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La domanda che non vorrei
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La domanda che non vorrei

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L’Autore percorre per intero il suo ciclo di studi dalle Elementari (Concesio-BS) alle Medie (Albino (BG) al Liceo (Monza) nei seminari dei Dehoniani. Nel 1971 completa il corso quadriennale di Teologia, pur senza diventare sacerdote, nello Studentato dehoniano in Bologna e tre anni dopo si laurea in Scienze politiche all’Alma Mater di Bologna. Nel 1971 fonda una delle più antiche ONG internazionali italiane, il GVC (Gruppo di volontariato civile) di Bologna, con la quale poi completa tutto il suo percorso professionale di 45 anni diviso tra Italia e lunghi anni in Africa, Oriente e America Latina. La sua lunga esperienza nel campo della cooperazione e solidarietà internazionale si conclude con gli anni brasiliani (2005-2013). Attrezzato intellettualmente nella religione cattolica con lo studio della Teologia, l’Autore ha avuta la possibilità non comune di convivere molti anni con popoli a fede diversa: animisti, islamici, buddisti e riformati. Certamente fu questa un’occasione e opportunità straordinaria per mettere a confronto le proprie origini cattoliche con le Fedi altre che animano la gran parte della Umanità.
LanguageItaliano
Release dateJul 22, 2016
ISBN9788856778656
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    La domanda che non vorrei - Tarcisio Arrighini

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-7865-6

    I edizione elettronica luglio 2016

    A Enrico Giusti, deceduto nel 2007, cappellano del lavoro alla Weber e alla Ducati di Bologna, educatore di giovani sbandati ed emarginati, sindacalista della Cisl di Bologna, responsabile dei corsi di riqualificazione degli operai, compagno di lotte della CUT brasiliana e amico personale del Presidente Lula, fondatore della ONG Iscos, e tanto altro, ma soprattutto amico personale di famiglia con il quale abbiamo passato i momenti più intensi dei nostri anni brasiliani fino al giorno del suo decesso. Non poche riflessioni di questo libro vengono dai nostri incontri e colloqui brasiliani.

    «Chiunque sia veramente impegnato nel lavoro scientifico

    si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza

    di uno Spirito immensamente superiore a quello dell’uomo,

    e di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà,

    dobbiamo essere umili».

    (Lettera di Einstein, datata 3 gennaio 1954,

    indirizzata al filosofo Erik Gutkind, a Princeton)

    Dubita di tutto. Trova la tua propria luce.

    (Siddhārtha Gautama Buddha, asceta indiano del V sec. a.C.

    fondatore del Buddhismo)

    L’autore con la moglie e i figli nell’estate del 2015

    Presentazione dell’Autore

    Abitua il tuo intelletto al dubbio e il tuo cuore alla tolleranza diceva nel 1700 lo scrittore tedesco Georg Christoph Lichtenberg. Due vocaboli che legano la dubbia esistenza del Soprannaturale alla certezza dell’uomo in cui si rispecchia.

    Il dubbio, motore della intelligenza umana, accompagna l’Autore in una esperienza di vita che va dalla nascita nella Vandea cattolica bresciana, all’entrata in seminario alla tenerissima età di 10 anni, fino al conseguimento del titolo in teologia, senza diventare prete, alla successiva laurea in scienze politiche presso l’Alma Mater di Bologna e i successivi 45 anni passati tra Italia, Africa, Oriente e America Latina impegnato in progetti di sviluppo a fianco delle popolazioni più svantaggiate.

    In questo lungo percorso di vita si susseguono, si inseguono e si sovrappongono le immagini stereotipate dell’antico catechismo cattolico, disegnato sulle verità della Genesi (Antico Testamento), e della religione materna, quelle di nuovi popoli, nuove tradizioni e nuove (per noi) religioni lasciandoci confusi in un marasma di divinità, quelle delle nuove conquiste della Scienza e il crollo della cosmogonia antica, aprendo tutto insieme una voragine di dubbi sull’esistenza di un Soprannaturale, sulla unicità della esistenza dell’uomo, sulla veridicità della Fede in cui l’Autore è nato come il 99,9% degli italiani.

