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Ricorda Solo di Respirare
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Ricorda Solo di Respirare

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About this ebook

La vita di Alex Thompson procede secondo copione. Studia Legge alla Columbia University, è concentrata sui suoi voti, sulla sua vita, sul suo futuro. L'ultima cosa di cui ha bisogno è di riallacciare i rapporti con il ragazzo che le ha spezzato il cuore. 

Dylan Paris torna a casa dall'Afghanistan gravemente ferito e sa che l'unica cosa che non può fare è trascinare Alex nel baratro in cui è precipitata la sua vita.

Quando Alex e Dylan vengono assegnati allo stesso tirocinio formativo e sono costretti a lavorare fianco a fianco sono costretti a stabilire nuove regole per evitare di uccidersi a vicenda.

Il problema è che continuano a infrangere le regole.

La prima regola è di non parlare mai di come si erano innamorati.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateSep 28, 2016
ISBN9781507137895
Ricorda Solo di Respirare
Author

Charles Sheehan-Miles

Charles Sheehan-Miles has been a soldier, computer programmer, short-order cook and non-profit executive. He is the author of several books, including the indie bestsellers Just Remember to Breathe and Republic: A Novel of America's Future.

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    Ricorda Solo di Respirare - Charles Sheehan-Miles

    5-JRTB-interior

    Ricorda Solo di Respirare

    by

    Charles Sheehan-Miles

    Traduzione di Antonia Mariani

    Table of Contents

    Ringraziamenti

    CAPITOLO UNO

    Cuori infranti e tazze da caffè (Alex)

    Una cattiva idea (Dylan)

    Niente di importante (Alex)

    CAPITOLO DUE

    Mi sentivo un impostore (Dylan)

    Piangere: Non. Deve. Succedere. (Alex)

    Le regole del gioco (Dylan)

    Capitolo Tre

    Fragole (Alex)

    Il nostro lavoro era uscire e attirare il fuoco (Dylan)

    Niente spray al peperoncino (Alex)

    CAPITOLO QUATTRO

    Fai del tuo meglio, marine (Dylan)

    Una birretta (Alex)

    CAPITOLO CINQUE

    Ricorda solo di respirare (Alex)

    Scappa subito (Dylan)

    CAPITOLO SEI

    Non vi capisco proprio (Alex)

    Fiori dall’Afghanistan (Dylan)

    Ehm sì. È meglio se vado da un medico (Alex)

    CAPITOLO SETTE

    Qualcosa per cui valeva la pena (Dylan)

    Quindi, ora che hai citato la pillola (Alex)

    Al diavolo le regole (Dylan)

    Capitolo Otto

    Lo chiamiamo Erba (Alex)

    Come sempre, gli Haji non collaboravano (Dylan)

    La mia vita è tutta pianificata (Alex)

    Capitolo Nove

    Vabbè (Dylan)

    Una coppia di struzzi (Alex)

    Dov’è andata? (Dylan)

    Mi stava proteggendo (Alex)

    CAPITOLO DIECI

    Era a quel posto che appartenevo (Dylan)

    Adesso tocca a me (Alex)

    Amici (Alex)

    CAPITOLO UNDICI

    Stai in silenzio (Dylan)

    Lascia che ti odori i calzini (Alex)

    Questa è la guerra (Dylan)

    CAPITOLO DODICI

    Mi dispiace di aver fatto uccidere vostro figlio (Alex)

    Come fai a restare così indifferente (Dylan)

    CAPITOLO TREDICI

    La tua mente è la vera arma (Alex)

    Non è un gran piano (Dylan)

    Non perdere la testa (Alex)

    CAPITOLO QUATTORDICI

    Gli errori capitano (Dylan)

    Uno può sempre sperare (Alex)

    Cosa succede adesso? (Dylan)

    CAPITOLO QUINDICI

    Si tratta di me (Alex)

    Vai a prenderla (Dylan)

    Un bravo ragazzo (Alex)

    CAPITOLO SEDICI

    Sui bigliettini? (Dylan)

    Chiedere loro di non mordere (Alex)

    CAPITOLO DICIASSETTE

    Non hai ancora finito (Alex)

    Grazie.

