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La razione di Malthus
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La razione di Malthus

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About this ebook

Una società oppressa da debito pubblico, spread, corruzione, macro e micro criminalità, flussi migratori incontrollabili, conflitto intergenerazionale fra pensionati garantiti e giovani privi di sicurezze, bassa se non nulla crescita, politica screditata e intoccabili privilegi, vincoli sindacali e lavoro nero, costi sociali e finti invalidi, apologeti di terrorismo e non certezza della pena. Una società con più vecchi che figli pervasa dall’insicurezza dell’oggi e percorsa dalla paura del domani.
Una società con richiesta continua di soluzioni repentine e radicali. Una società dove ciascuno teme di subire un peggioramento della propria condizione materiale, del proprio benessere, delle proprie tutele persino a favore di altri. Una società dove la spinta al consumo incessante è pari alla frustrazione di non potervi accedere.
A che cosa ci si aggrappa per non sprofondare? A che cosa ciascuno è disposto ad aggrapparsi? A che cosa sei tu disposto? Questo racconto di fantapolitica sociale porta alle estreme conseguenze le pulsioni più profonde e segrete, le prefigurazioni più impronunciabili e irrivelabili che possono percorrere, se già non percorrono, ogni individuo quanto ogni classe politica. E presenta la soluzione cui una simile società è giunta.
Tranquillamente, normalmente, confortevolmente, vi è giunta. Fino a che tutto è compiuto. Fino a che i mali da cui era attanagliata scompaiono. A un prezzo però. A un duro -o leggero- prezzo. E sorgono imitatori al di là dei confini. Si giungerà anche da noi a una simile soluzione? Se avvenisse, che si direbbe? Che diresti tu?
LanguageItaliano
PublisherItalo Franco
Release dateMay 22, 2016
ISBN9786050443752
La razione di Malthus

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    La razione di Malthus - Italo Franco

    LA RAZIONE DI MALTHUS

    Un futuro non ancora avverato, ma da quanti in segreto auspicato?

    Ad Aurelio e al Club di Roma

    Sommario

    Prefazione

    Fatti

    Decisioni

    Analisi

    Intervista

    Istituzioni

    Sondaggio

    Prefazione

    Il presente testo è la ricostruzione di quanto negli ultimi due anni è avvenuto nel nostro Paese, conducendolo a superare la crisi economica, finanziaria, produttiva, occupazionale, identitario-nazionale, e per correlato politico-istituzionale, che imprigionava persone e speranze.

    Anno dopo anno ci chiedevamo come sarebbe andata a finire, paventando fallimento, tracollo, miseria per l’impossibilità di far fronte alle emergenze interne e internazionali che ci attanagliavano: dall’enorme debito pubblico, che poneva la nostra sovranità tanto nazionale quanto personale in balia dello spread, agli imponenti flussi migratori, che generavano problemi sia di carattere economico sia di sicurezza, con particolare riguardo alla questione del terrorismo e del fanatismo politico-religioso; dall’estesa e pervasiva criminalità all’altrettanto estesa e pervasiva corruzione; dall’invecchiamento senza precedenti della nostra popolazione alla straripante crescita demografica mondiale; dalla limitatezza delle risorse e loro ineguale distribuzione ai livelli dell’inquinamento. Ricorderete tutto non senza ben più di un brivido, quindi non occorre ci si dilunghi nello specifico.

    La ricostruzione si articola in cinque parti.

    La prima, Fatti, ripercorre il succedersi di quegli accadimenti sotterranei, misteriosi, micidiali e insieme assidui -i Fatti appunto- che sono stati la chiave di volta per il superamento dei fattori di crisi sopra richiamati. Si tratta, è inutile dirlo, di vicende drammatiche e sanguinose, che hanno prodotto un numero di morti forse incalcolabile, ma che di sicuro oltrepassa il milione. Oltre un milione nel nostro Paese, sì, per incredibile possa risultare.

