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Da qui, si vede il mare
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Da qui, si vede il mare

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About this ebook

Mirabili racconti e riflessioni sulla vita Una narrazione breve, scorrevole, con contenuti profondi e senza conclusioni moraleggianti, ma che inducono alla riflessione attenta della vita e del suo valore. Storie, dove i personaggi sono realisticamente collocati e individuati, in un contesto di vita concreto e attuale. Un talento, nel racconto, è quello di eliminare tutte le parti superflue e riuscire a trasmettere al lettore un’esperienza che entra a far parte della sua, come se l’avesse vissuta, perché reale appunto. Racconti evocativi, come lo sono la poesia e i dipinti di Mirella De Cortes, che con la dolcezza dell’arte riesce a farci sognare, emozionare e riflettere. L'AUTRICEMirella De Cortes è nata a Ghilarza nel ’54, laureata in Lettere, vive e lavora a Cagliari. Pittrice e scrittrice, ha conseguito con le sue opere svariati premi letterari e riconoscimenti di critica che la rendono presente in cataloghi d’arte, in numerose antologie, riviste letterarie e in Rete. Ha pubblicato le raccolte di liriche “Dialogo fra i gatti e la luna” e “I fiori che imparano a volare diventano farfalle”. Questa è la sua prima opera di narrativa.
LanguageItaliano
PublisherAmico Libro
Release dateMay 28, 2016
ISBN9788899685126
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    Da qui, si vede il mare - Mirella De Cortes

    MIRELLA DE CORTES

    DA QUI, SI VEDE IL MARE

    AmicoLibro

    Mirella De Cortes

    Da qui, si vede il mare

    Proprietà letteraria riservata

    l’opera è frutto dell’ingegno dell’autore

    © 2016 AmicoLibro

    via Oberdan 9

    75024 Montescaglioso (MT)

    www.amicolibro.eu

    info@amicolibro.eu

    Prima Edizione

    aprile 2016

    PREFAZIONE

    Scrivere nasce dal bisogno proprio dell'uomo di comunicare, e l'arte del racconto ha una tradizione orale millenaria.

    Mirella De Cortes, poetessa e pittrice, si esprime nella dimensione del racconto proponendoci una serie di storie dove i personaggi condividono con il lettore caratteri ed esperienze della natura umana. Una narrazione breve, scorrevole, con contenuti profondi e senza conclusioni moraleggianti, ma che inducono alla riflessione attenta della vita e del suo valore.

    Storie, dove i personaggi sono realisticamente collocati e individuati, in un contesto di vita concreto e attuale. Un talento, nel racconto, è quello di eliminare tutte le parti superflue e riuscire a trasmettere al lettore un'esperienza che entra a far parte della sua, come se l'avesse vissuta, perché reale appunto.

    Racconti evocativi, come lo sono la poesia e i dipinti di Mirella De Cortes, che con la dolcezza dell'arte riesce a farci sognare, emozionare e riflettere.

    Carmen Salis

    INTRODUZIONE

    Questo libro è stato come un viaggio.

    Un viaggio durato cinque anni o forse più, uno di quei viaggi dove succede di tutto, fai degli incontri che ti cambiano la vita, impari tante cose e tante altre le dimentichi. O le perdoni.

    Ho messo tanti pensieri dentro una valigia e sono partita.

    Poi, come succede nei viaggi, la mia valigia si è riempita di tanti altri pensieri, di allegria e di tristezza, di dubbi, di speranze, di ricordi, si è riempita di quello che ho imparato e capito dell’amore e della vita ma anche quello che non ho imparato e non ho capito.

    Perché è bello coltivare dubbi e incertezze. Ti aiutano a farti trascinare un po’ dagli eventi e dall’imprevisto, a non dare nulla per scontato e ti consegnano intatto il senso avventuroso e giocoso dell’esistenza.

    E come al termine di un viaggio, poi, è bello avere un po' di nostalgia e di rimpianto, è un modo per sentirti vivo, come se ciò che hai vissuto abitasse in qualche parte del tuo essere e non fosse seppellito per sempre.

    Buona lettura, quindi.

    E buon viaggio anche a voi.

    La mia dedica

    Gianni ha scoperto di essere malato alla fine di un’estate.

    Una malattia breve, la sua, che in pochi mesi è riuscita a divorarlo. Lui, ingegnoso e brillante con tutto ciò che sapeva di numeri e programmi informatici, non ha potuto programmare il suo tempo e i suoi giorni. Amava giocare a tennis e ha perso in modo beffardo proprio la partita più importante: quella con la sua vita.

    A Gianni, che qualche anno fa ci lasciava e che di tanti racconti di questa raccolta è stato primo lettore e ottimo consigliere, va il mio ricordo e il mio grazie.

    A lui, amico e collega prezioso, è dedicato questo libro.