    Questo percorso si basa unicamente sulla concretezza della esperienza personale dell’Autore, quindi di proposito è esclusa ogni trattazione teologica o filosofica, e semmai solo citata per una migliore comprensione del testo.

    La originalità della esperienza, se tale la si può considerare, sta nel fatto che l’Autore legge la sua storia da un angolo in certo modo privilegiato o comunque particolare: 20 anni di seminario fino alla laurea in teologia da un lato e dall’altro tanti anni convissuti con popoli di credo diverso in Oriente, in Africa e in America Latina.

    Il tutto viene condito da una certa dose di ironia e leggerezza propria dell’Autore quando affronta argomenti troppo seri. Ironia peraltro facilitata dalle certezze dei nuovi guru mediatici della Fede e dalle troppe apparizioni di Madonne.

    Alla fine della storia, il libro, per quanto possa sembrare contradditorio a partire dal titolo, apre più a certezze che incertezze, ipotizzando un ruolo decisivo per la figura emblematica di Papa Francesco nel riscrivere, dopo 2.000 anni di storia, i canoni e precetti tradizionali della religione cattolica.

    Le Thi Bich Huong

    Una premessa... esistenziale!

    Se un qualche mio lettore si aspettasse mai di ritrovarsi per le mani un libro dai pensieri ordinati e coerenti che magari lo portino alla fine a credere di più o di meno di quanto già crede o non crede, beh questo non è il libro che fa per lui.

    Non era mia intenzione scrivere un trattato o un manuale sulla esistenza o inesistenza di Dio, ma più semplicemente quella di rappresentare in modo semplice, con parole di tutti i giorni, come si fa spesso tra amici, la complessità e problematicità di una domanda esistenziale che, per quanto spesso cerchiamo di affogarla nel turbinio quotidiano di una vita caotica e rumorosa, prima o poi ci salta addosso e mette in discussione la nostra intera esistenza, il mondo delle persone che ci circondano e perfino l’universo dentro al quale abitiamo.

    A chi non è mai capitato almeno una volta in vita di chiedersi nei vari gironi della fortuna, del successo, delle amicizie ma soprattutto in quelli delle disgrazie, della scomparsa degli amici, delle guerre... Ma esisterà davvero Qualcuno fuori dai confini della nostra realtà? E io chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Dopo la mia morte che succede?. Perfino la inebriatura da giovinezza-ricchezza-gloria-fama non riesce a oscurare la triste certezza che tutto un giorno finirà e che nella cassa da morto ci andremo da soli, nudi come Dio ci ha fatto, senza soldi, senza case, senza vestiti, senza ori, senza conti in banca, senza titoli di studio, senza polizze assicurative, senza gerarchie e solo una limousine nera come la pece per l’ultimo tragitto dalla Chiesa al cimitero. E a quel punto conta solo la domanda su cosa succederà un istante dopo l’esalazione dell’ultimo respiro.

    L’unica cosa, se così la posso chiamare, che segue un percorso esattamente contrario e che appare spesso alla fine della nostra storia, quando tutto il resto se ne vola via inesorabilmente, è il dubbio o la certezza della fede. Chi ce l’ha perché l’ha sempre avuta fin dalla nascita e chi non l’ha mai avuta ma se la ritrova, sia pure annebbiata dal dubbio, a fine corsa.

    Qualcuno dice che la Fede, non solo quella cattolica ovviamente, in realtà sia solo il desiderio inconscio di eternità o voglia di sopravvivere comunque a se stessi e per questa ragione si presenta a tutti, anche ai non credenti, in forme diverse, nelle vicinanze del trapasso.

    Può essere, tutto può essere e l’incontrario di tutto in questa Terra affascinante e misteriosa che oggi c’è e che fra qualche milione o miliardo di anni scomparirà con tutta le gente che la abita, riassorbita dal nostro sole anch’egli alla fine della sua esistenza.

    Il tempo libero da pensionato mi ha permesso di sfrugugliare disordinatamente e spesso solo superficialmente, dentro a questi pensieri a partire dalla mia esistenza, con un occhio a quelli che mi sono stati e sono tuttora intorno.