    Qualche commentatore ha tentato di etichettare gli accadimenti come pogrom, ma pogrom contro chi, se non vi è stata una specifica ostilità contro un gruppo etnico, sociale, culturale? Altri hanno parlato di guerra civile indiretta e/o liquida, ma anche qui non si è dato uno scontro tra fazioni, gruppi, partiti tesi a disputarsi il potere in nome di appartenenze ideologiche, religiose, etniche o di classe. Meno che mai si sono avuti disordini di massa, conflitti a fuoco, movimenti di truppe, militarizzazioni del territorio, costituzione di potentati locali, pronunciamenti politici, coprifuoco, legge marziale.

    No, noi abbiamo vissuto il tragico, quanto probabilmente naturale, sbocco di una società in cui l’infezione economico-finanziaria, combinata con le emergenze sopra accennate, ha raggiunto il culmine; dal che se ne ricava che i moderni prìncipi sono il saggio di interesse e il tasso di crescita demografica.

    Nello specifico del nostro Paese non si è trattato di pulizia etnica, di purga politica, di integralismo religioso, che nel loro insieme sono ascrivibili alla primitività dei conflitti di appartenenza, ma di un altro genere di spietatezza, cristallina ed essenziale: quello della normalità, e del desiderio di normalità, che opera contro il pericolo di venirne privati.

    Tale desiderio è stato soddisfatto dai Fatti, visto come il Paese ha risposto e quale slancio ne è provenuto. Il PIL è in crescita rigogliosa, con un quasi + 4% nell’ultimo semestre; il debito pubblico è sceso drasticamente e continua a scendere e il suo rating ha riacquisito una tripla A, seppure con segno meno, dopo anni di B e di B-; si registra non il pareggio di bilancio ma un considerevole avanzo; lo spread è azzerato. Insomma, il moderno prìncipe economico ha riposto la spada che brandiva contro di noi e ci gratifica del più radioso dei sorrisi.

    Contestualmente da un lato sono tornati e si intensificano gli investimenti stranieri, che costituiscono il segno inequivocabile di una credibilità internazionale, che, se mai vi era stata, da decenni era ridotta a livelli pressoché nulli; dall’altro si sono azzerati i flussi migratori diretti verso di noi a seguito della implacabile opera di dissuasione prodottasi nel Paese.

    Per tutto questo sono però occorsi i Fatti. Nessuno mai li avrebbe voluti né li vorrebbe, ma altri Paesi, nostri confinanti inclusi, li hanno presi a modello operativo tanto che, resi edotti dai nostri, possiamo osservarne agevolmente le dinamiche imitative; Paesi, s’intende, dove sono fuori controllo debito pubblico, corruzione, criminalità organizzata, flussi migratori, non quelli in cui la regina è salda in trono e ossequiata. Qual è questa regina? L’economia, a riprova che questa genera sia l’umanità che l’inumanità, la prima quando è fiorente, l’altra quando avviene il contrario.

    La seconda parte, Decisioni, riproduce in fedele trascrizione la riunione in cui il governo vigente a oltre un anno dall’avvio dei Fatti cerca di fare il punto su quanto sta avvenendo, si interroga sul da farsi e sceglie di non intervenire, ossia di adeguarsi. Sinora segretata, la trascrizione viene qui resa pubblica per autorizzazione del nuovo capo dell’esecutivo, il Governatore Generale del Paese, che intende evidenziare, come espresso nel comunicato sulla de-segretazione, -facilmente accessibile in Internet e per questo non riportato- il comportamento, e i forzati limiti oggettivi di tale comportamento, delle preesistenti autorità politiche.

    La terza parte, Analisi, si prefigge di rispondere sinteticamente alla domanda: "Perché i Fatti sono intervenuti proprio qua, in un Paese a democrazia liberale del Primo Mondo come il nostro, un Paese posto alla sommità del lato destro di quella che gli analisti definiscono la curva J, ossia situato in quell’area dove centrali sono le istituzioni non i capi di governo, meno che meno quelli carismatici e dittatoriali, e dove vigeva e tuttora vige la più ampia libertà di stampa e di organizzazione politica?" Ci si domanda per converso perché non si è potuto fare a meno dei Fatti al fine di garantire la stabilità della democrazia liberale.

