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Steampunk vs. Dieselpunk
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Steampunk vs. Dieselpunk

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Dal concorso omonimo indetto da Scrittevolmente, prende vita una raccolta di racconti di genere steampunk e dieselpunk. Alcuni dei migliori autori del momento si sono messi alla prova tra macchine a vapore e ingegnerie meccaniche alimentate a petrolio per dipingere mondi sporchi e ucronici.

Un'antologia che è in grado, con i suoi dodici autori, di riportare lustro alla fantascienza italiana.

Con i seguenti racconti:

Andrea Viscusi – Piombo contro acciaio a Eldeberry Fields

Jacopo Perrone – Il telaio

Benedetto Mortola – Un altro mondo è possibile

Roberto Guarnieri – Lo strano caso della chiesa prussiana

Paola Rossini – Una vaporosa, inedita Miss Annie

Simone Farè – L’avventura della macchina che bombardò Lon-dra

Andrea Santucci – Il comandante in capo

Mauro Longo – Virginia Strano e la chiave di Re Salomone

Polly Russell – Veloce come la folgore

Livin Derevel – Mission

Alexia Bianchini – Vita depredata

Ivan Berdini – Endurance
LanguageItaliano
PublisherST-Books
Release dateMay 31, 2013
ISBN9788898071036
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    Book preview

    Steampunk vs. Dieselpunk - A.A. V.V

    Moore)

    Prefazione

    Questa antologia è nata come un concorso estivo di Scrittevolmente, un divertissement se così vogliamo chiamarlo. Sicuramente non è nato per essere quello che invece è diventato: un imponente volume di 370 pagine contenente i racconti di dodici valentissimi autori italiani.

    12 racconti che ridanno lustro alla fantascienza italiana con un sottogenere visuale quale è lo steampunk. I nostro autori lo hanno sviscerato e riproposto in tante versioni diverse, ma egualmente efficaci, dimostrando così che lo steampunk in Italia esiste e non consiste nel fare cosplay con goggles e corsetteria.

    Affatto.

    Daniela Barisone

    Gli Autori

    Andrea Viscusi – Piombo contro acciaio a Eldeberry Fields

    Jacopo Perrone – Il telaio

    Benedetto Mortola – Un altro mondo è possibile

    Roberto Guarnieri – Lo strano caso della chiesa prussiana

    Paola Rossini – Una vaporosa, inedita Miss Annie

    Simone Farè – L’avventura della macchina che bombardò Londra

    Andrea Santucci – Il comandante in capo

    Mauro Longo – Virginia Strano e la chiave di Re Salomone

    Polly Russell – Veloce come la folgore

    Livin Derevel – Mission

    Alexia Bianchini – Vita depredata

    Ivan Berdini – Endurance

    Piombo contro acciaio a Eldeberry Fields

    Andrea Viscusi

    Kiddo passò lo straccio sul bancone per la tredicesima volta. O era la dodicesima? Provò a ricontarle: una, due… tre, sei… no, niente da fare. I numeri proprio non riusciva a capirli.

    Però lo straccio lo sapeva usare, era per questo che Butch lo teneva a lavorare nel suo saloon. Il migliore di tutta Elderberry Field, questo Butch lo diceva sempre e Kiddo lo ripeteva ai clienti, così loro tornavano, o almeno così diceva Butch. In realtà Kiddo, che i numeri non li ricordava ma le facce sì, lì dentro vedeva sempre le solite persone. Non sapeva contare quante fossero, ma erano comunque le sempre stesse.

    Le giornate nel saloon erano divertenti per lui. Cioè, quasi sempre divertenti. Gli piaceva girare per i tavoli, salutare la gente e dire che quello di Butch era il miglior saloon della contea. Era felice quando Cassidy veniva fare il suo spettacolo, così lui poteva battere le mani e provare a cantare insieme a lei. A volte ballava anche, ma Butch non voleva perché era una perdita di tempo, così diceva lui. Anche fare le pulizie non era brutto.