    Enrico Giusti

    Un prete fuori dagli schemi

    Enrico Giusti (a destra) in Brasile nel 2006 con Sandro Alberani

    Segretario CISL Bo

    Non credo mi sarei mai cimentato su un tema così arduo se non fosse stato per l’impulso, non so quanto voluto, di un amico, scomparso otto anni or sono, che nella sua giovinezza aveva fatto un percorso molto simile al mio, con la sola differenza che lui divenne prete diocesano a Bologna e poi dell’Onarmo (Opera Nazionale di Assistenza Religiosa e Morale degli Operai di Don Salmi) e infine sindacalista e cooperante ed io mi fermai il giorno prima della messa alla fine degli studi di teologia.

    Al suo funerale nella settecentesca Villa Pallavicini di Bologna, nell’ottobre del 2007, la stessa Villa dove proprio lui organizzò la grande festa per il mio matrimonio con la vietnamita Huong, con mia grande meraviglia fu presentato come Don Enrico Giusti, come mai lo avevo sentito chiamare in tanti anni.

    Quel don non era mai entrato nelle nostre frequenti chiacchierate in Brasile, o forse solo una volta quando mi stava parlando di come avrebbe pensato di spendere le sue pensioni, di sindacalista e prete appunto, in favore di una donna brasiliana abbandonata e con 4 figli almeno a carico, in quanto non aveva nessuna intenzione di lasciare la sua pensione a Ciampi e Berlusconi (sic!) che attorno al 2005-2006 erano uno presidente della Repubblica e l’altro Capo del Governo.

    Soltanto lì seppi che era rimasto formalmente prete, cosa che gli stava appunto fruttando una piccolissima pensione, che voleva andasse a beneficio di una paria brasiliana, non importava quale, abbandonata e con figli a carico, con la quale si sarebbe sposato 6 mesi prima di morire.

    In quella occasione mi disse che non aveva mai rinunciato giuridicamente al suo titolo di prete né mai Vescovo alcuno glielo aveva chiesto, per quanto lo sapessero non essere un modello di prete tridentino.

    L’Enrico che io conoscevo era quello della sua storia di sindacalista in Brasile amicissimo di Lula, perché me ne parlava ovviamente spesso a Belo Horizonte, o quello delle 150 ore per la formazione dei lavoratori senza titoli di studio a Bologna, o soprattutto il fondatore dell’Iscos, l’agenzia di cooperazione internazionale della Cisl, che lui aveva fondato.

    Il resto della sua vita anch’io più o meno l’ho imparato leggendo la commemorazione che il suo grande amico Sandro Alberani, Segretario provinciale della Cisl, fece in Bologna in un suo comunicato dell’11.10.20007 in occasione del decesso.

    Enrico era venuto in Italia una settimana per un convegno, lasciando la sua macchina a casa mia in Brasile. Lo portammo in aeroporto e... arrivederci alla settimana prossima. Non ci siamo più visti. Un infarto ce lo ha tolto in pochi secondi.

    Enrico Giusti sindacalista dei due mondi.

    Il 4 ottobre 2007 ci ha lasciato Enrico Giusti, sindacalista della Cisl di Bologna e dell’Emilia Romagna, per anni responsabile dell’Iscos Regionale e attualmente responsabile Iscos Nazionale per l’area dell’America Latina. L’emozione e la tristezza che ci accompagna in questi giorni per l’umanità di Enrico, per le grandi opere di solidarietà che è riuscito a realizzare in questi anni non ci può sottrarre ad un’analisi attenta della storia personale e sindacale di Enrico Giusti.

    Enrico Giusti era nato a Stanco di Monzuno il 4 marzo del 1938. Entrato giovanissimo in seminario, sotto la guida dell’allora rettore Mons. Luigi Bettazzi divenuto poi Vescovo di Ivrea, Presidente di Justitia e Pax, Enrico si segnalò subito come tra i più preparati del suo corso per personalità e per rigore e anche come uno dei migliori giocatori di calcio della Rappresentativa dei seminaristi.

