a posto le nostre cose.»

    «Come desideri, cara», annuì la donna. «Fatemi strada, giovanotto.»

    Rimasta sola con la cameriera, Tatiana si lasciò cadere con un sospiro su una poltrona. «Sono sfinita e impaziente di concedermi un lungo bagno caldo. Che ore sono?»

    «Mancano pochi minuti alle undici, signorina.»

    «Stiamo per salpare, finalmente.»

    «Non volete salire in coperta per i saluti?»

    «No, c’è troppa gente lassù e detesto la ressa. Coraggio, cominciamo a disfare questi benedetti bagagli e speriamo che Olga si sbrighi.»

    Irene indicò le valigie accatastate. «Da dove volete che cominci?»

    «Apri il baule e metti a posto i vestiti. Io devo fare qualcosa di là.»

    Tatiana andò nella stanza attigua e chiuse la porta dietro di sé. Mentre in giro c’era nessuno volevo riporre i gioielli nella cassaforte. Aprì la serratura di sicurezza del bauletto e ne sollevò il coperchio, poi lentamente estrasse gli astucci e gli involti di panno per collocarli nella cassaforte. Incluso il cofanetto di ebano. Ognuno di quei gioielli valeva milioni, ma per lei avevano un significato affettivo che trascendeva il valore in denaro. Essi rappresentavano la storia della sua famiglia, e non solo. Sfiorò con emozione la collana di perle a doppio filo che aveva indossato la sera del suo primo ballo. Erano trascorsi poco più di tre anni, ma quella magica notte apparteneva già a un altro tempo. Solo pochi mesi più tardi, il 15 marzo del 1917, lo zar Nicola II sarebbe stato costretto ad abdicare e a consentire la costituzione di un governo provvisorio presieduto da Aleksandr Kerenskij.

    Tuttavia, quella sera di novembre, con San Pietroburgo ammantata di neve, le luci sfavillavano negli sfarzosi saloni del Palazzo d’Inverno e la musica vibrava nell’aria, mescolandosi al suono delle voci e delle gaie risate. Sulle note di un romantico valzer lei aveva danzato fra le braccia di Vladimir e si era illusa che niente al mondo avrebbe mai potuto separarli. Lo zar e la zarina si erano congratulati per il loro fidanzamento e ammirato lo splendido anello che lui le aveva regalato. Tutto era accaduto come in sogno, e poi c’era stato il crudele risveglio. Ma, se chiudeva gli occhi, poteva rivivere quella sera, rivedersi nell’abito di raso bianco e immaginare di essere ancora nelle braccia di Vladimir… Quei ricordi le facevano male, ma ormai era tutto ciò che le restava.

    Sentendo delle voci nell’altra stanza, si riscosse e s’affrettò a mettere a posto i gioielli, poi chiuse lo sportello e ripose le chiavi in un cassettino. Mentre richiudeva lo stipo, udì bussare alla porta.

    «Avanti», rispose girandosi.

    Olga entrò e s’inchinò. «La nave sta per salpare. Non volete salire sul ponte?»

    «No, ma potete andare voi con Irene, se vi fa piacere.»

    «Sicura di voler rimanere sola?»

    «Assolutamente. Ne approfitterò per rilassarmi prima di colazione.»

    «Chiudete a chiave, mi raccomando.»

    Tatiana le accompagnò e chiuse la porta a doppia mandata. Nella cabina regnava un certo disordine, ma ci sarebbe stato tempo di riordinare nel corso della traversata. Sgomberò un divano e si sdraiò con un sospiro. Il suono della sirena della nave che si accingeva a salpare la fece trasalire. Ora i rimorchiatori trainavano il grande transatlantico fuori dal porto e dai ponti i passeggeri salutavano parenti e amici assiepati sulla banchina. Per quanto si sforzasse non riuscì a percepire il movimento della nave. Tolse le forcine che le trattenevano i capelli e chiuse gli occhi. Assalita da un piacevole torpore si abbandonò.

