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Una grande avventura intellettuale: Piccola storia della matematica per insegnanti curiosi
Una grande avventura intellettuale: Piccola storia della matematica per insegnanti curiosi
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Una grande avventura intellettuale: Piccola storia della matematica per insegnanti curiosi

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Una grande avventura intellettuale. Piccola storia della matematica per insegnanti curiosi (il titolo rappresenta un omaggio a Dirk J. Struik e il sottotitolo ad Egmont Colerus, entrambi insigni storici della disciplina) si fonda sulla convinzione che uno dei tanti motivi per cui, in ambiente scolastico, la matematica risulta talvolta ostica agli allievi, soprattutto a quelli più giovani, deriva dal fatto che viene loro presentata, dagli insegnanti "poco curiosi", quale un insieme di regole, di procedure, di asserzioni piovute dal cielo, figlie di nessuno, senza alcun legame con le persone e la loro storia. D'altra parte, anche a tali insegnanti, quando erano scolari, la matematica è stata insegnata così, come se fosse una sentenziosa orfanella la cui sapienza viene chissà da dove. Il libro intende aiutare gli "insegnanti curiosi"- quelli che credono di conoscere una volta per tutte la disciplina che insegnano - a saperne di più riguardo alla genesi storica e geografica della matematica, così da poterla illustrare agli allievi in maniera più narrativa e dunque più dilettevole ed inserita nel più complessivo sviluppo della società e del pensiero umano.

Maria Paola Nannicini e Stefano Beccastrini sono sposati da oltre quarant'anni e scrivono articoli e libri assieme da almeno trenta (soprattutto testi di educazione ambientale, sanitaria, scientifica, civica, storica, geografica). Pedagogista lui, insegnante di matematica lei, le più recenti opere scritte in comune riguardano la matematica: la sua didattica, la sua storia, la sua filosofia nonché i suoi rapporti con altri campi del sapere quali la geografia, la letteratura e il cinema.
LanguageItaliano
PublisherDigital Index
Release dateSep 25, 2014
ISBN9788897982852
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    Una grande avventura intellettuale - Stefano Beccastrini

    Stefano Beccastrini

    Maria Paola Nannicini

    Una grande avventura intellettuale

    Piccola storia della matematica per insegnanti curiosi

    Prefazioni di Silvia Sbaragli

    collana Risorse Ditattiche Digitali

    DIGITAL DOCET

    Collana Digital Docet: Risorse Didattiche Digitali

    Diretta da Silvia Sbaragli

    La collana presenta studi e proposte derivanti dalla didattica delle diverse discipline tesi a fornire agli insegnanti in formazione iniziale ed in servizio, di tutti i livelli scolastici, una lettura utile per acquisire professionalità e per interpretare le situazioni d’aula. I contributi presentati hanno un forte carattere sia teorico sia empirico e puntano sulle riflessioni di ricerca che si trasformano in strumenti efficaci per la realizzazione di buone situazioni di insegnamento-apprendimento.

    www.digitaldocet.it

    Stefano Beccastrini, Maria Paola Nannicini

    Una grande avventura intellettuale - Piccola storia della matematica per insegnanti curiosi

    Prefazione di Silvia Sbaragli

    Collana Digital Docet: Risorse ditattiche digitali

    © Digital Index Modena www.digitalindex.it

    ISBN 9788897982852

    www.digitaldocet.it/storia-della-matematica-per-insegnanti-curiosi

    Nell'eventualità che citazioni o illustrazioni di competenza altrui siano riprodotte in questo volume, siamo a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire: info@digitalindex.it

    Prefazione

    di Silvia Sbaragli

    Il titolo del libro Una grande avventura intellettuale. Piccola storia della matematica per insegnanti curiosi sintetizza a pieno il contenuto del libro, dove viene proposto un dotto cammino della storia della matematica a partire dalle sue origini, concentrandosi in particolare sulla matematica antica fino ad arrivare alla matematica moderna, con domande curiose di oggi e di ieri.

    Sono diversi gli autori nel campo della matematica e della sua didattica che sostengono che conoscere solo la matematica non serve, se non si ha il senso della evoluzione del pensiero matematico. Per ottenere tale competenza, la storia e l'epistemologia della matematica rivestono un ruolo fondamentale.

