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Fra Diavolo in valigia
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Fra Diavolo in valigia

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Quanti ricordi possono essere contenuti in una valigia? In quella di Maria Alba Pezza può starci l'intera epopea di una famiglia - la sua - con le suggestioni di un passato ardimentoso e con la prospettiva di un futuro che non si rassegna a dimenticare. L'autrice sarebbe" una brigantessa", nel senso che è discendente di quel Fra Diavolo attorno al quale le leggende hanno costruito la fama del Robin Hood dei poveri. Due secoli di ricerche, di chiacchiere, di aneddoti e di notizie tramandate oralmente hanno offerto l'immagine di un guerrigliero coraggioso e persino impudente: si presentava con la faccia dura con i nemici che aveva deciso di affrontare ma era capace di cavalleria e, addirittura, di generosità, se appena gliene offrivano l'occasione. Gentiluomo ma sempre "bandito". Il ribelle era costretto a nascondersi, a scappare, a vivere fra caverne e anfratti delle foreste, sempre con il cuore in gola, con i sensi che non potevano mai appisolarsi perché anche il rumore attutito di un rametto spezzato poteva indicare un pericolo imminente. Guardie civiche, forze dell'ordine e, in generale, la schiera dei benpensanti lo cercavano per impiccarlo e imporre, anche su di lui, la forza di un ordine costituito che andava bene a pochi ma al quale, proprio per questo, non volevano rinunciare. Ma, alla fine, chi era Fra Diavolo? L'eroe delle ballate popolari che lo cantavano con ingenuo compiacimento o il delinquente che compare nelle relazioni di polizia? Per decenni le verità sono state due. La gente abituata a frequentare le bettole, dove una mezza caraffa di vino era già segno di un piacere straordinario, lo considerava un piccolo paladino, capace di vendicare i torti di secoli di sottomissione. Aveva avuto il coraggio di ribellarsi e a questa sua scelta era rimasto coerentemente aggrappato. I tribunali, invece, conservavano le sentenze di condanna dove qualunque circostanza era, comunque, un'aggravante e dove ogni gesto veniva descritto come una ribellione da punire severamente. Maria Alba Pezza propone una terza verità, quella della discendente che non si vergogna del suo passato e che legge la storia con la consapevolezza del senno di poi. Ladro? Anche...ma per necessità. Tagliagole? Forse...ma soltanto perché era l'unica alternativa per evitare che la gola la tagliassero a lui. Brigante per necessità: fuorilegge per disperazione. Come tanti, in quello stesso secolo e nel secolo successivo quando i Savoia occuparono il regno delle Due Sicilie. Un'altra storia - tutta in una valigia - che, forse, è anche quella più autentica.
Dalla prefazione a cura di Lorenzo Del Boca

Maria Alba Pezza, scrittrice e docente di lettere, vive attualmente a Gaeta, in provincia di Latina.
LanguageItaliano
PublisherPasserino
Release dateJun 15, 2016
ISBN9788893450652
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    Fra Diavolo in valigia - Maria Alba Pezza

    Maria Alba Pezza

    Fra Diavolo in valigia

    ISBN: 9788893450652

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice

    Introduzione di Lorenzo Del Boca

    Come era bella Parigi!

    La riscoperta di Roma

    Che bello, si parte per Londra!

    Anche a Vienna il fantasma di Fra Diavolo

    Fra Diavolo in Calabria

    Incantevole Sicilia

    Finalmente a Gaeta!

