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Happy 4 U
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Happy 4 U

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About this ebook

Londra è la città che vede crescere professionalmente una Anouk determinata a fare carriera in cucina; anche perché questo le permette di non pensare a lui, lui che ancora è capace di farle battere il cuore ogni volta che lo vede sui cartelloni pubblicitari, lui che sta sfondando nel cinema, lui che nel frattempo si è fidanzato con la sua sexy collega Jessie.
Quando si incontreranno tre anni dopo che lei lo ha lasciato, però, non sembreranno essere solo degli amici come continueranno a ripetersi entrambi e, tra una gita a Windermere, la ricerca delle uova di Pasqua e i fuochi d’artificio, sarà sempre più difficile non cadere in tentazione.
Peggio ancora se i paparazzi scoprissero le loro uscite amichevoli e contribuissero a travisare la situazione.


«Come sapevi che ero io in cucina?»
«Non in molti conoscono i miei gusti preferiti di gelato e poi, non mangio più insieme pistacchio e lamponi da quasi tre anni.»
Deglutisco.  
 «Avrai sicuramente trovato un abbinamento più interessante.»
«Come quello è difficile da trovare.»
Deglutisco di nuovo e rimetto a fuoco l’immagine di Jessica che si era già affievolita.


Happy 4 U è il seguito di Ti amo, ma... edito nel 2015 ed uscito in versione ebook nel dicembre 2018. Completa la trilogia su Anouk & Matt 10 A, di cui potete leggere la prima parte gratuitamente sull'applicazione Wattpad.
LanguageItaliano
Release dateSep 18, 2016
ISBN9788822846242
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    Happy 4 U - Nicoletta Puricelli

    Capitolo 1 – Interrail

    #2 agosto 2010#

    «Sere, ti rendi conto che siamo partite davvero?»

    «Sì, e tuo zio è stato un grande a regalarci questi biglietti.»

    «Allora, ricapitolando vedremo: Monaco, Bruxelles, Amsterdam, Copenaghen, Amburgo, Berlino, Praga e Vienna. Otto città in trenta giorni e poi avremo bisogno di dormire per una settimana di fila!»

    Ridiamo come due sceme.

    «E poi tu mi pianterai in asso per andartene dal tuo chef-quanto son bravo- Jones in Inghilterra!»

    «Dai, starò via solo un mese.»

    «Dici niente! E chi mi sosterrà il primo giorno di università? Sarà come il primo giorno alle superiori: ti ricordi che non volevo entrare in classe perché mi era venuto un brufolo in faccia la notte prima?»

    «Certo! E mi ricordo anche che hai slegato la coda e tirato tutti i capelli in avanti e non vedevi praticamente niente alla lavagna!»

    «Tu me l’hai fatto fare, salvandomi da vergogna certa!»

    «Però mi sembri un po’ cresciuta da allora. E poi guarda che per ottobre torno, ti ci accompagno a scuola!»

    «Meno male! Raccontami di nuovo come hai fatto a beccarti questo premio di consolazione

    Serena non è a conoscenza della vera storia, o meglio, non di tutta la storia; l’unica che lo è, a parte le persone coinvolte, è la mamma: appena rientrata a casa da Guadalupa l’ho salutata e mi sono fiondata in camera per disfare la valigia cercando di evitare le sue domande, ma quando lei mi ha raggiunto chiedendomi com’era andata, e se le facevo vedere le fotografie, sono scoppiata a piangere.

    «Anouk, che succede?»

    «Oh, mamma!»

    Ci siamo sedute sul letto e ho iniziato a raccontare a raffica dall’incontro casuale di Amanda e Matt in aeroporto alle nostre telefonate, dalla sorpresa di Pasquetta fino a quando lui si è presentato a Point-a-Pitre, dal concorso che avrei vinto alla mia ritirata appena ho capito che era stato truccato. Le ho detto la verità perché ero troppo distrutta per inventarmi una storia e reggerla senza tradirmi, tanto ormai non c’era più il pericolo che lui venisse nelle nostre zone dopo che lo avevo lasciato, nonostante i quattro giorni insieme avessero dimostrato quanto feeling ci fosse tra noi.