    Sul ponte della prima classe, Irene e Olga erano riuscite ad aprirsi un varco in mezzo alla calca e ora, affacciate al parapetto, guardavano il lento staccarsi dalla banchina. Intorno a loro la gente vociava, rideva e versava lacrime.

    A una certa distanza, il conte Waleskij fumava un sigaro con aria distratta e dense volute di fumo aromatico si levavano nell’aria limpida. Il suo volto impenetrabile non tradiva alcuno dei pensieri che gli affollavano la mente. Ma nei suoi occhi grigi ardeva la luce febbrile e inquietante di un uccello da preda. A tratti posava lo sguardo sulle due donne, ma cercando di non attirarne l’attenzione. Riteneva di non poter essere identificato, tuttavia voleva agire con prudenza.

    Ormai erano in mare aperto. I rimorchiatori si erano staccati e la nave puntò la prua verso la sconfinata distesa oceanica. La vibrazione fino ad allora quasi impercettibile aumentò d’intensità, segno che le potenti macchine iniziavano a funzionare a pieno regime. I ponti si erano a poco a poco svuotati e soltanto pochi passeggeri indugiavano ancora ai parapetti. Anche le due donne se ne andarono e Waleskij le seguì con lo sguardo, mentre si dirigevano verso il boccaporto. Appena scomparvero all’interno, girò il capo e tornò a osservare la linea costiera sempre più lontana. Il viaggio era cominciato.

    «Mi fate accendere, per favore?» domandò a un tratto qualcuno che si era avvicinato.

    Waleskij lo guardò e riconobbe il giovanotto che era salito a bordo dietro di lui. Teneva fra le dita una sigaretta e sorrideva cordiale. «Ma certo», rispose facendo scattare l’accendisigari.

    «Grazie», replicò l’altro aspirando una boccata di fumo. «Perdonate l’indiscrezione; siete russo?»

    «No, polacco. E voi?»

    «Conte Alessio Stroganoff, di San Pietroburgo.»

    «Conte Roman Waleskij, di Varsavia.»

    «Parlate russo in modo eccellente, conte.»

    «Mi sono spesso recato in Russia e ho una notevole predisposizione per le lingue.»

    «Profugo anche voi?»

    «Purtroppo. Ho lasciato la mia patria con grande rammarico, ma spero di poter ricominciare in America.»

    «Possiamo ritenerci privilegiati. Almeno noi siamo riusciti a fuggire.»

    «Senza dubbio», convenne il conte gettando il mozzicone del sigaro in mare.

    «Vi posso offrire qualcosa da bere?»

    «No, grazie. Devo cambiarmi per la colazione.»

    «Sarà per un’altra volta, allora. È stato un piacere conoscervi, conte.»

    «Anche per me.» Toccò la tesa del cappello e se ne andò.

    Alessio restò ancora qualche minuto a guardarlo mentre si allontanava. Finì la sigaretta fissando con espressione pensierosa la superficie del mare appena increspata dalla brezza. Non aveva alcun motivo di sospettare che Waleskij avesse mentito, tuttavia c’era una nota falsa in lui che destava la sua inquietudine. Decise che l’avrebbe tenuto d’occhio. Chiunque provenisse dall’Est Europa poteva rivelarsi un potenziale nemico.

    2

    Tatiana fu svegliata di soprassalto da un energico bussare alla porta. Non si rese subito conto di dove si trovava e si spaventò.

    I Bolscevichi! pensò in un primo momento e quasi sopraffatta dal panico. Poi ricordò di essere lontana dalla Russia e relativamente al sicuro a bordo della nave e si rilassò. I battiti furiosi del cuore si calmarono mentre andava ad aprire la porta.

    «Mi ero addormentata», spiegò soffocando uno sbadiglio.

    La dama di compagnia e la cameriera entrarono. Tatiana richiuse e andò a prendere le sigarette che aveva nella borsa. Ne accese una e aspirò profondamente.