    "Posso fissarlo per ore il mare. Ascolto il suo respiro e provo a guardarmi dentro.

    Di fronte alla sua grandezza la mia vita è piccolissima e immensa allo stesso tempo.

             Forse non c’è nulla che mi manchi davvero, davvero nulla.

                        E allora questa è la felicità? Io penso di sì"

    L’ALTRO POPOLO DEL MARE

    L’altro popolo del mare è quello che incontri passeggiando lungomare alle prime ore della mattina, quando la spiaggia è quasi deserta e i gabbiani ti passeggiano intorno strillando in quel modo un po’ sgraziato quasi a rivendicare un posto che fino a qualche ora prima era completamente di loro proprietà. La gente che a quell’ora occupa la spiaggia non è quella del resto della giornata, è tutto un altro popolo.

    I più numerosi sono i neo-pensionati. Tutti un po’ ubriachi di libertà, tutti un po’ avidi di tempo e di sole, quello che per anni hanno goduto solo nei periodi di ferie e che ora, finalmente, possono godersi appieno. Quando incontro qualche conoscenza uno scambio di battute è d’obbligo.

    Ciao come va? Sei in ferie? Rispondo che no, oggi è domenica e anche chi non è in pensione la domenica non lavora…"

    Oh… già, sai da quando sono in pensione tutti i giorni sono uguali… anche se, non ci crederai, ma non ho il tempo di niente… E infatti non ci credo ma abbozzo un sorriso di circostanza.

    Ci sono mamme in attesa o con bimbi piccolissimi, sportivi che corrono, anziani accompagnati dalle loro badanti, persone con problemi di disabilità oppure, individui semplicemente, grassissimi o magrissimi o bruttissimi, insomma, un mondo di tutte le età, le apparenze e le taglie.

    Poi ci sono i genitori dei cani che - forse grazie alla meravigliosa legge dell’empatia - sembrano tutti un po’ parenti fra loro.

    Ci sono poi gli amanti della natura - fotografi, pittori e simili - tutta gente che in quelle ore (ma soprattutto in quelle ore) trova materiale e colori interessanti.

    Categoria a parte è quella che persevera nell’usare la spiaggia come beauty-farm: i fissati dell’aquagym. Donne di tutte le età ma soprattutto signore non più giovanissime anche se non manca qualche giovanotto anch’esso vicino alla mezza età (con la testa rasata, così il principio di calvizie o i primi capelli bianchi possono essere mascherati a dovere). Genere di persone alle quali va tutta la mia ammirazione e (sana) invidia per aver voglia e costanza di abbandonare il materasso a orari improponibili per mantenersi in forma e in salute.

    Perché adoro questo mondo delle prime ore della giornata? Perché questo popolo ti dà la reale dimensione che il mare sia di tutti e per tutti, anche chi non si sente a suo agio con il proprio corpo o con il resto dell’umanità, anche di chi possiede poco o nulla, anche di chi ama il mare ma non sa perché… "il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole" a dirla con le parole del grande Verga.

    DA QUI, SI VEDE IL MARE

    Anche questa giornata volge ormai al termine e anche oggi ho trottato come una matta: nove ore d’ufficio, visita dal dentista, ritiro degli abiti in lavanderia, un po’ di spesa, cena per marito e figli e la mia giornata forse può dirsi conclusa. Non so perché ho pensato di chiamarti. Forse perché è trascorsa già una settimana dall’ultima volta che ci siamo sentiti e, a ben pensarci, quella volta mi sei sembrato un po’ giù. L’infermiera della casa di riposo mi risponde che a quell’ora non può chiamarti perché dormi di già. Perché che ore sono? Oh, mi scusi non mi son resa conto fosse così tardi… va bene grazie, scusi ancora… richiamerò domani.

    L’indomani invece decido che andrò a trovarti. Non so se è per colpa del sogno che ho fatto stanotte, quando ti cercavo e non riuscivo a trovarti o se è per quel sottile senso di colpa che mi assale ogni volta che mi vieni in mente… fatto sta che oggi ho deciso che è proprio il caso di venirti a trovare. In fondo è trascorso tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, due mesi? Tre? È difficile ritagliare un po’ di tempo fra impegni di lavoro e di famiglia… È venerdì e, pur essendo settembre inoltrato, sembra che il tempo prometta bene, c’è anche un po’ di sole e se siamo fortunati potremo fare anche due passi lungomare.

    Mi lascio la città alle spalle e inforco la litoranea che porta alla casa di riposo dove già da tre anni hai scelto di alloggiare dopo la morte della mamma. È una bella struttura, io e mio fratello l’abbiamo scelta con cura e, infatti, si paga una retta di tutto rispetto ma tu, che hai sempre avuto la paura di non disturbare, hai ben volentieri deciso che potevi anche rinunciare alla tua pensione se questo fosse servito a non pesare su di noi.