    Playlist di Just Remember to Breathe

    Informazioni sull’autore

    Dello stesso autore

    The Thompson Sisters

    Una Canzone per Julia (Traduzione di Ernesto Pavan)

    Ricorda Solo di Respirare (Traduzione di Antonia Mariani)

    The Last Hour

    The Thompson Sisters / Rachel's Peril

    Girl of Lies

    Girl of Rage

    Girl of Vengeance

    Thompson Sisters Novellas

    Falling Stars: A Thompson Sisters Novella

    A View From Forever

    Fiction

    Nocturne (with Andrea Randall)

    Republic: A Novel of America's Future

    Insurgent: Book 2 of America's Future

    Prayer at Rumayla: A Novel of the Gulf War

    Nonfiction

    Saving the World On $30 A Day: An Activists Guide to Starting, Organizing and Running a Non-Profit Organization

    Become a Full-Time Author: Practical tips, skills and strategies to turn your writing hobby into a career (with Andrea Randall)

    Ringraziamenti

    Grazie ai miei meravigliosi e fantastici lettori beta: Patrick Deuce the Two Cats Patriarca, Barrie Suddery, Bryan James e Jackie Trippier Holt.

    Voglio ringraziare personalmente Adriane Boyd, Tiffany King, Leslie Fear, Stephenie Thomas e tutte le ragazze della Indie Bookshelf. Grazie alla vostra disponibilità nel prendervi il rischio leggendo il libro, e invitando altri a farlo, Ricordati di respirare ha avuto molto più successo di qualsiasi altro libro che ho scritto in passato. Questo non sarebbe stato possibile se queste persone meravigliose non avessero sparso la voce. Vi devo tutto, davvero.

    CAPITOLO UNO

    Cuori infranti e tazze da caffè (Alex)

    Già dal momento in cui misi in moto l’auto di mia mamma, con la tazza di caffè ancora sul tetto, avrei potuto scommettere che quella sarebbe stata una giornataccia. La tazza, regalo carino da parte di Dylan, volò via dalla macchina fracassandosi in mille pezzi. Rimasi a bocca aperta quando la vidi cadere dallo specchietto retrovisore, mentre spargeva il mio caffè e tutti i suoi frammenti di porcellana lungo la strada.

    I miei occhi si riempirono di lacrime dolorose. Nonostante fossero passati più di sei mesi dall’ultima volta in cui avevamo parlato, nonostante mi avesse spezzato il cuore, nonostante avesse rifiutato ogni contatto e ignorato ogni mia lettera, faceva ancora male.

    Accostai e feci un respiro profondo. Dylan aveva comprato la tazza da un venditore di Gerusalemme, che ci aveva stampato su l’immagine di una nostra foto in formato digitale: c’eravamo noi due, insieme, abbracciati e immersi fino ai fianchi nel Mar Mediterraneo. Nella foto ci guardavamo negli occhi, e io avevo un’espressione incredibilmente vuota. Col senno di poi, sembravo, e mi sentivo, come se fossi sotto l’effetto di droghe.

    Ovviamente Kelly aveva passato sei mesi a ripetermi che era tempo di liberarmi della tazza. Tempo di andare avanti. Tempo di dimenticare Dylan.

    Sospirai. Kelly aveva ragione. Sì, avevamo avuto qualche problema. Sì, mi ero ubriacata, e avevo detto cose di cui poi mi ero pentita. Ma nulla di imperdonabile. Nulla che avrebbe potuto giustificare la sua scomparsa dalla faccia della Terra.

    Mi guardai allo specchio e asciugai in fretta le mie lacrime involontarie, poi riaccesi l’auto. Dopo due giorni sarei tornata a New York, al mio secondo anno di università, e avrei potuto benissimo comprare una nuova tazza da caffè. Lo avrei semplicemente aggiunto alla lunga ed esageratamente dettagliata lista delle cose da fare che mia madre aveva con così tanto impegno stilato, e che mi guardava ora dal sedile del passeggero. Una nuova tazza di caffè. Una su cui non era stampato il mio passato. Kelly ne sarebbe stata orgogliosa.

    Iniziai a mettere in moto l’auto, ma il mio telefono scelse proprio quel momento per suonare, e io non sono molto brava ad ignorarlo, così accostai di nuovo e risposi.

    Pronto?

    Parlo con Alexandra Thompson?