    «Non dovreste fumare, altezza», la rimproverò Olga.

    «Qui non siamo a corte e non devo sottostare ad alcun divieto, baronessa Smirnova. Se mi va di fumare una sigaretta, lo faccio e basta. Irina, preparami il bagno, per favore.»

    La ragazza filò nella sala da bagno.

    «Credo che andrò a fare un bagno anch’io, altezza. Col vostro permesso.»

    «Andate pure», concesse lei con un cenno.

    La dama di compagnia le rivolse un inchino e si ritirò nella propria cabina. Tatiana si girò verso la specchiera per vedere l’effetto che faceva col lungo bocchino fra le dita. Senza dubbio sembrava più adulta, più… vissuta. A Pietroburgo il rigido protocollo di corte era opprimente e limitava in modo drastico la sua libertà. C’erano regole per qualsiasi cosa e lei le considerava soffocanti. Nonostante avesse dovuto sottostare a una rigorosa disciplina fin dall’infanzia, ciò non le aveva impedito di covare forti impeti di ribellione. La zarina, la bellissima Alessandra, era a dir poco maniacale nell’applicazione dell’etichetta e infliggeva punizioni esemplari a chi non la rispettava. Lo zar era più indulgente, ma si lasciava tiranneggiare dalla moglie e cedeva sempre ai suoi capricci.

    Anche per la questione riguardante Rasputin, il sedicente monaco fanatico e mistificatore, Nicola si era mostrato troppo condiscendente. Rasputin aveva letteralmente plagiato la zarina e ne aveva fatto la sua succube. Lei se lo portava appresso ovunque e lo imponeva a tutti, proclamando la sua capacità di guaritore per investitura divina. Che assurdità! Il monaco era un libertino depravato, ubriacone e grande opportunista. Possedeva del carisma, senza dubbio, ma i suoi scopi erano tutti fuorché quelli di fare del bene al prossimo. Rabbrividì al ricordo di quando lui aveva cercato di metterle le mani addosso. Se non fosse stato per il tempestivo intervento della duchessa Feodorova, chissà come sarebbe andata a finire.

    «Il bagno è pronto, altezza», le annunciò Irina dalla soglia.

    Tatiana spense la sigaretta e si voltò sorridendo. «Aiutami a togliere il vestito.»

    «Subito, altezza.»

    Poco dopo sgusciò dall’abito e mentre la cameriera lo appendeva, si liberò della sottoveste, poi di calze e biancheria intima. Nuda e fiera della propria bellezza, entrò nella sala da bagno avvolta in una nube di vapore fragrante e si immerse nella vasca. Con un sospiro si abbandonò alla carezza dell’acqua sulla pelle.

    Anche le mani di Vladimir sapevano accarezzarla e procurarle piacevoli sensazioni. Mani belle, con dita lunghe e forti. Sulla superficie del suo corpo tracciavano infuocate scie di desiderio. Lui sapeva come eccitarla e destare la sua passione. Vladimir era un amante esperto e lei era stata ben felice di lasciarsi guidare sulla strada del piacere.

    Con un sussulto di nostalgia e rimpianto, Tatiana si lasciò travolgere dalla marea dei ricordi.

    La prima volta che aveva visto Vladimir era ancora una collegiale ingenua e sognatrice.

    Aveva sedici anni e leggeva di nascosto romanzi d’amore in cui le eroine vivevano storie di intense passioni. La sua fervida immaginazione la portava a immedesimarsi in quelle vicende, a identificarsi con quelle donne bellissime e tormentate. Con le compagne di collegio, passeggiando per le strade di Pietroburgo, guardava in modo sfacciato gli aitanti ufficiali, e se qualcuno ricambiava le sue occhiate lei avvampava di rossore e rideva, divertita dalla propria audacia. Era un gioco che facevano spesso, lei e le sue amiche. Un gioco malizioso e innocente, che tuttavia aveva il gusto del proibito.