    Da questo punto di vista, il libro di Paola e Stefano può rappresentare per diverse tipologie di lettori una grande avventura intellettuale in quanto, seguendo il filo conduttore della storia della matematica, intesa come analisi critica della evoluzione delle idee, vengono aperte importanti riflessioni che toccano ricchi e diversificati aspetti legati alla didattica, epistemologia, neuroscienze, filosofia, arte, cinema, etica, narrativa ecc.

    Il libro inizia con un'ambientazione fantastica tramite Le avventure di Pinocchio di Collodi che trova un immediato collegamento con la bellezza, universalità e utilità della matematica, disciplina paragonata alla Cenerentola del sapere. Nel parlare di lato umano della matematica, gli Autori mostrano un affresco di Raffaello Sanzio del 1509-1510, dal titolo Scuola di Atene, dove tra gli altri personaggi viene rappresentato Pitagora che insegna ai propri allievi. In questo modo Paola e Stefano creano un primo significativo collegamento con il mondo della didattica della matematica, disciplina che accompagna le riflessioni dell'intero testo. Il libro continua con cenni all'arte fiamminga, all'interrogarsi filosofico, al collegamento tra neuroscienze e abilità matematiche, a collegamenti geografici ecc., seguendo lo sviluppo storico dell'ambito aritmetico e geometrico in diverse civiltà. Il testo termina con l'immagine di Anna Frank e con il suo famoso diario, nel quale la ragazza esprime la paura della matematica. A questa costatazione, i due Autori fanno riferimento per augurare a tutte le future generazioni di incontrare insegnanti che riescano a fare amare questa disciplina e a farne percepire la notevole implicita a volte recondita bellezza.

    Questo testo non è quindi solamente adatto ad un pubblico di insegnanti di qualsiasi livello scolastico, che voglia cogliere l'apertura che la storia della matematica può fornire in classe, ma anche a un qualsiasi lettore che voglia piacevolmente gustare importanti e colte riflessioni che esulano solo in apparenza dal mondo della matematica. Le considerazioni presenti esplicitamente o implicitamente nel testo possono avere diverse finalità, tra le quali vanno ricordate: favorire motivazione allo studio della matematica, mediante la contestualizzazione nel sociale (storico, geografico, linguistico, ...); rendere tale disciplina più umana, facendo percepire all'interlocutore che la matematica è stata fatta dall'uomo per l'uomo ed è quindi ricca di riferimenti in senso sociale e culturale; far percepire che il progresso tecnico e formale della matematica sono il risultato di una continua revisione di senso e significato che la matematica cerca all’interno di sé stessa, facendo cogliere al lettore che la matematica è una disciplina in perpetua evoluzione.

    Questi aspetti risultano cruciali soprattutto per i docenti dei diversi livelli scolastici che devono compiere la trasposizione didattica, impostando una trasformazione dal sapere accademico a quello più adatto per i propri allievi. Ciò può avvenire, però, solo se l'insegnante è in possesso di strumenti per scegliere e decidere con creatività, coerenza e consapevolezza il percorso più efficace sulla base di profonde e critiche convinzioni e riflessioni maturate sulla disciplina di riferimento.

    Tali importanti strumenti possono essere forniti da questo piacevole testo, strutturato su un'efficace integrazione delle visioni: culturale e didattica/professionale della matematica, auspicata da diversi autori, tra i quali Speranza (1997) e D'Amore (2012), e che ci auguriamo che tutti i lettori possano percepire e dominare.

    Bibliografia

    D’Amore B. (2012). Cosa serve per diventare buoni insegnanti di matematica? In: Bolondi G. (ed.) (2012). Perché studiare la matematica. Milano: Pearson. 131-162.

    Speranza F. (1997). Scritti di Epistemologia della Matematica. Bologna: Pitagora.

    La matematica è

    una grande avventura intellettuale,

    nella sua storia si riflettono

    alcune delle idee più profonde e sublimi

    di generazioni e generazioni di uomini.

    Dirk J. Struik

    Mi è sempre piaciuto capire e far capire.

    e credo che questo si senta.

    Mi fa piacere vedere il viso di qualcuno

    illuminarsi alla luce delle spiegazioni.

