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Progresso in marcia
Progresso in marcia
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Progresso in marcia

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About this ebook

C’è progresso e progresso. Quello tecnologico è neutro, né buono né cattivo: dipende dall’uso che se ne fa. E poi c’è il Progresso, con la “P” maiuscola, il trionfo dell’umanità orgogliosamente protesa verso la propria autoaffermazione, la propria autodeificazione, che culminerà nell’anticristo. Da quel “Progresso” Dio ce ne scampi e liberi.

LanguageItaliano
Release dateMar 28, 2013
ISBN9781370263387
Progresso in marcia

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    Progresso in marcia - Emilio Biagini

    IN ATTESA DEL PROGRESSO:

    MONTALLEGRO

    In una fredda mattina di gennaio, una nutrita folla si dirigeva verso l’ingresso del Palazzo Ducale di Genova. Nuvole di vapore si levavano dalle bocche della folla pesantemente vestita. Era formata in parte dall’equipaggio di una caracca ragusea, la Santa Maria della Grazia, e in parte maggiore da cittadini del piccolo borgo di Rapallo, affluiti alla capitale per un’importante causa che li riguardava.

    N’assidente a lû, esclamò un popolano rapallino.

    E n’â vöan purtâ via, inveì un altro popolano rapallino.

    In testa alla folla vi era il capitano raguseo Nicolò De Allegretis aitante e robusto, sui trentacinque anni, con lunghi baffi neri. Il mozzo Marcolin, un diciannovenne biondo non meno aitante lo seguiva, insieme ad una ventina di altri marinai ragusei, e a numerosi popolani rapallini, oltre a qualche curioso genovese di passaggio. La Ragusa da cui i marinai forestieri provenivano aveva in comune con l’omonima città siciliana soltanto il nome, ed era invece un’orgogliosa repubblica indipendente della Dalmazia, nella quale si parlava un dialetto veneto, poiché la progredita età del nazionalismo e delle foibe era ancora lontana.

    Fra le donne rapalline si distinguevano due giovanissime, fra i quindici e i vent’anni, semplicemente vestite, ma in modo più elegante delle altre donne. Entrarono per ultime. Marietta era cieca e guidata dalla sorella maggiore Manuelina:

    Sta attenta, che qui cominciano i gradini, la avvertì, protettivamente, quando ebbero varcata la soglia.

    La scalinata finì e la folla timidamente entrò nell’aula del tribunale. Ragusei e rapallini si raggrupparono ai lati opposti della sala, guardandosi in cagnesco.

    Te vegnisse n’assidente..., mormorò tra i denti un pescatore rapallino grande e grosso, squadrando il capitano raguseo.

    Sta’ sittu, che n’arrestan, lo ammonì il suo vicino.

    Nell’aula c’erano solo due armigeri, di guardia presso la porta, ma ben presto si spostarono, disponendosi fra i due gruppi di litiganti, onde prevenire scontri, certamente obbedendo a precise istruzioni ricevute.

    L’ambiente era carico di tensione. Marietta piangeva silenziosamente, aggrappata alla sorella, che cercava invano di consolarla. Né la cieca né quella che ci vedeva si accorsero che Marcolin stava fissandole, con un’espressione di intenso interesse.

    A legnê bösögnava piggiàli, imprecava intanto un altro dei rapallini.

    Amia che chi semmu in ta cittê duminante..., ammonì preoccupata una delle rapalline.

    E un’altra lamentò:

    Questi chi nu ghe pensan due votte a dâ raxun ai furesti.

    La terza rapallina rincarò la dose:

    Pensan sulu ae palanche.

    Gli armigeri squadravano minacciosi i rivieraschi, e uno dei rapallini, un poco intimidito, si sentì in dovere di esclamare:

    Va ben, va ben, emmu capiu.

    Miope e con la pancetta, fece il suo solenne ingresso il cancelliere del tribunale, che prese posto, in piedi, dietro il tavolo, sparso di carte, e con penne e inchiostro con le quali doveva redigere gli atti della causa e cominciò a brancicare sul tavolo, cercando di mettere ordine e di capire qualcosa di quel che doveva fare. Dopo essere riuscito in qualche modo ad organizzarsi, l’importante personaggio annunciò solennemente:

    Udite, udite, udite. In nome del senato e del popolo genovese, il tribunale è ora in sessione, aprendo la prima seduta di questo anno di grazia 1575. Entra la corte. Presiede il magnifico giudice Paolo Fregoso.

