Ops, Mi Sono Innamorata del Mio Capo - Parte 2
By Sierra Rose
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Dall'autrice di "A.A.A Cercasi Finta Fidanzata per Miliardario" ecco il secondo capitolo di un'altra bollente storia d'amore e seduzione.
Resistere al proprio capo non è facile...
Jenna tiene nascosta la sua relazione ad amici e colleghi. Quando il suo segreto è a rischio, come reagiranno gli altri?
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Ops, Mi Sono Innamorata del Mio Capo - Parte 2 - Sierra Rose
Sommario
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 1
Tom stava parlando con dei colleghi in sala riunioni. Erano sommersi da appunti e documenti mentre cercavano la strategia migliore. Quando bussai, mi fece cenno di entrare.
«Sì, Miss Harks?» mi chiese con tono professionale.
«Ho i dati che mi ha richiesto per l’accordo Johnson.»
«Eccellente.»
Gli diedi il fascicolo con un appunto che diceva riunione dello staff da organizzare il prima possibile. 3:15?
. In realtà, si trattava di un messaggio in codice per dobbiamo fare sesso
. Era eccitante avere una relazione segreta e condividere messaggi che gli altri non potevano decifrare.
Lui annuì, poi tornò alla sua riunione. Non mi aspettavo una reazione. D’altra parte, se qualcuno avesse sospettato che ci fosse qualcosa tra di noi, i pettegolezzi si sarebbero sparsi immediatamente. L’ultima cosa che volevo, era essere il gossip del lunedì! Dovevamo vivere come se fossimo su un palco mentre gli altri ci guardavano. Eravamo dei professionisti e tutto il resto avrebbe aspettato. Non ci sfioravamo. Non lasciavamo biglietti sulla scrivania dell’altro. Temevamo anche le videocamere della sicurezza.
Sogghignai quando uscii dalla sala riunioni. Nonostante cercassimo di essere cauti, eravamo sempre pronti per una scappatella in ufficio. Forse era il brivido di essere scoperti. Forse si trattava della scarica di adrenalina. O forse eravamo semplicemente pazzi. O la chimica tra di noi era talmente potente da non riuscire a tenere le mani a posto.
«Solo... un po’ più in alto.»
«Jenna, più di così non posso. Quest’affare è troppo alto.»
«Allora sali su una scatola o qualcosa di simile.»
Gli occhi di Tom divennero due fessure. «Non lo farò mai.»
«Perché no? Sono seduta su una fotocopiatrice. Dobbiamo fare tutti dei sacrifici.»
«Oh, questo è un sacrificio?»
Iniziò a muoversi con più forza, ed io appoggiai la testa contro il tetto. I nostri respiri erano attutiti dall’aria condizionata. A malapena. Dovevamo comunque essere silenziosi. Chiunque avrebbe potuto sentirci.
«Non vorrei forzarti,» proseguì, ansimando contro la mia spalla. Mi morsi il labbro cercando di non fare rumore. «Dopotutto, la stanza delle fotocopie è stata una tu idea. Avevo proposto d’incontrarci nello sgabuzzino al piano di sotto.»
«Non è stata,» sollevai la gamba, «una mia idea.» Le mie parole furono enfatizzate dal respiro affannoso. «Questo è il nostro posto speciale. Era quello più logico. E tu hai detto di no all’ascensore.»
«Sì, perché ci hanno quasi beccato!» Nonostante tutto, Tom ridacchiò. «Andiamo, Jenna. Possiamo trovare un posto speciale migliore di questo.»
Chiusi gli occhi inarcando la schiena contro la macchina. Un gemito sfuggì dalle mie labbra e lui velocemente mi coprì la bocca.
Ma il danno era già stato fatto.
Quando si spostò, scivolai contro il pannello della fotocopiatrice. All’improvviso, l’apparecchio iniziò a suonare e stampare.
«Che hai combinato?» Tom chiese e si allontanò. Aveva i pantaloni ancora alle caviglie e, non appena fece un passo indietro, cadde nell’armadio delle provviste.
«Non ho fatto niente!» Saltai giù dalla fotocopiatrice e la fissai sconvolta, premendo pulsanti a caso per fermarla.
Tuttavia, riuscii solamente a peggiorare la situazione. Quell’affare cominciò a stampare ancora più velocemente. Presto si formò una pila di fogli sul pavimento.
«Ehi—va tutto bene là dentro?»
Tom ed io rimanemmo pietrificati non appena qualcuno provò ad aprire la porta.
«Perché è chiuso?»
Ci guardammo in preda al panico, poi lo spinsi completamente dentro l’armadietto e andai alla disperata ricerca delle mie mutandine.
«L’armadio? Sul serio?» sibilò.
Lo ignorai, abbottonandomi la camicetta alla velocità della luce. «Che cosa sembrerebbe più bizzarro? Trovare te o me qui dentro?»
Mi lanciò un’altra occhiataccia, ma lo spinsi ancora nascondendolo dietro vecchie uniformi degli addetti alle pulizie prima di chiuderlo dentro. Una volta sicura che tutto fosse al proprio posto, mi feci strada tra la marea di fogli e aprii la porta. Mi ritrovai di fronte l’espressione confusa di un giovane tirocinante. Il suo disorientamento s’intensificò non appena notò la tempesta di carta.