    Laurent Schwartz

    A Emma Castelnuovo

    e Lydia Tornatore,

    con gratitudine ed affetto.

    Introduzione

    Nel capitolo XXVII de Le avventure di Pinocchio, Collodi racconta che il burattino, recandosi a scuola carico di libri, incontrò dei ragazzacci che lo convinsero ad andare con loro alla spiaggia. Colà nacque una rissa, combattuta tirandosi proprio i libri. Uno dei ragazzacci scagliò contro Pinocchio un volume particolarmente pesante che colpì, per sbaglio, un bambino di nome Eugenio, quasi ammazzandolo. Essendo Pinocchio il proprietario del volume, i carabinieri lo arrestarono. Il libro era un manuale di matematica e più precisamente di Aritmetica.

    La rissa sulla spiaggia

    Perché a Collodi non venne in mente di farlo essere, invece, un manuale di grammatica o di geografia? Perché la matematica, aritmetica compresa, è considerata la materia più pesante per gli studenti, tanto da ammazzare, o quasi, un bambino che si scontri con un tomo ad essa dedicato. Non neghiamo che la matematica possa risultare talvolta anche pesante: apprendere la matematica può essere faticoso, così come lo è l’apprendere seriamente qualunque altra disciplina. Lucio Lombardo Radice, illustre matematico italiano del ‘900, ebbe a scrivere: Per comprendere la matematica occorre far funzionare il cervello e questo costa sempre un certo sforzo (Lombardo Radice, 2003, pag. 17).

    Lucio Lombardo Radice

    Il problema è che, purtroppo, tale sforzo viene ingigantito, a scuola, da pregiudizi pedagogici ed errori didattici. Essi non favoriscono, anzi ostacolano, il passaggio dei ragazzi dall’intelligenza matematica spontaneamente presente nella loro mente fin dalla nascita a quelle forme superiori di ragionamento astratto che nella loro mente prenderanno vita e sviluppo soltanto se qualcuno, con competenza educativa, offrirà loro una mano, esperta ed efficace. Quella che è stata chiamata da alcuni Autori, per indicare le abilità matematiche di un bambino prescolarizzato, protomatematica (Caldelli, D’Amore, Giovannoni, 1984), diventerà matematica vera e propria soltanto attraverso un percorso educativo sapientemente guidato. D’altra parte, apprendere la matematica è cosa utile e bella. D’Amore sostiene che c’è matematica dappertutto (D’Amore, 2007) e quindi non aiutare i ragazzi a conoscerla sarebbe come avviarli a vivere in un mondo di cui padroneggiano soltanto una piccola parte, quella – ma esiste? – che fa a meno della matematica. Per mostrare l’importanza della propria disciplina a una giovane amica, il matematico inglese Ian Stewart, nel suo Com’è bella la matematica, le spiega quanto sia rilevante, seppure non sempre appariscente in quanto la matematica è una factotum discreta e riservata, il ruolo non soltanto scientifico ma anche sociale di essa (Stewart, 2006). La matematica è dappertutto ma, verrebbe da dire, se ne sta umilmente celata. Stewart ha proposto di attaccare un’etichetta rossa su tutto ciò che, intorno a noi, utilizza la matematica. Su tali etichette conviene scrivere Contiene matematica: scopriremmo così che tutta la nostra casa, la strada che percorriamo ogni giorno, l’automobile con cui ci muoviamo, eccetera eccetera, sarebbero coperte da etichette rosse. E così il nostro computer, il telefono, persino la carne e la verdura che mangiamo (lo mostra Enrico Giusti in Matematica in cucina, Giusti, 2004). La nostra vita, insomma, è fatta tutta quanta di matematica. Ce ne accorgiamo poco in quanto la consideriamo come un’umile servetta che sta silenziosa in cucina o in lavanderia invece che in sala da pranzo a conversare con noi. È tempo di osservare meglio questa modesta ancella, scoprendo alfine che ella – come accade nelle favole – non soltanto appare indispensabile ma persino bellissima. La matematica, insomma, è la Cenerentola del sapere cioè la più bistrattata ma anche la più brava e modesta, buona e bella, tra le discipline in cui è articolata la conoscenza umana.

