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L'Incanto di Fantasia
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L'Incanto di Fantasia

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About this ebook

In una notte tempestosa, Minerva abbandona l’Olimpo per far visita a una bambina, relegata in una caverna da un intero villaggio. La piccola non ha un nome e non sa parlare, per questo si esprime disegnando sulle pareti della caverna. Minerva rimane affascinata da quelle meraviglie, decide così di donarle un nome: Fantasia. La bambina darà vita a creature straordinarie, quelle del libro incantato che lei stessa scriverà e che magicamente si animeranno: pere magiche, pennarelli fatati, folletti dispettosi, draghi imponenti, re intolleranti, fratelli intrepidi, chiavi che aprono mondi diversi, pozioni del sonno eterno. Fantasia si prenderà cura di tutte le sue creature, rivelandosi migliore di coloro che l’hanno abbandonata, dimostrando che l'Amore è più forte della Paura, della Solitudine e dell’Abbandono.
LanguageItaliano
Release dateOct 26, 2016
ISBN9788822859631
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    L'Incanto di Fantasia - Caterina Armentano

    Caterina Armentano

    L'Incanto di Fantasia

    Sito ufficiale di Caterina Armentano

    www.caterinaarmentano.com

    Segui l'autrice su Facebook

    www.facebook.com/caterinaarmentanoscrittrice/

    Immagine di copertina:  

    Digitales Web Agency di Angelica Elisa Moranelli

    www.facebook.com/digitaleswebagency

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, luoghi, personaggi ed eventi narrati sono frutto della fantasia dell’autrice o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da considerarsi puramente casuale.

    UUID: 3a701b00-9b5c-11e6-8e55-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice

    In principio... Il primo dono magico

    I magici pennarelli di Mirta

    La chiave magica

    Michela e gli oggetti perduti e dimenticati

    Perfettina e il pero magico

    L'orco cattivo e il piccolo fiore delicato

    La pozione del sonno eterno

    Il sortilegio della malvagità

    I cinque cavalieri erranti

    L'abete magico

    Il principe arcobaleno

    Il Regno del Sole d'Ambra

    Il viaggio di Fantasia

    Mio caro lettore...

    Cose da grandi Recensioni tecniche

    ​L’Incanto di Fantasia: una recensione tematica di Lavinia Scolari

    Recensione psicologica de L'incanto di Fantasia di David Palazzori

    Fiabe per chi crede nei sogni (recensione) di Angelica Elisa Moranelli

    Ringraziamenti

    L'autrice

    Ringraziamenti

    Quando il primo bambino rise per la prima volta,

    la sua risata si sbriciolò in migliaia di frammenti che si sparpagliarono qua e là.

    Fu così che nacquero le fate.

    James Matthew Barrie

    Ai miei figli e al loro mondo incantato.

    Alla mia famiglia di origine, l’inizio di tutto.

    A mio marito e ai suoi sì che mi hanno cambiato la vita.

    In principio...

    Il primo dono magico

    La logica vi porterà da A a B. 

    L’immaginazione vi porterà dappertutto.

    Albert Einstein

    Nacque, agli albori dei tempi, la bambina che non sapeva parlare. In un villaggio ai piedi di una montagna, dove gli uomini si davano alla caccia e le donne avevano imparato a coltivare la terra. La sua nascita spezzò la tranquillità in cui la gente viveva. Il suo mutismo fece precipitare i genitori di lei nella convinzione di essere stati maledetti: il Cielo aveva voluto punirli con quel fardello. La bambina non fu più chiamata con il suo nome, divenne la schiava tuttofare del villaggio, come se la fatica fisica fosse il prezzo da pagare agli dei per il grave peccato di cui si era macchiata.

    Relegata all’ultimo gradino della scala sociale, non poteva giocare con gli altri bambini, mangiare insieme alla comunità, partecipare ai giochi e alle feste.

    Derisa dai suoi coetanei, sfruttata dagli adulti, la bambina cercò un luogo dove potesse starsene al sicuro e, in breve tempo, quel nascondiglio divenne la sua casa.

    Una volta che la bambina fu lontana, i suoi genitori tirarono un sospiro di sollievo e ben presto gli abitanti del villaggio dimenticarono che un tempo era vissuta in mezzo a loro.

    Divenne la maledetta, lo scarto degli dei.

    Oppressa da silenzio e solitudine, la bambina iniziò a disegnare.

    All’inizio, con pietre aguzze incise segni sulle pareti della caverna, spezzandosi le unghie, con le scintille che danzavano al grattare della pietra contro la roccia. In seguito scoprì che con le piante e la terra poteva creare colori e sfumature, dando vita a tutto ciò che ritraeva. La sua mente era popolata da esseri straordinari, da immagini che non aveva mai visto prima, da colori che neanche la natura possedeva.