    Di quel tempo raccontava del completo distacco della realtà seminariale con il mondo esterno non si potevano leggere i giornali, neppure quelli sportivi, e per sapere i risultati delle partite di calcio dovevo andare di notte e di nascosto dal figlio del contadino del podere confinante per sapere cosa aveva fatto ‘il Bologna’

    Uscito dal seminario, Enrico fece la sua prima esperienza pastorale come Cappellano nelle vicinanze dell’Ippodromo di Bologna, dove ebbe il primo duro contatto con la realtà di quegli anni. All’inizio degli anni ‘60 a Bologna nacque l’esperienza di Villa Pallavicini ed Enrico fa parte del gruppo dei Cappellani del lavoro coordinati da Don Giulio Salmi che in quegli anni aveva fondato L’Onarmo (Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale agli Operai). Il tutto viene sull’intuizione di una delle persone che influenzò maggiormente l’opera e il pensiero di Enrico Giusti, il cardinale di Bologna Giacomo Lercaro. Lercaro individua una priorità nel suo Ministero Episcopale a Bologna: realizzare una presenza cristiana nel mondo del lavoro; per riuscirci serviva coraggio, capacità profetica, e grande dedizione. L’idea era quella di ridurre le distanze tra la Chiesa e il mondo del lavoro con interventi di natura spirituale culturale, umana, assistenziale.

    Il primo compito che fu affidato a Don Enrico, come agli altri sacerdoti, fu quello di conoscere la Dottrina sociale della Chiesa, il mondo del lavoro, i fenomeni che lo agitavano e i suoi conflitti sociali. L’uscita dell’Enciclica di Giovanni XXIII Mater e Magistra che affrontava i temi sociali e dava le linee della Chiesa sulla presenza cristiana nel mondo del lavoro fu di fondamentale importanza, e il Cardinale Lercaro, che amava moltissimo l’Enciclica, chiese a tutta la Diocesi di condividerla.

    Sotto la regia di Don Giulio Salmi nasce il gruppo dei cappellani del lavoro: Don Angelo Magagnoli, Don Giuseppe Nozzi, Don Saverio Aquilano, Don Peppino Gambari, Don Enrico Giusti. Ad ognuno il Cardinale aveva affidato una categoria particolare di lavoratori: i tranvieri, i ferrovieri, i postali, gli edili i metalmeccanici.

    A Don Enrico viene affidato la zona di Borgo Panigale ed in particolare alcune aziende metalmeccaniche come la Fiat, la Ducati, la Weber, in cui inizia la sua opera di Cappellano del lavoro. Il tutto viene sotto l’attenta guida di una grande figura della Chiesa bolognese che sarà il vero maestro di Enrico, Don Giulio Salmi.

    Don Giulio inizia la sua avventura sacerdotale ispirandosi a Don Giovanni Calabria in quell’idea forte di servizio verso i poveri, verso gli abbandonati, gli emarginati, gli anziani. Don Giulio Salmi, ordinato sacerdote, nel pieno della II° Guerra mondiale inizia la sua missione sacerdotale, come Cappellano dei rastrellati alle Caserme Rosse a Bologna, dove svolge una missione a rischio che segnerà tutta la sua vita; salverà decine e decine di vite umane mettendo a repentaglio la sua vita. Il pensiero di Don Calabria, la grande fede ed una personalità fortissima, produrranno nella vita di Don Giulio ricchezze profonde per la Chiesa e la Comunità bolognese: mense per operai, Case di accoglienza, Case per ferie, Centri di formazione professionale, l’esperienza dei cappellani del lavoro e soprattutto Villa Pallavicini, dove Don Enrico andrà a vivere nei primi anni della sua vita sacerdotale.

    Nei primi periodi vissuti a Pallavicini, Giusti si occupa soprattutto dei lavoratori, ma guarda già con attenzione al Concilio Vaticano II e viene inoltre influenzato dai fermenti politici. La sua presenza nelle fabbriche gli fa guadagnare fiducia dagli operai, di tutte le provenienze politiche; entra in contatto con le famiglie di uno dei quartieri più rossi di Bologna; accompagna la lotta nelle fabbriche e aiuta attivamente i lavoratori in lotta, portando brande e cibo durante le occupazioni. Nel frattempo Enrico si impegna nell’Associazione pacifista Manitese e diventa leader di un gruppo di giovani che alternavano momenti teatrali, musicali ed iniziative di solidarietà nella mensa dei poveri, visite ai carcerati e aiuto agli emarginati.

