Don Cristo: Se non viene bene il bacio, non viene bene nient'altro
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Il suo potere non si basa solo sulla violenza, ma anche e soprattutto sull'"amicizia". Il Capo elargisce "amicizia" a chi gli chiede favori e in cambio pretende devozione e riconoscenza assoluta. Per i suoi uomini, Don Cristo è come un dio.
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Book preview
Don Cristo - Manuel Crispo
Note
Tra gli angiporti rigurgitanti bazar e il cielo azzurro della Città di David
¹Gerusalemme, anno 30. Don Gesù Giosuè Emmanuel Cristo, con la bekishe sulle spalle e la paglietta in testa, fende le vie del Mercato dello Sperone Centrale. La Città delle Opportunità gli si dischiude con la grazia serotina del fiore del dattero del deserto. Oh, fiore amoroso rorido di rugiada preziosa! ²Tra gli angiporti rigurgitanti bazar e il cielo azzurro della Città di David svettano archi e cupole perfette che non sfigurerebbero sul viso e sul petto di una schiava egizia!
La Città Santa ha sessanta nomi, quattro strade e molti padroni, e il Don è uno di questi. Don Cristo cammina senza fretta, a testa alta come si addice al suo rango. ²I mercanti si fanno da parte e gli rivolgono sorrisi falsi, prima di cavarsi dalle bisacce le poche monete di rame che il Padrino chiede per garantire loro sicurezza e posizione. Qualcuno gli offre fichi, qualcun altro un sacchetto di mirra. Qualcuno gli parla di un figlio lebbroso, qualcun altro di una figlia cieca.
« Per i miracoli ci stiamo attrezzando » dice Don Cristo. ³È la sua battuta preferita.
La variopinta folla dello Sperone lo soffoca. Quasi ogni giorno sua madre Maria lo implora di non andare, di mandare qualcuno dei ragazzi a esigere il pizzo, ma ogni volta lui rifiuta. Lui è un Cristo dopotutto, e non ha paura di nessuno.
Sua madre invece, lei i mercanti li schifa e li teme. ⁴Si narra che sia stato proprio un mercante a violarla bambina, esattamente trent’anni prima, ma Don Cristo non ha mai conosciuto il nome di suo padre. Che comunque ormai è certamente morto. Lo ha letto negli occhi di lei e dentro a quelli di suo nonno Giuseppe, il precedente Capo Clan. Un uomo che non si è mai fatto mettere i piedi in testa da nessuno, che ha cresciuto il figlio dell’infamia come fosse proprio, insegnandogli il significato dell’onore e del rispetto.
In ogni caso lui non è solo. ⁵Lo accompagna il suo fedele scherano, Matteo Levi detto il Poeta, perché ha scritto un libro di versi chiamato La passione secondo Matteo
. Poesie d’amore erotico. ⁶Una vera porcheria, secondo Don Cristo; ma bisogna dire che in effetti Don Cristo non sa leggere.
Dopo il giro al Mercato, Don Cristo va come al solito a rilassarsi alla bottega di Barnaba il Barbiere, quella che sta subito dopo il Cancello di Eden, un vecchio portone serrato da catene arrugginite da secoli che secondo alcuni aedi celerebbe la via per raggiungere il Regno di Dio.
Leggende. Miti che prendono carne e sangue al terzo, quarto calice di vino. Corrisponde invece a verità che chi tiene bisogno di Barnaba, sa di poterlo trovare lì dall’ora terza alla sesta. Dal momento che a Gerusalemme nessuno taglia mai né barba, né capelli, i clienti siedono sulle poltroncine con uno straccio caldo in faccia e se ne stanno lì per ore, a parlare di lapidazioni e di donne. ⁷Don Cristo qui ci sta meglio che a casa propria, tra i cuscini di damasco e gli uomini pronti a morire per un suo ordine. Barnaba lo tratta come un suo pari, lo sfotte per la sua barba soffice da ragazzo, gli lancia gusci di noce se litigano su questo o quell’altro lapidatore. A un certo punto entra in bottega il suo sicario, ⁸Giovanni detto l’Evangelista, con un involto tra le braccia. Fedele gli è fedele, però la testa non gli funziona molto bene. Ha sentito dire che da neonato è caduto per sbaglio dalle braccia di suo padre. Sei volte.
« Tutto fatto, Don Cristo » dice porgendogli la sacca, che si scopre essere in realtà una tunica insanguinata e arravogliata. Dentro ci stanno due pani di farina bianca e due naselli.
« Che minchia è? » chiede Barnaba.
« È secondo l’uso di Nazareth » spiega Don Cristo « Vuol dire che ora Erode dorme con i pani e coi pesci. » Il Don è compiaciuto. La missione che il suo protetto ha portata a termine non era delle più semplici. Ma c’è dell’altro. « Hai lasciato una testa di cavallo nel letto di Pilato come ti avevo chiesto? » domanda.
« Ne ho lasciate quattro, di quattro colori diversi » risponde l’Evangelista tutto serio.