    Le pareti della caverna ospitarono ciò che non riusciva a dire, e quando i lampi e i tuoni si scontravano nel cielo, la bambina sognava che l'energia del fuoco infondesse la vita ai suoi personaggi.

    Delle creature fantastiche avrebbero reso quel luogo miserabile, molto più accogliente.

    Imparò a difendersi dalla paura usando l'immaginazione, mentre quelli che l’avevano scacciata, continuavano a vivere nel timore dell’ignoto: nelle lunghe giornate di pioggia, gli abitanti del villaggio si rintanavano nei loro rifugi, col timore che lampi e tuoni fossero causati dall'ira divina.

    Durante una notte di tempesta, mentre tutti dormivano al sicuro nelle viscere di una caverna, la bambina si mise a osservare la pioggia che, dalle nuvole, scrosciava sulla terra, bagnando il mondo; le parve una magia e desiderò ardentemente di poterla ritrarre.

    Di colpo, accompagnata dal verso di un gufo e da lampi e suoni confusi, apparve una donna. Era bellissima, una guerriera con elmo, scudo e corazza.

    La piccola sussultò.

    «Non temere, sono venuta in pace» disse la donna.

    La bambina, terrorizzata all'idea che la sconosciuta fosse lì per punirla a causa del suo difetto, si torceva le dita.

    Alla donna, però, piacque quello che vide.

    «So che non hai più un nome» disse.

    No, per loro sono solo un peso…

    La piccola si rese conto che, anche senza aver aperto bocca, era riuscita a comunicare i suoi pensieri.

    Non aver paura, le sorrise la donna, questo è il modo di comunicare di noi Supremi e da oggi sarà anche il tuo. Ho visto i tuoi disegni. Questo mondo non è degno di te, ma chi non ti accetterà, lo rimpiangerà amaramente. Io sono Minerva, dea della sapienza e sono qui per farti un dono. Prima, però, devo porti dinanzi a una scelta.

    La piccola fece un goffo e impacciato inchino.

    Posso darti la capacità di parlare oppure un nome. Scegli liberamente.

    La piccola la fissò confusa.

    Perché? chiese con la forza del pensiero. Mai nessuno le aveva donato nulla.

    Perché con te è nata una nuova forma di comunicazione, una nuova forma di magia e l’Olimpo non può starsene a guardare. Non ho molto tempo: scegli.

    Con il cuore in tumulto, la piccola disse che avrebbe voluto saper parlare.

    E così sia! disse Minerva, svanendo così com’era apparsa.

    La bambina restò sola, col timore di aver immaginato tutto.

    Forse era davvero strana. Forse gli altri aveva ragione: non era capace di distinguere la realtà dal mondo delle ombre che l'aveva generata.

    Aprì la bocca, sperando di udire la sua voce.

    La gola era secca e bruciava.

    Oooooh!, provò a dire, ma era troppo spaventata, troppo grande era il timore di non riuscirci.

    «Oh».

    Fu un attimo, breve.

    «Ooh!»

    Il cuore in subbuglio.

    «Oooooh... SO PARLARE!» urlò.

    Sgomenta, felice, confusa si portò le mani alla bocca e iniziò a salterellare.

    «Ora mi accetteranno. I miei genitori mi ameranno! Farò parte della comunità!»

    Spinta dall’euforia, corse sotto la pioggia, urlando e ridendo, verso il rifugio dei suoi genitori.

    Nella notte burrascosa, mentre la Natura sembrava volesse centrifugare cielo e terra, la poveretta giunse alla caverna, dove il villaggio si nascondeva in caso di pericolo.

    Il buio era rischiarato qui e là da fiaccole che illuminavano i giacigli.

    «Posso parlare!» urlò. «Sono capace!» disse, aspettando che tutti le corressero incontro per abbracciarla. Il silenzio fu spezzato da un sibilo e il buio squarciato dalla torcia che suo padre reggeva in mano. L'uomo la fissò come se avesse visto un’orrida creatura. La bambina rimase impietrita. Il terribile disagio che aveva caratterizzato tutta la sua vita, e che per un attimo era scomparso, si fece strada in lei.

    «Come hai fatto?» disse l'uomo, con voce gutturale.

    «È stata la dea, Minerva» sorrise la piccola.

    Un brusio sinistro s’inerpicò dalla caverna fino all’uscio dell’antro.

    «E perché mai una dea si sarebbe presa tanto disturbo?»

    «Non lo so, ma posso parlare!»

    La paura s’insinuò negli abitanti del villaggio. I bambini si nascosero dietro i genitori, gli adulti rimasero nascosti nel buio, a debita distanza dalla maledetta. Qualcuno osò avvicinarsi per fiutarla, coi pensieri che puzzavano di paura, terrore, miseria. Mentre la piccola scoppiava in lacrime, un vecchio avanzò sulle gambe malferme fissandola come avesse davanti un abominio. Col suo bastone e la spinse, facendola ruzzolare nel fango.