    Itri, il paese natale

    Sperlonga, lungo tramonto

    Luna caprese

    Vedi Napoli e poi muori

    Di nuovo a Parigi

    Fra Diavolo oltre oceano

    Bibliografia

    Introduzione di Lorenzo Del Boca

    Quanti ricordi possono essere contenuti in una valigia? In quella di Maria Alba Pezza può starci l'intera epopea di una famiglia - la sua - con le suggestioni di un passato ardimentoso e con la prospettiva di un futuro che non si rassegna a dimenticare. L'autrice sarebbe una brigantessa, nel senso che è discendente di quel Fra Diavolo attorno al quale le leggende hanno costruito la fama del Robin Hood dei poveri. Due secoli di ricerche, di chiacchiere, di aneddoti e di notizie tramandate oralmente hanno offerto l'immagine di un guerrigliero coraggioso e persino impudente: si presentava con la faccia dura con i nemici che aveva deciso di affrontare ma era capace di cavalleria e, addirittura, di generosità, se appena gliene offrivano l'occasione. Gentiluomo ma sempre bandito. Il ribelle era costretto a nascondersi, a scappare, a vivere fra caverne e anfratti delle foreste, sempre con il cuore in gola, con i sensi che non potevano mai appisolarsi perché anche il rumore attutito di un rametto spezzato poteva indicare un pericolo imminente. Guardie civiche, forze dell'ordine e, in generale, la schiera dei benpensanti lo cercavano per impiccarlo e imporre, anche su di lui, la forza di un ordine costituito che andava bene a pochi ma al quale, proprio per questo, non volevano rinunciare. Ma, alla fine, chi era Fra Diavolo? L'eroe delle ballate popolari che lo cantavano con ingenuo compiacimento o il delinquente che compare nelle relazioni di polizia? Per decenni le verità sono state due. La gente abituata a frequentare le bettole, dove una mezza caraffa di vino era già segno di un piacere straordinario, lo considerava un piccolo paladino, capace di vendicare i torti di secoli di sottomissione. Aveva avuto il coraggio di ribellarsi e a questa sua scelta era rimasto coerentemente aggrappato. I tribunali, invece, conservavano le sentenze di condanna dove qualunque circostanza era, comunque, un'aggravante e dove ogni gesto veniva descritto come una ribellione da punire severamente. Maria Alba Pezza propone una terza verità, quella della discendente che non si vergogna del suo passato e che legge la storia con la consapevolezza del senno di poi. Ladro? Anche...ma per necessità. Tagliagole? Forse...ma soltanto perché era l'unica alternativa per evitare che la gola la tagliassero a lui. Brigante per necessità: fuorilegge per disperazione. Come tanti, in quello stesso secolo e nel secolo successivo quando i Savoia occuparono il regno delle Due Sicilie. Un'altra storia - tutta in una valigia - che, forse, è anche quella più autentica.

                                                                                                                                                                               Lorenzo Del Boca

    A Silvia,

    la gioia più grande della mia vita

    Come era bella Parigi!

