Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Di Pietro ultimo atto: La caduta del Tribuno
Di Pietro ultimo atto: La caduta del Tribuno
Di Pietro ultimo atto: La caduta del Tribuno
Ebook210 pages2 hours

Di Pietro ultimo atto: La caduta del Tribuno

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Come ha potuto Di Pietro subire di colpo la più cocente sconfitta della sua vita? Perché l'ex eroe di Mani pulite è stato politicamente annichilito? "Di Pietro ultimo atto. La caduta del Tribuno", cerca di rispondere a questo quesito. Di primo acchito la risposta è semplice: è stato Beppe Grillo a tagliargli l'erba sotto i piedi. E in effetti che la verve anti sistema del comico genovese fosse inarrivabile da parte dell'ex pm è sicuro. Con la sua radicalità il M5S in tempi di crisi ha offerto un messaggio sicuramente più penetrante di quello di un ex pm ed ex ministro comunque legato all'immagine dello Stato e dell'ordine costituito. Ma in realtà i motivi sono anche altri e lo tsunami di Grillo non spiega tutto. Intanto va considerato che a ridurre lo spazio di manovra di Di Pietro è stato anche il Grillo di destra, cioè Matteo Renzi. L'esplosione del fenomeno rappresentato dal sindaco di Firenze ha infatti impedito che il leader molisano potesse svariare a destra adottando gli stessi argomenti anticasta e rottamatori sui quali ha tanto insistito. (...) Ma oltre alla concorrenza di Grillo e Renzi a pesare nella debacle finale sono state anche le mosse di Di Pietro. Tra il 2009 e il 2012 il leader Idv ha resettato a sinistra le sue posizioni fino alla scelta di confluire nel cartello elettorale di "Rivoluzione civile" insieme a Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani. E questo è stato il primo dato che ha sconcertato perché contro quei partiti di sinistra Di Pietro aveva in passato lanciato veri e propri anatemi.
LanguageItaliano
PublisherDigital Index
Release dateSep 18, 2013
ISBN9788897982784
Di Pietro ultimo atto: La caduta del Tribuno

Related to Di Pietro ultimo atto

Related ebooks

European History For You

View More

Related articles

Reviews for Di Pietro ultimo atto

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Di Pietro ultimo atto - Alberico Giostra

    Alberico Giostra

    Di Pietro ultimo atto

    La caduta del Tribuno

    Prefazione

    Di Pietro e L'IDV: un epilogo scontato

    di Elio Veltri

    Tra i politici italiani che hanno sfiorato la prima Repubblica e hanno attraversato tutta la seconda, Antonio Di Pietro era stato baciato davvero dalla fortuna come nessun altro e già nel momento in cui si era tolto la toga, aveva accumulato un patrimonio immenso di popolarità, di prestigio, di fiducia e di speranze di milioni di persone, comprese molte che non condividevano le sue idee. Un patrimonio che è stato buttato alle ortiche per le ragioni che Alberico Giostra aveva analizzato ne Il Tribuno e che con meticolosa puntualità descrive in questo secondo libro che ne costituisce la continuazione e il completamento. Se Di Pietro e qualche altro dirigente dell'IDV avessero riflettuto con il necessario spirito critico su Il Tribuno, almeno alcuni degli errori che hanno segnato l'epilogo del partito, avrebbero potuto essere evitati. Errori politici innanzitutto, che avrebbero richiesto risposte e soluzioni da un gruppo dirigente collegiale, preparato e consapevole del ruolo che avrebbe dovuto svolgere nell'interesse del paese.

    L'IDV di Di Pietro fin dall'inizio del percorso, ha rifiutato qualsiasi sforzo e impegno di elaborare, anche con apporti esterni di prestigio, disponibili nei momenti migliori delle grandi speranze di cambiamento, un Progetto-Programma, accompagnato da Regole coerenti nella gestione del partito e da Comportamenti individuali e collettivi conseguenti.

    Progetto, Regole e Comportamenti, una Triade, proposta da chi scrive nel 1999, necessaria, in un paese come il nostro, per qualunque forza si ponga obiettivi di cambiamento. Un Progetto che indichi la strada per una riforma del modello di società e un Programma che la percorra e gradualmente attui il Progetto in maniera coerente. Faccio un esempio: se si vuole davvero una politica di compatibilità ambientale, di difesa del territorio che è un bene finito e irriproducibile, di salvaguardia del patrimonio monumentale e culturale del paese e quindi di modifica, sia pure parziale, del modello di sviluppo, è necessario iniziare dal governo delle città, ridimensionandone drasticamente i piani di espansione, il traffico urbano, il trasporto privato ecc. E si può fare anche da posizioni di minoranza e di opposizione soprattutto se si hanno eletti nelle Regioni e nei Comuni.