    Cenerentola

    Come Cenerentola, e forse aiutata anch’essa da una fatina dai capelli turchini somigliante a quella di Pinocchio e denominata Didattica, la povera matematica merita di essere amata da quel principe azzurro che è ciascuno dei nostri allievi. Il matematico francese Serge Lang sostiene che la matematica non è fatta semplicemente di numeri, come la musica non è fatta semplicemente di note. Proprio perciò, come alla musica, anche alla matematica ci si può appassionare (Lang, 1991, pag. 261). Uno dei compiti degli insegnanti è certamente quello di accendere tale passione. Per dar loro una mano, abbiamo scritto questo libro. Gli insegnanti, dopo averlo letto, potranno usarlo tutte le volte che lo riterranno opportuno nella maniera che vorranno.

    Ha scritto Seymour Papert, matematico, informatico e pedagogista:

    "Se si vuole studiare, il migliore modo di imparare a farlo è vedere qualche esperto che lo fa. I bambini vedono gli insegnanti studiare? Mai. Perché gli insegnanti non studiano, insegnano. La cosa più importante che potrebbe fare un insegnante è essere un buon scolaro, imparare nuove cose insieme ai bambini ... Uno dei grandi problemi per le scuole è che sono, per apprendere, cattivi posti per i bambini in quanto sono cattivi posti per i maestri ...". (Papert, 1994, pag. 75).

    Possiamo incominciare, anche utilizzando la storia della matematica, a far diventare le nostre scuole "buoni posti per apprendere" per tutti: docenti, allievi, genitori degli allievi e autori di libri come questo.

    1. Questioni di metodo

    1.1. Il lato umano della cosa

    Nella Scuola di Atene, visitabile in Vaticano, Raffaello rappresentò Pitagora mentre insegnava ai propri allievi. Egli non soltanto fu un geniale filosofo e matematico ma anche un maestro capace di suscitare nei discepoli motivazione ad apprendere, senso di appartenenza alla scuola, devozione al maestro medesimo. L’insegnare una disciplina è sempre connesso alla passione per, e alla conoscenza di, essa. La passione e la conoscenza sono fattori necessari, però non sufficienti, per insegnarla come si deve.

    Pitagora dipinto da Raffaello

    Occorre, infatti, della disciplina insegnata, padroneggiare anche la didattica ossia saperne comunicare ai ragazzi concetti e nozioni in modo da renderne più produttivo, da parte loro, l’apprendimento. Ciò vale anche per la matematica. Bruno D’Amore ha spesso ribadito che siamo passati, in matematica, dai problemi del suo insegnamento a quelli del suo apprendimento (D’Amore, 1999). Sempre più numerosi sono gli insegnanti che vanno ad aggiornarsi sulla didattica della matematica, non illudendosi – così facendo – che l’esperto di turno offra loro la formula magica per saper insegnare ma sperando invece di trovare proficui orientamenti sugli intricati nessi che legano l’insegnamento all’apprendimento, la comprensione alla motivazione, l’epistemologia della disciplina alla sua acquisizione scolastica. Nel suo Come vincere la paura della matematica, la politologa americana Sheila Tobias sostiene che occorre apprendere il gusto di leggerla e di leggerne le vicende nonché di parlarne con piacere (Tobias, 1999). È proprio ciò che non riusciva a fare la maestra Vera, personaggio descritto da D’Amore in un suo articolo (D’Amore, 1987). Ella, quando passava dall’insegnare ai ragazzi tutte le altre discipline all’insegnare loro la matematica, s’irrigidiva, diventava noiosa e dogmatica, persino antipatica. Perché? Perché risentiva di quella che lo stesso D’Amore ha più volte stigmatizzato come l’impreparazione cronica, nei confronti di questa disciplina, del nostro Paese (D’Amore, 1999). Così, la maestra Vera finiva con il mascherare il proprio disagio assumendo un antipedagogico atteggiamento cattedratico. Questo libro è stato scritto per aiutare gli insegnanti, a partire da quelli della scuola primaria, a non diventare mai altrettante copie conformi della maestra Vera bensì a divertirsi, e a divertire gli allievi, nell’aiutarli ad apprendere la matematica. In un libro dedicato a cosa sta dietro le formule, Tagliasco e Vincenti hanno affermato:

    In generale, la matematica è raccontata male ... (e) ... gli insegnanti ... mostrano spesso un vero talento nel rendere noioso quello che è interessante, (Tagliasco, Vincenzi, 1998, pag. 16).