    Lei ha ascoltato in silenzio, senza dire una parola, con occhi sorpresi e sguardo attento. Quando ho finito mi ha abbracciato e mi ha detto: «So che adesso fa male, ma vedrai che il tempo ti darà ragione. Tu sarai una grande chef e tutti sapranno quanto vali. Sono orgogliosa della tua scelta».

    Siamo rimaste a lungo in silenzio e poi lei si è alzata prendendo i vestiti da mettere in lavatrice e io sono rimasta in camera con la mia 5D in mano, la paura in lotta con la curiosità di vedere le foto della vacanza.

    Ha vinto la paura, così ho consegnato la scheda di memoria alla mia vicina di casa chiedendole di separare le foto in cui compariva Matt dalle altre.

    La versione per tutto il resto del mondo, invece, è stata che sono arrivata seconda al concorso amatoriale Best Summer Chef, ma chef Jones ha visto la mia bravura ed era alla ricerca di una tirocinante e mi ha offerto il posto.

    «Però il vincitore ha vinto solo tre giorni e tu un intero mese. Non mi sembra equo…» ricomincia Serena.

    «Lui ha vinto tre giorni in cui avrà chef Marcus a sua completa disposizione per insegnargli un sacco di ricette e trucchi; io, invece, lavorerò nel ristorante e molto probabilmente questo significherà pelare le patate e preparare al massimo le verdure di contorno!» ribatto.

    «La Cenerentola della cucina, insomma.»

    «Più o meno!» rido.

    #15 agosto 2010#

    «Quanto è piccola!»

    «In effetti!»

    La sirenetta è lì sullo scoglio e guarda triste verso il mare.

    «Secondo te si starà pentendo di avere scelto le gambe per seguire il suo principe?» domando a voce alta, anche se l’interrogativo era più per me stessa.

    «Ha scelto l’amore, se non lo avesse fatto se ne sarebbe pentita in ogni caso.»

    «Tu credi?»

    «Ha trovato il principe azzurro: col cavolo che se lo deve fare scappare!»

    «Anche se per stare con lui deve rinunciare al suo mondo e ai suoi sogni?»

    «Se il principe azzurro è innamorato di lei ha già realizzato il suo sogno!»

    Come fa a fare sembrare tutto così semplice? Rimango ancora per qualche attimo in contemplazione dello sguardo pensieroso, e a mio avviso malinconico, della statua e continuo a chiedermi cosa stia pensando esattamente.

    «Ecco, ora mi hai fatto pensare a quanto mi manca Manuel!» prosegue.

    «Credi che lui sia il tuo principe azzurro?»

    «Non lo so, noi stiamo davvero bene insieme, ma credo che ad ogni inizio di relazione si pensi che l’altra metà sia quella giusta.»

    «Sì, probabile» dico non molto convinta. «Ora però ho bisogno di caffeina, andiamo a vedere se troviamo qualcosa di decente qua intorno, che troppa filosofia non fa bene.»

    Sono passati quattordici giorni e siamo a metà del viaggio; la stanchezza inizia a farsi sentire, ma l’esperienza è di quelle da ricordare. Abbiamo dormito sul treno nelle tratte lunghe e alloggiato in ostelli dove abbiamo fatto un sacco di amicizie; sono alla terza scheda di memoria piena di fotografie e sono contenta che le nostre giornate siano talmente piene da non avere il tempo di pensare a tutto il resto.

    A lui.

    Non è vero, in realtà ci penso continuamente, ma faccio finta di niente e obbligo la mia testa a cambiare pensieri.

    #22 agosto 2010#

    «Io adoro questa città. È così moderna, giovane e complicata.»

    Serena è affascinata e non posso darle torto, anche se la mia città preferita fino ad adesso è stata Amsterdam.

    Siamo sedute nella hall dell’ostello vicino alla stazione di Berlino, abbiamo cenato con delle ragazze svedesi che stanno facendo un viaggio simile al nostro; le abbiamo conosciute appena arrivate e ieri sera siamo uscite per locali con loro. Questa sera, invece, abbiamo deciso di cenare qui vicino e starcene tranquille perché domani mattina avremo il treno alle 6.37 per Praga e se tornassimo di nuovo alle tre, col cavolo che lo prenderemmo! Anche loro ripartiranno domani mattina, ma verso Monaco alla volta dell’Italia.