    La qualità del personale politico è fondamentale. Così come la democrazia interna del partito. La prima è condizione della seconda. Il leader è tale se favorisce la selezione dei migliori e non li elimina per timore che gli facciano ombra. L'IDV invece negli anni è diventata una sorta di taxi per riciclati, provenienti dalle esperienze politiche le più diverse, di opportunisti in cerca di sistemazione, di collettori di tessere. Realtà ammessa più volte dallo stesso di Pietro, ma come auto-giustificazione, dal momento che alle ammissioni non sono seguite azioni e comportamenti concreti.

    Esattamente il contrario dei proponimenti che avevano motivato la fondazione dell'IDV. In questo contesto la credibilità è andata a picco e gli annunci di riforma non sono stati presi sul serio. Persino il coraggio e la rinuncia di Di Pietro, con pochi precedenti, a candidarsi nel 1996 perchè iscritto nel registro degli indagati e le dimissioni da ministro, successivamente, sono state interpretate come furbizie tattiche e non come esempi da seguire.

    Eppure, il partito della legalità, in un paese largamente illegale, corrotto e criminale, avrebbe potuto svolgere un ruolo decisivo, se agli slogan televisivi fossero seguite proposte serie e realizzabili, in Parlamento e nella società, affidate a un gruppo dirigente credibile per competenza, preparazione, credibilità personale e alieno da pratiche e tentazioni familiste.

    Faccio due esempi di problemi irrisolti: Giustizia ed Economia sommersa, criminale, evasione fiscale e riciclaggio. Due facce della stessa medaglia. L'IDV si è schierata sempre e comunque dalla parte della magistratura senza porsi mai il problema dei comportamenti corporativi della stessa e dei singoli magistrati. Ma non ha affrontato, come avrebbe dovuto, il problema delle riforme strutturali e necessarie riguardanti i tempi dei processi: penale, civile, amministrativo e tributario. La lunghezza dei processi, che non ha riscontro in nessun altro paese civile e democratico, incide negativamente sulla vita delle persone e delle loro famiglie, sull'economia del paese e sugli investimenti esteri, sulle possibilità dello Stato di recuperare almeno una parte della montagna di evasione fiscale, per garantire i servizi. Chi meglio di una IDV sensibile alle riforme e meno alle esigenze corporative della categoria, avrebbe potuto fare della riforma della giustizia una grande battaglia di civiltà? Così non è stato.

    A proposito del secondo problema, il governo Letta, rispondendo alla Camera a due deputati, ha informato che negli anni 2000-2012 lo Stato ha emesso ruoli per tasse da riscuotere per 807 miliardi di euro e ha incassato 69 miliardi e cioè 9 euro per ogni 100 che avrebbe dovuto incassare. Inoltre, tutti gli istituti di ricerca che si occupano dell'argomento, valutano l'economia sommersa circa 500 miliardi di Pil e quella criminale 200 miliardi, con una evasione fiscale, prodotta solo dalla prima, di circa 270 miliardi di euro. A questi dati va aggiunta una vera esplosione di esportazione di capitali verso i paradisi fiscali e di riciclaggio di denaro sporco che ha consentito alle mafie italiane di trasformarsi in vere multinazionali che investono nell'economia legale.

    Da decenni, di questi problemi non si occupano né i Governi né il Parlamento nè i Partiti, che li hanno delegati alla guardia di finanza e all'Agenzia delle entrate. Anche su questi problemi la distrazione dell'IDV negli anni è stata totale. Come lo è oggi, quella di Grillo. Che sia una tara dei protagonisti dell'antipolitica, che scambiano la politica con gli slogan, le battute, i teatrini televisivi e ignorano la riflessione, lo studio e la necessità di presentare proposte di riforme credibili, attuabili e finanziabili?

    Una ultima annotazione che riguarda Di Pietro: ogni volta che qualcuno ha criticato i metodi interni dell'IDV, i comportamenti suoi, della tesoriera e di qualche altro dirigente, la scarsa trasparenza degli stessi, anziché dare risposte e fornire chiarimenti ha presentato querele e citazioni civili, o le ha minacciate, facendosi male da solo: le sentenze, infatti, fanno incassare soldi, ma non sostituiscono la politica. In questo modo, l'epilogo della vicenda politica personale e del partito che ha co-fondato, ha subito una forte accelerazione.

    Elio Veltri

    Dedica

    A mio padre. 