    La quarta parte, Intervista, riporta la testimonianza diretta di due delle persone, un uomo e una donna, che a loro dire, ma anche concretamente dimostrandolo, sono state operative nei Fatti, in quanto hanno scelto, insieme a numerosi altri -forzatamente numerosi- di esserne parte attiva. Nei termini del codice giuridico si tratta di pluriomicidi; dal punto di vista del moderno prìncipe liberista si tratta di benemeriti responsabili.

    La quinta e ultima parte, Istituzioni, presenta il nuovo assetto istituzionale del Paese a seguito della recente modifica costituzionale, che ha appunto introdotto la figura del Governatore Generale, figura e assetto che trovano il consenso pressoché unanime dei cittadini e il pari apprezzamento sul piano internazionale.

    Annotazione finale. Anche a un lettore poco attento non sfuggirà che in questa ricostruzione si reitera un solo argomento: l’ininterrotta serie di eliminazioni, ossia di omicidi. Non potrebbe essere altrimenti, visti i numeri impressionanti in apertura indicati. Varia invece di volta in volta la prospettiva.

    Fatti

    -1-

    Sembra -oggi però, a distanza di quasi due anni- che l’inizio risalga al furgone della strage al Centro Anziani. Otto morti. Strage modesta, rispetto a ciò ch’è successo in seguito.

    Sembra: perché ci sono indizi, coincidenze, o più che altro probabilità. Una prova certa, un nome, un volto no. Svariati nomi e svariati volti sono stati proposti, venendo in breve messi da parte per mancanza di conferme o per vera e propria estraneità. Non esistono tuttora riscontri inoppugnabili su chi potesse mai trovarsi alla guida di quel furgone.

    Interessa davvero però avere il nome di quel conducente? E intentare un processo? Interessa e ancor più conviene?

    Non si tratta di porsi domande sul piano teorico del diritto, anzi dei diritti, quelli fondamentali, che di per sé sono ineccepibili e intramontabili; si tratta di sceverare la questione a livello sociale ed economico, e per correlato sul piano politico-mediatico e su quello dei sondaggi.

    Di più, in estrema e brutale sintesi: interessa sul piano della convenienza nuda e cruda? Non pare. Per come si sono evolute le condizioni economiche, non pare proprio.

    -2-

    Si è pure ipotizzato che l’inizio risalga non al furgone, ma al naufragio di un peschereccio carico di migranti avvenuto nello stesso periodo, di notte, in acque internazionali. Si disse che i morti furono più di due centinaia, ma si tratta di stime desunte dalle testimonianze, come al solito non si sa quanto attendibili, dei quattro superstiti, concordi nell’affermare che nello scafo si aprì una falla che produsse il rapido affondamento. Quali fossero le cause della falla, nessuno seppe indicarlo con certezza.

    Questa ipotesi d’inizio trova però minor credito, in quanto non fu il primo dei barconi affondati, bensì uno che si aggiungeva ai già numerosi. Inoltre l’affondamento non fu seguito da nessuno di quei commenti particolari e mirati in Rete, che iniziarono a comparire solo dopo la strage del Centro Anziani. Commenti che si limitavano a plaudire all’inabissarsi di queste sventurate imbarcazioni si erano come noto già registrati in occasione di quasi ogni precedente sciagura.

    -3-

    Ciò detto, è bene subito evidenziare che in entrambi i casi le indagini furono accurate.

    E se quelle relative all’affondamento si conclusero con la consueta apertura di un fascicolo a carico di ignoti, seguita dall’altrettanto pressoché consueto nulla di fatto, quelle relative alla strage del Centro Anziani osservarono meticolosamente i protocolli per simili dinamiche, ma non portarono a nulla. Appariva essere, quindi era, nient’altro che un incidente stradale. Grave, gravissimo e sconvolgente, ma nulla più. Non v’era occasione e movente per immaginare altro. Alla morte, ossia all’omicidio di massa, come impresa di pulizie economico-demografica chi poteva mai pensare, allora?