    Invece, quando Butch lo mandava a scaricare le casse nel retro non gli piaceva. Tornava tutto sudato e sporco di polvere, con le braccia gli facevano male. Faceva sempre finta di non accorgersi quando qualcuno vomitava sul pavimento, perché sapeva che toccava a lui pulire: lo stomaco gli si rivoltava per la vista di quelle schifezze e gli occhi gli lacrimavano per l’odore. Un’altra cosa che detestava erano le risse. Si spaventava e scappava nel retro, Butch gli gridava che era un codardo per tutto il giorno, anche se non era vero. Lui non aveva paura. Cioè, sì, ma non era codardo. No davvero.

    C’erano persone che gli piacevano e altre no. Cassidy era la sua preferita, ma non veniva spesso. Un paio di sere la settimana, e quando finiva lo spettacolo saliva con qualche cliente nelle stanze di sopra. Però poi tornava giù, quando non c’era più nessuno, prendeva un bicchiere d’acqua, un po’ lo beveva e un po’ ci si sciacquava il viso, e chiacchierava con Kiddo mentre lui spazzava prima della chiusura. A volte gli lasciava anche qualche spicciolo e lo salutava con un bacio sulla fronte. Anche Docwells era simpatico. Passava ogni tanto, si sedeva e cominciava a scrivere sul suo taccuino. Non ordinava niente se non gli veniva chiesto e infatti Butch lo mandava subito da lui perché sennò gli occupava solo posto, così diceva lui.

    Butch non era cattivo, Kiddo gli voleva bene perché lo faceva lavorare, gli dava da mangiare e non lo trattava da bambino, come facevano tanti. Però a volte era nervoso e si arrabbiava con lui, e allora diventava antipatico. Lo sceriffo Wilkinson, lui sì che era cattivo e Kiddo cercava sempre di stargli lontano perché rideva di lui. Però veniva tutti i giorni, e tutte le volte si portava con lui qualcuno a cui offriva da bere e poi non pagava perché era lo sceriffo. Butch continuava a borbottare anche dopo che se ne era andato, perché non era giusto che lui potesse fare quello che voleva solo perché era lo sceriffo.

    Una volta Butch gli aveva raccontato la storia di Wilkinson, perché lui era troppo piccolo per sapere come era diventato sceriffo. Anni prima, Wilkinson era un criminale, uno che andava nelle banche, sparava e prendeva tutti i soldi, oppure fermava i treni e rubava i bagagli della gente a bordo. Era uno bravo, anche se Kiddo sapeva che essere bravo in quelle cose voleva dire essere cattivo. Infatti Wilkinson era ricercato in diciotto contee, per questo continuava a fuggire dalle città portandosi dietro qualche altro criminale come lui e continuando a rubare. Poi era arrivato a Elderberry Field, anche lì aveva assaltato la banca e preso tutto. Era fuggito ma lo sceriffo di prima l’aveva inseguito e alla fine l’aveva catturato. Poi non si sa bene come erano andate le cose, ma lo sceriffo di prima si era preso i soldi della taglia dalle altre contee promettendo che Wilkinson non sarebbe uscito da Elderberry Field. Poi era scappato. Lo sceriffo, non Wilkinson. Lui invece era costretto a rimanere a Elderberry Field sennò lo avrebbero preso di nuovo e impiccato. E siccome era un tipo pericoloso, il sindaco aveva deciso di nominare lui come nuovo sceriffo, visto che l’altro se ne era andato.

    «Perché quando non li puoi combattere devi farteli amici» aveva detto Butch, e la storia era finita lì. Kiddo non era sicuro di capire cosa voleva dire, però se la ricordava quella frase. A parte i numeri, lui le cose se le ricordava.