    Perché lo fanno? Per rimanere antipatici? Per gioire nel tormentare i ragazzi? Più probabilmente perché tutte queste considerazioni chiamano in causa la storia, quella della matematica e quella più generale alla quale anche le vicende della matematica hanno preso e continuano a prendere parte. La storia della matematica è tuttavia ignorata da buona parte degli insegnanti, cui nessuno l’ha a sua volta insegnata. La storia è l’aspetto più umano dell’umano sapere: a qualunque disciplina tale sapere appartenga, infatti, esso è storicamente – e dunque anche geograficamente – connotato e collocato. Come hanno scritto tre storici della matematica, all’inizio del loro Fonti per la storia della matematica, una delle motivazioni della presunta aridità della matematica è la mancanza di nozioni storiche nel suo insegnamento. Formule, regole e teoremi non sembrano avere un preciso autore e mal si collegano alle vicende umane" (Bottazzini, Freguglia, Toti Rigatelli, 1992, pag. V).

    Giovanni Vailati

    Ciò era già chiaro nell’Ottocento a un grande filosofo italiano, Giovanni Vailati, che fu anche insegnante di matematica nella scuola:

    A nessuno che abbia avuto occasione di trattare a scuola, davanti a dei giovani, qualunque soggetto che si riferisca alla ... matematica può essere sfuggito il rapido cambiamento di tono che subisce l’attenzione e l’interessamento degli studenti ogni qualvolta l’esposizione ... lascia luogo a delle considerazioni d’indole storica... (Vailati, 1957, pag. 53).

    Insomma, quando la matematica è insegnata anche tramite la propria storia millenaria, l’attenzione e l’interessamento degli studenti si accrescono. Conoscere la storia, di una persona come di una disciplina, è il modo migliore per imparare a comprenderla e ad amarla. Ciò vale anche per la matematica. Contare e raccontare sono le due forme più significative del pensiero umano, quella logica e quella narrativa.

    È nostra convinzione che la matematica – l’espressione più alta del pensiero logico – vada presentata a scuola anche utilizzando forme di pensiero narrativo. Dove cercarle, da parte degli insegnanti, se non nella storia della matematica stessa? Resta da chiedersi cosa si intenda per storia della matematica. Esistono due impostazioni nel fare storia della scienza, l’una più attenta ai fattori interni di sviluppo di essa, l’altra ai suoi fattori esterni. In ambito matematico, la prima impostazione cerca in quel che fecero i matematici del passato, e nelle questioni da loro lasciate aperte, la motivazione della ricerca e della scoperta d nuove idee e teorie, mentre la seconda cerca tale motivazione nella società, nell’economia, nella cultura generale e nei bisogni sociali del contesto. Noi terremo conto di entrambe, poiché prese rigidamente da sole rischiano di non far comprendere il multiforme legame che corre tra le forme del pensare e quelle del vivere in società.

    Scrisse, in merito, Lucio Lombardo Radice:

    La ricerca scientifica è collegata con le vicende e la struttura globale della società nella quale si svolge, ma può introdurre e introduce in quelle vicende e in quella struttura elementi originali, specifici, creativi. Condizionato, il pensiero scientifico è a sua volta condizionante (Lombardo Radice, 2006, pag. 138).

    Tornando al perché di una storia della matematica opportunamente insegnata fin dai primi anni scolastici, e poi non più messa da parte, citiamo ancora Serge Lang:

    ...(In una scuola) ... raccontavo che tutti quei teoremi, qualcuno li aveva scoperti ... A quel punto uno dei ragazzi ha detto: ‘Allora, quello che lei scopre oggi, sarà insegnato in classe tra duecento anni’. Dunque, aveva capito il lato umano della cosa ... (Lang, 1991, pag. 262).