    Ragazzi, non preoccupatevi per me, in questa casa ci sono troppi ricordi di vostra madre e non voglio che vi poniate il problema della mia solitudine. Preferisco stare in un posto dove possiate sapermi assistito e in compagnia di vecchietti arzilli come me.

    Scherzavi, perché ti è sempre piaciuto sdrammatizzare e rivestire con un po’ di ironia persino le situazioni più tristi, ma io e mio fratello sapevamo che la tua scelta era dettata soprattutto dal desiderio di non essere di peso a nessuno di noi, perché a ottantacinque anni sapevi ancora cavartela benissimo da solo e, quasi certamente, se fosse stato per te, avresti continuato ad abitare nel grande appartamento in centro città dove avevi sempre vissuto.

    Ti trovo che passeggi nel giardino nella casa con il tuo immancabile panama bianco. Da lontano mi sembri un po’ più curvo dell’ultima volta in cui ci siamo visti… Oddio dev’essere trascorso davvero più tempo di quanto ricordi. Mi fermo un attimo per osservarti in lontananza… non è che ti voglio spiare però mi capita sempre così ultimamente, un po’ come se vederti fosse un modo per farsi raggiungere dai ricordi, quei ricordi che pensi che non esistano e invece in qualche angolo nascosto della mente o del cuore continuano a vivere indisturbati. Così ti vedo curvo e l’immagine si sovrappone a quando ti vedevo curvo sulla scrivania del tuo studio, intento a correggere i compiti dei tuoi allievi o quando, curvo, ti attardavi sui vasi di gerani del nostro grande terrazzo a levare le foglie secche, a innaffiare e travasare piante.

    La prossima volta che vi vedo giocare a pallone vicino ai vasi di fiori vi buco la palla! minacciavi ogni volta che trovavi i rami spezzati, ma io e mio fratello ridacchiavamo perché sapevamo benissimo che erano solo minacce e che prima di far qualcosa che potesse darci dispiacere ti saresti fatto amputare un braccio.

    Papà non sei mica a scuola! Non ti conviene bucarci il pallone che poi ti tocca comprarcene uno nuovo! Mio fratello era sempre pratico e furbetto nelle sue risposte. E continuo a osservarti da lontano pur rendendomi conto che sono momenti che sto rubando alla tua compagnia: ti osservo mentre ti accosti all’unica panchina all’ombra del grande albero che delimita il confine del giardino, ti siedi lentamente, reclini il capo all’indietro sulla sponda della panchina e chiudi gli occhi quasi voler dormire. Puntuale, arriva l’altra immagine: stessa posizione e stessi occhi chiusi. Partiamo in vacanza – ed erano le tue trovate per intrattenere me e mio fratello e insegnarci subdolamente un po’ di geografia – chiudete gli occhi, andiamo a Roma, scendiamo dalla nave… cosa vedete attorno a voi?

    Boh… il mare.

     E come si chiama questo mare? E così via coi nomi dei fiumi, dei laghi, delle città d’Europa fino a quando ci si stufava di viaggiare, si prendeva la nave e si rientrava a casa. Qualche volta però avevi quella stessa posizione di fronte alla TV quando ti addormentavi di botto e mamma ci minacciava che se avessimo fatto baccano e ti avessimo svegliato ce le avrebbe suonate. Cosa che accadeva puntualmente. Ma noi potevamo contare sulla tua comprensione che metteva freno alle manovre punitive di mamma. Ma no… ho già dormito dieci minuti e mi basta, devo fare tante cose questo pomeriggio!

    Com’è passato velocemente il tempo, papà, vorrei dirti. Ma non dico nulla e continuo a osservarti da lontano come se una forza più grande di me mi impedisse di chiamarti e di farmi uscire allo scoperto. E in quel momento realizzo che le tue giornate, che un tempo erano una somma di impegni scolastici, familiari, di ripetizioni, di corse con noi figli che ti portavano da una parte all’altra della città, quelle giornate a volte così frenetiche e, ora che ci penso, tanto simili alle mie attuali sono diventate queste.

    Tra una panchina e una poltrona di fronte alla TV, scandite dagli orari dei pasti e l’alternarsi delle medicine. E sento che dentro di me si fa strada un rammarico per ciò che era e non è più, quasi un dispiacere per qualcosa cui non posso più metter rimedio. Vengo distolta dai miei pensieri dalle tue mosse: levi dalla tasca un piccolo libro, ti sistemi con cura gli occhiali sul naso e sprofondi nella lettura. Già. La lettura. Forse, nella tua scala dei valori l’hai sempre collocata subito dopo tua moglie e i tuoi figli. L’importanza della lettura e della cultura erano gli argomenti su cui non risparmiavi voce, sia con noi ragazzi

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