    Era un socialista e ha dedicato la sua vita agli altri, arricchendoli, ma in un senso molto diverso da quello di Craxi.

    Alberico Giostra

    Quando Talleyrand non cospira, traffica

    Saint Beuve

    Introduzione

    L'introduzione alla prima edizione de "Il Tribuno" si concludeva con la domanda se Antonio Di Pietro sarebbe riuscito un giorno a diventare il dominus del centrosinistra. La risposta era no, con l'avvertenza che, provandoci, l'ex pm avrebbe comunque potuto produrre dei danni al centrosinistra. Per la verità non era difficile immaginare che il leader dell'Idv non avrebbe mai preso la testa dello schieramento progressista.

    Più difficile era invece prevedere che nel giro di così poco tempo sarebbe stato spazzato via dalla scena politica. E ora, quattro anni dopo, la domanda di questa nuova introduzione è malinconicamente assai diversa: come ha potuto Di Pietro subire di colpo la più cocente sconfitta della sua vita? Perché l'ex eroe di Mani pulite è stato politicamente annichilito? Di Pietro ultimo atto. La caduta del Tribuno, cerca di rispondere a questo quesito.

    Di primo acchito la risposta è semplice: è stato Beppe Grillo a tagliargli l'erba sotto i piedi. E in effetti che la verve anti sistema del comico genovese fosse inarrivabile da parte dell'ex pm è sicuro.

    Con la sua radicalità il M5S in tempi di crisi ha offerto un messaggio sicuramente più penetrante di quello di un ex pm ed ex ministro comunque legato all'immagine dello Stato e dell'ordine costituito. Ma in realtà i motivi sono anche altri e lo tsunami di Grillo non spiega tutto.

    Intanto va considerato che a ridurre lo spazio di manovra di Di Pietro è stato anche il Grillo di destra, cioè Matteo Renzi. L'esplosione del fenomeno rappresentato dal sindaco di Firenze ha infatti impedito che il leader molisano potesse svariare a destra adottando gli stessi argomenti anticasta e rottamatori sui quali ha tanto insistito.

    Lo spazio politico occupato da Renzi, ovvero quello di una critica radicale della politica ma all'interno del sistema, di natura conservatrice sul piano dei rapporti di classe e di produzione, sarebbe risultato assai più confacente alla sua immagine e al tipo di elettorato al quale di rivolgeva Di Pietro.

    Renzi rispetto a Di Pietro vista la giovane età e un curriculum non gravato da contraddizioni e ombre, era sicuramente più credibile in una prospettiva di rottura e di cambiamento e questo ha contribuito a ridurre ulteriormente i margini di manovra dell'ex pm, così come era accaduto nel passato più recente con l'insorgenza antiberlusconiana di Fini e Casini.

    Ma oltre alla concorrenza di Grillo e Renzi a pesare nella debacle finale sono state anche le mosse di Di Pietro. Tra il 2009 e il 2012 il leader Idv ha resettato a sinistra le sue posizioni fino alla scelta di confluire nel cartello elettorale di Rivoluzione civile insieme a Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani. E questo è stato il primo dato che ha sconcertato perché contro quei partiti di sinistra Di Pietro aveva in passato lanciato veri e propri anatemi.

    L'ex pm dunque ha operato un vero e proprio riposizionamento e questo mentre il sistema si avvitava in una devastante crisi e mentre crescevano istanze critiche radicali e liberatorie.

    Il leader Idv ha ritenuto quasi naturale assecondare queste richieste perché la sua gestualità politica aveva sempre mantenuta incorporata, sin dalla nascita, una componente estremistica e radicalizzante, ma di fatto lo spostamento a sinistra dell'asse dell'Idv è stato avviato nel 2008, dopo il trionfo elettorale del centrodestra.

    Si trattava come sempre in Di Pietro di un movimento fatto di stop and go perché anche in questo caso a presiederlo non c'era una elaborazione strategica, una lettura seria e meditata delle dinamiche in corso ma solo intuizioni di marketing elettorale.

    Non c'era, intendiamo dire, una progressiva presa di coscienza della irrisolvibilità delle contraddizioni del sistema intesa in senso marxiano - nulla di più estraneo a Di Pietro - c'erano piuttosto due fattori, assai più contingenti: da una parte la degenerazione dell'egemonia politica di Silvio Berlusconi e i rischi di una deriva antidemocratica, dall'altra la nascita del Pd e il suo progressivo spostamento verso posizioni di centro.

