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L'Ultimo Cantore D'Irlanda
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Ebook63 pages46 minutes

L'Ultimo Cantore D'Irlanda

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"L'ultimo cantore d'Irlanda" è l'unico libro in italiano che svela la leggendaria storia di Turlough O'Carolan (1670-1738) che a 18 anni divenne cieco a causa del vaiolo. Per sopravvivere, Turlough, imparò così a suonare l'arpa e girò l'Irlanda in lungo e in largo per diffondere la sua musica idilliaca.

Divenne così per la sua gente un vero mito, che riuscì anche ad abbattere le barriere ideologiche che in quel tempo separavano gli irlandesi. Noto come "l'ultimo bardo d'Irlanda" egli ha rappresentato la sapienza dei druidi, gli antichi sacerdoti dei Celti.

G. Marino è il primo in Italia a scrivere su questo bardo, il poeta-musico, che seppe fondere la tradizionale musica popolare della sua patria con le nuove istanze della musica colta del secolo dei lumi.

Quando, il 25 marzo del 1738, il celebre bardo d'Irlanda lasciò questa terra, allora, morì la leggenda e nacque il Mito. Marino, infatti, narra di lui come dell'Omero dell'Irlanda, un elegiaco cantore della terra delle fate e dei maghi, eroe romantico che ha pianto e sofferto per la patria sottomessa.

"L'ultimo cantore d'Irlanda" è un libro breve, da leggere tutto d'un fiato, che lascerà un'indimenticabile ricostruzione storica e una potente lezione di speranza a ogni lettore che deciderà di scoprirne la magica storia celata nelle sua pagine.

www.giuseppemarinoscrittore.it

"La narrativa italiana, con questo ulteriore lavoro di Giuseppe Marino, si arricchisce di un contributo valido..."

Vincenza Musardo Talò, scrittrice

"Giuseppe Marino operando un a-topia ci porta fuori per incontrare una dimensione temporale lontana da quella che noi abitiamo e quindi diversa, senza tuttavia provocare fratture ne' lacerazioni anzi, gettando un ponte tra la nostra epoca e quella di O’Carolan...”

Sabina Sirsi, giornalista

"Marino da sempre si è dedicato alla scoperta della finitudine dell’uomo di fronte all’infinito e l’onnipotenza di Dio. I suoi Libri sono pura ricerca, dell’Assoluto, dell’eterno. La Ricerca è lo stesso filo conduttore che ritroviamo ne "L'ultimo cantore d'Irlanda". Perché anche questo libro è un libro sulla ricerca. Ricerca della felicità.”

Milena Schirano, lettrice accanita

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LanguageItaliano
Release dateOct 12, 2016
ISBN9788822855190
L'Ultimo Cantore D'Irlanda

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    L'Ultimo Cantore D'Irlanda - Giuseppe Marino

    O’Carolan

    I

    Era andato tutto alla perfezione, ma Turlough O’Carolan, il grande suonatore di arpa celtica, non ne era ancora del tutto convinto. Certamente non ne era soddisfatto; il suo spirito, che andava sempre alla ricerca del suono perfetto, non si sentiva appagato. Ripeteva in continuazione, come se volesse convincere qualcuno, che quella sera aveva pizzicato la corda in un modo non voluto, producendo un suono non desiderato. «Doveva vibrare di più», gridava, «Maledetta corda. Puah», e non si dava pace. Inutili risuonavano le parole del suo compagno che cercava in ogni modo di tranquillizzarlo. Le parole si perdevano nel vento.

    Era la mattina del 27 aprile dell’anno 1735 e Turlough O’Carolan, insieme al suo fido e coraggioso compagno Phelan, era in viaggio per una nuova avventura.

    Alle loro spalle lasciavano la Contea di Galway, dove avevano soggiornato per alcune settimane presso il Castello di Tuam. Era uno dei più antichi e più bei castelli di tutta l’Irlanda, il principe ne andava fiero. Fu fatto costruire nel 1161 dall’ultimo re indipendente d’Irlanda Roderick O’Connor, durante il periodo dell’invasione inglese. Qui avevano allietato le serate suonando e cantando storie di grandi battaglie, di grandi imprese, di grandi eroi; e storie d’amore per le belle fanciulle dagli occhi verdi come il mare. Le dita del bardo avevano fatto vibrare le corde del cuore di Leah, raggio di sole, la piccola principessa, promessa sposa di un uomo che sentiva di amare, ma che neppure conosceva.

    «Ancora, vi prego, suonate ancora per me», ripeteva Leah. «Fatemi sognare ancora».

    «Non posso negarvi questa grazia, o mia adorabile principessa» le rispondeva, mentre gli si formava un nodo alla gola.

    E suonò ancora per lei, la piccola principessa, per molto tempo ancora. E suonò con così grande precisione e sentimento che tutti desideravano che quel momento magico non avesse mai fine.

    Avevano dormito solo poche ore, ma riposato abbastanza bene nelle stanze messe a loro disposizione dal principe Finbar. Avrebbero voluto trattenersi ancora per qualche altro giorno, ma l’emozione di fare nuove avventure e di conoscere altri luoghi meravigliosi li spingeva a partire.

    «Venite a trovarci quando volete. Sarete sempre il benvenuto» lo salutò il principe Finbar.

    «Sì, quando volete; ma soprattutto non mancate al giorno delle mie nozze. Vi aspetteremo con grande impazienza», ripeté la principessa Leah, inchinandosi, e arrossendo.

    E così quella mattina del 27 aprile, sistemata ogni cosa, con un piccolo fagotto, un po’ di pane e qualche pezzo di formaggio, i due si misero a cavallo e si diressero verso ovest, verso la Contea di Mayo.

    «Non posso darmi pace, lo capite Phelan?» sbraitava.

    «Ma avete suonato così bene! Perché non volete credermi?»

    «Perché lei non suona niente. Non sa niente di queste cose. Non sa come mi sento avvilito!»

    «Mah…, mah…, il principe Finbar vi ha tenuto in grande considerazione per tutti i servigi che gli avete accordato e i vostri innumerevoli consigli, e la principessa, poi, ha molto gradito le vostre musiche e le vostre storie, era così entusiasta. E così graziosa!»

    «Phelan, tacete! Quante idiozie che dite. Smettetela!»

    Phelan tacque, amareggiato. I due proseguirono il cammino in silenzio.

    Avrebbe desiderato parlare ancora e chiarire una volta per tutte che lui era il miglior suonatore di arpa errante di tutta l’Irlanda, ma non c’era verso per farglielo capire. Ogni parola era inutile. Phelan non aveva studiato, ma sapeva benissimo che tutti i compositori di musica e di poesia, non sono mai paghi di quello che scrivono, di quello che suonano. Cercano sempre nuove alchimie per alimentare il loro spirito, la loro sete di perfettibilità, la loro fame di eternità. Lo sapeva benissimo, eppure ogni volta che lasciavano un villaggio, iniziavano sempre le stesse liti su quella nota che avrebbe dovuto vibrare di più e che non vibrava mai, e Phelan si era stancato.

    «Ma cosa ci avrà mai questa nota poi che deve vibrare tanto?» si chiedeva tra

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