    Chiacchieriamo e scherziamo sulle tante cose che abbiamo in comune nonostante le diverse provenienze.

    «Che figo che è!» dice ad un certo punto Malin e tutte ci giriamo verso il punto che sta fissando: è la piccola televisione della hall e stanno trasmettendo il trailer di un film. Lo guardo di sfuggita, finché un volto a me molto famigliare occupa tutto lo schermo con i suoi occhioni verdi e i capelli rasati.

    «Ehi Anouk, quello non è il tuo Mr. Grennet?» chiede con semplicità Serena.

    I miei occhi sono fissi sullo schermo e seguono tutto il resto del trailer.

    «Sì, sembra lui» rispondo col tono più neutro che posso, i miei occhi ancora ipnotizzati dal monitor dove compare la scritta a dicembre al cinema!. Perché devono fare ad agosto la pubblicità di un film che uscirà dopo quattro mesi?

    «Anouk ha un suo poster in camera!» dice Serena alle altre per prendermi in giro.

    «Avevo! L’ho tolto» preciso. A loro o a me stessa?

    «Io lo adoro, è così sexy. Quegli occhi verdi, quei muscoli e quel sedere. Se lo incontrassi gli salterei addosso!» dice Malin con occhi sognanti.

    Le sue compagne ridono e io mi chiedo se ho la stessa faccia ebete quando parlo di lui.

    «Da noi At home with Alan sta spopolando e non vediamo l’ora di vederlo in From the sky, coi capelli corti sembra ancora più sexy»

    «Sono l’unica a cui non piace?» chiede afflitta Serena.

    Le altre si guardano e esplodono in un , ridendo. Sorrido anch’io, ma non ho più voglia di scherzare, anzi, mi sta venendo voglia di piangere e il mio ginocchio inizia a muoversi sotto al tavolo. Era un mese che non vedevo la sua faccia, avevo accuratamente evitato le fotografie, i siti internet su lui e sui film, e anche la televisione.

    «Anouk?» Serena mi risveglia dai miei pensieri. «Ti va un’altra Coca?»

    La guardo e cerco di capire cosa mi sta chiedendo.

    «È tutto ok?» mi chiede sottovoce.

    «Sì, no, sì. Credo di essere solo un po’ stanca.»

    «Sì, anch’io lo sono. Salutiamo e ce ne andiamo a dormire?»

    Annuisco, anche se avrei preferito starmene da sola per qualche minuto.

    «Ci vediamo a Stoccolma?» ci chiedono le ragazze.

    «Sicuramente!» rispondiamo in coro io e Serena.

    Ci scambiamo i contatti e ci facciamo gli auguri per i nostri viaggi e poi saliamo al terzo piano puntando la sveglia un po’ troppo presto per i miei gusti.

    Mi metto il pigiama e mi fiondo nel letto facendo finta di guardare i messaggi sul telefono, ma la sua faccia coperta di graffi e lividi mi sta ancora guardando come poco fa in televisione, sovrapponendosi allo schermo nero; deve essere la scena in cui tenta di scappare di prigione, una di quelle che avevamo ripassato insieme nel resort.

    «Pensi che mi racconterai mai cosa è successo a Verbania?»

    Mi volto verso Serena e vedo che ha le braccia incrociate e la testa di traverso, ferma in piedi all’altro angolo del letto.

    «Come fai a sapere che si tratta di Verbania?» chiedo colpevole.

    «Non ti ho mai visto andare fuori di testa così per nessun altro, tantomeno piangere.»

    Non me ne ero accorta, delle lacrime stanno scorrendo sulle mie guance e d’istinto me le asciugo.

    «Nemmeno dopo Riccardo eri messa così male e con lui eri stata insieme qualche mese. Anouk, ci conosciamo da dieci anni, abbiamo fatto elementari, medie e superiori insieme; abbiamo condiviso morbillo e varicella, stiamo visitando sei stati in trenta giorni stando insieme 24 ore su 24. Conosciamo praticamente tutto l’una dell’altra. Perché mi stai tenendo nascosto questo?»

    Ha ragione, non posso continuare a non dirle niente, fa male a lei quanto a me e, in fondo, Matt e io non…

    «Prometti che quanto sto per dirti rimarrà un segreto confidato in una camera d’ostello a Berlino? Non lo potrai raccontare neanche a Manuel.»

