Jeffrey Smith - L'allievo
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Book preview
Jeffrey Smith - L'allievo - Giuseppe Benevento
Giuseppe Benevento
JEFFREY SMITH
L’Allievo
EDITRICE GDS
© Jeffrey Smith
L’allievo
© Editrice GDS
Via Matteotti 23
20069 Vaprio D’adda-Mi
www.gdsedizioni.it
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
Ogni riferimento descritto in questo romanzo a luoghi, cose, persone e altro sono da ritenersi del tutto casuale.
A Veronica,
oggi principessa
domani guerriera
I- Il re
Odiava doverlo rimproverare, ma il ragazzo non riusciva proprio a rispettare gli impegni presi. Entro sera dovevano consegnare il lavoro a lord Pannigthon e ancora non avevano terminato.
Il vecchio Rolam Smith procedeva a passo svelto, quasi correndo, per la via maestra che univa la sua bottega di fabbro con il villaggio di Limes. Era un caldo pomeriggio di fine estate e il sudore gli colava copioso lungo la schiena. Raggiunse la piccola piazza, infilandosi nella bottega del conciatore, dove aveva spedito il ragazzo, ma di suo figlio nessuna traccia. Si guardò attorno nell’assolata mattina estiva finché udì degli schiamazzi. Se c’era baldoria suo figlio non poteva essere lontano. Il fabbro girò l’angolo.
«Jeffrey!» Urlò.
Il ragazzo era circondato da un gruppo di coetanei e se le davano di santa ragione, affrontandosi con spade di legno. Smith si passò una mano sul viso sudato. Sapeva come sarebbe andata a finire. Due li stese con poche mosse e, in breve, Jeffrey avrebbe disarmato anche l’ultimo.
«Jeffrey!» Gridò il padre, avvicinandosi. «Chiedi scusa per quello che hai fatto!»
I ragazzi che avevano avuto la peggio piagnucolavano per i lividi: due di questi erano i figli di alcuni ufficiali di Pannigthon.
«Padre, mi hanno offeso si giustificò mi hanno chiamato ferraiolo ed hanno detto che non sarò mai un cavaliere!»
«Ed è proprio così!» Smith mise le mani sui fianchi esasperato dall’ossessione del ragazzo.
«Ormai hai undici anni, quando capirai che sei figlio di un fabbro e sarai un fabbro?»
Jeffrey scappò via con le lacrime agli occhi.
Smith scosse il capo. Non era un cattivo ragazzo e nonostante avesse perso la mamma appena nato, era buono d’animo e generoso. Purtroppo da quando aveva visto il figlio di lord Pannigthon indossare le vesti da cavaliere, ne era rimasto impressionato. All’inizio Smith lasciò correre, in fondo ogni bambino sogna di diventare cavaliere. Ma anziché scemare con il tempo, questo pensiero era diventato una vera e propria ossessione. Jeffrey spiava gli addestramenti alla rocca e aveva fabbricato spade di legno per allenarsi. Da allora duellava con tutti i maschi del villaggio, coetanei e non. Al vecchio Smith toccava inventare scuse continuamente e fare regali alfine di ottenere che Jeffrey non venisse denunciato al lord Pannigthon, perché il ragazzo era davvero bravo con la sua spada.
Trovò Jeffrey poco fuori il villaggio, seduto su una pietra miliare. Tirava su con il naso, ma appena udì dei passi, si pulì il viso con la manica. Era orgoglioso e nessuno lo avrebbe visto piangere. Dalla cintura pendeva la sua spada di legno.
«Figliolo» Smith gli poggiò una mano sulla spalla «sai che non ti ho mai negato nulla e per me sei il bene più prezioso, ma devi convincerti che non potrai mai essere cavaliere.»
«Perché padre? Tiro di scherma meglio di chiunque altro al villaggio, escluse le guardie, ma basta che cresca ancora un poco e anche loro dovranno temermi!»
«Purtroppo non sono solo la spada e la forza a rendere un uomo un cavaliere.»
«Giusto!» esclamò Jeffrey Occorrono anche la generosità e il senso di giustizia: li posseggo entrambi.»
Smith guardò con tenerezza il ragazzo: «Figlio mio» sospirò inginocchiandosi «non esistono i cavalieri che credi o forse esistono solo nelle romanze».
Jeffrey fissò il padre senza comprendere. Questi continuò: «Esser cavaliere è molto dispendioso: i cavalli, le armi, l’armatura, i finimenti. Solo i nobili sono tanto ricchi da poter avere tutto ciò, solo loro possono ambire a divenir cavaliere. Tu sei semplicemente il figlio di un povero fabbro.»
Il ragazzo fissò la terra, non riusciva ad incrociare lo sguardo paterno senza scoppiare in lacrime.
«Cerca di capire quello che ti ho spiegato Jeff.»
Il ragazzino annuì con il capo.
«Bravo!» e gli assestò uno dei suoi colpi sulla schiena che lo scosse tutto. «Andiamo a casa.»
Smith precedette il figlio, che sembrò pensare ancora alle parole del padre. Jeffrey prese la spada di legno, la baciò e la scagliò con quanta forza aveva in corpo il più lontano possibile. La spada sembrò raggiungere il cielo per poi sparire nel fitto degli alberi, il ragazzo la seguì con lo sguardo, poi raggiunse il padre che intanto aveva abbandonato la strada maestra per tagliare nel bosco.
Percorsero pochi passi, quando udirono il rumore di numerosi cavalli. Un corteo di una decina di cavalieri con vessilli e scudi si intravide tra gli alberi. Jeffrey li osservò con invidia ma poi, con un’alzata di spalle, riprese a seguire il padre.