    Quel giorno lo sceriffo non era ancora passato, e Kiddo era contento di non averlo visto. Però sapeva che sarebbe comparso, prima o poi, quindi forse non c’era molto da essere contenti. Tornò a strofinare il bancone con il cencio, e questa era la… la sedicesima volta? No, sedici veniva dopo… dopo tredici o dopo quattordici?

    La porta a doppio battente si mosse e Kiddo fu grato a quel cliente per essersi presentato proprio nel momento in cui stava per confondersi ancora coi numeri. Il nuovo arrivato era piccolo e magro, portava gli occhiali ed era calvo, a parte due ciuffi di capelli bianchi sopra le orecchie. Aveva con sé un libro, un quaderno, una penna e anche un aggeggio di metallo composto da tante palline e molle.

    «Buongiorno, Docwells» lo salutò Kiddo riconoscendolo.

    «Te lo dico tutte le volte, Kiddo. Almeno tu non chiamarmi dottore, chiamami solo Martin».

    Kiddo annuì per fargli piacere, senza capire a cosa si riferisse. Visto che era l’unico cliente, poteva perdere un po’ di tempo con lui. Butch gli diceva che ai clienti piace quando sei gentile, così poi tornano ancora, e allora Kiddo si avvicinò e aiutò Wells a togliersi la giacca prima di sedersi. La camicia che portava sotto era profumata, e il farfallino scuro perfettamente dritto. Siccome sapeva che si sarebbe messo a leggere e scrivere e macchinare, gli chiese subito se voleva qualcosa da bere.

    «Solo un bicchiere di vino, grazie» rispose lui, poi appoggiò la sua roba sul tavolo e aprì il libro.

    Quando c’era poca gente nel locale Butch lo lasciava fare da solo, quindi Kiddo si procurò il vino dietro al bancone e tornò al tavolo di Wells.

    «Grazie, ragazzo» disse prendendo il bicchiere, senza distogliere lo sguardo dal libro.

    Kiddo si sporse per cercare di vedere quello che c’era scritto. Sapeva che tutti quei simboli erano delle parole come quelle che lui diceva, ma non sapeva come si faceva per sentirle. Aveva visto come si facevano le fotografie, ma non capiva come si potevano fotografare le parole, visto che quando parlava lui non le vedeva. Frustrato da quel problema, spostò l’attenzione sul marchingegno con le palline che Wells si era portato dietro. Le palline erano disposte su più file e c’erano delle manovelle alla fine di ogni fila, poi c’erano molle in mezzo alle palline. Sotto le file di palline si riuscivano a vedere diversi ingranaggi. Kiddo non riusciva a capire che cosa fosse.

    «Sono a posto, grazie» fece Wells accorgendosi che lui era ancora accanto al tavolo. Poi notò che stava osservando l’oggetto misterioso e sorrise: «Ti piace? L’ho costruito io. Vuoi sapere come funziona?»

    Kiddo guardò verso il bancone. Butch doveva essere nel retro e non poteva dirgli niente se si fermava a chiacchierare. Annuì e si sedette accanto a Wells.

    «Serve per fare calcoli» spiegò lui. «Può svolgere tutte le operazioni con numeri di tre cifre. Guarda» Armeggiò con le manovelle e le palline, spostandone alcune. «Si forma il primo numero così: centinaia, decine e unità. Poi il secondo numero nello stesso modo. E si sceglie l’operazione: somma, sottrazione, moltiplicazione o divisione. Poi si gira qui e…» Le palline scattarono sotto la pressione delle molle cambiando posizione. «Si ottiene il risultato! Bello, vero?»

    Kiddo era confuso. Era bello, questo sì, ma non aveva capito. «Io, i numeri, non…» farfugliò.

    «Oh, i numeri ti riescono difficili?» si informò Wells.

    «Sì» ammise. «Cioè, li so ma non li metto in fila». Non era sicuro di aver spiegato bene il suo problema. Ma d’altra parte non era sicuro nemmeno di conoscerlo.