    «Se per te è così importante lo giuro!» dice facendosi una croce sulle labbra.

    Sorrido. Inspiro. E comincio.

    «Verbania e Mr. Grennet, come lo chiami tu, sono la stessa persona.»

    Una smorfia sulla sua faccia. «Non prendermi in giro!»

    Scuoto la testa e la fisso.

    «Cosa? Ma, quando? Dove? Come?» Serena si butta sul letto vicino a me avida di informazioni. La sua curiosità è stata stuzzicata e ora ha bisogno di essere saziata.

    Ricomincio per la seconda volta dal rientro da Guadalupa tutto il racconto, anche se lei, a differenza di mia madre, mi continua a interrompere con delle domande e la ricerca di particolari.

    «Tu sei stata a letto con Matthew Thomas Grennet? Porca vacca!»

    Proseguo fino allo straziante finale della storia. «e non ho più rivisto la sua faccia fino a stasera in televisione.»

    La sua bocca rimane aperta per tutto il tempo e solo dopo qualche istante riesce a chiedere, con cautela: «Tu… sei convinta che quello che hai fatto sia giusto?»

    «Cosa avrei dovuto fare? Vincere un concorso truffando?»

    «No, no, intendo la parte dove hai lasciato lui con una scena degna di un film, magari la potrà riutilizzare in uno dei suoi! Insomma, lasciare un attore bello, ricco e famoso che ti aveva appena dichiarato il suo amore, col quale saresti potuta vivere nel beato mondo hollywoodiano fatto di maggiordomi, case di lusso e vacanze di prima classe… per amore della carriera, una carriera che ci metterà probabilmente anni per darti qualche riconoscimento e che ti farà guadagnare uno schifo in proporzione alle ore che lavorerai e…»

    La guardo malissimo e disperata.

    «In fondo hai ragione, noi ci stiamo divertendo un sacco anche se stiamo viaggiando low cost con un interrail e nei migliori ostelli della città!»

    Il mio sguardo la sta trafiggendo.

    «Ok, a Hollywood sono tutti fatti di sostanze strane e non è un posto per te.»

    Mi metto le mani sugli occhi e abbasso la testa sospirando.

    «Scusa» mi dice avvicinandosi e abbracciandomi. «Sto cercando di consolarti, ma credo tu abbia fatto una cazzata tremenda e quindi mi viene difficile! Voglio dire, io non lo conosco bene come te, ma da quello che mi hai raccontato lui era il tuo principe azzurro e tu hai fatto soffrire entrambi. Però, se questa è la decisione che hai preso vuol dire che è quella giusta per te, io col cavolo che avrei scelto la carriera, ma tu sei sempre stata quella seria e ti devo dare atto che hai coraggio da vendere.»

    L’abbraccio anch’io e rimaniamo così per un po’, sono quasi le due e abbiamo solo quattro ore di sonno prima della sveglia.

    #23 agosto 2010#

    «Anouk muoviti o a Praga non ci arriviamo!»

    Sento Serena che mi sta scuotendo, ma io non ho voglia di svegliarmi.

    «Anouk, ti prego, alzati.»

    La sua voce mi convince che è proprio tardi e di colpo apro gli occhi e mi alzo. In meno di cinque minuti mi sono cambiata, pettinata se consideriamo valido il legare velocemente i capelli in una coda di cavallo, ho infilato il pigiama in valigia e sono pronta a prendere il treno e attraversare un nuovo stato. I miei occhi sono gonfi all’inverosimile per il pianto di ieri sera dopo che Serena si è addormentata, meno male che ci attendono sei ore di viaggio in cui cercherò di recuperare il sonno che mi manca. Addio Berlino, eri proprio una bella città finché non mi hai ricordato quanto possano farmi battere il cuore quei due occhi verdi.

    Metto le cuffie e provo con la teoria di Amanda: lei sostiene che la prima canzone che si ascolta quando si accende la radio o un lettore ci darà un’idea di come andrà il resto della giornata.

    "Settembre, tu mi hai lasciato con un messaggio e io non ho ti detto niente… Cambieranno nome, ma tu, mese dopo mese di più, sei presente."