    Vladimir però non si era limitato a guardarla. Lui si era fatto avanti e le aveva rivolto la parola. Quasi soffocata dall’emozione, col cuore che martellava nel petto, era a malapena riuscita a balbettare qualcosa ed era letteralmente scappata via. Per qualche giorno non aveva più osato andare a passeggiare sulla Newskij Prospect e, in seguito, l’opportuno arrivo delle vacanze l’aveva tolta dall’imbarazzo. Pensava che non l’avrebbe più incontrato. C’era la guerra e sicuramente il suo reparto sarebbe tornato al fronte.

    Ma si sbagliava.

    Una sera a teatro, durante l’intervallo, Vladimir aveva lasciato il gruppetto di ufficiali con cui discorreva e le si era avvicinato sorridendo.

    «È davvero una piacevole sorpresa incontrarvi qui», le disse con un inchino.

    Lei si sentì morire per l’imbarazzo. I suoi genitori la guardarono perplessi.

    «Buona sera», biascicò arrossendo.

    «Quando ci siamo incontrati, una settimana fa, non mi avete dato il tempo di presentarmi. Ve ne siete andata con una tale furia…»

    «Vi prego, tornate dai vostri amici. I miei genitori ci stanno osservando.»

    Lui tornò a inchinarsi. «Principe Vladimir Ostrowskij, capitano degli Ussari», proseguì come se non l’avesse sentita.

    «Tatiana Romanov», dichiarò lei sempre più a disagio. Era anche un po’ irritata per l’insistenza del giovane ufficiale.

    «Sono onorato, altezza.» Disinvolto, le prese la mano e la sfiorò con le labbra.

    «Principe Ostrowskij, non pensavo che foste in città», intervenne la granduchessa. Conosceva il principe e la sua fama di seduttore e non voleva che sua figlia corresse dei rischi.

    Vladimir s’inchinò e le baciò la mano con galanteria. «Altezza, è un inatteso piacere vedervi.»

    «Ho la sensazione che voi due vi siate già incontrati, ma non capisco come sia possibile. La mia bambina non ha ancora fatto il suo ingresso ufficiale in società.»

    «Noi ci siamo visti a passeggio, altezza.»

    La granduchessa inarcò un sopracciglio. «Voi avete abbordato mia figlia per la strada, principe?»

    Questa volta fu lui ad arrossire. «Oh, no, altezza. Ecco… lei era…» Si interruppe e Tatiana gli venne in soccorso.

    «Avevo perso il mio quaderno degli appunti e il capitano è stato così gentile da riportarmelo. Temo di non essere stata cortese, mamma. Non l’ho neanche ringraziato.»

    «È vero, altezza. Le cose sono andate in questo modo.»

    La granduchessa Sonia non sembrava molto convinta, ma non potendo mettere in dubbio la veridicità dell’affermazione fu costretta ad accettarla. Si ripromise tuttavia di fare un discorsetto in privato a sua figlia.

    Il segnale della fine dell’intervallo giunse a proposito e le diede l’occasione di troncare la conversazione e allontanare Tatiana dal giovane, dotato di un fascino che giudicava pericoloso. Purtroppo era assai probabile che i due si rivedessero, dato che frequentavano gli stessi ambienti, ma lei non disperava di riuscire a fare in modo che sua figlia non cadesse vittima dell’impenitente seduttore. Se si fosse rivelato necessario, non avrebbe esitato a chiedere l’intervento di suo cugino Nicola per allontanarlo da San Pietroburgo.

    Sonia non dovette ricorrere ad alcun espediente, perché il principe fu richiamato al fronte due giorni dopo. Trascorsero alcuni mesi prima che rientrasse a Pietroburgo in licenza e durante quel periodo la granduchessa ebbe modo di mettere in guardia Tatiana dai pericoli a cui sarebbe potuta andare incontro una ragazza innocente e un po’ ingenua. Era anche intenzionata a combinarle un matrimonio, e a tale scopo complottava con la zarina.

