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Epistemologia genetica e costruttivismo
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Epistemologia genetica e costruttivismo

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Il volume si propone di individuare le strette connessioni tra il movimento costruttivista e i grandi problemi dell’epistemologia genetica di Jean Piaget. Inevitabilmente l’adozione di un simile intento ha condotto a considerare un sempre più vasto numero di problematiche, in ossequio alla fondamentale tesi piagetiana decisamente avversa ad una concezione locale e parziale della conoscenza, e che per questo non poteva né doveva essere una feyerabendiana “consolazione” per lo specialista. Da qui la progressiva adozione di un approccio globale alle problematiche dello sviluppo cognitivo, che proprio per la sua natura deve correlare, in modo dialettico piuttosto che sistemico, le componenti essenziali (biologica, sociale, ambientale), che costituiscono questi studi. Il presente lavoro è da intendersi come appartenente alle scienze dell’uomo che, grazie alla definizione data, devono andare oltre la oramai canonica e stantia suddivisione delle discipline, per spingersi in ambiti solo ideologicamente ritenuti tra loro separati ed incommensurabili. Da qui la necessità di riprendere un legame con la filosofia, che fornisce problemi epistemologici di capitale importanza e demanda la loro discussione e soluzione a discipline specifiche, senza mai scinderle l’una dall’altra.
LanguageItaliano
Release dateJun 7, 2016
ISBN9788838244513
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    Epistemologia genetica e costruttivismo - Emilio Gattico

    fanciullo

    INTRODUZIONE

    …καίτοι ἀληθές γε ὡς ἔπος εἰπεῖν οὐδὲν εἰρήκασιν

    Platone, Ἀπολογία Σωκράτους[1]

    Anche se si tratta di una caratteristica delle conoscenze filosofiche, che trovano una loro definitiva consacrazione nell'ambito del Circolo di Vienna (1920-1930), il termine epistemologia pare abbia acquisito il significato, assunto nell'epoca moderna, grazie al filosofo scozzese James Frederick Ferrier (1808-1864), studioso molto legato al pensiero di George Berkeley (1685­1753), che in Institutes of Metaphysics del 1854 si proponeva di designare quella parte della filosofia, pertinente in origine alla gnoseologia, volta allo studio dei fondamenti, validità e limiti della conoscenza scientifica, così come della struttura logica e della metodologia della stessa. Più generalmente è la genesi del termine stesso (ἐπιστήμη, formato da ἐπì ed ἵστημι, indica la conoscenza intelligibile rispetto alla semplice opinione δόξα ma anche alla credenza πίστις così come all'immaginazione εἰκασία, ed inoltre pure rispetto al pensiero discorsivo διάνοια così come all'immediata conoscenza grazie all'intelletto νόησις) il miglior indice che consente di intendere che qualsiasi conoscenza debba basarsi su alcuni assunti adottati da colui che studia e che si fondi sulla condizione, per la quale sussistano contemporaneamente un soggetto che conosce ed un oggetto da conoscere [2].

    Tutta la storia delle scienze mostra assai frequentemente come le grandi correnti di pensiero, che le costituiscono, mai nascono all'improvviso, mentre sono invece frutto di una serie di risultati, errori, trovate ed intenti occasionali e successivamente di una loro progressiva sistematizzazione, protraentesi nel tempo. In altri termini molti assunti, pure ritenuti estremamente solidi e quasi incontestabili, che col passare del tempo danno luogo a sempre più rigorosi modi di intendere la realtà, della quale si occupano, sono posti in discussione persino nei momenti durante i quali si è invece cercato di ribadirne la loro validità ed universalità.