    No, Cremonini, ti sbagli: è solo una cosa passeggera, non penserò a lui per tutto il resto dell’anno. Vedrai che presto lo avrò dimenticato. 

    Capitolo 2 – Partenze

    #31 agosto 2010#

    Oggi è uno di quei giorni tristi, uno di quelli che mi capitano raramente e dove di solito c’è Amanda che mi tira su il morale facendomi riflettere sui lati positivi della situazione, ma oggi è giù di morale anche lei. Sebbene dia la colpa agli ormoni della gravidanza lo sappiamo entrambe perché è scappata in cucina con la scusa di preparare la merenda appena io sono entrata nella mia cameretta: quella sarà la nostra ultima merenda e questa non sarà più la mia cameretta. Oggi sono venuta a recuperare tutti i miei averi per lasciare il posto al suo legittimo proprietario, o proprietaria, ancora non ci è dato sapere.

    Parto dalle cose più semplici: i libri di scuola, che avrei comunque riportato nella casa di mamma, e i vestiti, per i quali posso fingere di fare un cambio di stagione. I cd non sono molti, un album di fotografie già mi fa sentire un po’ di sabbia negli occhi, ma il colpo di grazia è quando stacco i miei disegni dal muro: il più vecchio è attaccato lì dal primo giorno in cui ho messo piede qui dentro, per farmi sentire come se fossi nella cameretta di casa tua, così aveva detto Amanda, ma entrambe non sapevamo che per me questo sarebbe diventato più di un semplice posto dove dormire ogni tanto, come tanti ne avevo avuti in passato; questa sarebbe stata la mia seconda casa.

    Altri disegni sono poi stati attaccati uno sopra l’altro, il tempo è passato in fretta, allora guardo la fotografia appesa al muro e mi vengono in mente i tanti momenti passati insieme a lei e Marco e so che mi mancheranno. Faccio finta di non pensare che in questo letto ci ha dormito Matt e cerco di non notare il contorno appena più scuro sul muro che rivela la presenza in passato del suo poster, lì per più di un anno; ma poi lo trovo piegato in fondo al cassetto e non posso non dare un ultimo sguardo alla dedica speciale tutta per me: alla mia prima fan italiana. Lo richiudo e lo lascio nel cassetto, saprà Amanda cosa farci.

    Non dormo qui già da un mese perché ero in vacanza e starò un mese a Londra, ma quando tornerò vivrò ad un muro di distanza, perché mamma ha ragione: sono ormai adulta e posso stare da sola. Poi, loro stanno per avere un bambino e hanno bisogno dei loro spazi.

    Scendo in cucina e Amanda ha preparato latte e Nesquik, come faceva quando ero piccola e come saltuariamente abbiamo fatto insieme nel corso degli anni; quando prendo il bicchiere tra le mani e sento il profumo dolce del cioccolato non ce la faccio, ma nemmeno lei, così ci ritroviamo entrambe a piangere, ci abbracciamo e non ci diciamo niente, perché tanto sappiamo benissimo tutte e due cosa stiamo provando, mentre lei mi accarezza i capelli come quando non riuscivo a dormire. Rimaniamo così a lungo, finché sentiamo la macchina di Marco fermarsi davanti a casa e allora cerchiamo di ricomporci, ma tanto anche a lui basta uno sguardo per capire la situazione e si mette a giocare coi cani per lasciarci sole.

    «Devo chiamare la ditta di traslochi?» mi chiede scherzando quando finalmente salgo a prendere la mia roba.

    «No, me la cavo con due valigie!»

    «Dai, ti aiuto a portarle giù.»

    Amanda ci segue fino al cancello, dove però si ferma, quasi fosse un confine e temesse di doverlo oltrepassare.

    «Ciao Nanà, fai vedere quanto sei brava allo chef e vedrai che non ti lascerà più andare. Purtroppo per noi!» mi dice con gli occhi tristi e una mano sulla pancia che inizia timidamente a farsi vedere.

    «Tranquilli: vado, pelo qualche quintale di patate e torno indietro!» rispondo facendo l’occhiolino.

    «Anouk, noi ti vogliamo bene e te ne vorremo sempre.»

    «Vi voglio bene anch’io.»

    «Fammi un favore: ricordati di questo. Sempre. Ti prego.»