    «Capisco» disse Docwells. «Ma sai, i numeri non sono una cosa concreta. Sono solo un’idea, e ognuno può vederli come meglio crede. Se non riesci a capire come te li hanno insegnati, forse…»

    In quel momento la porta sbatté di nuovo e fecero ingresso quattro persone.

    Kiddo deglutì. Era lo sceriffo Wilkinson con tre suoi amici che erano stati criminali come lui.

    «Che posto di merda» furono le prime parole dello sceriffo. Poi, alla vista di Wells e Kiddo, aggiunse: «E che gente di merda».

    Insieme agli altri, si sedette sugli sgabelli davanti al bancone e batté un pugno per attirare l’attenzione dell’oste, che ancora non si vedeva. «C’è verso di avere da bere, qui dentro?» sbraitò.

    Kiddo non sapeva se andare lui dietro il bancone e servire lo sceriffo; fortunatamente riapparve Butch con un sorriso finto e chiese cosa volevano i signori.

    «Whiskey, per me e per i miei colleghi» ordinò Wilkinson.

    Butch riempì fino a metà quattro bicchieri, ma prima che potesse mettere a posto la bottiglia lo sceriffo gli fece cenno di aumentare la dose.

    I quattro scolarono in fretta l’alcool, poi chiesero un secondo giro. Ruotando sullo sgabello con il bicchiere in mano, Wilkinson si rivolse a Kiddo: «Ehi tu, scemo! Vieni qui a pulirmi gli stivali. La polvere di questo schifo di città è più appiccicosa della merda d’asino».

    Kiddo si avvicinò a testa bassa, rosso in viso. Era arrabbiato, perché lo sceriffo lo chiamava sempre stupido, scemo o imbecille, ma lui non poteva fare niente. Lui era la legge, così diceva Butch. Si inginocchiò di fronte allo sgabello e cominciò a passare il suo straccio sulle scarpe dello sceriffo.

    Pochi secondi dopo, un calcio lo colse sotto il mento e lo mandò sdraiato sulla schiena. «Usa una pezza pulita, coglione!» ordinò lo sceriffo. Gli altri tre risero.

    Kiddo avrebbe voluto che Butch dicesse qualcosa. Lui non poteva rispondere perché lui non contava niente, però gli sarebbe piaciuto che il padrone lo difendesse. Ma Butch stava chino sui piatti che stava lavando, anche se Kiddo aveva già lavato i piatti prima di lui e nessuno li aveva usati nel frattempo. Ingoiò per non far uscire le lacrime e si rialzò in piedi. Stringendo le labbra che gli tremolavano, tornò verso il bancone in cerca di un canovaccio appena lavato.

    «Via, dagli un po’ di tregua Wilkinson» intervenne la voce di Wells.

    Kiddo si fermò dov’era.

    «Pensa alle tue stronzate, Wells» lo rimbeccò lo sceriffo.

    Ma lui non si fece intimidire. Lui non aveva paura, pensò Kiddo, no davvero. «Non pensare di poter spaventare me, con quel tono. Sai quanti ne ho visti passare come te? Bulletti che pensano di poter far quello che vogliono, solo perché gli è andata sempre bene. Eppure tu ci stavi per rimettere la pelle, avresti dovuto capire».

    I tre compagni dello sceriffo non ridevano più. Nemmeno lui sembrava divertirsi come prima. «Cosa vorresti dire, vecchio pazzo?»

    «Che se non fosse per noi, che ti teniamo qui a Elderberry Field, tu penzoleresti da una forca già da qualche anno. Quindi sii riconoscente e comportati come si deve. Su, chiedi scusa al ragazzo».

    Wilkinson si alzò minaccioso dallo sgabello. Fece alcuni passi verso Wells. «Tu non mi dici cosa devo fare, chiaro? Io sono lo sceriffo. Io sono la legge».

    «Tu non sei sceriffo più di quanto io sono mia nonna».