    Una porta laterale si aperse e i seggi cominciarono a riempirsi di brutti vecchiacci pronti a vendere la pelle della madre, se ci fosse stata la mitica cunveniensa. Facce severe e antipatiche, di gente impregnata d’invidia reciproca e di latenti rivalità, che si lanciavano a vicenda occhiate in tralice di profonda antipatia o guardavano fissi davanti a sé con fiero cipiglio. Erano la potente aristocrazia genovese, arricchita dai traffici e dai tradimenti, come quel Branca Doria la cui anima precipitò all’inferno mentre era ancora vivo, come testimonia il Sommo Poeta. Per non parlare del grande Andrea Doria che combatteva il nemico islamico da una parte e commerciava con esso dall’altro, catturava pirati barbareschi che torturavano le coste italiane per liberarli poco dopo intascando sostanziosi riscatti (c’era, appunto, la mitica cunveniensa), così che quelli potevano tornare al loro consueto mestiere di massacrare, rapire e stuprare.

    Chi ha cause da sottoporre a questo serenissimo tribunale, si faccia avanti, proclamò il cancelliere, e si sedette cominciando a redigere il verbale.

    Accigliato e severo, il capo dei ragusei avanzò verso il cancelliere:

    Io sono il capitano Nicolò De Allegretis, comandante della caracca ‘Santa Maria della Grazia’, della libera città di Ragusa, e accuso di furto sacrilego e di mendacio gli uomini di Rapallo, che custodiscono una preziosa icona misteriosamente scomparsa dalla chiesa cattedrale della nostra città diversi anni fa, diciassette o diciotto, per la precisione, se la memoria non m’inganna. Chiedo pertanto a codesto magnifico tribunale di raddrizzare un così grave torto alla santa religione e al diritto delle genti.

    Che rispondono gli accusati? Chi rappresenta la controparte?, domandò il giudice Fregoso.

    A farsi avanti fu un prete di mezza età:

    Sono Antonio Merello, cappellano della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio in Rapallo, incaricato di rappresentare la nostra parte dal reverendo arciprete Andrea Massa, rimasto ad attendere alla cura d’anime. Ha inviato me poiché io fui testimone dei fatti che riguardano la causa. A nome di tutti i cittadini del borgo di Rapallo, respingo con sdegno le infami accuse della parte avversa. Nessuno di noi oserebbe mai stendere una mano sacrilega per rubare una sacra immagine. Sappiamo che susciteremmo dal cielo piuttosto punizioni che grazie e protezione. Non siamo pagani, come gli antichi popoli, che prendevano prigioniere le immagini degli dei altrui, pensando di guadagnarne il favore. I Romani stessi, prima di essere convertiti alla salvezza di Cristo, non si trattenevano dal portar via le statue dei popoli vinti. Pratica infame e superstiziosa è questa.

    Mentre il cappellano parlava, uno dei giudici notò le due ragazze, Marietta e Manuelina, e cominciò a rivolgere loro uno sguardo obliquo e sfacciato. Marietta restò priva di espressione, non potendo accorgersi del modo in cui il vecchio la guardava. Manuelina, invece, ci vedeva benissimo e distolse disgustata lo sguardo dal vecchio repellente.

    Antonio Merello continuava:

    Noi siamo cristiani, e sappiamo bene che vi è un solo Dio Onnipotente, che vede tutte le azioni degli uomini, e a tutti impartisce la Sua giustizia infallibile. La sacra immagine, che è oggetto del contendere, venne a noi in modo miracoloso e inaspettato, come accertò a suo tempo l’accurata inchiesta della Curia arcivescovile della Serenissima città di Genova, condotta con esemplare diligenza da Monsignor Egidio Falceta.

    Con fare altezzoso, il giudice domandò:

    Avete voi, reverendo Merello, l’ausilio di un giurisperito? Ne desiderate uno?

    Il nostro borgo è povero, magnifico giudice; rispose Merello hanno incaricato la mia umile persona di rappresentarli e, per quanto posso, farò del mio meglio. Confidiamo nella giustizia, perché se l’uomo non farà giustizia, Dio la farà.

    Il giudice Fregoso riprese la parola:

    E voi, capitano De Allegretis, desiderate l’ausilio di un giurisperito?

    Neppure noi siamo ricchi, replicò l’interpellato e l’avidità dell’argentiere (o fràvegu, come dite voi) di Rapallo ci ha portato via molto denaro, quando siamo andati ad ordinargli l’ex voto per recarlo alla Santissima Vergine, senza contare il tempo che ci costa questa causa, e il tempo è denaro. Ad ogni modo il nostro diritto parla da solo, come questa magnifica corte avrà modo di constatare.

    Cancelliere, a voi; concluse il giudice Fregoso la giustizia abbia corso.