    Esempio

    La storia nei suoi corsi e ricorsi e nell'alternarsi di accadimenti di ogni genere è ricca di simili situazioni. Tra queste forse uno tra gli esempi più rilevanti è quello rappresentato dai lavori di Gerolamo Saccheri (1667-1733) ed in particolare dal lavoro del 1733, ovvero Euclides ab omni nævo vindicatus, nel quale l’Autore si prefigge di ristabilire una volta per tutte la validità delle formulazioni euclidee[3]. Si sa che gli Elementi di Euclide (323/2-286 a.C.) rappresentarono per G. Saccheri, e certamente in quel periodo non solo per lui, un testo scientifico ma anche sacro e pertanto nei postulati euclidei e specificamente nel V[4] egli rinveniva la verità di una delle tre premesse da lui formulate, ovvero che se la somma degli angoli interni di un triangolo è eguale a due angoli retti, allora ciò è vero per tutti i triangoli [5]. Si sa che, quasi immediatamente dopo la formulazione degli elementi di Euclide, il V postulato procurò parecchie discussioni, volte a modificarlo o sostituirlo o dimostrarlo. Ma questi tentativi, che mai cessarono di comparire già a partire dall'evo antico, o si arenavano per la non capacità di realizzarli effettivamente o erano castrati da un clima culturale, che tendeva a renderli delle verità inoppugnabili. Nel XVI e poi nel XVII secolo dapprima Christophorus Clavius (1538-1612) e poi Giordano Vitale (1633-1711) tentarono in modo più esplicito di affrontare questo problema, ma il risultato più degno di nota, anche perché foriero di successive interessanti proposte, fu quello di G. Saccheri.

    Prendendo avvio da un quadrilato birettangolo isoscele, nel quale due dei suoi lati sono perpendicolari e congiunti con uno solo degli altri lati, egli asserì che il V postulato era soddisfatto, se entrambi gli angoli interni fossero stati retti; nel caso fossero stati ottusi o acuti il postulato sarebbe stato negato. Tuttavia si trovò impossibilitato a confutare le due ultime ipotesi, che era proprio quanto intendeva fare. In effetti il tentativo di confutare l’ipotesi dell’angolo ottuso avrebbe potuto essere ritenuto valido ma alla condizione di dovere rinunziare alla validità del II postulato euclideo [6] (fatto non certo ammissibile), e oltretutto in questo modo si sarebbe rientrati nell'ambito della geometria ellittica. La confutazione dell’ipotesi dell’angolo acuto fu invece di fatto priva di valore, in quanto fondata su un’identità fra finito ed infinito, facilmente contestabile.

    Di fronte a queste due errate confutazioni, delle quali, da provetto matematico qual era, si rese ben conto, G. Saccheri risolse la disputa ricorrendo a giustificazioni poco plausibili (Hypothesis anguli obtusi est absolute falsa; quia se ipsam destruit)[7] se non senza senso (Hypothesis anguli acuti est absolute falsa; quia repugnans naturæ lignæ rectæ)[8].

    Orbene se questo esempio illustra la presentazione di contributi illustri ma isolati, aventi in sé una potente componente euristica seppure non ancora nella condizione di poter essere operativamente usufruita, allo stesso modo è tuttavia agevole vedere come vi siano stati specifici momenti storici, nei quali alcuni risultati tesero ad emergere vistosamente, segnando delle vere e proprie rivoluzioni. Oggi è possibile affermare che G. Saccheri, pure nella sua ambivalenza, è stato un precursore della geometria che Jànos Bolyai (1802­-1860) affermò essere «la scienza assoluta dello spazio [in quanto] la proposizione che afferma l’esistenza di un triangolo, ancora privo della proprietà euclideo o non-euclideo, è dimostrabile nell'ambito della geometria assoluta, cioè nell'ambito delle verità geometriche date a priori»[9]. Ma è altrettanto noto che del suo lavoro, più che le potenzialità euristiche in esso presenti furono evidenziati i suoi intenti restauratori, anche perché coperti dalle più che autorevoli, anche se in questo caso conservatrici, affermazioni di Immanuel Kant (1724-1804), che pur riconoscendo nel lavoro del gesuita sanremese un’opera di ingegno, tuttavia nella Critica della Ragion Pura affermava nella prima delle quattro definizioni dello spazio che non era un «concetto empirico, ricavato da esperienze esterne [e che] la rappresentazione dello spazio non [poteva] essere nata per esperienza da rapporti del fenomeno esterno; ma l’esperienza esterna è essa stessa possibile, prima di tutto, per la detta rappresentazione»[10]. E nella terza definizione ancor più esplicitamente sosteneva che lo spazio «è essenzialmente unico, in esso la molteplicità, quindi anche il concetto universale di spazio, si forma esclusivamente su limitazioni. Ne segue che, quanto a quello, un’intuizione a priori (non empirica) sta a base di tutti i concetti di esso. Così anche tutti i principi geometrici, per esempio che in un triangolo la somma dei due lati è maggiore del terzo, non vengono mai ricavati da concetti universali di linea e triangolo, bensì dalle intuizioni, e a priori con certezza apodittica»[11]. Ed allora «se conviene certo pensare ogni concetto come una rappresentazione contenuta in un numero infinito di differenti rappresentazioni possibili (come loro nota comune) esso dunque le comprende sotto di sé; ma nessun concetto, come tale, può essere considerato come contenente in sé un’infinita moltitudine di rappresentazioni»[12].