    Kiddo si lasciò sfuggire una risatina, ma si raggelò quando lo sceriffo puntò lo sguardo su di lui. «Non ti azzardare a ridere di me, idiota!»

    «Basta, Wilkinson!» sbottò Wells. Era la prima volta che Kiddo lo vedeva arrabbiato.

    «Vecchio, non ti conviene farmi arrabbiare. Non ci metto nulla a piantarti del piombo nel petto». Portò una mano alla fondina. Kiddo sentì che le gambe cominciavano a tremargli. Se la sarebbe fatta addosso? No, quello no.

    «Vorresti ammazzarmi qui, ora? Sei ridicolo».

    Lo sceriffo corse verso Wells e lo afferro per il collo della camicia, sollevandolo dalla sedia. «No, non qui e non ora. Perché non facciamo nella piazza della stazione, venerdì a mezzogiorno?»

    «S-sarebbe un duello?»

    «Sì, Wells. Un duello. O vuoi morire adesso?»

    «No, certo che no. È solo che non ho molta esperienza di…»

    «Ti lascio scegliere l’arma che preferisci. Qualsiasi pistola. O vuoi usare un fucile? Anche un maledetto cannone, per Dio. Non mi interessa. Scegli quello che vuoi. Io userò la mia rivoltella, quella che vedi qui. E guardala bene, perché se è vero che sugli occhi di un morto rimane impressa per sempre l’ultima immagine che ha visto, la canna di questa pistola sarà quella che il becchino vedrà nei tuoi».

    Kiddo avrebbe voluto nascondersi. Ma aveva paura che se si fosse mosso lo sceriffo se la sarebbe presa con lui. Si limitò a stritolare lo straccio sporco che aveva causato quell’incidente, maledicendolo con tutto se stesso.

    Wilkinson lasciò andare Wells. Fece un segno ai suoi compagni e uscì velocemente dal locale. Come sempre, non aveva pagato, ma Kiddo pensava che non fosse il caso di ricordarlo a Butch.

    Ora che l’altro se n’era andato, Wells si lasciò andare a un’espressione tesa e spaventata. Si riaggiustò il farfallino che lo sceriffo gli aveva stropicciato. Fissò Kiddo con aria sconsolata, come a volergli chiedere scusa per qualcosa.

    Solo a quel punto Butch parlò. Disse: «Mi dispiace. Era un buon cliente, dottor Wells».

    Kiddo passò tutto il giorno seguente rimuginando su quanto era successo. Lavorò meccanicamente e parlò poco coi clienti. In parte dava la colpa a se stesso, perché se solo lui non fosse stato così scemo da usare uno straccio sporco lo sceriffo non si sarebbe arrabbiato con lui, Docwells non avrebbe cercato di difenderlo e non si sarebbe procurato un duello contro lo sceriffo che era uno cattivo e bravo ad ammazzare la gente.

    Verso metà pomeriggio, Wells entrò nel saloon. Non aveva libri, e non si sedette. Andò diretto da Kiddo e lo fermò in mezzo al locale con una mano sulla spalla. «Hai impegni per oggi, ragazzo?»

    Kiddo non sapeva se andare in bagno fosse un impegno, però prima di tutto c’era il lavoro e lo fece capire all’altro sollevando il boccale che stava trasportando.

    «Dopo il lavoro. Puoi venire da me?»

    Kiddo ci pensò su e rispose che poteva, anche se non sapeva cosa volesse da lui, ma prima che potesse chiederlo il vecchio stava già uscendo. Meno male che lui sapeva dove stava Docwells, sennò non avrebbe potuto mantenere il nuovo impegno. Gli impegni erano cosa importante, così gli diceva sempre Cassidy prima di salire con qualche cliente.