Tagliarono ancor di più nel folto, allontanandosi dalla strada battuta che avrebbero rivisto più avanti a pochi passi dalla loro abitazione. Jeffrey, sospirando, pensò che con molta probabilità avrebbero preceduto i cavalieri.
La sua attenzione fu attirata da un movimento nella boscaglia. Un uomo coperto di frasche impugnava un arco e si accingeva a prendere la mira. Jeffrey udì di nuovo gli zoccoli dei cavalli. Non ci pensò due volte e corse al centro della strada polverosa.
«Attenti!» Urlò sbracciandosi.
I cavalieri si arrestarono di colpo, guardandosi interdetti. Il loro stupore aumentò quando videro un uomo scagliato al di là della via.
Il padre di Jeffrey si era sbarazzato dell’arciere. Dal bosco uscirono altri uomini col volto coperto che caricarono. I cavalieri sguainarono le spade e, come fossero un uomo solo, si lanciarono al galoppo. Jeffrey chiuse gli occhi per lo spavento mentre i cavalieri lo sfioravano piombando sugli assalitori.
«Jeffrey al riparo!» urlò mastro Smith.
Ma il ragazzo era attratto dall’unico cavaliere rimasto al suo posto. Lo dominava dall’altezza di uno splendido frisone, sul capo un cimiero dagli ornamenti d’oro e una lunga coda di crine nera. Aveva una corta barba scura, ma con qualche pelo bianco. Lo scudo portava le insegne del re delle Terre del Fuoco: una testa di leone in campo rosso fiamma.
L’uomo si avvicinò al ragazzo sorridendogli, ma fu disarcionato da un verrettone proprio nel centro dello scudo. Jeffrey si voltò e vide il balestriere lasciare l’arma ed estrarre un lungo coltello. Il ragazzo ccercò allora una lama. Dalla sella vide fuoriuscire un’elsa, la impugnò ed estrasse la spada, ma il suo peso fu tale da schiacciarlo a terra.
Il re era al suolo incosciente mentre il balestriere lo aveva quasi raggiunto. Jeffrey trovò un bastone. Lo raccolse e colpì l’uomo sulla schiena. Questi si voltò ferendolo con il coltello. Una lunga striscia di sangue comparve dal braccio alla spalla.
Jeffrey non si fece intimorire, affrontò con coraggio l’assalitore e con abilità parò ogni colpo. Il ragazzo rispondeva mettendo in difficoltà l’assalitore, finché mastro Smith prese l’uomo alle spalle alzandolo sulla sua testa e lanciandolo lontano, come il primo arciere.
In quella giunsero i cavalieri che avevano messo in fuga gli assalitori.
Jeffrey era bianco in volto, il combattimento, la ferita l’emozione: aveva salvato la vita del re ed ora lo stavano trasportando, ancora tramortito, a casa di mastro Smith, che si adoperò a fornire tutti i mezzi a sua disposizione. In tanti circondarono Sir Noaer che, disteso sul letto del fabbro, non sembrava dare segni di vita.
Uno degli uomini della compagnia del re, studiò le condizioni del sovrano tastando e palpando ogni articolazione e muscolo.
«Basta, così Soliminus, pensa piuttosto a curare il nostro piccolo eroe» ingiunse il re riprendendosi ed indicando Jeffrey che si era insinuato tra le lunghe gambe dei cavalieri per vedere meglio.
D’un tratto tutti si girarono verso di lui. Jeffrey divenne rosso in viso. I cavalieri lo sollevarono per posarlo su una sedia. Uno di loro, di nome Soliminus, gli si avvicinò per studiare la ferita.
«Soliminus, oltre ad essere guerriero, è un ottimo cerusico» lo rassicurò il re.
«E’ semplicemente un graffio ma potrai esporlo con orgoglio» gli disse con voce profonda e rassicurante.
Il re si alzò e sedette vicino alla tavola, di fronte mastro Smith.
Lo fissò a lungo: « Come posso ripagare il coraggio del tuo ragazzo?»
«Mio signore la vita del re vale troppo per due umili fabbri» si schernì Rolam.
«Non temere i forzieri di Bellador contengono oro a sufficienza» lo rassicurò il re.
Mastro Smith guardò il sovrano, poi il suo ragazzo e infine la loro umile casa.
«Mio Signore, non chiederò oro per la tua vita, al contrario, ti chiedo di prendere il bene più prezioso della mia.»
Il re rimase interdetto dalle parole del fabbro.
Smith continuò : «Prendi mio figlio, rendilo cavaliere.»
Il re rifletté a lungo: «Mi chiedi una cosa impossibile, non avete sangue nobile.»
«E’ il suo sogno, il suo più grande desiderio e, credimi, non troverai un soldato più fedele e coraggioso di lui tra i tuoi uomini.»
Jeffrey si riempì d’orgoglio alle parole del padre.
Il re si alzò in piedi, camminando fra i suoi uomini. Guardò il ragazzo e il padre: «Non vuoi oro in cambio e in più perderai l’unico aiuto alla bottega. Come farai?»
«Mi arrangerò. Sapere che il mio Jeff realizzerà quanto desidera mi aiuterà a superare anche i momenti più difficili.»
Il re fu commosso dalla genuinità dell’uomo: «Che ne pensi Soliminus?»
Il cerusico sorrise sapendo che la domanda era retorica e che il re aveva già preso la sua decisione.
Noear poggiò le mani sulle spalle di Jeffrey: «Sei coraggioso e puro d’animo, ti manca solo la forza nel braccio, ma l’acquisterai a breve. Conquisterai la tua nobiltà