    «Non posso dimenticarmelo!» dico un po’ confusa, ma con un sorriso.

    Marco mi sta già portando le valigie verso casa e allora schiocco un bacio sulla guancia di Amanda e lo inseguo per aiutarlo.

    «Ciao ragazzina! Ricordati che loro guidano a sinistra!» mi dice il poliziotto che c’è in lui abbracciandomi.

    «Sicuramente!» rispondo contraccambiandolo.

    «E non dimenticare ciò che ti ha detto Amanda» mi sussurra all’orecchio mentre mia madre apre la porta.

    «Magda.»

    «Marco.»

    Si salutano solo così e lui torna a passi veloci verso casa mentre io rimango per un attimo immobile, come se questa fosse la scena finale di un film.

    #31 agosto 2010, sera#

    «Ehi, whatsappa appena arrivi che voglio sapere tutto!»

    «Certo! E tu tienimi informata sugli aggiornamenti dei nostri amici!»

    Un altro abbraccio super e scendo dalla macchina, dopo quasi due ore che siamo ferme sotto casa a parlare. Un mese senza Serena dopo altrettanto tempo che siamo state insieme tutto il santo giorno. Sarà dura.

    #1 settembre 2010#

    «Hai preso i fermenti lattici?»

    «Sì mamma, ma sto andando a Londra, mica in qualche paese esotico.»

    «Quelli sono sempre indispensabili. Quanti ne hai presi?»

    «Una confezione. Mamma, sto via per un mese e, poi, sono certa che anche a Londra li vendano!»

    L’ansia di mia madre cresce, sono meno preoccupata io di lei, manco fosse la prima volta che vado via da sola: sono appena stata in mezza Europa e in ostelli di tutte le categorie, ma ogni volta che parto è come fosse la prima per lei.

    Capitolo 3 – Londra

    #1 settembre 2010#

    Controllo l’indirizzo sulla mail dal telefono e, visto che corrisponde, suono il campanello. Si sente in lontananza il pianto di bambino e quando la porta si apre mi trovo di fronte una ragazza sui trent’anni abbondanti con in braccio un bimbo col naso gocciolante e le guance rosse; deve essere stato lui ad aver appena smesso di lamentarsi.

    «Ciao, devi essere Anouk. Io sono Luanne, vieni, entra» dice tenendomi la porta aperta e facendomi spazio tra giocattoli, passeggini e oggetti vari sparsi per tutta la casa. «Alex mi ha detto che saresti arrivata oggi, ma non ho fatto in tempo a sistemare casa, mi dispiace.»

    «Alex?»

    «Alexander Tyrell Jones. Chef Jones» precisa visto che da sola non ci arrivavo.

    «Ah! Scusa, non sono solita sentirlo chiamare Alex»

    «Sì, hai ragione. Tutti lo conoscono come chef Jones, ma io e lui andavamo a scuola insieme ai tempi in cui mi rubava la merenda e mi viene spontaneo chiamarlo così.»

    Chef Jones rubava le merende agli altri bambini? Interessante. E Tyrell da dove arriva? Non sapevo avesse un secondo nome. Quindi lei ha quarant’anni se andavano a scuola insieme.

    «Non so cosa ti ha raccontato di me, di solito non è un tipo espansivo con chi non conosce» prosegue.

    «In effetti mi ha detto di avere un posto dove potevo stare gratuitamente e che avrei dovuto solo fare la baby-sitter un paio di volte a settimana in cambio.»

    Lei ride. «Io faccio parte di un programma che ospita ragazze alla pari e, visto che non avevo nessuno in questo periodo, mi ha chiesto se mi andava di ospitarti mentre facevi un tirocinio da lui. Non è vero che devi farmi da baby-sitter, ti stava prendendo in giro: quello è ciò che fanno le ragazze che vengono qui per la scuola, ma tu è come fossi ospite sua e quindi sentiti come fossi a casa tua. Passerai la maggior parte del tempo al ristorante e alla fine qui verrai solo a dormire, a me basta che ti tieni in ordine la tua stanza e il tuo bagno, per il resto non devi far nulla. Vieni che ti mostro la casa.»

