Racconti erotici
()
Info su questo ebook
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello (1867–1936) was an Italian dramatist, novelist, poet, and short story writer, winner of the 1934 Nobel Prize in Literature. His plays include Six Characters in Search of an Author (1921).
Leggi altro di Luigi Pirandello
Tutto il teatro Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUno, nessuno e centomila Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUno, nessuno centomila Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl fu Mattia Pascal Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Uno, nessuno e centomila Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Tutte le novelle Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Correlato a Racconti erotici
Categorie correlate
Recensioni su Racconti erotici
0 valutazioni0 recensioni
Anteprima del libro
Racconti erotici - Luigi Pirandello
Ferlita
Prefazione
La trappola del sesso
di Salvatore Ferlita
È forte la tentazione di fare di Luigi Pirandello un ‘quadro clinico’, di provare a psicanalizzarlo concentrandosi ad esempio sulla sua inibizione nei confronti dell’altro sesso, sulle sue ossessioni, sulle ripetute rimozioni messe in atto.
Ma sappiamo in che direzioni conducono operazioni del genere. Fatto sta che l’autore di Uno, nessuno e centomila si presterebbe perfettamente a un approccio di tal fatta: basti pensare al suo rapporto con la moglie, Antonietta Portulano, la donna che gli era stata imposta dal padre, quasi sicuramente la sola con la quale lo scrittore agrigentino ha avuto rapporti sessuali. Abbiamo testimonianza di quello che forse fu l’unico approccio con Marta Abba, in una lettera in cui lo scrittore fa cenno a una notte di ottobre a dir poco infernale, trascorsa in un albergo di Como nel 1926: «Non domando più altro tempo oltre a quello che mi bisogna per finire i lavori che ancora mi restano da scrivere: senza questo dove sarei a quest’ora fin da un’atroce notte passata a Como?».
Gelosa sino all’ossessione, la moglie di Pirandello: si racconta ad esempio che Antonietta era solita spiare il marito quando faceva ingresso nelle aule della facoltà di Magistero a Roma, affollate da studentesse in affanno sentimentale per il fascinoso docente.
Lo ha già detto Elio Gioanola: l’atteggiamento terroristico della moglie, la sua mole sterminata di sospetti avranno di certo procurato in Pirandello una valanga di tribolazioni. Nemmeno con la sua morte egli riuscì a rimuovere l’inibizione, a liberarsi della zavorra di persecuzioni e sevizie. A tal punto che viene quasi spontaneo sovrapporre la sagoma di Pirandello a quella di Teodoro Piovanelli, protagonista della novella L’uscita del vedovo: un uomo prigioniero della gelosia parossistica della moglie, che pur passata a miglior vita non cessa di condizionarlo in ogni dove.
Egli, una volta vedovo, ogni tanto osa fantasticare, pensando ad esempio alla guantaia: «Come si muoveva nella bella bottega lucida, tiepida e profumata! Il corpo leggermente proteso... E mica si sentiva il rumore dei passi; si sentiva il fruscio discreto della sottana di seta...». Ma presto rinsavisce e sussulta: Piovanelli ha sempre davanti agli occhi lo sguardo della moglie che vuole fulminarlo, che continuamente lo minaccia.
Quanto sono diversi da questi occhi, va detto, quelli della Maddalena ritratta in penitenza in un quadro seicentesco: «il volto, il magnifico volume dei fulvi capelli sciolti, una spalla e il seno scoperti, al caldo lume di quella lucerna, sono bellissimi». Occhi che a un certo momento si fanno vivi, sollevano le palpebre dalla lettura e gettano sul protagonista della novella Effetti d’un sogno interrotto «uno sguardo vivo, ridente di tenera diabolica malizia».
Dicevamo del vedovo: se gli capita di scendere verso piazza delle Terme e di incrociare con lo sguardo la fontana delle Najadi, subito si ricorda del divieto della povera Cesira, la quale non voleva che egli sostasse per ammirare «quelle Najadi sguaiate». Negli atteggiamenti procaci delle Najadi la moglie vedeva una sorta di irrisione, «una mancanza di rispetto per il suo sesso».
Ha un cuor d’asino e uno di leone, Teodoro: si spinge un giorno sino a via del Boschetto dove abitava la sua ex, Annetta, una donna onesta fino a quando ha avuto la madre accanto, e poi... Profondamente turbato vorrebbe fermarsi, bussare, ritornare per un attimo tra le sue braccia. Ma il ricordo della moglie è insieme totem e tabù. Il pensiero unico e tormentoso di Cesira si trasforma in una sorta di castrazione simbolica.