    È altresì noto che gli stessi matematici, quali Farkas Bolyai (1755-1856), che pure si proponeva di riprender il lavoro di G. Saccheri, si arrestarono quasi timorosi di fronte alla possibilità di dimostrare il V postulato euclideo, deducendolo da altri assiomi.

    In seguito e soprattutto nella seconda metà del XIX secolo (ma pure nella prima) a partire da Karl Friedrich Gauss (1777-1855) e coi contributi di insigni matematici quali Nikolaij Ivanovič Lobačevskij (1792-1856), il citato J. Bolyai, Eugenio Beltrami (1836-1900), furono prodotti una serie di lavori, che ribaltarono gli assunti euclidei, ritenuti per quasi due millenni inattaccabili [13], senza per altro eliminarli, bensì costruendo sugli stessi nuovi modi di concepire la geometria. L’esempio precedente, ovviamente incompleto e necessitante di una ben più ampia discussione, è stato proposto per chiarire che lo spazio nel quale si colloca l’epistemologia concerne i presupposti, le strutture, lo statuto delle teorie scientifiche nei livelli semantico, sintattico e pragmatico, ma anche i metodi e le tecniche della scienza in generale e delle diverse discipline scientifiche in particolare. Ed ecco anche chiarito perché tematiche di pensiero, che oggi definiamo epistemologiche, sono certamente rintracciabili in tutte le epoche nelle quali si è sviluppata la conoscenza, a prescindere dal fatto che un tale termine non fosse ancora stato utilizzato.

    Come ben si sa la storia inevitabilmente produce mutamenti e cambiamenti, accelerazioni e decelerazioni, ed al suo interno una tale dinamica si manifesta secondo molteplici (ma forse potremmo dire anche illimitate) modalità, attribuendo di volta in volta significati e valori differenti ad ogni suo accadimento. Le problematiche concernenti la scienza e la conoscenza non ne sono certo esenti e pertanto non stupisce, né a mio avviso deve stupire, il fatto che uno stesso avvenimento, così come uno stesso termine o concetto, siano anch'essi passibili di cambiamenti e mutazioni continue. Ed ancor più globalmente che modi e forme del pensiero siano anch'essi soggetti ad un continuo divenire, al cui interno ora si affermano, ora sono superati se non cancellati da altri, ora ricompaiono completamente mutati, oppur si ripresentano identici, seppur adattati allo specifico contesto del momento.

    Ora salvo il ribadire che a livello generale si ha a che fare con la globalità delle conoscenze scientifiche, mentre a livello locale si è posti alla ricerca della struttura delle singole e particolari discipline, sarebbe inutile soffermarsi ad esemplificare una tale affermazione, ché mai si arriverebbe a compimento del lavoro, vista l’innumerabile quantità di prove, che potrebbero essere addotte, oltre alle interminabili discussioni, che potrebbero generarsi. Per il qual motivo si cercherà nel presente lavoro di individuare alcuni tra i più rilevanti filoni di ricerca, che l’hanno caratterizzata, muovendoci lungo l’arco dell’e­voluzione delle scienze, che certamente è assai più esteso temporalmente che non quello manifestatosi negli ultimi secoli, per soffermarci più diffusamente su uno degli elementi che la compongono e che nel nostro caso sarà l'Epistemologia Genetica. In virtù delle precedenti osservazioni si ritiene più opportuno assumere un percorso di ricerca, uno fra i tanti possibili, che proprio per questo acquisisca quell'indispensabile senso di relatività, che lo renda scientificamente accettabile e pertanto criticabile, per accingersi a tentare di stabilire una correlazione tra una particolare forma, con cui l’epistemologia si presenta, (nella fattispecie l’epistemologia genetica), ed una modalità (in questo caso il costruttivismo), con la quale si prefigge di trovare una propria collocazione nell'universo scientifico, per poter discutere a proposito della crescita delle conoscenze. Il lavoro si prefigge pertanto di ripercorrere secondo un approccio storico-critico i differenti valori che l’epistemologia ha assunto e la stessa cosa avverrà per il costruttivismo con l’intento di mostrare come costruttivismo ed epistemologia genetica si richiamino reciprocamente e continuamente. In tale contesto si cercherà di argomentare come queste due nozioni siano sempre state una caratteristica fondamentale di tutta la produzione scientifica a partire da quella della civiltà greca, anche se per molto tempo non hanno costituito un argomento specifico di indagine.