    A Bologna in quel periodo governa il Sindaco Dozza e nel mondo cattolico è presente una figura con un incredibile carisma: Don Giuseppe Dossetti. Nascono su questo fermento alcune personalità che faranno la storia del Movimento Cristiano bolognese e nazionale e della politica: Giovanni Bersani, Achille Ardigò, Giuseppe Alberico, e il giovanissimo Beniamino Andreatta. Un grande filo che collega la politica alla cultura cattolica in cui Villa Pallavicini diviene un punto di riferimento di fede, di cultura, per un notevole numero di comunità. Spesso intervenivano artisti, come Francesco Guccini; arrivano giornalisti come Raniero La Valle, personalità politiche.

    Nel ‘67, nel dicembre, il Cardinale Giacomo Lercaro condanna pubblicamente i bombardamenti americani in Vietnam e queste posizioni non piacciono alla Gerarchia Ecclesiastica. Il ruolo di Don Giulio Salmi, allora Vicario episcopale per il mondo del lavoro, viene ridimensionato anche se rimane intatta la spinta spirituale e caritatevole a favore dei lavoratori.

    In questa fase Enrico Giusti si trovava in una posizione nella quale la sua scelta dei poveri veniva spesso messo in discussione dai superiori. Pur con grande difficoltà, nell’obbedienza rimane all’interno della Chiesa celebrando moltissimi matrimoni educando centinaia di giovani alla parola del Vangelo; ma la restaurazione in atto colpisce un’intera generazione di giovani sacerdoti e tante comunità di base, portando a situazioni insostenibili anche se Don Giulio Salmi coraggiosamente sosteneva questi preti. Enrico prende però posizioni molto decise: appoggia i referendum sul divorzio, aderisce al Partito Comunista Italiano. Prende posizione decisa a favore degli operai in lotta.

    In questo contesto gli viene comunicato che non esistono le condizioni di comunione con il suo Vescovo e gli viene tolto l’insegnamento della religione alle Scuole Elisabetta Sirani. Enrico Giusti accetta queste decisioni senza tanti clamori e mai parlerà apertamente in modo critico di ciò che era avvenuto, ma metterà in questa parte di questa vita così difficile il valore del silenzio. Molti in questi anni neppure sapevano che Enrico era stato sacerdote, perché lui non raccontava questo con una forma di rispetto comunque verso la Chiesa e una conosciuta da noi amici, profonda sofferenza per ciò che era successo, vissuta dentro il suo cuore, accompagnata dall’amore di Don Giulio. Enrico si trova a trent’anni senza reddito a reinventare la propria vita.

    Molti sacerdoti usciti dalla loro esperienza trovano naturale farsi una famiglia e richiedere la riduzione allo Stato laicale che la Curia in quel periodo benignamente avrebbe concesso archiviando così la pratica. Non fu così per Enrico (che rimarrà fino alla morte nell’elenco dei preti della Diocesi); dopo un tribolatissimo periodo in una vecchia scuola della Ponticella a San Lazzaro, inizia a lavorare per un gruppo di ragazzi infrattori del Carcere minorile del Pratello I discoli. Coordina una delle prime Case-appartamento a San Lazzaro di Savena vicino a Bologna; si occupa di ragazzi con problemi mentali. Si trattava di un’esperienza che vedeva alcuni educatori cercare di essere famiglia per un mondo di persone sbandate ed emarginate. Questa sua esperienza lo porterà negli anni successivi a lavorare per malati mentali, per alcolisti, per tossico-dipendenti in collaborazione con una figura importante della medicina bolognese: la dott.ssa Alberti. Nonostante questo grande lavoro ogni sabato nell’appartamento in via Scornetta si riuniscono molti giovani che formano il gruppo del Vangelo.

