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Zanne Nelle Tenebre
Zanne Nelle Tenebre
Zanne Nelle Tenebre
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Zanne Nelle Tenebre

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About this ebook

Dopo un tremendo incidente stradale, il colonnello Patrick Moore si ritrova con l'osso del collo spezzato. Solo un intervento chirurgico all'avanguardia riesce a salvargli la vita.

Nonostante questo, viene richiamato in servizio dal generale Sanders che ha da offrirgli una missione top secret nel cuore della Florida.

Il problema è che il paese di Serenity Creek vive nel terrore a causa della presenza di strani esseri che si nutrono di carne e sangue umani. Responsabili della morte di molti uomini, queste creature seminano morte e panico nelle genti del luogo, uccidendole con un morso letale al collo. Con la sua nuova protesi d'acciaio, il colonnello Moore sembra la persona giusta per affrontare questo nuovo e misterioso nemico.

Tutto sembra andare per il verso giusto, ma può capitare che la bramosia di denaro e di successo incantino, può capitare che il Male attragga, e che riesca a trasformare un uomo in un mostro più temibile dei mostri stessi.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateMay 26, 2016
ISBN9788867825271
Zanne Nelle Tenebre

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    Zanne Nelle Tenebre - Davide Stocovaz

    Davide Stocovaz

    ZANNE NELLE TENEBRE

    EDITRICE GDS

    Davide Stocovaz Zanne nelle tenebre ©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    www.gdsedizioni.it

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Illustrazione copertina di ©Ivan Fanucci

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

    Ogni riferimento a fatti, luoghi, persone realmente esistenti e/o esistiti è puramente casuale.

    Questo libro è il prodotto finale di una serie di fasi operative che esigono numerose verifiche sui testi. È quasi impossibile pubblicare volumi senza errori. Saremo grati a coloro che avendone trovati, vorranno comunicarceli.

    Per segnalazioni relative a questo volume: iolanda1976@hotmail.it

    PROLOGO

    La palude è avvolta in spirali di nebbia che si insinua tra i tronchi dei cipressi, avvolgendo gli arbusti e i cespugli più bassi. Le rane se ne stanno semisommerse nell’acqua di una pozza, in silenzio. Un gruppetto di cervi della Virginia, dalle linee sottili e il manto argentato, se ne sta rannicchiato alla base di un tronco. Madri e piccoli sono vicini, mentre due maschi fungono da sentinelle e si guardano attorno pronti a percepire anche il più lieve odore o suono di pericolo.

    Un alligatore, immerso in una pozza, chiude la membrana protettrice sugli occhi e scompare alla vista con uno sciabordio debole.

    Nemmeno lui vuole attirare l’attenzione.

    Gli animali sanno che la palude, col favore delle tenebre, è ancora più traditrice. Restano in silenzio perché anche questa notte l’aria sa di morte.

    Persino i grilli non cacciano le loro teste fuori dai buchi nel terreno, per non far sentire la loro voce.

    Un fruscio.

    Uno dei cervi scatta in allerta.

    Un corpo scuote le basse fronde di un cespuglio.

    Il cervo emette tre bramiti acuti destando il resto del branco che scatta in piedi. I piccoli si stringono alle proprie madri. La seconda sentinella imita la prima e gli animali fuggono in gruppo svanendo nella macchia.

    Degli spari echeggiano tra gli alberi. Un grido soprannaturale fa immergere tutte le rane contemporaneamente.

    Urla di uomini si alzano nella notte, perdendosi tra le fronde dei cipressi. Gli spari cessano di colpo, mentre il grido soprannaturale si ripete, sovrastando quelle degli uomini che annegano nel sangue.

    Evan Smith, dall’aspetto sciupato, alto un metro e settanta, i capelli incollati sulla fronte madida di sudore, corre a perdifiato tra gli alberi. L’assalto è stato immediato, improvviso. Nella mischia, ha perduto il fucile ma è riuscito comunque a passare tra i suoi compagni che venivano massacrati. Non ha idea di dove sta andando. Quando il drappello di uomini è stato attaccato, ha sentito il bisogno estremo di fuggire. Nessuno è riuscito a rimproverarlo per la sua reazione.

    Adesso, con ancora l’odore della carneficina nella testa, il ragazzo supera una serie di cespugli e affonda in una pozza. L’acqua gelida gli penetra nei vestiti, arrivando fino alle ossa. Scalciando, Evan torna in superficie e inizia a nuotare verso la sponda opposta. Bracciata dopo bracciata, si guarda indietro con espressione di terrore. La palude alle sue spalle sembra tranquilla.