    La figura di Jean Piaget (1896-1980) sarà assunta quale quella di un assai noto rappresentante contemporaneo, che ha indicato come questo rapporto si sia invece non solo globalmente attualizzato, ma anche di come abbia trovato realizzazione operativa in differenti campi del sapere tra cui la riflessione filosofica, così come nel nuovo modo di intendere discipline specifiche quali la logica e la psicologia. Allo stesso modo, oltre a rifarci ad altre esemplificazioni riguardanti tale problema, si tenderà ad argomentare che una tale posizione è oggi all'avanguardia nell'ambito della crescita delle conoscenze. 

    [1] «...eppur di vero, così per dire, nulla hanno detto», Platone, Apologia di Socrate.  

    [2] Da questo punto di vista propone valide argomentazioni Daniel Dennet, logico e filosofo statunitense, quando afferma che è ben difficile trovare, ovvero che non esiste, una scienza che sia privata della filosofia, e che se al limite si ha questa impressione, ciò dipenda dal fatto che non si è sufficientemente considerato il bagaglio filosofico che pure è sempre presente in qualsivoglia produzione scientifica (Darwin’s Dangerous Idea: Evolution and the Meanings of Life, New York, Simon & Schuster, 1996, trad. it. L’idea pericolosa di Darwin, Torino, Bollati Boringhieri, 2004).  

    [3] Il titolo completo dell’opera è Euclides ab omni nævo vindicatus sive conatus geometricus quo stabiliuntur Prima ipsa universæ geometriæ Principia.  

    [4] Se si danno due rette parallele (A,B), intercettate da una trasversale (x), la somma degli angoli coniugati interni è pari alla somma di due angoli retti. (Si tratta della proposizione 29 del primo libro degli Elementi in cui si argomenta delle Κοινάι Ἐ῎ννοιαι, ovvero Nozioni Comuni)  

    [5] Ovviamente le altre due premesse stabiliscono che se la somma degli angoli interni di un triangolo è minore (maggiore) di due angoli retti, allora ciò è valido per tutti i triangoli.

    [6] È possibile prolungare illimitatamente un segmento in linea retta.

    [7] G. Saccheri, Euclides ab omni nævo vindicatus, Mediolani, Ex. Typografia Pauli Anto­nimi Montani, MDCCXXXIII, trad. it. consultata, Euclide liberato da ogni macchia, Milano, Bompiani, 2001, proposizione XIV, p. 112.

    [8] Ibid., proposizione XXXIII, p. 220.  

    [9] I. Thot, E.Cattanei, Saggio introduttivo, in Euclide liberato da ogni macchia, cit., p. 39. Si veda anche I. Thot, Aristotele e i fondamenti assiomatici della geometria, Milano, Vita e Pensiero, 1997.

    [10] I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, Riga, Johan Friedrich Hartknoch Verlag, 1787 (I ed.1780). Trad. consultata, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 1977, p. 68.  

    [11] Ibid., 1978, pp. 69-70.  

    [12] Ibid.  