    Questi due elementi hanno convinto Di Pietro che il suo partito spostandosi verso posizioni più radicali avrebbe potuto intercettare i voti in libera uscita di un Pd che veniva accusato di acquiescenza e moderatismo nei confronti delle nefandezze berlusconiane.

    Nel muoversi in questa direzione il politico molisano non era affatto preoccupato del suo passato di anticomunista e di sedicente moderato. Perché, oltre a saper gestire abilmente le sue frequenti metamorfosi, era sicuro che, grazie alla sua vis antiberlusconiana, avrebbe dissolto le residue diffidenze che ancora incontrava a sinistra.

    Per servire questa strategia Di Pietro ha deciso di cavalcare ogni refolo movimentista che soffiava nella scena politica nazionale, certo che tale scelta si sarebbe tradotta automaticamente in consensi elettorali. In questo senso sceglieva di affiancarsi più che di contrapporsi al fenomeno crescente del M5S. Nel fare ciò l'ex pm non si è accorto che stava mettendo il piede in quella trappola che lo avrebbe portato alla rovina.

    Se quelle anzidette sono le ragioni contestuali del fallimento politico di Di Pietro, quelle testuali sono in ultima analisi due: in primo luogo l'aver sottoposto un soggetto di fatto moderato e radicalizzato solo in funzione antiberlusconiana ad una torsione innaturale verso sinistra. In secondo luogo l'aver prima negato e poi lasciate irrisolte le anomalie interne all'Idv, che, accumulatesi con il tempo hanno creato delle falle dalle quali la nave dipietrista ha imbarcato acqua fino al naufragio.

    L'Italia dei valori, nonostante qualche tartufesca riforma, è rimasto un partito personalistico, privo di trasparenza, autoritario, gestito in prima persona da un intoccabile leader attraverso cesaristici commissariamenti e appesantito nelle varie province da un ceto politico spesso impresentabile e proveniente da quei partiti che Di Pietro aveva dissolto con la spallata di Mani pulite.

    Si trattava di ex democristiani, ex socialisti e socialdemocratici, ex mastelliani, persino ex berlusconiani o addirittura ex fascisti, attratti dalla astuta disponibilità del leader molisano, ma soprattutto da due aspetti: l'idea che Di Pietro, incarnando quel bisogno di figure forti che persisteva nell'elettorato moderato, in virtù di questo carisma potesse svolgere un'azione moralizzatrice. Proprio questo ceto politico ha contribuito alla falsificazione del messaggio dipietrista.

    La forza del loro leader è stata infatti usata solo per contrastare il Pd nelle varie coalizioni dei governi locali e la presunta azione moralizzatrice si è risolta alla fine solo nella pelosa aspirazione di rifarsi una verginità. Questo personale politico, infatti, si muoveva in piena continuità con quel sistema che il loro leader contestava sempre più radicalmente.

    Accadeva infatti che mentre Di Pietro attaccava il Pd accusandolo di far parte della Casta e di non voler riformare i costi del palazzo e della politica, i dirigenti locali dell'Idv chiedessero insistentemente allo stesso Pd di entrare a far parte di consigli di amministrazione di società pubbliche o di ottenere una direzione sanitaria in qualche Asl o Ospedale pubblico.

    Oppure ignoravano o finanche contrastavano le lotte per la difesa dell'ambiente organizzate da comitati popolari e da movimenti giovanili. O peggio ancora si facevano pizzicare a incontrare boss della 'ndrangheta prima delle elezioni.

    Così come allo stesso modo emergeva tra i cacicchi dipietristi un'altro topos che simboleggiava i comportamenti della Casta, il familismo. Prendendo esempio dallo stesso Di Pietro, anche nell'Idv infatti fioccavano casi di nepotismo e di favoritismi di natura parentale, con il partito che per figli, mogli, mariti e amanti diventava trampolino di lancio e agenzia di collocamento.

    Anche nell'Idv insomma esistevano cerchi magici che si tutelavano sfruttando proprio la natura verticistica del partito, dove il potere non era nelle mani degli iscritti ma solo degli eletti, una piccola casta di consiglieri e assessori che riceveva l'investitura dai colonnelli dipietristi sulla base del loro peso specifico in termini di tessere e voti.

    Di Pietro non poteva non essere a conoscenza delle contraddizioni cui ha sottoposto il partito con le sue scelte politiche. Sia quelle prese che quelle non prese.

    Così come non poteva non sapere che avrebbe riportato dei danni consistenti non rispondendo in modo trasparente alle domande sulla annosa questione delle proprietà immobiliari di famiglia e sulla provenienza delle risorse con cui sono state acquistate.

    Ciò che poteva non immaginare, forse,

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1