    Il lato umano della cosa, dice Lang. La cosa è la matematica e scoprirne il lato umano, cioè storico, può aiutare i ragazzi ad amarla di più e comprenderla meglio. Si tratta, insomma, di coniugare la matematica con quel sapere dei tempi e dei luoghi che è proprio della storia e della geografia storica. Questo libro vuole aiutare gli insegnanti, ma non soltanto loro bensì chiunque dall’argomento sia attratto, a farlo, offrendo loro notizie, idee, spunti da utilizzare liberamente. Come ha scritto, ancora, Lang,

    ... ogni insegnante deve agire a suo modo, secondo le proprie tendenze. Ognuno deve usare i propri mezzi per interessare gli studenti. Va bene tutto, si ha bisogno di tutto... (Ibidem).

    L’importante è far ragionare i ragazzi affinché capiscano che tutto il sapere dell’uomo, quello passato come quello attuale e quello futuro, non è stato, non è e non sarà un insieme di verità piovutoci dal cielo bensì il frutto – sempre provvisorio, falsificabile, da arricchire – del lavoro di tante persone che hanno scelto di fare il mestiere del cercatore di sapere. Tutto questo, a scuola, ha un solo, importante obiettivo: far venire ai ragazzi la voglia di diventare anch’essi cercatori di sapere. Un modo per farlo è proprio quello di ragionare con loro, di farli riflettere ed esprimere idee, di presentare loro quesiti che li stimolino a pensare piuttosto che verità già codificate da imparare a mente punto e basta.

    1.2. Giocare a pensare con la propria testa

    Presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna è conservato un dipinto, eseguito nel 1560, del pittore fiammingo Pieter Brüghel il Vecchio, riprodotto di seguito. Esso raffigura i bambini di un villaggio delle Fiandre che giocano tra loro in piazza mentre gli adulti sono in tutt’altre e apparentemente più serie faccende affaccendati.

    Ai bambini piace giocare e per questo non amano granché, raggiunta l’età che li obbliga a farlo, andare a scuola. In essa, infatti, solitamente non si può giocare. Ormai da anni, peraltro, psicologi e pedagogisti – ricordiamo in tal senso il da noi amatissimo Mario Lodi – valorizzano il carattere cognitivo del gioco, spinti dalla giusta convinzione che anche giocando si può imparare a conoscere e comprendere il mondo. Del resto, in greco, i termini con i quali si indicava il gioco e l’educazione erano assai simili (Paidia l’uno e Paideia l’altro) in quanto entrambi derivanti dal termine Pais, bambino. Probabilmente, dispregiando il gioco, la scuola tradizionale ha finito con il sottostimare le potenzialità intellettive dei giovani allievi, ritenendoli incapaci di affrontare problemi più grandi di loro.

    Pietre Brüghel il Vecchio: Giochi di bambini

    Forse tale apparente incapacità è legata proprio al fatto che quei problemi vengono loro proposti, a scuola, in maniera appunto scolastica (Bruno D’Amore parla spesso, e in maniera giustamente polemica, di scolarizzazione dei saperi e delle relazioni ossia di quel negativo processo di insegnamento del sapere ai ragazzi che è finalizzato soltanto al loro adeguarsi a programmi scolasticamente predefiniti D’Amore, 2001). In una scuola siffatta, poco spazio finisce con il trovare qualunque tentativo di far pensare i ragazzi con la loro testa e, dunque, di avviarli verso un itinerario che non sappiamo definire se non dell’interrogarsi filosofico. Un’interrogarsi filosofico nella scuola da sviluppare fin dall’infanzia? si domanderà, scandalizzato, qualcuno. Ebbene, sì. Anche la filosofia può essere, persino giocosamente e comunque proficuamente sul piano cognitivo, proposta alla mente infantile. Secondo Aristotele, che di filosofia sapeva certamente qualcosa, fu proprio lo stupore quasi infantile dell’uomo di fronte allo spettacolo del mondo – così vario, così complesso, così misterioso – il primo movente del suo farsi filosofo.

    Per suscitare nei ragazzi la disposizione all’interrogazione filosofica occorre ragionare con loro liberamente, criticamente, dialogicamente. È praticata anche in Italia, in alcune scuole elementari e medie, la Philosophy for Children ed i suoi obiettivi educativi risultano alquanto simili a quelli da noi proposti con l’utilizzo della storia della matematica (ricca di interrogazione filosofica anch’essa). La filosofia per ragazzi è infatti un movimento pedagogico/didattico che ha preso origine in USA, durante gli anni Ottanta, grazie a un professore di logica, docente presso la Columbia University di New York, di nome Matthew Lipman (autore, per esempio, di Educare al pensiero, Lipman, 2005).