    Sono quasi sollevata, non ho mai fatto la baby-sitter e non so da che parte avrei dovuto iniziare! Luanne mi piace, è schietta e pratica, anche se dovrebbe rivedere l’ordine della casa perché c’è di tutto, in giro, da ogni parte.

    «Lui è Ricky, ha sette mesi e un dente che non vuole uscire, fai attenzione se lo prendi in braccio perché morde qualsiasi cosa trovi a portata di bocca. Questa, invece è la stanza di Joe e Meghan, hanno quattro e sei anni. Adesso sono all’asilo, ma appena tornano sentirai sparire questo timido silenzio. Lì, invece, c’è la mia stanza e di Howard, mio marito. Lui è fuori per lavoro, lo conoscerai nel week end. Eccoci qui, questa è la tua stanza.»

    Siamo al secondo piano della casa e siamo praticamente nel sottotetto in cui è stata ricavata una graziosa camera, non molto grande, ma con lo stretto indispensabile e un bagno piccolissimo tutto per me. Non ci sono altre camere su questo piano, quindi non dovrei sentire i bambini se piangono di notte!

    «Chef Jones manderà qualcuno a prenderti tra un’ora, gli ho mandato un messaggio avvisandolo che eri arrivata.»

    Quando? Non l’ho vista armeggiare col telefonino.

    «Ecco, tieni un mazzo delle chiavi di casa nel caso tornassi e non fossi a casa. Benvenuta a Londra Anouk!»

    #1 settembre 2010, pomeriggio#

    Dopo aver fatto il giro di tutte le aree e firmato poche carte, chef Jones mi dà un grembiule tutto bianco che indosso negli spogliatoi, insieme al completo e alle mie calzature bianche che usavo a scuola, poi mi conduce fino alla porta della cucina.

    «Sei pronta a cominciare?»

    «Sì, chef» dico eccitata.

    Entriamo ed è uno spettacolo: grande, ben fornita, ordinata, con un miscuglio di odori diversi che cercano di essere risucchiati dalle cappe potenti, ma che mi danno immediatamente quella sensazione di casa. È come se fossi entrata in un posto che già conosco, catapultata in un catalogo illustrativo che ogni tanto spulcio, non fosse che diverse persone, tutte con vestiti e atteggiamenti professionali, sono alle prese con padelle, taglieri, vapori che arrossano le guance e fanno appannare gli occhiali, forchette che cadono e vengono buttate nel lavandino, timer che suonano e qualcuno che apre lo sportello del forno.

    I ragazzi che ci lavorano alzano lo sguardo per controllare chi è entrato e quando riconoscono il grande capo salutano e si fermano per qualche secondo in attesa di vedere se ci sono istruzioni. Hanno tutti i grembiuli bianchi col proprio nome e il nome del ristorante: Prec. L’ecletticità del proprietario si è riversata nel dare ai suoi ristoranti dei nomi similari, usando le prime lettere di un aggettivo che rappresentasse lo spirito: Prec sta per Precious, Refi è Refined, Soph è Sophisticated, Meti è Meticulous, Won è Wonderful. Cinque ristoranti dislocati nella capitale britannica, cinque successi.

    «Ragazzi, lei è Anouk, viene dall’Italia e si fermerà con noi per un mese a darci una mano e ad imparare come si lavora in una cucina vera.»

    «Ciao Anouk» rispondono alcuni.

    «Lui è Benjamin» prosegue presentandomi un ragazzo alto e robusto che potrebbe essere un giocatore di rugby, con dei bei lineamenti e due occhi castani che mi fissano dall’alto in basso. «È il capocuoco, se non ci sono io la cucina è sua.»

    Gli sorrido e gli stringo la mano, lui ricambia cordiale, ma piuttosto freddo, come se mi stesse studiando.

    «Adam è l’addetto agli antipasti.»

    Lui, alto con una barba curata e gli occhiali, mi saluta con un cenno del capo a cui rispondo.

    «Dave si occupa dei primi piatti, un mago con i risotti.»

    «Grazie chef. Anouk, piacere di conoscerti.»

    Stringo la mano anche a lui, un ragazzo di pochi anni più grande di me, dallo sguardo amichevole e il sorriso contagioso.

    «Samuel è l’addetto ai secondi» dice indicando un signore sui quarant’anni. «Infine abbiamo il reparto dolci con Charlotte che è la nostra pasticcera e Zoey, la sua nuova tirocinante.»