    Ma all’inizio del ‘74 comincia l’esperienza sindacale di Enrico Giusti, già da tempo iscritto alla Cisl. Enrico diviene responsabile di una Struttura unitaria, il COU, e si occupa particolarmente di scuola, formazione, e soprattutto delle 150 ore, di cui diventa uno dei più importanti artefici. Nel 1973 era stato introdotto dal contratto dei metalmeccanici per i lavorati dipendenti un nuovo diritto a permessi per poter accedere a corsi di studio. Enrico Giusti crede in questo progetto che porterà 30.000 lavoratori bolognesi ad ottenere la licenza media. In quegli anni, inoltre, lavora sui progetti alternanza scuola e lavoro coinvolgendo decine di insegnanti e migliaia di studenti per collegare i percorsi educativi e formativi al mondo del lavoro.

    Enrico si trasferisce in un piccolo appartamento che lui amava moltissimo, dove è morto, in via della Galletta a San Lazzaro e da lì nasce il suo nuovo progetto di vita, una vita di solidarietà nei Paesi del Terzo Mondo.

    Giusti capisce fra i primi che il Sindacato deve allargare le sue frontiere, occuparsi delle politiche internazionali, della solidarietà internazionale. Sceglie come terra di missione il Brasile ma si occupa di Palestina, di Africa, ecc. Partecipa al corso per cooperanti del MLAL e poi inizia la grande avventura dell’Iscos. Nel 1983 a Roma si ha l’atto costitutivo dell’Iscos, Istituto Cooperazione allo Sviluppo della Cisl.

    Nel 1986 Enrico parte per il Brasile per conto della Fim Nazionale e lavora a BETIM, vicino a Belo Horizonte, per costruire un percorso di formazione professionale a favore degli operai e dei sindacalisti metalmeccanici della CUT, soprattutto nell’area della Fiat. Enrico forma molti sindacalisti, crea relazioni sindacali e personali, su indicazione della Fim Nazionale, individua il terreno per la nascita di una Scuola di formazione della CUT che sarà realizzata con una sottoscrizione tra gli operai metalmeccanici e sarà inaugurata da Franco Marini nel 1987. Un mese fa eravamo insieme al Segretario generale Raffaele Bonanni, a Luigi Cal e alla Fim alla ricorrenza dei ventenni della Scuola 7 ottobre che ha visto passare la classe dirigente sindacale e politica in questi anni. Conosce Ignacio Lula Da Silva e ne diventa immediatamente amico per finalità caratteriali e ideali.

    Ma in questi anni Enrico conosce tutto il gruppo dirigente sindacale e politico brasiliano, divenendo un punto di riferimento. Nel 1988 al ritorno dal Brasile con l’aiuto convinto della Cisl Emilia Romagna fonda l’Iscos dell’Emilia Romagna e inizia un’opera straordinaria di solidarietà, intessendo rapporti con la Regione Emilia Romagna, con il Ministero, con la Comunità Europea, collaborando unitariamente con le altre ONG sindacali.

    Nascono i grandi progetti di cui lui è padre e ne ricordo solo alcuni più significativi: il progetto Ramà a Recife per i ragazzi di strada, le Cooperative di lavoro, l’asilo a Santa Esperanza a San Paolo, la Casa delle Ragazze incinta a Rio, la Casa per i ragazzi ciechi a Salvador de Bahia, l’esperienza per la nascita della cooperazione sociale in Brasile, i progetti formativi per la Cut, le Cooperative di donne in rete, i progetti in Albania degli anziani e disabili, in Africa, nei Paesi dell’Est. Giusti collabora attivamente con l’Iscos Nazionale che gli darà la responsabilità per l’area dell’America Latina e con il dipartimento internazionale della Cisl. Con la sua convinzione e determinazione porterà in Brasile molti segretari confederali, segretari generali della Cisl, il presidente della Regione E.R. Errani, il presidente dell’Unipol Stefanini, sottosegretari, assessori ecc., tutto per promuovere l’opera dell’Iscos.