« Quattro? » esplode Don Cristo. « E che mi significano questi quattro cavalli? Che t’hanno fatto di male i cavalli, povere bestie? »
« Ma, Don… ho solo pensato… è una metafora… »
« La metafora te la faccio al culo, la prossima volta che fai di capa tua. Che cosa ho fatto di male per meritarmi uno stronzo come te? »
« Don… »
« ⁹Vai, e non peccare più » taglia corto Don Cristo « Mi hai capito bene? »
Giovanni annuisce e s’affretta a baciargli i dorsi delle mani. Il suo sollievo, mentre lascia la bottega del Barbiere, è palpabile. Un breve cenno col capo a Matteo e poi svanisce in un frusciare di tuniche. Stavolta l’ha scampata bella.
« Uno di questi giorni mi devono fare Santo » dice il Don.
« Hai fatto bene a risparmiarlo » dice Barnaba « È un giovane svelto e devoto. Ha solo un po’ la testa tra le nuvole… »
« Lo odio, quel nebbish. Sempre a pensare a quei mostri, a quei mammozzi volanti. In verità ti dico: si trovasse una ragazza. »
A quel punto Don Cristo si guarda la clessidra e ricorda di aver promesso alla sua amante di passare a prenderla entro l’ora nona per andare al Circo.
« Ti saluto Barnaba, che Magda mi attende » dice, ed esce a braccetto di Matteo. Il sole affonda lentamente nella schiena del monte Sion come a un pugnale, arrossando il cielo. ¹⁰Quando il quotidiano delitto sarà compiuto la collina riposerà e con lei Gerusalemme la Santa. Durante il tragitto, i due si imbattono in un piccolo scugnizzo, Cesare Bartimeo, che piange e si lamenta perché certi bambini più grandi gli hanno rubato un balocco, una sciocchezza, una trottola di legno. Don Cristo si commuove, perché quel giocattolo è tutta la ricchezza del ragazzino. ¹¹Così dice ai bambini: « Date a Cesare quel che è di Cesare! » e i piccoli farisei restituiscono il maltolto. Betlemme, la dimora di Magda, è ancora lontana, ma i due uomini si godono la passeggiata. Sul piccolo ponte della Giudecca, invaso di glicini odorosi, con dentro alle orecchie il riposante frinire delle cicale, Matteo nota una figura accasciata in terra. I due s’avvicinano.
« È Zebedeo, padre di Giacomo il Maggiore e Giovanni » dice il Poeta. « È morto, Don » è la superflua osservazione di Matteo. Don Cristo vede da sé lo squarcio che ha lacerato la gola al suo uomo. Non è particolarmente scosso: Zebedeo è sempre stato un coglione. Comunque sia gli tocca la fronte, e pochi attimi dopo il vecchio riapre gli occhi e comincia a tossire sangue.
« Calma, calma, non così in fretta » dice il Don. « Chi ti ha ucciso, vecchio? »
Il vecchio, con la gola malandata riesce a sibilare una parola sola: Pilato. Bene, pensa Don Cristo. Poi ordina: « Riammazzalo » al suo uomo. Senza fiatare Matteo il Poeta stringe fra le mani il capo del padre dei suoi due compagni. Poi stringe fino a spaccargli il cranio. Zebedeo si agita un’antecchia e infine smette di muoversi.
Domande, Matteo non ne fa. Ma si è comportato bene e il Padrino pensa che si sia meritato di conoscere i suoi piani.
« Ora abbiamo un pretesto per attaccare Ponzio. »
« Ma così sarà la guerra, Padrino » mormora il Poeta, con voce spezzata. Gesù mette una mano sulla spalla del fedele scherano. Sente che il suo respiro si è fatto pesante e dai suoi occhi traspare la paura.
« ¹²Tu sarai mio amico, se farai ciò che io ti comando. »
« Sì, Padrino » dice Matteo, meccanicamente.
« E dunque, in verità ti dico questo: non c’è amore più grande di dare la vita per i propri amici, e dare la morte ai propri nemici. »
Riscaldato dal tocco di Don Cristo, Matteo sorride. ¹⁴Quando si alza è di nuovo tranquillo.
Dita nere affilate come gladii, occhi profondi come la Cava del Golgota
« ¹⁵Ti ho sempre immaginato senza capelli » dice in un sussurro Giuda Iscariota. Ponzio Pilato si scosta un ciuffo della chioma bruna dagli occhi.
« Voi Giudei non avete il senso dell’umorismo » sibila il Romano. Il ragazzo ha la barba incolta talmente dura che vi si potrebbe accendere uno zolfanello e muscoli guizzanti come le dune appena fuori Cesarea, e mani che potrebbero afferrare intera tutta la testa di Pilato, capelli e tutto. Dita nere, affilate come gladii; occhi profondi come la Cava del Golgota. Presso le genti del deserto il nero è associato alle nuvole che portano la pioggia ed è quindi un simbolo di vita e prosperità. Il pensiero fa ridere il Romano: vita e prosperità non hanno niente a che fare con quest’uomo.
« Fa’ il piacere di non parlar male dei Giudei in presenza di uno che si chiama Giuda, Romano » dice l’Iscariota.
« Quod erat demonstrandum » ribatte il Romano con un sorriso aspro. « Ma