«Credo... credo di aver rotto la stampante.»
L’eufemismo dell’anno.
Si precipitò dentro e premette il pulsante d’accensione. La stampante si spense immediatamente, lasciando nella stanza un silenzio incriminante.
Aprii la bocca per dire qualcosa d’intelligente, ma mi limitai a indicare il pulsante. «Non avevo provato quello...»
Il tirocinante annuì lentamente, evitando di guardarmi negli occhi. «Va tutto bene, Miss Harks. Posso sistemare per lei. Aveva bisogno di qualcosa in particolare da fotocopiare?»
«Hmm?» mi guardai attorno distrattamente, cercando di aggiustare con discrezione il reggiseno e domandandomi come facesse a conoscere il mio nome. «Oh, um, no. Sono sicura di avere già una copia sulla mia scrivania. Ma grazie... Jason,» lessi alla svelta il nome sul suo tesserino.
Arrossì quando pronunciai il suo nome, voltandosi immediatamente verso la fotocopiatrice. «Allora, lasci almeno che sistemi.»
Non appena si abbassò per iniziare a raccogliere le prove della mia battaglia del sesso con Tom, fissai impaurita l’armadietto. Tom era ancora lì, sicuramente su tutte le furie—mentre ascoltava la nostra conversazione. Non potevo abbandonarlo mentre il ragazzo sistemava quel casino—chissà quanto ci sarebbe voluto. E se avesse aperto l’armadio? Non avevo idea di dove mettere le mani in quella giungla, ma quel ragazzo doveva esserne a conoscenza. Non avrei corso il rischio.
«Jake, ascolta, non c’è bisogno di—»
«Jason,» mi corresse automaticamente. Poi mi fissò negli occhi e arrossì di nuovo. «Ma va bene, può chiamarmi Jake.»
Corrugai la fronte, riflettendo sulla sua strana risposta, prima di spingerlo fuori gentilmente.
«Scusa—Jason. A essere sinceri, Jason, sto lavorando a una presentazione per i Larchwoods. Non volevo farlo nel mio ufficio con tutta quella gente che mi ronza intorno, e ho pensato che quaggiù non mi avrebbe disturbato nessuno.» Gli sorrisi e osservai la stampante. «L’ho colpita per errore, e mi vergogno ad ammettere che non ho esperienza con questo modello. Ma, ehi—devo tornare a lavoro e non mi va di farti perdere tempo per sistemare un mio casino. Sono certa avrai cose più importanti di cui occuparti.»
«Non proprio,» scrollò le spalle, «Stavo andando a prendere del caffè per Pia Montera.»
Colsi quell’occasione d’oro. «E se Pia non avrà il suo doppio espresso, si scatenerà l’inferno al piano di sopra.» Lo spinsi fuori e chiusi la porta. «Buona fortuna Jason, che Dio sia con te.»
Aspettai che si allontanasse e poi mi appoggiai alla porta stringendo le mani al petto. Era mancato poco. Davvero poco.
Sentii dei rumori nell’armadio e poi vidi Tom spalancare lo sportello e uscire. Staccò una ragnatela dalla sua spalla fissandola con disgusto e poi mi lanciò un’occhiataccia. «Buona fortuna e che Dio sia con te?
. Dove siamo, a Cape Kennedy?»
«Zitto,» risposi, ancora sconvolta, «e aiutami a mettere in ordine.»
Tom osservò i fogli e sospirò. «Avresti dovuto lasciare che fosse lui a occuparsene; sarei potuto rimanere nascosto fino a quando non avesse finito. L’odore di ammoniaca iniziava a essere davvero gradevole.»
Sbuffai e mi misi in ginocchio per raccogliere la carta. «La smetteresti di scherzare per darmi una mano? Quel poveretto è stato davvero cortese nonostante le circostanze—dovresti dargli un aumento.»
Questa volta fu Tom a ridere. «Già, Jason era davvero interessato a un aumento.»
«Che cosa vorresti dire?»
Sembrava sconcertato. «Ha una cotta per te—come tutti gli altri tirocinanti. Perché credevi sapesse il tuo nome? Nessuna offesa, Jenna, ma non sei così importante.»
Raccolsi i fogli e corrucciai la fronte. «Che cosa stai dicendo? Come fai a saperlo?»
«Sono all’ultimo piano, ma sento le voci che corrono.» Ridacchiò. «L’intero edificio è ancora euforico per la nuova e sexy consulente di Patti Macer. Soprattutto dopo il tuo spettacolo alla festa di Capodanno.»
Provai a non lamentarmi. La festa di Capodanno. Il ricordo ardeva indelebile nella mia mente. Era stato il giorno in cui la nostra relazione clandestina era iniziata.
Capitolo 2
Qualche giorno prima...
Non potemmo fare a meno di sorridere e scambiarci occhiate tutto il giorno. Fu la cosa più elettrizzante che avessi mai fatto. L’ufficio non era per niente un posto noioso. Tom ed io