    Ma i suoi progetti erano destinati ad andare in fumo.

    Durante una battuta di caccia al cervo nella riserva imperiale di Puskin, una delle residenze estive dello zar, Tatiana e Vladimir si rividero.

    Tatiana aveva perso l’aria da adolescente e la sua femminilità era sbocciata come un fiore a primavera. I giovanotti impazzivano per lei, la corteggiavano, le mandavano rose e dolciumi, scrivevano languide poesie d’amore, la chiedevano in matrimonio. Ma lei, spensierata e piena di vitalità, aveva troppa voglia di divertirsi e nessuna intenzione di sposarsi, almeno per il momento. Il suo debutto in società era imminente e come tutte le fanciulle dell’aristocrazia di quel tempo attendeva con trepidazione e ansia quell’avvenimento importante. Col debutto, avrebbe cessato di essere una bambina per diventare una donna. Da un po’ ci stava rimuginando parecchio e non era tanto sicura che il ruolo imposto alla donna dalla società le andasse a genio. Sua madre e l’istitutrice insistevano nel ribadire che il principale dovere di una ragazza era di sposarsi e avere figli, meglio se maschi. Ma nel mondo stavano avvenendo mutamenti importanti e notizie circa un movimento femminista che manifestava per il voto alle donne e l’uguaglianza dei diritti erano giunte anche nella lontana e retrograda Russia. L’emancipazione femminile era un argomento che la interessava molto, ma che non era gradito a sua madre o in generale ai suoi conoscenti. In un ambiente conservatore e maschilista parlare di donne che rivendicavano l’autoaffermazione non era soltanto proibito, ma addirittura considerato riprovevole. A parte questi dettagli, Tatiana era abbastanza felice. A Puskin godeva di una maggiore libertà che non a Pietroburgo e poteva sfuggire con relativa facilità al controllo di sua madre e delle dame di compagnia.

    La mattina della battuta di caccia, Tatiana sfoggiava un nuovo completo da amazzone e sul cappello portava una piuma di struzzo bianca. Montava Sultan, il suo cavallo prediletto, uno stallone grigio pomellato focoso e imprevedibile. Come Sultan, sentiva scorrere nelle vene un sangue impetuoso ed era animata da un’insolita smania che non sapeva identificare. Forse era la primavera a produrre un simile effetto, oppure l’eccitazione della caccia, ma qualunque fosse la ragione quella mattina intuiva che stava per succedere qualcosa di importante.

    E quando era arrivato Vladimir in sella a un imponente stallone nero, aveva capito.

    L’accoglienza che gli riservò il nutrito gruppo di cavalieri e amazzoni fu assai cordiale, quasi un trionfo. Per l’eroico comportamento in battaglia il principe era stato insignito di una decorazione e ormai era circondato da un alone leggendario. Trepide, le dame gli chiesero notizie della ferita che aveva subito durante l’azione per la quale si era distinto, mentre gli uomini lo guardavano con una mescolanza di invidia e ammirazione. Lui rispose con cortesia a tutti, ma il suo sguardo si rivolgeva spesso a Tatiana, che d’altronde era soggiogata dal magnetismo che emanava.

    La granduchessa Sonia, che avrebbe seguito la caccia a bordo di una carrozza scoperta in compagnia di altre dame, osservò con crescente apprensione la scena. L’attrazione fra i due era inequivocabile e si percepiva come una corrente. Dominando a stento un moto d’impazienza, cercò di attirare l’attenzione della figlia senza dare nell’occhio, ma Tatiana la ignorò. In quel momento, per lei, non esisteva altro che Vladimir Ostrowskij.