Nella novella La rosa la situazione si ribalta: qui abbiamo una vedova, anch’essa con due figli rimasti orfani, che sembra ancora una bambina, «anzi una bamboletta», coi suoi piedini aggraziati e l’aspetto di una calandrella appena uscita dal nido. La sorprendiamo su un treno, diretta alla sua nuova destinazione, Peola, un paesino insignificante e sonnacchioso, che però al suo arrivo viene scosso da una sorta di terremoto, dovuto al subbuglio degli ormoni dei giovanotti come degli uomini maturi. Questi e quelli non appena, infatti, si avvicinano alla piccola piazza dell’ufficio telegrafico, «pareva entrassero in un’altra aria, più vivida, per cui il passo, i moti della persona diventavano subito più svelti, più agili; e le teste si rigiravano come per un tuffo di sangue improvviso, non trovassero più da rassettarsi entro il giro del colletto inamidato, e le mani si davano un gran da fare per tirare giù il panciotto e accomodare la cravatta. Attraversata la piazzetta, erano poi tutti come ebbri, ilari e nervosi». Qui Pirandello sembra assumere un piglio fortemente brancatiano. La sovraeccitazione non trova uno sbocco naturale, i maschi si sfogano prendendo a pedate i cani randagi che se ne stanno acciambellati e accidiosi solo perché alla vedova pare facciano una cattiva impressione. Di conseguenza, le brutte donne di Peola, mortificate dalla bellezza della signora Lucietta, fanno lega comune con le povere bestie. La situazione narrativa è davvero irresistibile.
Arriva il giorno della festa da ballo alla quale partecipa tutto il paese, la giovane vedova farebbe volentieri a meno di prendervi parte ma galeotta è una «magnifica rosa rossa» che le viene recapitata provocandole un tuffo nel sangue, risvegliando il desiderio ardente di godere almeno una notte. Con la rosa tra i capelli si presenta alla festa e subito si scatenano l’ebrezza, il delirio, la follia. Tutti gli uomini presenti perdono la testa, si avvicinano alla giovane donna, se la contendono nel ballo. «Il caldo a poco a poco nelle tre sale si era fatto soffocante. Quasi una nebbia si era diffusa dal vaporare della bestialità di tutti quegli uomini; bestialità ansante, bollente, paonazza, sudata, che del sudore, nelle brevi tregue allucinate, profittava con occhi folli per rassettarsi, incollarsi, rilisciarsi con mani tremanti sul capo, sulle tempie, sulla nuca, i capelli bagnati, irsuti. E si ribellava ormai, quella bestialità, con tracotanza inaudita a ogni richiamo della ragione».
La rosa sembra svelare a questo punto la sua natura di metafora, alludendo forse alla femminilità che sboccia, alla sessualità che si palesa. Rosa fresca aulentissima
, verrebbe da esclamare citando le pruriginose allusioni poetiche di Cielo d’Alcamo, il suo irrefrenabile inno erotico.
Ma a un certo punto la bestiale eccitazione degli uomini provoca ribrezzo nella vedova, che vorrebbe fuggire sentendosi quasi in colpa per la sua innocente e però male interpretata festosità. Questo personaggio, fascinoso nella sua solitudine e debolezza, fa venire in mente quanto Leonardo Sciascia ha scritto nell’Alfabeto pirandelliano a proposito del rapporto, nella scrittura, tra Pirandello e la donna. La donna che si lascia il mito alle spalle per far ingresso nella società, dentro la famiglia, vittima appunto del ‘pregiudizio antico’. In quel momento, scrive Sciascia, Pirandello diventa uno ‘scrittore femminista’. Da qui l’attenzione angosciata nei confronti della donna, l’eccesso di rispetto, che condizionano alla fine la rappresentazione letteraria. La sensualità femminile, infatti, che a volte la si sente ribollire come un magma sotterraneo, riceve una sorta di castigo
, chiosa lo scrittore di Racalmuto, di mortificazione
.
A proposito di eccitazione bestiale: fa una brutta fine il giovane sposo che nella novella Un cavallo nella luna non vede l’ora di consumare il matrimonio: rimasto solo con la sua consorte, tutto tremante e agitato, vuole abbracciarla. Si avvicina ma la moglie lo allontana, posandogli le mani sulle tempie e soffiando sui suoi occhi. Il tocco delle dita, l’alito delle labbra lo mandano in visibilio. Quasi casca a terra in ginocchio ma lei ha altro a cui pensare: «Sullo stradone? Sei matto? Andiamo, andiamo! Là, guarda: a quella collinetta là! Si vedranno ancora le carrozze. Andiamo a vedere!». I due si mettono a correre, attraversano la campagna e raggiungono presto la collinetta; egli non si regge più, si siede e prova a far sedere anche lei, lì accanto, tirandola per la vita. Ma Ida si schermisce: «Lasciami guardare, prima». Comincia a essere inquieta ma non vuole mostrarlo: «Irritata da certe curiose ostinazioni di lui, non sapeva, non voleva star ferma; voleva fuggire ancora, allontanarsi ancora». Il marito è ormai al collasso: tutta quell’ansia, quello spasimo di attesa, la capricciosa freddezza di lei lo ha logorato, lasciandolo per terra rantolante.
Torniamo al pudore della giovane vedova, pudore che fa il paio, ne La realtà del sogno, con quello di un’ottima e castissima moglie, che suo malgrado sarà vittima di una crisi sessuale irrefrenabile. Solo la forza dirompente del sogno potrà svelarle la natura dei suoi sensi, che era rimasta nascosta dalla corazza della virtù e della decenza. «Fu nel sogno la rivelazione. Cominciò come una sfida, quel sogno, come una prova, a cui quell’uomo odiosissimo la sfidasse, in seguito alla discussione avuta con lei tre sere avanti. Ella doveva dimostrargli che non avrebbe arrossito di nulla; che