    [13] Ulteriori e importanti progressi furono poi ottenuti da Georg Friedrich Bernhard Rie­mann (1826-1866), che con la sua tesi, Über die Hypothesen, welche der Geometrie zu Grunde liegen (Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria) per l’abilitazione presso l’Università di Gottinga (10 giugno 1854) e che naturalmente fu respinta (non a caso fu pubblicata postuma nel 1867), segnò una svolta epocale nella storia e nella filosofia della matematica, sino ad arri­vare al 1872, quando Felix Christian Klein (1849-1925) pubblicò Vergleichende Betrachtungen über neuere Geometrische Forschungen, più noto come Erlanger Programm, nel quale si asseriva la validità di tutte le geometrie sino ad allora prodotte e che la falsificazione dell’una avrebbe comportato anche quella dell’altra.  

    I. LIMITI DELLE CLASSIFICAZIONI DELLE SCIENZE

    «Le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à avoir de nouveaux yeux».

    Marcel Proust, Aforisma[1]

    Non è certo una novità che le conoscenze siano sempre state soggette a raggruppamenti e/o classificazioni relativamente a molteplici motivazioni, tra le quali quella di realizzare macrostrutture denotanti le principali categorie del sapere. Quanto più le conoscenze si ampliavano, tanto più si rivelava necessaria una loro più puntuale ripartizione, fatto quest’ultimo senza dubbio utile anche se non sempre, perché non sfuggiva che sarebbe stato possibile correre il rischio di settorializzare eccessivamente le discipline a scapito di una globalità del sapere, che è invece pur sempre essenziale. In ogni caso anche se si tratta di suddivisioni discutibili, sebbene volte a seguire il progresso delle conoscenze nei suoi più disparati settori, l’epistemologia, ovvero lo studio dello statuto delle teorie scientifiche, quale la loro sintassi logica e la semantica dei loro linguaggi, e dunque ancora più in generale la discussione sulla scienza, è stata ripartita in settori caratterizzanti le varie attività di ricerca. Una rilevante macrosuddivi­sione è certo quella tra epistemologia interna, rifacentesi a teorie e metodi, ma anche leggi, previsioni e convalide degli elementi e della loro applicazione entro una determinata scienza, ed esterna, riferita a quelli che sono gli elementi generali fondanti la scienza, intesa in senso generale, prescindendo dunque dalla loro immediata messa in atto [2]. Al di là dell’effettiva possibilità di sapere sempre specificare con esattezza gli ambiti di riferimento delle due epistemologie citate, è auspicabile tuttavia richiamare le loro differenti applicazioni, quando si ha a che fare con le scienze della natura e quelle dell’uomo [3].

    Nell'ambito delle scienze della natura, o fisiche, è sufficiente soffermarsi al periodo che si dipana dalla seconda metà del XIX secolo per cogliervi componenti deterministiche (positivismo e neopositivismo in particolare), ma anche contingentiste, convenzionaliste, addirittura sottostrutture metafisiche (basti pensare a Richard Avenarius, 1843-1896), pragmatiste e relativiste. Insomma questo insieme di conoscenze e le varie discipline che le rappresentano sono tutte contrassegnate dal progressivo passaggio dalla certezza alla probabilità (epistemologia esterna), rispetto al quale la loro epistemologia interna doveva confrontarsi. In un simile contesto assume un rilievo sempre più ampio e globale il rapporto tra la teoria e la pratica o ancora tra la teoria e l’osservazione, tra quella che è la forma logica delle scienze e la sua confutazione sperimentale, tra l’inquadramento rigoroso dei dati da un punto di vista concettuale e quello generato dall'esperienza.

    In tale contesto si sono avuti tra gli altri:

    a) i tentativi di Rudolf Carnap (1891-1970) che propose di costruire opportuni linguaggi per trattare i contenuti empirici;

    b) la nozione di modello proposta da Alfred Tarski (1902-1983), atto ad individuare un sistema relazionale costituito da proposizioni, volte a descrivere nel modo più semplice possibile un insieme di fenomeni;

    c) le osservazioni di Karl Popper (1902-1994), tendenti ad indicare i limiti della razionalità, anche se restringendo quest’ultima quasi esclusivamente all'ambito logico;

    d) le successive aperture di Thomas Samuel Kuhn (1922-1996) che, avvalendosi dell’importanza fondamentale dell’elemento storico

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