    Il ragazzo torna a guardare davanti a sé. Nella sua mente non passa nemmeno il pensiero che potrebbe venir divorato da un alligatore. L’immagine del rettile è lontana anni luce. Invece, si alternano immagini dei suoi compagni assaliti di sorpresa, benché consapevoli del pericolo e di ciò che stavano facendo; le loro urla disperate; lo spezzarsi delle ossa; il sangue a fiotti che si confonde con il fango sul terreno nero.

    Bracciata dopo bracciata, boccata d’aria dopo boccata d’aria, raggiunge la sponda opposta e afferra la radice contorta di una mangrovia. Tossisce e sputa un misto tra acqua e saliva. Con tutte le sue forze, cerca di issarsi fuori all’asciutto. La radice si spezza e sprofonda per qualche secondo.

    Torna subito in superficie, respirando in affanno. Si aggrappa a un’altra radice e, con fatica, si trascina sulla sponda, crollando al suolo; mani fra i capelli; il corpo scosso da profondi singulti. Inizia a domandarsi se rivedrà mai più casa sua, la sua famiglia, suo fratello. Ma il pensiero viene offuscato da quanto ha vissuto prima. Un nodo di bile gli sale delle profondità dello stomaco e gli sgorga prepotente dalle labbra.

    Il ragazzo, in ginocchio, preso dai conati di vomito, non può rendersi conto della creatura che aggira il tronco di un albero e che gli si avvicina alle spalle. Prima ancora di potersi riprendere per continuare la fuga, viene afferrato a una gamba e trascinato in un groviglio di cespugli.

    Non ha la forza per opporsi, non ha fiato per gridare. Si rassegna all’inevitabile.

    In cuor suo, sapeva di avere scarse possibilità di cavarsela. Sapeva che avrebbe dovuto ascoltare suo fratello e non imbarcarsi in quella missione suicida. E adesso, mentre delle zanne acuminate gli perforano la gola, pensa solo a quanto sia stupido morire in quel modo a ventisette anni.     

    CAPITOLO 1

    Un dolore lancinante. Un dolore insopportabile.

    Fu la prima sensazione che provò il quarantaduenne Patrick Moore appena sveglio. Ogni singola cellula del suo corpo, ogni nervo, ogni muscolo, sembravano percorsi da una scarica elettrica, che faceva vibrare anche la sua anima e la feriva a morte. Provò a gridare, ma inutilmente. Era senza fiato.

    Dolore, dolore e ancora dolore nel quale, come in un mare in tempesta, annegava tutto il suo essere.

    Poi, gradualmente, il male passò. Non del tutto, ma divenne sopportabile. Oltre al dolore fisico, però, iniziò a provare anche un forte fastidio a causa di una patina appiccicosa che gli ricopriva la faccia. Aveva ancora gli occhi chiusi. Lentamente, con uno sforzo che gli parve sovrumano, riuscì ad aprire le palpebre. Solo una fessura.

    Fu investito da una luce abbagliante. Lanciò un grido acutissimo, animalesco, che alle sue orecchie risuonò come un lamento flebile, un pianto. Niente di male. L’importante era che l’udito avesse ricominciato a funzionare.

    Distingueva solo ombre intorno a sé. Alcune erano immobili, un paio sembravano in movimento.

    Una di esse lo fissava. Era grigia, assomigliava vagamente a un fiore metallico, ma non riusciva a distinguerne i contorni. Poi l’ombra parlò, e fu solo allora che Patrick comprese: si trattava di un essere umano.

    - Signor Moore?, è sveglio? -, domandò una voce femminile.

    - No -, mormorò.

    Anche stavolta, gli giunse l’eco di parole non dette e di una voce stridula, quasi incomprensibile, che sembrava non appartenergli.

    - È in grado di ricordare qualcosa? -, chiese la voce.

    A parte il dolore non sentiva altro e, soprattutto, non aveva la benché minima idea di cosa stesse succedendo. Brontolò parole incomprensibili.

    - Non si preoccupi -, disse la voce: - Lei è fuori pericolo. -

    Cosa significava? Cos’era accaduto?

    Cercò di mettere a fuoco la figura che aveva davanti a sé, ma risultò un’impresa disperata. Gli occhi gli bruciavano da impazzire. Allora provò a muoversi, ma si sentiva come un sacco vuoto. Il corpo, tutto, non rispondeva più ai suoi comandi.