    Sull’asfalto, e questa venne intesa come anomalia, non fu tuttavia rinvenuta alcuna traccia, dal fanalino rotto nell’impatto a un frammento di vernice. Meno che mai tracce di frenata. Qualcosa invece doveva pur esserci! Mancando, se ne dedusse che il muso del furgone avesse un supporto protettivo, come le griglie davanti alla fanaleria di certi fuoristrada. Griglie robuste per di più: otto corpi sono otto corpi! E perché mai doveva averla, una simile protezione? Appunto per non lasciare tracce. Ma questa ipotesi poté comparire solo quando, in seguito, si presentò la necessità di una possibile teoria. Di un possibile progetto e della connessa mostruosità.

    Mostruosità: benefica, si dovette aggiungere in ambito assai riservato. Ambito politico. E beninteso anche in quello che conta più di qualunque altro, che governa e dirige qualunque altro: l’ambito economico.

    All’epoca -e, lo si ripete, sono solo due anni- nemmeno era immaginabile che fosse in atto un progetto. Uno tale, poi!

    Occorrevano numerosi e precisi elementi affinché lo si intravedesse o se ne supponesse la possibilità. Elementi che non c’erano, tranne la mancanza, anche, di qualsiasi segno di frenata.

    Perché? -ci si chiese. Chi guidava era ubriaco o drogato? In fuga non poteva essere, giacché nessuna pattuglia stava inseguendo nessuno da quelle parti. Né subito dopo l’impatto sopraggiunsero auto grintose impegnate in un regolamento di conti, peraltro fin troppo cinematografico, da malavita. Le prime che comparvero, di comuni cittadini tra cui una dottoressa, pneumologa, furono immediate a fermarsi per i soccorsi anzi. Dunque?

    -4-

    Era il 10 novembre quel pomeriggio. Piovigginava. Scarsa la visibilità. Suonavano le cinque e mezza.

    Il furgone arrivò veloce, velocissimo secondo un superstite che si era attardato per accendersi una sigaretta. Quando il fumo, paradossalmente, salva la vita.

    Sbucò dall’ampia e lunga curva che è a un centinaio di metri dall’ingresso del Centro e offre piena visibilità, accelerò, su questo concordano i pochi testimoni -il parrucchiere, la commessa della farmacia che sistemava una vetrina, un altro pensionato che stava andando al Centro per portare l’ombrello alla moglie- mirò il gruppo e, dopo averli colpiti, scomparve all’altezza del successivo incrocio con diritto di precedenza. Pure che mirò il gruppo concordano tutti. Soprattutto che lo mirò.

    Era grigio, chi dice chiaro, chi scuro; o era azzurro; o bianco, ma sporco da sembrare grigio. Di sicuro era un furgone. Che fece una strage e sparì. Veloce. Senza che nessuno riuscisse ad annotare la targa; senza che nessuno avesse la prontezza di annotare la targa. O forse ne era sprovvisto.

    Rimase in cronaca una settimana, ebbe la sua razione di titoli, di talk show, di polemiche e sfuriate, poi fu accantonato. Il dolore di parenti e amici no.

    Se anche l’inizio non fosse questo, conta ciò che è successo dopo.

    -5-

    Per quanto, rispetto a oggi, in quel punto la strada fosse senza semafori e priva di controlli da parte di polizia o vigili urbani; per quanto non si avessero videocamere di sorveglianza o dossi di rallentamento, sarebbe bastato un nonnulla, anche una semplice sbandata a seguito dell’impatto, e il furgone avrebbe potuto non dileguarsi.

    Chi guidava era deciso e sapeva guidare: lo si pensò dopo che furono scartati alcool, droga e regolamento di conti; scartati come ipotesi, non come certezza.

    Si esaminarono in contemporanea le posizioni patrimoniali dei deceduti e gli assi ereditari: poteva trattarsi di un delitto per interesse. Colpire nel mucchio per nascondere l’eliminazione di un singolo.

