Il profumo dei ricordi
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Book preview
Il profumo dei ricordi - Annalisa Caravante
Indice
Ringraziamenti
Chissà se avrò lo stesso coraggio
Lei è tua figlia e deve sapere
Fu subito un rumore di carta e strappi
Non fare l'eroe e porta le gambe intere a casa
Che tempi quelli!
Tuo figlio è uno scavezzacollo
Dovevamo infoltire l'armata sui monti
Queste pinze non tagliano!
La guerra non può giustificare tutto
È morta
C'erano solo sassi e un fiume con ponti di pietra
Epilogo
Biografia
Fonti letterarie
Note
A N N A L I S A C A R A V A N T E
Il profumo dei ricordi
Youcanprint Self-publishing
A Laura del blog La biblioteca di Eliza
Ringraziamenti
Grazie ai lettori, ai miei amici e alla mia famiglia.
Un grazie particolare a Tatiana Sabina Meloni per tutto il lavoro svolto nella ricerca e nell'elaborazione dell'immagine per la prima copertina (antecedente all'attuale) e a Richard D. Sheaff per averci concesso l'utilizzo della sua immagine come copertina (sempre per la prima copertina).
Grazie agli amici del gruppo USE (Unione scrittori emergenti).
Alla mia cara sorellina di penna Moka che ha scelto il titolo del seguente romanzo e l'immagine della seconda copertina.
Autore | Annalisa Caravante
Autore | Annalisa Caravante
Titolo | Il profumo dei ricordi
ISBN | 978-88-92602-54-0
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Marco Biagi, 6 - 73100 - Lecce
info@youcanprint.it
www.youcanprint.it
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© Il profumo dei ricordi – 2015 Annalisa Caravante
Copertina: autore Alfio da www.fotolia.com
Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale. L'opera nasce dalla fantasia dell'autrice.
La guerra è una realtà senza parole, una tragedia senza poeta
Matilde Serao
Ogni cuore che canta, serba un sogno
Incupiti nei soprabiti neri, se ne stavano silenziosi ai loro posti, li guardavo ed erano figure smorte, dai volti rugosi e mani callose. Contadini che spesso osservavano me e Nora, ravvisando in noi visi stranieri. Solo ogni tanto durante il percorso è salita sulla corriera una persona giovane, l'ultima è stata una maestrina che andava al paese vicino per raggiungere la scuola. Anche io sono una maestra, ma subito dopo gli studi è iniziata la guerra e ora sono qui, a Napoli, con la mia amica per prepararci al lavoro di crocerossina. Non so cosa ci riserverà quest'avventura, ma qualcosa in me mi ha detto di partire, nonostante i pareri contrari dei miei genitori.
La corriera saltellava spesso, la strada che attraversava era polverosa e sassosa. Siamo partite con entusiasmo, senza badare neppure a dove saremmo sbarcate e per raggiungere Napoli, abbiamo dovuto trascorrere altre ore di viaggio. Mi sono persa a contemplare dai finestrini gli alberi, le pianure, le colline e i filari di vite, l'uva all'ombra dei verdi pampini sfumati di rosso per l'autunno in arrivo. Oggi ho visto l'Italia per la prima volta, la terra dei miei nonni. È bella l'Italia. Mi piace. È come se ci fossi già stata.
Io e Nora siamo arrivate a Napoli a sole quasi basso; ci ha accolte una vivacità di colori e voci e un profumo invitante che proveniva da una vetrina: paste di mandorle, biscotti alla frutta, sfogliatelle! Ah, le sfogliatelle! Io e Nora non ce le siamo fatte scappare. Ho visto poco di questa città perché, data l'ora, ci siamo recate subito all'ospedale degli Incurabili. Qui ci hanno dato una stanza da dividere in due, ma dobbiamo incontrare ancora il professore. Domani inizia la preparazione, da maestre diventeremo infermiere volontarie e spero di essere brava, così d'aiutare i poveri soldati al fronte. Il fronte! Come suonerà questo vocabolo nella testa di chi deve andarci per obbligo? A me fa paura. Quante donne, quante mamme avranno il proprio figlio al fronte? Per loro diventerà un tormento.
La Grecia è fuori dal conflitto per la sua forte divisione interna, ma Creta è greca da appena due anni e io mi sento libera di decidere chi aiutare. Ho scelto l'Italia perché parlo bene l'italiano e gli italiani mi sono molto simpatici.
Carlo voltò la pagina sfregando appena i polpastrelli sulla carta. Amava quel suono, amava l'odore di quel diario. – La mia Fenni. – sussurrò. Fissò la porta del suo studio, seduto su una sedia di broccato rosso, muovendo appena il piede avanti e indietro, ma Fenni non avrebbe più varcato quella soglia, non gli avrebbe più poggiato la vestaglia sulle spalle nelle fresche serate autunnali. Fenni lo aveva lasciato da anni, oramai, ma con un grande regalo, il più bello che una moglie possa donare al marito: una figlia.
Carlo abbandonò i ricordi e raggiunse la finestra. Uno squarcio di cielo rosa che sfumava nel blu pastello del tramonto gli diede un attimo di pace.