    All’improvviso, tornò il dolore. Più acuto, più lancinante di prima. E Patrick perse di nuovo conoscenza.

    Quando si svegliò, stava meglio. Era come se qualcuno si stesse divertendo ad appiccargli fuoco ai piedi, alle gambe, solo che stavolta, invece di una fiamma ossidrica, aveva il buon gusto di servirsi di una candela. Facendosi coraggio, si costrinse ad aprire gli occhi. Non fu un’impresa facile. A causa del bruciore e della luce che lo abbagliava, senza tregua.

    Finalmente riuscì a mettere a fuoco e a dare un senso alle immagini che, fino ad allora, avevano danzato intorno a lui.

    Era supino, in una stanza dal soffitto bianco e le pareti verdi. In alto, sopra di lui, c’era uno strano trespolo di ferro dal quale pendeva una tendina, come quelle che si usano nelle docce.

    Possibile che fosse scivolato nella vasca da bagno?

    Notò anche un tubicino di plastica che portava a una sorta di sacca trasparente, piena di liquido rossastro e a una seconda sacca, che sembrava contenere una sostanza simile a colla.

    Ma la cosa più insopportabile era l’odore di candeggina, pungente quanto nauseante.

    All’improvviso, ebbe un’illuminazione. Era finito in ospedale.

    E, a giudicare dal trattamento che gli stavano riservando, doveva trattarsi di una faccenda molto seria.

    L’ombra, che aveva intravisto poco prima, si avvicinò al letto. Stavolta, Patrick guardò meglio e riconobbe un volto di donna, dai fluenti capelli castani e gli occhi marroni.

    - Signor Moore, sono la dottoressa Edwards. Come si sente? -

    - Uno schifo -, riuscì a mormorare.

    - È normale dopo quello che ha passato. Lei, si ricorda qualcosa? -

    - Sì. Il mio nome. Patrick.-

    - Sa perché si trova qui, in ospedale? -

    Provò a concentrarsi, ma il dolore non gli dava tregua.

    - Io... io non mi sento per niente in forma -, bisbigliò stanco, come se ogni parola emessa pesasse una tonnellata: - È come... come se mi avessero spezzato le ossa, una per una. Capisce?-

    - Non è proprio così, ma ci è andato vicino. Ci è voluta la fiamma ossidrica per estrarla dall’auto. L’impatto è stato tremendo. Poteva andarle peggio, signor Moore. Molto peggio. -

    L’auto. Un frammento, un flebile ricordo squarciò il buio della sua memoria.

    È sera e ha cominciato a piovere. Solo qualche goccia, non c’è bisogno del tergicristallo. Sta rientrando a casa assieme a Rachel dopo una cena nel suo ristorante preferito, pregustando il momento in cui si sarebbero ritrovati senza vestiti, sazi e accoccolati nell’abbraccio delle lenzuola.

    La strada di periferia è sgombra. Solo un’auto in lontananza. Le gocce di pioggia rigano il parabrezza. Rachel è accanto a lui sul posto del passeggero. Gli poggia una mano sulla sua. Lui si volge a incrociare il suo sorrisino radioso. Sono sulla stessa onda di pensiero. 

    All’improvviso, spuntano dei fari nella notte. Lo abbagliano, lo accecano. Poi, l’urto. Un’esplosione di vetri, un contorcersi di lamiere. E dolore, tanto dolore in tutto il corpo, mentre frammenti di luci gli balenano davanti agli occhi.

    - Stavo tornando a casa -, disse lentamente, lottando con tutte le sue forze per non piangere:

    - Poi... quelle luci...-, fece per muoversi, ma il corpo non volle sapere di collaborare.

    - Vi prego, ditemi cosa mi è successo. -

    - Un ubriaco -, disse la dottoressa Edwards: - Ha perso il controllo della sua auto, ha frenato, è scivolato sulla strada bagnata e vi è venuto addosso. Correva come un pazzo -, sospirò amara: - Doveva vedere che groviglio, le due auto. Si è salvato perché indossava la cintura di sicurezza, signor Moore. A quel tipo è andata peggio. -

    Le parole della dottoressa lo aiutarono, in qualche modo, a metter ordine nel caos delle ombre e dei ricordi. All’improvviso, un sospetto lo colse. Tremante, cercò di guardarsi le gambe, le braccia, lungo il corpo. Non gli fu possibile, perché non riusciva a muovere la testa.