    Sì, sono Alex, dissi.

    Salve, sono Sandra Barnhardt, chiamo dall’ufficio degli aiuti finanziari.

    Oh, risposi, improvvisamente nervosa. Ci sono alcune chiamate che proprio non desideri ricevere il giorno prima che inizi la scuola, e l’ufficio degli aiuti finanziari era decisamente in cima a quella lista.

    Ehm…in cosa posso essere utile?

    Temo di avere delle brutte notizie. La professoressa Allan sta andando in congedo, quindi il tuo incarico di studio è stato annullato.

    Congedo a tempo indeterminato? Secondo me la professoressa Allan stava andando in riabilitazione. Ero quasi sicura che fosse una cocainomane già dal mio primo giorno di lavoro per lei. Vabbè.

    Quindi…cosa significa esattamente?

    Beh…la buona notizia è che ti abbiamo procurato un nuovo incarico. Non vedevo l’ora di sapere di cosa si trattasse. Sicuramente avrei dovuto lavare montagne di piatti in qualche mensa scolastica. Aspettai, e poi aspettai ancora. Ehm…potrei sapere di che tipo di incarico si tratta?

    Sandra Barnhardt dell’ufficio finanziario tossì, forse un po’ imbarazzata.

    Sai, è stato fatto tutto all’ultimo minuto. Ma uno dei nostri autori soci di quest’anno ha richiesto due assistenti di ricerca. Lavorerai per lui.

    Ah, capisco. Beh, almeno sembra interessante.

    Lo spero, rispose. Sei già tornata al campus?

    No, sono a San Francisco. Tornerò dopodomani.

    Oh, bene. Passa qui quando sarai tornata, così ti darò tutte le informazioni riguardanti l’incarico.

    Perfetto, risposi. Ci vediamo tra un paio di giorni.

    Ok, lo ammetto. Sembrava davvero interessante. Autore socio. Che poi, cosa voleva dire esattamente? Qualunque cosa fosse, sarebbe stato di sicuro più interessante dell’archivio del professor Allan.

    Vabbè. Devo darmi una mossa, pensai, o presto la polizia sarebbe venuta a prelevarmi. Ero seduta davanti al vialetto di qualcuno da quasi dieci minuti.

    Rientrai nell’auto per finire le mie commissioni. Era ora di organizzare gli ultimi preparativi per il nuovo anno. A partire da una nuova tazza di caffè.

    ***

    Alex!

    L’urlo di Kelly si aggirava attorno ai 125 decibel, nella parte più alta dei toni raggiungibili dalla voce umana. Il tutto era ulteriormente acutizzato dal fatto che stesse rimbalzando su e giù, come se avesse dei piccoli pogo stick, o forse dei martelli pneumatici, attaccati ai suoi piedi.

    Mi saltò davanti e mi stritolò in un abbraccio enorme.

    Oh mio Dio!, urlò. L’estate è stata così noiosa senza di te. Andremo a bere qualcosa. Adesso. Ora.

    Sbattei le palpebre, poi risposi Ehm…posso prima finire di sistemare le mie valigie?

    Mi ero alzata alle cinque di mattina per prendere il primo volo da San Francisco. Dirigersi a est significava che avrei praticamente perso l’intera giornata: il volo atterrò all’aeroporto JFK alle 16. Poi la lunga attesa per riavere i miei bagagli, per aspettare che arrivasse un taxi, e per combattere quel traffico assurdo. Ero arrivata al dormitorio alle sette di sera.

    Beh, certo!, disse. Ma non possiamo perdere tempo!

    Kelly…

    Devo assolutamente raccontarti cos’è successo con Joel. Ieri si è presentato qui senza maglietta, e…

    Kelly.

    …ha un nuovo tatuaggio. Che andrebbe anche bene, se solo…

    Kelly!, gridai.

    Si fermò, come se le avessi infilato un tappo in bocca.

    Ti prego, dissi. Sono in piedi dalle cinque di questa mattina.

    Non c’è bisogno che mi urli contro, rispose.

    Mi dispiace…è che…possiamo uscire domani? O almeno puoi lasciarmi fare un pisolino prima? Sono davvero esausta, e ho bisogno di una doccia.

    Sorrise. Capito. Certo. Pisolino. Va bene. Ma poi dobbiamo uscire per forza. Devi conoscere Bryan.