    Lipman e i suoi giovanissimi filosofi

    I suoi allievi, pur ormai grandicelli, si scontravano con molte difficoltà nell’avvicinarsi alla logica, proprio in quanto erano portatori di un sapere, da tempo malamente scolarizzato, che aveva finito con l’imbrigliare il loro libero pensiero. Così Lipman ebbe l’idea di cominciare ad insegnare ai ragazzi a pensare con la propria testa, promuovendo l’introduzione della riflessione filosofica in classe fin dalle scuole elementari. Lo fece naturalmente sotto forma ludica, di discussione aperta, di ragionamento in classe e non certamente quale studio libresco di Platone o di Wittgenstein (il quale, peraltro, fece per alcuni anni, nella natia Austria, proprio il maestro elementare). A seguito delle sue prime e positive esperienze, Lipman fondò l’Institute for the Advancement for Philosophy for Children (IACP). Questo modo di fare filosofia per e con i ragazzini si è diffuso poi nel mondo intero, Italia compresa (si può vedere, per esempio, Philosophy for Children. Un curricolo per imparare a pensare, Santi, 2006).

    John Locke

    A proposito di questo metodo, alquanto precoce, di educare a pensare attraverso la discussione filosofica in classe, lo stesso Lipman ha detto che ciò che viene chiamato ‘filosofia per i bambini’ rappresenta praticamente una forma di educazione che utilizza la filosofia per impegnare la mente dell’allievo in maniera critica e attiva, così da soddisfare la sua curiosità. La scuola dovrebbe infatti ulteriormente svegliare invece che pedantescamente assopire, la curiosità del ragazzo nei confronti del significato delle cose e dei concetti (Lipman, 2006). Tra i precursori e ispiratori del proprio metodo, Lipman indica vari pensatori del Novecento, da John Dewey a Jean Piaget, da Lev Vigotskij a Ludwig Wittgenstein.

    Da parte nostra aggiungeremmo anche un filosofo e pedagogista appartenente a un’epoca più remota: l’empirista seicentesco John Locke. Egli raccomandò, nei propri Pensieri sull’educazione (Locke, 1989), il metodo del ragionare con gli allievi quale strumento efficace per far loro apprendere l’aperto utilizzo della propria mente. In tal senso, troviamo forti analogie tra la maniera di lavorare in classe, con i bambini, della Philosphy for Children e le modalità con le quali riteniamo possa essere introdotta la storia della matematica, fin dalla scuola primaria, nel lavoro dei nostri insegnanti. Non facendola studiare come tale ai bambini, magari imponendo loro di imparare l’anno di nascita e quello di morte del tale o talaltro matematico, bensì quale spunto di discussione e di ragionamento, mezzo di avvicinamento giocoso e innovativo alla matematica concepita quale frutto – fallimenti ed errori compresi – dell’instancabile lavorio del pensiero umano e dunque quale occasione per riflettere sulle idee e sui modelli matematici, sui problemi sia concreti che teorici che hanno spinto l’uomo a concepire le une e gli altri, sulla loro genesi, sulla loro storicità, utilità, bellezza. Il matematico francese Fredéric Patras ha del resto affermato che ...filosofia e matematica stanno bene insieme... (Patras, 2006).

    Anche noi ne siamo convinti, così come i filosofi e i matematici (o almeno la gran parte di loro) del nostro tempo. Siamo anche convinti che non soltanto filosofia e matematica stanno bene insieme ma che a scuola ciò dovrebbe avvenire fin dall’infanzia ossia dalla scuola primaria. Restano ancora da convincere gli insegnanti, troppo spesso chiusi nel proprio sapere disciplinare come dentro una prigione. Lo scopo di questo libro è di aiutarli ad evadere da tale prigione.

    Siamo convinti che gli obiettivi del metodo da noi suggerito, di fare precocemente, a scuola, storia della matematica possegga forti analogie con il metodo del fare filosofia per e con i ragazzi. Entrambi i metodi mirano infatti a stimolare nei giovani allievi la curiosità, lo stupore, persino il divertimento della riflessione critica, dell’approccio libero

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