    Come era bella Parigi in quel caldo maggio del 1968! Tutto mi sembrava speciale, anche l'aria che respiravo, forse perché era l'aria di Parigi, o forse perché in quell'epoca avevo solo vent'anni e tutto mi sembrava speciale e meraviglioso. Era la prima volta che uscivo dall'Italia, e quindi la prima volta che visitavo una capitale straniera. Ero pervasa da una gioia immensa, e la curiosità e il desiderio di conoscere luoghi e persone nuove mi spingeva a visitare ogni museo, ogni luogo, con un ritmo frenetico tale che il tempo non mi bastava mai. Accompagnavo mio padre, che doveva presentare una memoria per un congresso di navigazione che si teneva, appunto, a Parigi. Lui era impegnato tutto il giorno, e spesso io sgattaiolavo fuori dalla sala del convegno per visitare da sola quella città cosi grande e cosi diversa da Roma, la città dove vivevo. A Parigi tutto era grande: gli edifici, i parchi, i larghi boulevard alberati, i musei. Il Louvre mi sembrava grande come una città. Mio padre, durante un pomeriggio libero, decise di accompagnarmi a visitare il museo di Les Invalides. Mi sembrò strano che egli, ingegnere appassionato di arte e architettura, mi conducesse in un museo di memorie storiche. Questo dubbio però svanì quando mi ritrovai di fronte ad una teca di vetro in cui era custodito un ampio mantello double-face rosso all'esterno e nero all'interno, al quale era appoggiato un vecchio schioppo usurato dal tempo. Mio padre si era fermato ad osservare con deferenza quella teca e io, non capendone il motivo, gli chiesi che cosa avesse di tanto speciale quel panno consunto e quell'arnese arrugginito e corroso. Mio padre mi invitò a leggere con attenzione la didascalia della targhetta, sulla quale era scritto: Schioppo e mantello del brigante napoletano Michele Pezza detto Fra Diavolo,nato a Itri (Italia) nel 1771 e morto a Napoli (Italia) nel 1806. Trofeo di guerra del generale dell'esercito francese Joseph Léopold Sigisbert Hugo. Toh! Chi si vede! Il nostro antenato Fra Diavolo! esclamai con sorpresa perché si trova qui a Parigi? Come, perché si trova qui a Parigi! rispose mio padre un po' irritato, non ti ricordi che, dopo essere stato tradito, fu catturato nella zona di Baronissi vicino a Salerno dal padre dello scrittore Victor Hugo e impiccato dai francesi in Piazza del Mercato a Napoli? No, papà, non lo ricordo, perché quando ero piccola e tu mi raccontavi queste storie su Fra Diavolo, ero più attratta e impaurita da quel soprannome così terrificante, che non dalle notizie storiche di cui tu mi parlavi e che erano troppo difficili e lontane dal mio mondo di allora. Forse, ora che frequento l'università e studio con interesse la storia, posso capire il personaggio e il periodo storico in cui era vissuto. Piuttosto, papà, scusa se non lo ricordo nonostante tu me lo abbia ripetuto chissà quante volte, perché fu chiamato Fra Diavolo?. Mentre mio padre, un po' deluso da quella mia svogliata smemoratezza, si accingeva a raccontarmi per l'ennesima volta il motivo per cui Michele Pezza fu chiamato Fra Diavolo, dalle finestre aperte della sala del museo saliva un mormorio di voci che andava in crescendo e formando uno slogan, all'inizio confuso e poi sempre più chiaro: Ce n'est qu'un dèbut, continuons le combat, Non è che l'inizio, continuiamo a combattere. Mio padre e io, incuriositi e anche un po' impauriti, ci avvicinammo alla finestra e vedemmo una fiumana di giovani che scorreva lungo le strade: avevano in mano cartelli e striscioni contro la scuola e contro il Governo, e inneggianti alla rivolta. Ma questa è una rivoluzione! disse mio padre preoccupato. E' meglio che torniamo in albergo, i francesi sono delle teste calde , hanno la rivoluzione nel sangue, e potrebbero accadere disordini e tafferugli . Ci avviammo in fretta verso l'albergo, che fortunatamente non era troppo lontano. Lungo la strada incontrammo vari studenti che distribuivano volantini con slogan e l'immagine di Che Guevara. Io in quell'epoca sapevo poco dei movimenti studenteschi, e ancora meno della figura del Che, quindi chiesi a mio padre chi fosse. Lui mi rispose che era un medico che, lasciata la propria professione, aveva combattuto per un ideale di liberazione dei popoli dalla dominazione straniera, dalla miseria e dallo sfruttamento, e aveva scelto la guerriglia come tecnica di guerra. Aggiunse con un certo orgoglio: Sai, anche Fra Diavolo combatté contro l'oppressione straniera per la libertà della sua gente e della sua terra, e anch'egli si servì della guerriglia, tecnica che prima di allora non era mai stata usata nella nostra terra. Trafelati, giungemmo finalmente in albergo, dove ci sentimmo protetti e sicuri. Quella masnada di giovani sparì dal nostro orizzonte e le voci diventarono sempre più fioche, fino a che fummo circondati da un silenzio ancor più spaventoso del frastuono precedente. In albergo, erano rimasti tutti attoniti e spaventati. Ci sedemmo al bar e, dopo un attimo di smarrimento, tornai alla carica nei confronti di mio padre continuando l'interrogatorio interrotto all'interno del Museo. Dunque,papà, perché il nostro antenato Michele Pezza fu chiamato Fra Diavolo? . Sai mi disse" è la stessa domanda che da bambino rivolsi a mio padre, cioè a tuo nonno. Anch'io, come te, ero incuriosito o meglio, spaventato, da quel soprannome così strano ed enigmatico. Sai, credo

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