    Cosa?

    Chi è Bryan?

    Buon Dio, Alex, non hai ascoltato niente di quello che ti ho detto?

    Continuava a parlare mentre trascinavo dentro le mie borse. Volevo bene a Kelly. E si sarebbe adattata perfettamente nella mia tribù di sorelle a casa. Ma Dio mio, non poteva stare zitta per un solo secondo?

    Alla fine buttai tutte le mie valigie per terra, poi le passai accanto. Il mio letto, sfatto da quando ero tornata a casa all’inizio dell’estate, sembrava invitante. Ci crollai sopra. Kelly continuava a parlare, ma iniziavo ad avere seri problemi nel dare un senso alle sue parole. Provai ad annuire al momento opportuno, ma il mondo sbiadiva lentamente. L’ultima cosa a cui mi ricordo di aver pensato prima di perdere conoscenza era il rimpianto di aver perso quella maledetta tazza.

    ***

    Kelly mi svegliò un’ora dopo e mi spinse nella doccia.

    Mi rifiuto di avere un no come risposta, urlò. È ora di staccarti da quel cretino del tuo ex!

    Dio, era come se avesse il volume impostato al massimo.

    Non voglio dare l’impressione sbagliata di Kelly. Sì, parlava davvero troppo. È una ragazza davvero femminile, lo è in un modo in cui io non sono mai stata. Il suo lato della stanza è di un rosa disgustoso, decorato con poster di Twilight e Hunger Games, e si comporta come se avesse avuto più esperienza lei con i maschi di tutte quelle ragazze che posano nelle pagine finali del Village Voice.

    Il mio lato della stanza è pieno di libri. La verità è che sono una specie di nerd, e sono fiera di esserlo.

    Kelly, invece, è super socievole. Si mette al centro di ogni festa, balla come una donna selvaggia, e fa di tutto per trascinarmi fuori dal mio guscio.

    Il problema è che a volte non voglio proprio uscirne.

    Una volta uscita dalla doccia, mi infilai in un paio di jeans neri a sigaretta e in una maglia a maniche lunghe. Lei mi trascinò fuori. Diceva che c’era una festa da qualche parte, e che noi saremmo andate a cercarla.

    Una cattiva idea (Dylan)

    Venire qui è stata una cattiva idea.

    Se potessi tornare indietro nella catena dei se solo e risalire agli inizi, suppongo che la ragione per cui cominciai a studiare alla Columbia University è perché un giorno, quando avevo dodici anni, Billy Laughton mi diede una birra. Billy aveva un anno più di me, e forse avrebbe potuto avere una cattiva influenza se solo i miei genitori non avessero fatto di peggio. Difatti, gli effetti dell’alcol per me non avevano tanti segreti, almeno quando visti dall’esterno.

    Visti dall’interno, comunque…era un’altra cosa.

    Una cosa portava all’altra, un drink all’altro, e al mio sedicesimo compleanno abbandonai la scuola superiore. Ovviamente a quel tempo papà se n’era andato, e mamma era migliorata. Era tornata a dettare legge. Se non volevo andare a scuola, potevo tranquillamente andarmene. Non aveva intenzione di vedere il suo bambino diventare come suo marito.

    Dormivo un po’ ovunque. Anche nel parco, un paio di volte. Trovai un lavoro, lo persi, ne trovai un altro, persi anche quello. E la stramaledetta verità è che mamma aveva ragione. Tornai e mi iscrissi nuovamente a scuola. Poi mi presentai alla sua porta, le mostrai la mia iscrizione e i miei orari scolastici, lei piangendo mi permise di tornare a casa.

    Da allora successero un sacco di altre cose, naturalmente, compresi alcuni haji che mi fecero saltare in aria in Afghanistan. Ma non parlo molto di quella roba. Se volete saperne di più, basta leggere i giornali.

    Fanculo. Tanto i giornali non l’hanno mai raccontata giusta. Se davvero volete sapere com’è stato, andate subito nella vostra cucina. Prendete una manciata di sabbia. Chiudete gli occhi, mettete la mano nel tritarifiuti, e accendetelo. Così dovreste avere un’idea abbastanza realistica di com’è l’Afghanistan.