    Aprirà in Brasile importanti rapporti con le altre ONG ed in particolare con il GVC attraverso la figura del suo grande amico Tarcisio Arrighini. Recentemente Enrico decide poi di passare il testimone dell’Iscos Emilia Romagna ad uno dei ragazzi che ha lavorato con lui, Francesco e apre l’ufficio di rappresentanza dell’Iscos a Belo Horizonte. In poche parole non si può rendere quello che è stato fatto in questi 20 anni in Brasile. Chi va e vede capisce ancor di più. La sua idea di cooperazione era soprattutto un’idea di reciprocità di crescita bilaterale. Abbiamo molto da imparare dagli altri mi soleva dire. Anche la sua capacità di concretizzare la solidarietà era fatta da azioni rigorose, non superficiali, con amore profondo ma anche con grande professionalità". Amava essere sincero con gli altri e questo lo portava ad avere un carattere a volte ruvido, ma chi lo conosceva sapeva che dentro a questa sua modalità ci stava l’idea di mettersi sempre in discussione, di migliorarsi, di non lasciare mai nulla al caso. In questi giorni la nostra disperazione e nostra tristezza lascia spazio a motivi di speranza. Le mille persone presenti al funerale, le centinaia di testimonianze arrivate in tutto il mondo, il pianto dei suoi amici, la meravigliosa lettera che ha spedito il Presidente della Repubblica Lula, la voglia che in questi giorni stanno dimostrando tutti di continuare la sua opera ci fanno capire che Enrico rimane vivo in noi.

    Rileggendo a mia volta questo passato di Enrico, di cui mi onoro io e tutta la mia famiglia, di essere stato amico intimo per anni, in Italia e in Brasile soprattutto, mi sono un poco vergognato della mia pochezza e della mia presunzione di derivare il contenuto di questo libro dalle nostre lunghe chiacchierate e a volte infuriate contro gli scandali di qualunque tipo e specie, contro ogni spreco di denaro, contro l’ipocrisia delle istituzioni, contro la burocratizzazione della Chiesa, ormai troppo occupata a rimirar se stessa e sempre più lontana dalla gente che muore di fame.

    Eppure la spinta è venuta da lì. Enrico si era fatto tutto il seminario come me, fino a diventare prete diocesano di Bologna, aveva fondato una sua ONG, come avevo fatto io tanti anni prima, ed aveva fatto la scelta di lavorare a fianco delle comunità locali nel Terzo Mondo, come avevo fatto io. Aveva solo qualche anno più di me.

    Ci divideva solo il fumo, lui continuava a fumare come un turco nonostante avesse già avuto un infarto proprio in Brasile, ed io avevo smesso di colpo dopo il mio primo viaggio (1989) a La Paz in Bolivia a 4.000 metri. Credevo di morire senza fiato.

    Penso che Enrico non avrebbe mai scritto in maniera palese le cose che ho scritto io, ma con certezza ne avrebbe condiviso la gran parte, poiché la filosofia dell’uomo prima che la teologia di Dio che emerge da questo libro era sua quanto mia e fu spesso oggetto di nostre discussioni condivise.

    Mantenne un atteggiamento rispettoso verso la Chiesa solo perché nel suo spazio di azione a Bologna si imbatté in figure importanti che lo sostennero come il card. Lercaro e Mons. Bettazzi, poi Vescovo a Ivrea, e in Brasile era tempo di vescovi e preti della teologia della liberazione (Camara, Dom Balduino, Boff e altri) dei quali fu amico, alcuni ancora vivi ai tempi della nostra permanenza in Belo Horizonte.

    Enrico non era un teologo in senso stretto, non amava mettere in mostra astratte doti intellettuali. Lui viveva nella pratica quotidiana la teologia della liberazione: prima l’uomo e poi Dio.

    Citava spesso una frase di Helder Camara Quando dò da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, tutti mi chiamano comunista!. In questa frase ci sta tutto l’Enrico Giusti che io ho conosciuto: la santità personale intesa come dedizione totale ai poveri, agli oppressi, agli operai, e la rabbia per una Chiesa miope che si perdeva solo nel lancio di anatemi contro il comunismo senza mai chiedersi da dove veniva la povertà e lo sfruttamento.

    Enrico era un comunista convinto, alla Gesù Cristo dei Vangeli, fin nelle poche cose che gli appartenevano: una piccola casetta a Bologna che era diventata la casa di tutti, e la grande scuola sindacale di Belo Horizonte da lui realizzata, dalla quale sono passati tutti i politici dei governi Lula, e dove viveva e che era il suo vanto. Poi non aveva niente altro, se non una valigetta con quattro stracci.

    Sono veramente felice di avere, io mia moglie e i miei figli, condiviso spessissime volte la nostra tavola

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