    Forse Butch aveva capito che lui era distratto, perché lo mandò via prima del solito. Quando usciva dal saloon non sapeva mai cosa fare, di solito dormiva nella stalla accanto, ma stavolta si diresse veloce verso la casa di Wells. Il dottore abitava un po’ fuori dalla città, e aveva una specie di capannone dove faceva un sacco di cose che lui non capiva, ma nemmeno l’altra gente di Elderberry Field le capiva.

    Wells lo accolse con un bel sorriso e lo fece entrare. Gli offrì un bicchiere di vino anche se a lui non piaceva tanto, poi lo portò nel capannone, che lui chiamava laboratorio.

    Kiddo si guardò intorno. C’erano un paio di lunghi tavoloni nel mezzo, ma tutto intorno era pieno di pezzi di metallo di forme strane e di tanti forni che facevano caldo, con attaccati dei bracci che giravano e facevano muovere delle ruote. C’erano anche tanti libri, messi sul pavimento uno sopra l’altro in pile più alte di lui. Era tutto ammassato e in disordine, quindi Kiddo pensò che forse Docwells l’aveva chiamato proprio perché voleva che lui rimettesse a posto.

    «Ti ho chiesto di venire» spiegò Wells «perché ho bisogno di aiuto. Il lavoro che faccio qui dentro è importante, ma segreto. Mi serve qualcuno di cui mi posso fidare. Posso fidarmi di te, vero?»

    «Sì Docwells, certo, sì».

    «Bravo. Non dovrai dire a nessuno quello che vedrai qui. Intesi?»

    Kiddo annuì. In realtà anche se avesse voluto non avrebbe saputo descrivere quello che vedeva.

    «Bene. Allora vieni».

    Wells si diresse verso il fondo del capannone, dove un lenzuolo copriva qualcosa alto quasi come un uomo. «Questa, Kiddo, è l’arma che userò contro Wilkinson». Tirò via il lenzuolo bianco, scoprendo uno strano marchingegno.

    Kiddo osservò l’oggetto. All’inizio non riuscì a capire di cosa si trattasse, poi, guardandolo tutto insieme, si accorse che… era una persona! Sì, era proprio una persona. Invece che di pelle era fatta di ferro, stava ferma e non aveva i capelli, però aveva due braccia, due gambe, una testa con due occhi…

    «Ti fa paura?» chiese Wells.

    «No davvero, no Docwells!» Anzi, a Kiddo sembrava davvero simpatico quell’omino tutto grigio. «Come si chiama?»

    «Uhm… sarebbe una Unità Meccanica Semovente».

    «Unità… meccana…» cercò di ripetere Kiddo «Semole… semo… Sam!»

    Wells sorrise. «Sì, chiamalo Sam, se vuoi. Ci lavoro da qualche anno. È composto di parti meccaniche interdipendenti che gli conferiscono una capacità di movimento simile a quella di un uomo. È tutto basato su ingranaggi azionati a vapore…»

    «Come un treno?»

    «Sì, più o meno. Ma un treno ha un conducente. Lui invece pensa da solo».

    «Come un treno che va da solo? Ma non esiste!»

    «Per questo sono un inventore».

    Kiddo rimase sbalordito. Docwells gli era sempre stato simpatico, ma non sapeva che facesse delle cose così straordinarie. Era contento di essere suo amico, anche se sapeva che sarebbe morto presto.

    «Quello che mi serve, ragazzo» proseguì il dottore, «è che tu mi aiuti a mettere a punto le ultime cose. Venerdì Sam combatterà al posto mio, e stenderà una volta per tutte quel bastardo di Wilkinson. Ma mi serve aiuto per compiere gli ultimi test. Mi aiuterai?»

    «Sì, certo, Docwells!»

    «Ti ringrazio. Cominciamo».

    Passarono tutta la sera a maneggiare Sam. Wells lo accese e gli fece vedere come si muoveva, emettendo sbuffi di vapore dai gomiti e dalle ginocchia. Sam camminava, inoltre poteva prendere e spostare le cose, ci vedeva,

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