    Comunque, per farla breve, pare che la Columbia avesse un debole per i riformati emarginati e per i veterani di guerra. Quindi ero lì, era il primo giorno di scuola, e io ero represso, teso come una corda di violino, perché l’unica persona che non avrei mai voluto vedere e l’unica persona che avrei davvero voluto vedere allo stesso tempo, beh, era lì.

    Fortunatamente, l’ufficio degli Alloggi Universitari mi aveva sistemato con un paio di studenti laureati in ingegneria. Non credo che avrei resistito in un dormitorio con un gruppo di matricole diciottenni appena uscite dalle superiori. Avevo solo due anni di più, ma due anni erano un abisso di differenza. Soprattutto dopo visto il mio migliore amico ucciso davanti ai miei occhi. Soprattutto sapendo che era stata colpa mia.

    Quando tornai in città, conobbi i miei nuovi compagni di stanza: Aiden, un ventiquattrenne amante dei libri e candidato a un dottorato in ingegneria meccanica, e Ron, che si presentò come Ron White. Ingegneria chimica, e che poi sparì di nuovo nella sua stanza.

    Perfetto.

    Quindi ero lì, zoppicando lungo la strada come un vecchio, mentre il mio bastone mi aiutava a restare in piedi. Qualche stonzo figlio di papà mi urtò, nella fretta di raggiungere il suo incontro di lavoro, o la sua amante, o qualsiasi altra cazzo di cosa stesse raggiungendo. Qualunque cosa fosse, escludeva ogni forma di comune cortesia.

    Guarda dove cazzo vai, stronzo!, gli urlai dietro.

    Ero a malapena a metà strada quando la luce cambiò. Gesù mio. A proposito di umiliazioni. La maggior parte delle auto aspettarono pazientemente, ma un tassista che sembrava essere il cugino di quello che aveva fatto esplodere Roberts continuava a suonare il suo clacson. Alzai il dito medio e continuai a camminare.

    Finalmente. Una delle stanze del terzo piano era la mia destinazione.

    Ero in anticipo, ma era meglio così. Per prima cosa, mi ero già perso innumerevoli volte quel giorno, arrivano in ritardo alle mie prime due lezioni. A questa, comunque, non potevo ritardare. Non se volevo essere in grado di pagarmi il college. Ovviamente il Dipartimento dei Veterani mi pagava la maggior parte della retta, ma anche con il loro assegno un college come la Columbia costava una marea di soldi. Ancora non sembrava neanche vero che mi trovassi lì. Non ero mai stato fatto per un college, figuriamoci per uno dei più prestigiosi. Ma ogni volta che sentivo nella mia mente la dolce voce di mio padre dire che ero solo una piccola merda che non avrebbe mai raggiunto niente, mi spingevo avanti.

    L’ascensore, costruito probabilmente nel diciannovesimo secolo, raggiunse finalmente il piano terra, e io entrai. La maggior parte degli altri studenti nell’edificio utilizzavano le scale, ma io avevo decisamente bisogno di quell’aggeggio se volevo arrivare al terzo piano prima di sera.

    Aspettai pazientemente. Primo piano. Secondo piano. Sembrava che l’ascensore ci mettesse cinque minuti per andare da un piano all’altro. Finalmente si fermò al terzo piano, e io mi feci strada tra la gente ammucchiata nell’ascensore.

    Anche il corridoio era affollato. Dio mio. Ci sarebbe voluto un sacco di tempo per abituarmi a quel posto. Mi guardai attorno, provando a individuare i numeri delle aule. 324. 326. Iniziai a orientarmi, e mi diressi verso la direzione opposta, cercando la 301.

    Finalmente la trovai, nascosta in un angolo buio al lato opposto dell’edificio. Il corridoio laggiù era buio, una delle luci neon si era bruciata. Raggiunsi la porta.

    Chiusa a chiave. Controllai il mio telefono. Ero in anticipo di quindici minuti. Potevo farcela. Meglio di quindici minuti di ritardo. Lentamente, feci scivolare il mio zaino sul pavimento, e provai a capire come fare ad andare là sotto senza finire capovolto o qualcosa del genere. Iniziai ad avanzare per farmi strada, trascinando la mia gamba molle. A metà strada, sentii un dolore acuto, e bestemmiai a denti stretti. Mi misi le mani sui fianchi, a palmo largo, e mi lasciai cadere.

