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Psiconutrizione
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Psiconutrizione

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La fame è una spinta istintiva che porta alla ricerca del cibo e induce l’uomo ad assumere alimenti ogni giorno, più volte al giorno.

Si tratta di un fenomeno complesso e variegato che trova le basi nella dimensione neurofisiologica ma che per la sua natura multifattoriale coinvolge anche le dimensioni psichiche e sociali.

A influenzare l’alimentazione intervengono però anche altri fattori come quelli ormonali, biochimici, neurali…interconnessi e ancora da approfondire.

Non solo, sappiamo da molti studi che i meccanismi fisiologici subiscono una MEDIAZIONE PROFONDA con quelli PSICOLOGICI E PSICOSOCIALI.

A spingerci verso determinati cibi piuttosto che altri ci sono vari tipi di motivazioni che potremmo sintetizzare in quattro categorie: ci sono motivazioni fisiologiche, quelle ambientali, la famiglia ed infine quelle culturali.
LanguageItaliano
PublisherMaria Derto
Release dateJul 20, 2016
ISBN9786050484854
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    Psiconutrizione - Maria Derto

    Bibliografia

    LA FAME E I SUOI RAPPORTI CON LA PSICOLOGIA

    La fame è una spinta istintiva che porta alla ricerca del cibo e induce l’uomo ad assumere alimenti ogni giorno, più volte al giorno.

    Si tratta di un fenomeno complesso e variegato che trova le basi nella dimensione neurofisiologica ma che per la sua natura multifattoriale coinvolge anche le dimensioni psichiche e sociali (Nuvoli,2012)

    Sappiamo che il bambino alla nascita possiede un riflesso di suzione grazie al quale succhia e inghiotte il latte della mamma fino a quando è sazio. Con la crescita però questo ed altri riflessi automatici scompaiono e si sostituiscono con quelli volontari. Ma nutrire e nutrirsi sono anche una parte integrante della relazione madre figlio per cui vediamo che fin dalla nascita il cibo è investito di significati affettivi e culturali.

    Dal punto di vista organico gli esperti hanno individuato nell’IPOTALAMO la sede della regolazione della nutrizione. Qui troviamo il centro della fame e il "centro della sazietà". Quest’ultimo ha la funzione di inibire il primo.

    Questi centri vengono attivati da alcuni segnali propriocettivi che danno informazioni circa lo stato dell’organismo. Ad esempio la riduzione del livello glicemico, la contrazione dello stomaco, il calo di temperatura sono stimoli che attivano il centro della fame mentre l’innalzamento degli zuccheri, la distensione dello stomaco e l’aumento della temperatura stimolano il centro della sazietà.

    La fame quindi avverte che l’equilibrio energetico dell’organismo è compromesso, per cui occorre assumere del cibo per sopperire alle carenze, mentre la sazietà che questo equilibrio è stato ripristinato e quindi possiamo smettere di mangiare.

    Il nostro corpo sembra seguire il principio dell’omeostasi per cui l’organismo cerca di mantenere costante l’equilibrio sia rispetto a fattori esterni che a cambiamenti interni e si avvale di alcuni sistemi di regolazione. Ad esempio alcuni recettori segnalano che la temperatura esterna è diminuita, per cui il corpo richiede un apporto calorico maggiore, altri invece segnalano la sete o il sapore del cibo.

    A influenzare l’alimentazione intervengono però anche altri fattori come quelli ormonali, biochimici, neurali…interconnessi e ancora da approfondire.

    Non solo, sappiamo da molti studi che i meccanismi fisiologici subiscono una MEDIAZIONE PROFONDA con quelli PSICOLOGICI E PSICOSOCIALI.

    Ad esempio il peso di default, cioè un peso fisiologico standard, viene mantenuto più facilmente dalle persone non restrittive rispetto a quello restrittive. Le prime sono quelle che regolano il consumo alimentare alla quantità di cibo assunta nei pasti precedenti, mentre le seconde sono quelle che consumano una quantità di cibo costante indipendentemente da quanto hanno mangiato prima. Così facendo esse possono mettere a rischio l’equilibrio metabolico e sono più soggette ad abbuffate. Approfondiremo poi come per questa e altre ragioni le diete restrittive a lungo andare non portano ai risultati sperati e, anzi, possono risultare controproducenti.

    Un altro esempio riguarda la preferenza per gli alimenti che è in parte innata, ma è poi l’esperienza che ci porta a preferire il livello di gusto che conosciamo.

    A spingerci verso determinati cibi piuttosto che altri ci sono vari tipi di motivazioni che potremmo sintetizzare in quattro categorie.

    Ci sono motivazioni fisiologiche per le quali abbiamo la necessità di assumere determinate sostanze contenute nei cibi per questioni di tipo alimentare e con lo scopo di bilanciare deficienze nutrizionali. Le carenze di magnesio e vitamina B6 ad esempio causano irritabilità, stanchezza e calo del tono dell’umore.

    Ci sono motivazioni di tipo ambientale che riguardano il contesto in cui una persona vive: la famiglia, il territorio, il livello economico di quest’ultima. Al nord è molto più diffuso il burro rispetto all’olio d’oliva, in Italia la pasta rispetto al riso. La reperibilità di un prodotto quindi incide sul consumo (anche se oggi questo aspetto viene sempre meno) ma ancor più lo fanno le abitudini familiari e sociali. La famiglia è il luogo dove impariamo delle regole sull’assunzione dei cibi che diventano un nostro bagaglio di cui non sempre siamo così consapevoli. Queste regole riguardano l’uso o il rifiuto di alcuni alimenti, gli orari, la dimensione delle porzioni, il consumo di alcune pietanze in situazioni particolari.

    Una famiglia vegetariana ad esempio abituerà i figli a un largo consumo di frutta e verdura, una famiglia che ama viaggiare li abituerà a sperimentare nuovi sapori.

    Tra le motivazioni culturali troviamo anche quelle religiose, sia in termini di cibi vietati

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