    Lento e solenne, conscio (anche troppo) della sua importanza, il cancelliere si alzò in piedi e, dopo aver rovistato alquanto fra le carte, tirò fuori un foglio e proclamò le formule di rito:

    Il magnifico tribunale della Serenissima Repubblica di Genova udrà la causa del capitano Nicolò De Allegretis contro la comunità di Rapallo, accusata di sacrilego furto dell’immagine della Santa Vergine, che, a quanto risulta a questo tribunale, dall’anno di grazia 1557 trovasi nel santuario del Mons Laetus, o Monte Lieto o Montallegro presso Rapallo. Secondo quanto afferma l’attore della causa, tale immagine sarebbe stata sottratta alla chiesa cattedrale della città di Ragusa. L’attore presenta istanza per la restituzione di detta immagine.

    I rapallini assistevano, in piedi, dando segni di sconforto e di sofferenza, già presentendo che le cose si sarebbero messe male. Manuelina tirò fuori un rosario da una borsettina appesa alla cintura e cominciò silenziosamente a sgranarlo. Altri suoi concittadini la imitarono, e a quel punto cominciarono a sgranare rosari anche alcuni dei ragusei. Il giudice Paolo Fregoso guardava divertito, scuotendo la testa, quella guerra dei rosari. Era un uomo superiore, che tuttavia non sapeva di essere precursore dei laicisti odierni:

    Questi villici..., bisbigliò nell’orecchio del vecchio collega che stava alla sua sinistra. Poi, memore della sua alta funzione, si rivolse al cancelliere, ingiungendogli di procedere al giuramento dei rappresentanti delle contrapposte parti.

    L’interpellato si alzò in piedi, facendo volare un po’ di carte, che riacchiappò fortunosamente al volo e rimise sul tavolo. La tensione si allentò per un momento nell’aula, mentre sia i rapallini che i ragusei sorridevano della goffaggine del cancelliere, il quale, riassestata la scrivania, ingiunse:

    I rappresentanti delle due parti si avvicinino.

    Merello e De Allegretis obbedirono. Non si giurava sulla Bibbia, la Parola che i protestanti consideravano loro supremo riferimento, dopo che Lutero l’aveva ampiamente sforbiciata a suo comodo e capriccio. Il simbolo usato era invece quello della Presenza reale del Dio Incarnato, che è il vero e supremo messaggio del Cristianesimo. Infatti il cancelliere sollevò dal tavolo un Crocifisso e lo presentò ai due:

    Capitano Nicolò De Allegretis, alzate la mano destra. Giurate su questa santa Croce di dire l’intera verità, senza riserva alcuna, di fronte a questo serenissimo tribunale, e così vi aiuti Iddio.

    Lo giuro, e così mi aiuti Iddio.

    Cappellano Antonio Merello, alzate la mano destra. Giurate su questa santa Croce di dire l’intera verità, senza riserva alcuna, di fronte a questo serenissimo tribunale, e così vi aiuti Iddio.

    Lo giuro, e così mi aiuti Iddio.

    Il tribunale ascolterà per primo il capitano Nicolò De Allegretis, ordinò il giudice Fregoso.

    Il testimone può sedere, annunciò il cancelliere, sedendosi a sua volta e tornando al suo verbale.

    I ragusei stavano silenziosi con aria di sfida, eccetto Marcolin, che non aveva occhi che per Marietta. E la ragazza, pur essendo cieca, sentiva, in qualche modo misterioso, la presenza di qualcuno che la guardava con interesse, e, d’istinto, muoveva il capo rivolto verso l’alto, al modo dei ciechi, come a cercare l’altra persona. Marcolin, inspiegabilmente, arrossì. Un’ombra di dolore gli passò sul volto, mentre pensava: Peccato che sia cieca.

    Fra i due gruppi contrapposti vi erano mormorii irosi. Un raguseo digrignò:

    Ma cosa vogliono questi da noi?

    Un rapallino che aveva sentito rispose:

    Vogliamo solo essere lasciati in pace.

    Anzitutto, dov’è questa immagine che è oggetto del contendere? domandò il giudice Fregoso.

    Si trova tuttora nella cappella sul monte che sovrasta Rapallo, per quanto ne so; rispose il capitano il clero e i villici si sono assolutamente rifiutati di spostarla. Io avrei ben voluto che fosse portata dinanzi a questo tribunale, ma non mi fu dato ascolto.

    E con quale giustificazione?

    Hanno detto che non era possibile recarla in altro luogo.

    La voce del giudice Fregoso era ironica:

    È forse troppo pesante per uomini mortali? O è troppo fragile e delicata? Si teme forse che il legno n’abbia a soffrir danno?

    Né l’una né l’altra cosa, magnifico giudice. Mi fu risposto che l’immagine, come mossa da volontà propria, e forse da mani angeliche trasportata, ritorna sempre al luogo dove, secondo la superstizione popolare, sarebbe stata collocata per volontà della Santa Vergine stessa.

    Mormorii indistinti di malcontento si udirono fra i rapallini.

    Silenzio in aula; ammonì il

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