    Appena la muta dei segugi venne sguinzagliata e prese la direzione della foresta, il capocaccia diede il segnale di partenza. I cavalli scalpitavano nervosi da un po’ e quando i cavalieri allentarono le briglie e li incitarono, si lanciarono al galoppo. Non riuscendo a frenare Sultan, Tatiana lo lasciò andare e l’animale balzò avanti come spinto da una molla. Lo stallone di Vladimir s’impennò nitrendo, pure lui smanioso, e il giovane lo spronò. Affrontarono il leggero declivio a grande velocità tutti assieme, ma non occorse molto tempo ai due stalloni per distanziare gli altri. Sparirono inghiottiti dalla foresta e invano la granduchessa allungò il collo per tentare di vederli. Le carrozze erano molto più lente e non c’era alcuna possibilità di riuscire a raggiungere i cacciatori in testa al gruppo. Fu pervasa da un profondo senso di frustrazione: la situazione le stava sfuggendo di mano e con quali conseguenze soltanto Dio poteva saperlo.

    Tatiana si girò sulla sella e vide Vladimir che la seguiva a breve distanza. Il vantaggio iniziale si stava riducendo, ma Sultan non aveva ancora raggiunto la sua massima velocità e lei sperava di non farsi superare, almeno per il momento. Aveva il cuore in gola ed era quasi senza fiato per l’emozione e l’esaltazione della corsa. Si erano lasciati dietro il gruppo dei cacciatori e davanti a loro c’erano soltanto i cani, che latravano e abbaiavano eccitati. Piegò a sinistra senza rallentare, deviando dalla direzione originale. Vladimir la seguì. La foresta era enorme e si spingeva fin sulle rive del lago Ladoga. La zona era praticamente disabitata, se si escludevano le piccole isbe dei contadini, ed era possibile cavalcare per giorni senza fare incontri.

    Inoltrandosi su quel sentiero, Tatiana non aveva preso in considerazione il pericolo d’imbattersi in qualche animale selvaggio. C’erano orsi e lupi in abbondanza, da quelle parti, ed era consigliabile la prudenza. Ma lei, presa dall’euforia della cavalcata, dimenticò ogni cautela.

    L’orso sbucò dal folto all’improvviso, lanciando un sordo ringhio minaccioso, proprio nel mezzo del sentiero. Le si parò davanti drizzandosi sulle zampe posteriori e il cavallo, spaventato, frenò di colpo e si impennò. Tatiana fu sbalzata di sella e atterrò pesantemente al suolo, dove rimase stordita mentre Sultan si dava alla fuga.

    Il plantigrado digrignante torreggiò su di lei.

    Vladimir reagì con prontezza e coraggio. Estrasse il coltello da caccia e con un balzo si gettò sull’orso. Nell’impatto caddero entrambi e il giovane lo trafisse ripetutamente, senza però ferirlo in modo mortale. Reso furioso dal dolore, l’animale lo colpì con gli artigli, ma Vladimir non si arrese e di nuovo immerse la lama nel corpo poderoso, stavolta in un punto vitale. Un fiotto di sangue caldo gli inondò la mano e l’avambraccio, mentre un rantolo cavernoso gli echeggiò nelle orecchie. L’orso abbandonò la presa e con le sue ultime forze si trascinò, lasciandosi dietro una scia di sangue.

    Stremato, Vladimir cadde sulle ginocchia. Giacca e camicia ridotte a brandelli, sporche di sangue. Si sentiva sfinito dalla lotta, ma non era ferito in modo grave.

    Tatiana si riprese abbastanza da rialzarsi e raggiungerlo. S’inginocchiò accanto a lui e col fazzoletto cercò di ripulirgli il viso, di tamponare il sangue.

    «Mi avete salvato la vita», mormorò ancora tremante di paura.

    «State bene?»

    «Sì, sono soltanto un po’ ammaccata. Voi siete ridotto peggio.»

    «Niente più che qualche graffio.»

    «Dovete farvi medicare, o potrebbero infettarsi.»

    «Datemi una mano ad alzarmi, per favore. Bisogna recuperare i cavalli.»

    «Il vostro è laggiù», gli disse indicando lo stallone che si era fermato a poca distanza. «Sultan è scappato da quella parte, mi sembra.»