    Sono una coppia strana loro due: una avrà poco più di trent’anni e l’aria di chi la sa lunga sul proprio lavoro, l’altra decisamente più giovane, avrà la mia età circa, un’aria sbarazzina nonostante un discreto contegno professionale. Una alta e rossa, l’altra bassa e mora, entrambe coi capelli ricci.

    «Mancano Hanen, l’addetta ai contorni e Martha, il sous chef che al momento è impegnata in un altro progetto. Ora che hai conosciuto tutti, Ben, cosa possiamo far fare alla nostra nuova matricola?»

    «Direi che ci sono un po’ di patate da pelare e verdure da preparare, chef» risponde indicando una cesta che sembra esser stata messa lì apposta.

    «Ok, Anouk, sembra che per qualche ora avrai da fare» mi dice serio chef Jones.

    «Sì chef, comincio subito.»

    Lo sapevo, sapevo che questi sono i benvenuti nelle cucine professionali, me lo avevano detto i miei compagni di classe che avevano già fatto dei tirocini. Non mi resta che mettermi al lavoro zitta e muta aspettando che finisca.

    #4 settembre 2010#

    Quattro giorni, tre giorni interi più un pomeriggio se vogliamo fare i precisi, che non faccio altro che pelare patate, sbucciare carote, tagliare qualsiasi verdura e prepararla per gli chef che ne hanno bisogno, andare nelle celle frigo a prendere qualsiasi cosa mi venga richiesto, riportare nelle celle frigo qualsiasi cosa non serva più. Sto facendo un sacco di ore e non so come funzioni qui, ma da noi si sarebbe chiamato sfruttamento. Non ho detto nulla, non mi sono mai lamentata, ma inizio a essere stanca; non mi sto divertendo e mi chiedo se sarà così tutto il mese. Cosa potrò inserire nel mio curriculum? Esperienza presso il ristorante Prec come tuttofare. Se mi facessero anche lavare il pavimento lo potrei scrivere davvero.

    «Anouk, questa sera Magdalena è malata e sta andando a casa prima. Starai alla postazione lavapiatti» mi dice Benjamin.

    Cosa? Mi sta prendendo in giro. No, invece il suo sguardo è serissimo, quasi come quando ho provato a chiamarlo Ben e mi ha ribadito a bocca serrata il suo nome per intero. Non so cosa gli ho fatto di male, ma evidentemente non gli sto molto simpatica.

    «Davvero?» azzardo.

    «Ti sembra che stia scherzando?»

    «No.»

    Raggiungo la posizione che è seguita di solito dalla signora camerunense e la trovo già sommersa di pentole, attrezzatura varia per cucinare, pile di piatti e coperchi. Prendo dei guanti e inizio a dividere ciò che va in lavastoviglie e ciò che dovrò lavare a mano. Man mano che finiscono i servizi di antipasti e primi inizio a vedere uno spiraglio di luce e giuro che d’ora in poi farò molta più attenzione a non utilizzare più strumenti del necessario e ringrazierò più spesso Magdalena. Finiscono tutti e puliscono le loro postazioni, la mia naturalmente è l’ultima che si svuoterà; quando tutto è lucente e in ordine devo naturalmente anche lavare il pavimento e sono sfinita, svuoto il secchiello in bagno sbuffo e mi scappa un «’fanculo».

    «Finalmente una parolaccia. Non ne avevo ancora sentita una!»

    Sulla soglia del locale per le pulizie chef Jones se la ride insieme a Benjamin e io sobbalzo.

    «Chiedo scusa, chef.»

    I due continuano a ridere guardandosi e io li fisso senza capire.

    «Faccio tanto ridere?» chiedo timidamente.

    «Sì» dicono in coro. «Vieni» mi invita lo chef.

    Andiamo in cucina e il capo mi chiede: «Allora Anouk, cosa hai imparato questa settimana?»

    Niente più di quello che sapevo già fare! vorrei dire, ma non credo sia la risposta giusta o che si aspettano.

    «A tagliare correttamente le verdure, chef» azzardo.

    Ride e poi torna subito serio. «Hai imparato a stare in una brigata, dove ognuno ha il suo posto finché

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