* * *
Fenesta vascia 'e padrona crudele, quanta suspire mm’haje fatto jettare! Mm’arde stu core, comm’ a 'na cannela, bella, quanno te sento annommenare! Oje piglia la 'sperienza de la neve! La neve è fredda e se fa maniare... e tu comme si' tanta aspra e crudele? Muorto mme vide e nun mme vuó' ajutare!
¹
Si elevava nell'aria del primo mattino il dolce e triste canto di una voce, insieme al vapore acquoso del selciato che s'asciugava al sole; sulla pavimentazione nera del vicolo saltellarono le ruote di un vecchio carretto. Le mummare s'urtarono appena, strisciando tra loro il dorso di terracotta.
– Nonna diceva sempre, – ricordava Claudia coi gomiti sul davanzale e le mani alle guance – i sogni, devi farli volare, solo così incontreranno il loro cielo e le canzoni sono l'espressione dei desideri più intimi. Ogni cuore che canta, serba un sogno e vede nell'andare delle note l'esaudimento di quanto ha chiesto alla vita.
Se lo ripeteva anche quel giorno, la piccola Claudia, affacciata alla finestra a cercare il cielo tra i palazzi alti del corso. Sentiva il lento svegliarsi della città, intravedeva distrattamente i cappelli delle donne. Gioiva del vocio della strada, dei bambini, dei grandi, della vita che lasciava il rassicurante giaciglio per immettersi nelle vie e nelle trame di luce del nuovo giorno.
Claudia rise: Eccolo, sta arrivando
. Si sporse ancora un po' e acuì la vista in cerca di lui, la cui voce si arricchiva di altre parole appassionate. – Vurría addeventare nu picciuotto, cu 'na langella a ghire vennenn'acqua, pe' mme ne jí da chisti palazzuotte: Belli ffemmene meje, ah! Chi vo' acqua...²
Il carretto spuntò dal vicolo come tutte le mattine. Chissà quale pena avrà nel cuore!
si chiese Claudia stringendo le mani al davanzale e seguendo il trotto fin sotto la sua finestra; il garzone alzò lo sguardo, occhi neri e solari, lei lo salutò col cenno della mano, lui sollevò la coppola e le sorrise. Riprese il passo e se ne andò.
Oh mio signore, come si chiama? Come ti chiami, bel garzone?
si domandò la giovane. Domani glielo chiederò
si diceva sempre, ma tentennava e rinunciava ogni volta, per paura di distruggere quel rito solenne, nato per caso una mattina: lei s'era affacciata per sentire chi cantasse e istintivamente gli aveva sorriso.
La sua finestra, in fondo, non era tanto alta, non doveva alzare molto la voce, poteva provarci magari il giorno dopo. Forse avrebbe potuto aspettarlo in strada perché i suoi grandi occhi erano un po' deboli e lei non lo aveva mai visto bene in volto.
– Fenesta vascia 'e padrona crudele, quanta suspire mm'haje fatto jettare!...³ Oh, mi sento proprio io tanto crudele che dalla mia finestrella non riesco a chiedergli il nome. Che cosa penso? Che se la possa prendere per questo? E allora, se fosse così, non mi saluterebbe tutte le mattine.
– Claudia.
Suo cugino la chiamò dall'uscio della stanza. Lei si voltò e ammirò l'alta figura del ragazzo; Marcello tese la mano e disse: – Vieni, tesoro, tuo padre vuole parlarti.
Claudia restò immobile per alcuni secondi, attaccata ancora con le mani al marmo, poi lasciò la finestra. Non udiva più il canto e il garzone del vino era già sparito all'orizzonte.
– Signorina Claudia, gli occhiali! – Amanda, la sua tata, la richiamò dal piano terra e le fece segno d'indossarli; lei scese le scale di marmo, fiancheggiate da una balaustra di ferro battuto, le cui gretole si contorcevano a formare fiori e foglie, e le si fermò davanti con il sorriso di chi la sa lunga.
– Dopo li indosso. Ti prometto che li indosso. – le fece un occhiolino.
– Sempre dopo, sempre dopo. – replicò Amanda.
Claudia e Marcello entrarono nello studio di Carlo De Santis, una stanza un po' triste perché esposta su una via perennemente senza sole, dove le grandi finestre, decorate da pesanti tende, accoglievano solo la brezza mattutina o lo scirocco umido. Qua e là nella stanza riluceva il biancore dei mobili scolpiti nell'avorio e nell'aria fluttuava il profumo dei libri, che nelle sue sfumature più profonde diventa simile a quello di un Ottobre inoltrato, quando l'autunno ha spogliato i rami e ha svuotato i campi prima dell'arrivo della neve. Le librerie li circondavano, tutto attorno alle pareti, con grosse mensole d'avorio dove c'erano tanti libri, molti dei quali odoravano di un tempo lontano con una legatura bruna e dorsi polverosi.
La scrivania era quasi sgombra, c'era solo qualche foglio, prudentemente salvato da un fermacarte e una cornice; la scrivania con i