    «Lo riprenderemo. Posso appoggiarmi a voi?»

    «Certo, non abbiate scrupoli. Sono molto forte.»

    Lentamente, zoppicando, raggiunsero il cavallo che si lasciò prendere senza difficoltà. Vladimir montò in sella con qualche sforzo, poi tese la mano a Tatiana per farla salire dietro.

    «Dove saranno gli altri?» le chiese guidando il cavallo sul sentiero.

    «Non lo so. Temo che li abbiamo persi.»

    «Recuperato il vostro cavallo torneremo indietro. È probabile che ci stiano cercando.»

    «Mia madre sarà in ansia, specie perché mi sono allontanata con voi.»

    «Temo che dovrà abituarsi a me, dato che ho intenzione di chiedere la vostra mano.»

    Tatiana sussultò. «Che avete detto?»

    «Voglio sposarvi. Ho deciso di farlo senza perdere altro tempo, perché se riparto per il fronte, al mio ritorno potreste essere sposata a un altro.»

    Lei scoppiò a ridere. «Siete pazzo, Vladimir Ivanovic!»

    «Può darsi, ma sono innamorato di voi e non voglio rischiare di perdervi.»

    «È la dichiarazione d’amore più insolita che abbia mai ricevuto.»

    «Devo supporre che ne abbiate ricevute molte.»

    «Qualcuna.»

    «E cosa rispondete a questa ennesima dichiarazione?»

    «Devo riflettere. A detta di molte persone, specie di mia madre, non siete un tipo affidabile per una brava ragazza.»

    «Tuttavia?»

    «Tuttavia… sono costretta ad ammettere che mi sento attratta da voi in un modo che oserei definire pericoloso.»

    «Dunque posso sperare nel vostro consenso.»

    Lei decise di tenerlo sulle spine. «Forse.»

    «Ecco là il vostro cavallo. Gli si sono impigliate le redini in quei rami. Siamo arrivati giusto in tempo, o qualche lupo avrebbe potuto aggredirlo.» Arrestò il cavallo e lei scivolò di sella dirigendosi verso Sultan che tirava per liberarsi, ma agitandosi aveva attorcigliato le briglie ancora di più.

    Tatiana gli parlò con dolcezza, mentre sbrogliava l’intrico, e gli accarezzò il muso per placare la sua paura. Appena si quietò, si issò in sella e tornò verso Vladimir che l’aspettava. Era pallido e sembrava sul punto di sentirsi male.

    «Cosa avete?» chiese preoccupata.

    «Niente, vi assicuro.» Passò la mano sulla fronte imperlata di sudore.

    «Ce la fate a cavalcare?»

    «Posso sopportare un po’ di dolore.»

    «Allora andiamo. Spero di ricordare la strada.»

    Un’ora dopo si riunirono al gruppo dei cacciatori, che accolse il loro ritorno con sollievo.

    La granduchessa Sonia era quasi fuori di sé per l’agitazione e alla vista di Vladimir imbrattato di sangue emise un debole suono e perse i sensi. Subito la contessa Zelinskij le mise sotto al naso la boccetta dei Sali e quando si riprese Tatiana era lì accanto.

    «A casa faremo un discorsetto, noi due», sibilò. «Il tuo comportamento avventato ha rischiato di procurarmi un collasso.»

    «Va tutto bene, maman. Siamo soltanto incorsi in un piccolo incidente con un orso. Vladimir è stato coraggioso e mi ha salvato la vita. Credo dovreste ringraziarlo.»

    «Oh, Dio, sto per sentirmi male di nuovo!» esclamò levando gli occhi al cielo.

    Tatiana le porse i Sali, che furono respinti sdegnosamente. «Non siate in collera, maman. Siamo sani e salvi.»

    «Non ti permetterò mai più di vederlo!»

    «Lo rivedrò molto spesso invece», dichiarò

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1