    Seduto. Ora tutto stava nel rialzarsi. Massaggiai delicatamente il muscolo sopra il ginocchio destro. I dottori del Walter Reed dicevano che ci sarebbero voluti anni prima che ne recuperassi la piena funzione. Se mai l’avessi recuperata. Nel frattempo, facevo fisioterapia tre volte a settimana, m’imbottivo di antidolorifici, e andavo avanti.

    Sospirai. Era stata un giornata lunga e stressante. Continuavo a domandarmi se avrei fatto meglio a starmene a casa, aspettando che passasse un altro anno prima di avventurarmi fuori. Il dottor Kyne mi aveva invitato ad uscire.

    Non recupererai mai se te ne resti rinchiuso in casa. Non parlava della gamba. Il dottor Kyne era il mio psichiatra del Dipartimento dei Veterani di Atlanta.

    Suppongo che sapesse di cosa stava parlando. Nel frattempo, bastava vivere un giorno alla volta, un’ora alla volta, un minuto alla volta. Quel momento. Pensare solo a superare quell’istante. Poi l’istante successivo. Tirai fuori un libro, malridotto, un tascabile semi strappato che Roberts mi aveva prestato prima di venire spazzato via. L’ombra dello scorpione di Stephen King.

    È il migliore libro di sempre, aveva detto Roberts.

    Non sono sicuro che fosse chissà cosa, ma devo ammettere che non era male. Ero immerso nel bel mezzo della lettura, mi trovavo allo scoppio della super influenza, quando sentii dei passi che si avvicinavano. Producevano un fastidioso ticchettio. Una ragazza, indossava un paio di tacchi, o zeppe, o qualcosa del genere. Mi imposi di non guardare in alto. Non avrei comunque avuto voglia di parlare con nessuno. Non mi sentivo molto socievole. E poi, il mio istinto era quello di guardare tutti, di tenere d’occhio le tasche, i vestiti ampi, i cumuli di spazzatura ai lati della strada e tutto ciò che potesse rappresentare un pericolo. La sfida era non guardare. La sfida era vivere la mia vita così come tutti gli altri. E tutti gli altri non avrebbero guardato a delle ragazze che si avvicinavano come se fossero una fonte di pericolo.

    Cosa posso dire? Mi sbagliavo.

    Oh mio Dio, sentii mormorare. Qualcosa dentro di me riconobbe il tono e il timbro di quella voce, e alzai lo sguardo, mentre il mio viso arrossiva improvvisamente e iniziavo a sentire il mio battito nelle tempie.

    Dimenticandomi della gamba molle, provai a saltare in piedi. Invece, finii in piedi solo per metà, poi la gamba cedette. Come se fosse stata mozzata, non lì. Caddi sul lato destro, ed emisi un urlo quando sentii un dolore intenso e acuto trafiggermi la gamba e arrivare fino alla colonna vertebrale.

    Porca puttana!, balbettai.

    Mi spinsi in posizione più o meno verticale, poi appoggiai una mano al muro e l’altra sul mio bastone, provando a sollevarmi.

    La ragazza dei miei incubi scattò in avanti e provò ad aiutarmi.

    Non mi toccare, dissi.

    Si ritrasse di scatto, come se l’avessi schiaffeggiata.

    Finalmente ero in piedi. Il dolore non diminuiva, e io sudavo freddo. Non la guardai. Non potevo.

    Dylan, disse, con voce tremante.

    Grugnii qualcosa. Non so cosa, ma non era un verso molto civile.

    Cosa ci fai qui?, mi chiese.

    Finalmente la guardai. Oh, cazzo, doveva esserci un errore. I suoi occhi verdi, che mi avevano sempre risucchiato come se fossero due dannati vortici, erano enormi, come delle piscine. Emanava il suo leggero profumo di fragola, stordendomi, e il suo corpo catturava ancora la mia attenzione: minuto, con le curve al posto giusto; come sempre, era da sogno.

    Ho un appuntamento, risposi.

    Qui?, chiese.

    Annuii. Incarico di studio-lavoro, dissi.

    Iniziò a ridere, una risata triste, amara. Avevo già sentito quella risata.

    Dev’essere uno scherzo, rispose.

    Niente

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