    «Dobbiamo parlare con gli spiriti» disse. «Ritorna nella tua caverna, quando avremo preso una decisione, verremo a cercarti».

    Il ritorno a casa fu una sconfitta: lottò contro la pioggia, mentre la foresta la spingeva, la sfidava, la schiaffeggiava.

    A che cosa le sarebbe mai servita la parola, se nessuno avrebbe mai parlato con lei?

    Gli uomini nella grotta si cosparsero di sangue di serpente, accesero un grande fuoco e mentre i bambini in cerchio vi danzavano intorno, donne e anziani intonarono un canto. Una melodia sinistra rispose dal profondo della gola, un suono che graffiava la lingua: l’eco rimbalzava di cavità in cavità, facendo vibrare il pavimento e il soffitto.

    La terra tremò e dove era stato acceso il fuoco si creò una voragine. Tutti si gettarono a terra, terrorizzati. Il sibilo che si diffuse fece loro accapponare la pelle.

    Scosso come una foglia al vento, il vecchio si rivolse all'essere che avevano convocato: «La maledetta parla!»

    «Chi ha osato?» chiese l’entità.

    «Minerva».

    «Giammai! L’abominio è figlia delle ombre. Sta assorbendo le vostre energie. Succhia i vostri sogni. Mangia i vostri pensieri, ben presto vi ucciderà tutti, prima che ciò accada, dovrete farlo voi».

    La voragine si allungò, fluttuò e assunse le fattezze di una persona priva di volto e di consistenza. Una sagoma che vibrava in cerchi concentrici.

    «Nostra signora Paura, ordinate e noi eseguiremo».

    «Annegatela. E prima picchiatela, fatele del male, terrorizzatela, fate che tema il mio volto, solo dopo la ucciderete».

    La sagoma sprofondò nel terreno da dove era sorta.

    Non attesero che l’alba per agire. Si armarono di tutti gli amuleti possibili e trascinandosi dietro superstizioni e paure, s’inerpicarono verso la grotta della bambina. Quando la luce delle loro fiaccole illuminò la caverna, denudando la roccia e facendo emergere le figure create dalla piccola, gli occhi degli abitanti del villaggio balzarono inorriditi da un disegno all’altro: erano i simboli della maledizione.

    «Prendetela!» urlò il vecchio.

    La bambina tentò la fuga. Urlò. Chiese perché. Invocò il nome della dea. Promise che non avrebbe mai più parlato, ma nessuno le diede ascolto.

    Fu il padre a trascinarla per i capelli, mentre i bambini la tormentavano con sassi e bastoni. Le donne le sputarono addosso e gli uomini intonarono canti di guerra.

    La bambina sentì il dolore: il freddo le violava la pelle, la carne veniva lacerata, la testa le pulsava.

    Fu trascinata via con la forza. La pioggia lavò il sangue e il vento trasformò i suoi singhiozzi in echi di paura.

    Poi, la vide a due passi da lei: aveva un sorriso ambiguo, il volto trasformato da diverse emozioni. Era un’ombra, eppure aveva fattezze umane: nessuno riusciva a vederla come la vedeva lei. Al posto delle dita, aveva tentacoli e i suoi occhi erano caverne buie senza fondo. La piccola guardò in fondo a quel buio e tremò, ma non si lasciò spaventare, non permise che Paura la soggiogasse. Chiuse gli occhi, mentre la picchiavano, la soffocavano, la spingevano, l’accecavano.

    Guardò, invece, nella sua immaginazione, nel suo regno, nel suo mondo, dove la magia le dava il potere di fare giustizia, dove essere una bambina non era un difetto, una prova di inferiorità. Non aveva bisogno della voce per parlare, conosceva i suoni anche senza averli uditi.

    Gli uomini la sollevarono, lanciandola come un sasso. Precipitò, il suo corpo scheletrico fu sommerso dall’acqua, che le invase le narici e la bocca.

    La bambina, però, era altrove, in un posto in cui le sue creature erano vive e reali.

    Un paio di ali enormi apparvero nel cielo del villaggio. Tutti alzarono gli occhi. Erano ali nere, da pipistrello, con enormi dita tentacolari. Dalla bocca dell’ombra usciva un suono acuto che faceva scricchiolare le ossa, cedere le ginocchia, arrossare gli occhi.

    Viscida come un serpente, l’ombra avvolse i presenti, Terrore si impossessò delle loro menti e dei loro cuori, mentre la sorella, Paura, se ne stava seduta a ridere di quella frenesia, di quel caos che le deliziava il palato, gustando quel sapore che le faceva vibrare ogni fibra del suo essere.

    Gli uomini iniziarono a incendiare le proprie case, a farsi male a vicenda. Il terrore di essere stati puniti dagli dei li rese selvaggi, violenti. Terrore li aveva attanagliati e loro non avevano abbastanza immaginazione, abbastanza creatività per combatterlo.

    Mentre la bambina agonizzava e

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