    Questo movente apparve subito privo di fondamento. Gli otto, dei quali tre coppie, vivevano di pensioni modeste né avevano altre proprietà al di fuori della casa, altrettanto modesta, in cui abitavano. Una coppia stava addirittura in affitto. Nessuno inoltre aveva polizze sulla vita, tranne una coppia che ne trascinava da decenni una, dal premio assai basso.

    Come accennato, le reazioni alla strage furono numerose, a vario livello e tutte sostenute da sdegno. Sdegno ben superiore alla umanità. È più facile d’altronde questo che non l’umanità: galvanizza e non impegna, addita qualcuno ma preserva se stessi. Le proposte di inasprimento delle pene per i pirati della strada si intersecarono con interpellanze parlamentari e raccolte di firme per richiedere interventi atti a rendere sicura la viabilità in zona; la fiaccolata civica fu tutt’uno col lutto cittadino il giorno dei funerali e con l’afflato a deporre fiori, preghiere, invettive, poesie sul luogo dell’impatto; la copertura mediatica procedette con le polemiche e le accuse contro tutti e tutto tipiche della Rete.

    Ma sempre in Rete, luogo dell’anonimato facile, comparve pure un Otto pensionati in meno, erario e giovani ringrazino, che accentuò lo sdegno; e accese poche, ma non pochissime, condivisioni. Ben più numerose, ma guardinghe, furono quelle private.

    E, prima anomalia, le indagini non riuscirono a risalire al server da cui partito il messaggio. Questo dato, significativo per chi sapeva indagare nel web, rimase circoscritto agli inquirenti. Ed è proprio questo dato che ha fatto propendere per la strage al Centro Anziani come inizio dei Fatti. Congratulazioni e soddisfazioni, per non scarse che fossero, relative agli affondamenti dei migranti non erano mai provenute da un server non identificabile.

    Circoscritto non rimase, né poteva rimanere, il Ringrazino, forse messo apposta per essere notato e suscitare reazioni.

    Quanto si discusse su questo congiuntivo esortativo, tra chi lo ascriveva a persona per necessità colta e chi lo attribuiva a uno dei diffusi errori ortografici del web, frutto di ignoranza o digitazione approssimativa che siano.

    Chi sapeva del dato -rimasto circoscritto, non lo si dimentichi- concernente il server non rintracciabile immagazzinò quel Ringrazino in una apposita casella; ignorava al momento che farne, ma l’intuizione di una lunga prassi inquirente consigliava questa scelta. A propria volta chi manovrava sia il furgone sia quel messaggio immagazzinò le reazioni favorevoli e contrarie. Le prime sostenevano; le seconde condannavano. Per maggioritarie che queste ultime fossero, non erano strabocchevoli.

    Dal canto loro i media amplificarono il congiuntivo, voluto o meno che fosse: basta visionarli fugacemente per appurarlo. I pensionati come ovvio si risentirono; in parlamento comparvero altre interpellanze.

    Ripetiamo: furgone, strage, congiuntivo appaiono un’inezia in rapporto a quanto è avvenuto in seguito, non meritevoli di uno spazio così ampio in questa rapida ricostruzione. Il motivo del soffermarsi sta nel loro essere il probabile inizio di tutto. Probabile, ripetiamo di nuovo, non certo. Un inizio che quasi nessuno immaginava. Ed è questo quasi che conta.

    -6-

    Prima di proseguire è opportuno un sommario accenno al contesto socio-economico, su cui torneremo più volte, donde potevano emergere simili condivisioni e da cui era emersa la strage.

    Da anni la crisi dominava la vita con mancata crescita, alta disoccupazione in particolare giovanile, altissimo debito pubblico, mancanza di investimenti interni e internazionali, in un contesto per di più di elevata tassazione e contigua evasione fiscale, litigiosità politica, costante e diffusa corruzione, forte presenza della criminalità organizzata. Mali noti,

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