    - Dottoressa, io...-

    Non era sicuro di voler conoscere la risposta, ma doveva chiedere. Doveva sapere.

    - Io... sono paralizzato? -

    Socchiuse gli occhi e s’immaginò perduto: un tronco informe senza braccia e senza gambe, tagliate di netto dalle lamiere della macchina nell’urto violentissimo.

    - No, no, stia tranquillo -, lo rassicurò la dottoressa: - Ha dei tagli, dei graffi, profonde ferite ovunque, probabilmente ne porterà per sempre le cicatrici, ma per quanto riguarda gli arti... è tutto a posto. -

    Patrick trasse un sospiro di sollievo. La notizia gli aveva momentaneamente tirato su il morale, anche se il dolore non gli dava tregua.

    - Ma allora... perché questa debolezza? Cosa mi sta succedendo? -

    La dottoressa sembrava a disagio. E la sua espressione non prometteva niente di buono.

    - La prego, dottoressa. Voglio, devo, sapere. -

    - Dunque, come le ho detto, abbiamo riscontrato diverse fratture in varie parti del corpo. Una sul braccio destro, più due costole rotte, che si è procurato sbattendo contro il volante. Si è rotto anche due dita dei piedi. Ma... va bene, cerchi di non svenire. Adesso arriva la brutta notizia. Si è spezzato l’osso del collo. -

    Patrick non parlò. Deglutì un nodo di saliva, mentre la testa gli pulsava forte, sempre più forte.

    - Io... io sono morto? Mi trovo in uno stato di incoscienza... in bilico tra la vita e la morte? -

    - Si sbaglia, signor Moore. Lei è vivo. Vivo, mi sono spiegata? -, rispose la dottoressa: - E, comunque, spezzarsi il collo non comporta necessariamente la morte. Dipende dal tipo di frattura e dalle cure, dalla successiva riabilitazione. Si registrano casi di completa guarigione. -

    - Casi di completa guarigione? Crede... crede che io rientri fra quelli? -

    - Voglio essere chiara con lei, signor Moore. Soffre di una grave lesione alla spina dorsale -, spiegò la dottoressa dopo un attimo di esitazione: - Per salvarle la vita, è necessario un intervento chirurgico. Un’operazione mai sperimentata prima d’ora. Altrimenti, c’è il rischio che lei possa rimanere paralizzato. Si tratta di un trapianto. Noi le trapianteremo un collo artificiale. -

    Deglutì a fondo, sbattendo le palpebre.

    - E Rachel come sta? -, chiese in un mormorio.

    - Mi dispiace tanto. Lei... non ce l’ha fatta. -

    - Come? -, chiese in un lamento.

    - Lei non ce l’ha fatta, mi dispiace -, ripeté piano la dottoressa.

    - Vuol dirmi che Rachel... -

    - Sì, signor Moore. Abbiamo fatto il possibile, ma era già entrata in coma profondo quando è arrivata qui. -

    - Oddio, Rachel...-  

    Per lo shock causato dalla notizia, per la debolezza, per il dolore lancinante che non lo mollava un attimo, svenne di nuovo.

    CAPITOLO 2

    Gli ci volle un po’ per abituarsi alla sua nuova condizione. Di certo, non a causa dei graffi e delle ferite che gli deturpavano il corpo. Ben presto, infatti, da giallastre e violacee che erano, divennero via via più chiare, più tenui, fino quasi a scomparire. E nemmeno a causa del braccio rotto o delle costole, anche se gli dolevano parecchio. Prima o poi, lo avevano tranquillizzato i medici, sarebbero tornate a posto.

    Il collo era la grande novità.

    La dottoressa Edwards lo aveva preparato all’intervento, anticipandogli i risultati. Tuttavia, la prima volta che si guardò allo specchio con il collo nuovo di zecca, Patrick rimase senza parole.

    Era un marchingegno di acciaio, lucido, liscio, che andava dalle orecchie fino alle spalle.

    - Come le avevo anticipato, si tratta di un trattamento assolutamente rivoluzionario, mai sperimentato prima d’ora su di un essere umano -, spiegò la dottoressa: - Non avevamo scelta, signor Moore. Nelle condizioni in cui versava, i casi erano due: lasciarla morire o intervenire. In poche parole, ha funzionato da cavia. Non potevamo ricostruirle la colonna vertebrale, così ci siamo dovuti arrangiare e abbiamo provveduto diversamente. Attualmente, il suo collo è

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