La danza e l'agitprop: I teatri-non-teatrali nella cultura tedesca del primo Novecento
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Anteprima del libro
La danza e l'agitprop - Eugenia Casini Ropa
LA DANZA
E L’AGITPROP
© 2013 Cue Press
via Aspromonte 16a, 40026 Imola, Italia, cuepress.com
ISBN 978-88-98442-04-1
Direzione
Mattia Visani
Copertina
Gerhard Riebicke
allieva della scuola labaniana di Herta Feisst a Berlino
© 1988
il Mulino
Foto
(1-5) Fréd Boissonnas, in E. Magnin, L’art et l’hipnose. Interpretation plastique d’œuvres litteraires et musicales, Géneve-Paris, Atar-Alcan, s.d.
(6) Wanda von Debschitz-Kunowski; (19, 20, 26-28) J.A. Meisenbach, in H. Brandenburg, Der moderne Tanz, München, Müller, 1917
(7) in M. Wigman, Die Sprache des Tanzes, Stuttgart, Battenberg, 1963
(8) A.G. Bragaglia, in A. Levinson, La danse d’aujourd’hui, Paris, Duchartre e Van Buggenhoudt, 1929
(9-11, 13, 14) foto G. Riebicke; (12) Schlosser Wenisch; (15, 16, 24, 25, 30-32) in F.H. Winther, Körperbildung als Kunst und Pflicht, München, Delphin, 1914
(17, 18) in E. Jaques-Dalcroze, Rhythmische Gymnastik, Paris-Neuchatel-Leipzig, Sandoz, Jobin C., 1906
(19, 20, 26-28) in H. Brandenburg, Der moderne Tanz, München, G. Müller, 1917
(21, 22) in E. Jaques-Dalcroze, Ritmo-Musica-Educazione, Milano, Hoepli, 1925
(23) in R.C. Beacham, Appia, Jaques-Dalcroze, and Hellerau. Part Two: ‘Poetry in motion’, «NTQ», n. 3, august 1985
(29) in R. von Laban, Choreographie, Jena, Diederichs, 1926
(33) in W. Suhr, Der kunstlerische Tanz, Leipzig, Siegels, s.d.
(34) in R. von Laban, Des Kindes Gymnastik und Tanz, Oldenburg, Stalling, 1926
(35-38) in R. von Laban, Gymnastik und Tanz, Oldenburg, Stalling, 1926
(39-41, 43, 44, 46, 47, 49, 50, 51) Weimarer Republik, a cura di Kunstamt Kreuzberg, Institut für Theaterwissenschaft der Universität Köln, Berlin, Elefanten Press, 1977
(42) Wem gehört die Welt. Kunst und Gesellschaft in der Weimarer Republik, Berlin, NGBK, 1977
(45) fotogramma del film Kuhle Wampe di Brecht, Dudow, Eisler e Ottwald, 1932, in J. Willett, Art Politics in the Weimar Period. The New Sobriety 1917-1933, New York, Pantheon Books, 1978
(48, 52) in AA.VV. Le Théâtre d’agit-prop de 1917 à 1932, III, Lausanne, La Cité-L’Age d’Homme, 1978
A Fabrizio Cruciani, maestro e amico, a cui debbo la prima idea di questo volume.
A lui va la mia particolare riconoscenza.
Ringrazio di cuore Claudio Meldolesi, Franco Ruffini e Ferdinando Taviani per i preziosi e affettuosi consigli.
L’ISTA di Eugenio Barba è stata un fondamentale polo di orientamento.
Tra le biblioteche e gli archivi consultati ricordo in particolare con gratitudine, per la splendida collaborazione ricevuta, il Derra De Moroda Dance Archives di Salzburg diretto dalla dott.ssa Sybille Dahms.
Indice
Premessa
Tre casi
Madeleine G.
Monte Verità
Friedrich Wolf e Béla Balázs
Körperseele: il corpo-anima
Ritrovare il corpo
Nota su François Delsarte
L’arma del teatro
I teatri-non-teatrali: riflessioni
Risvegliare l’artista che è in noi
L’arte del corpo tra libertà e disciplina
Un teatro che voleva cambiare il mondo
Postfazione
Nota bibliografica
Immagini
Indice dei nomi
Note
Premessa
Una delle parole d’ordine più efficaci e persistenti del teatro del Novecento è stata certo quella della riteatralizzazione. E alla luce di questo termine sono nate – ma soprattutto sono state spiegate e teorizzate in seguito – le riflessioni e le sperimentazioni che hanno caratterizzato e indirizzato il teatro all’inizio del secolo.
In un’epoca di corrosione e disgregazione dei linguaggi espressivi, che ne mette in discussione tanto i modi articolativi quanto i sistemi di pertinenza, anche il teatro, non riuscendo ormai più a riconoscersi in se stesso, è spinto, per ritrovarsi, a reidentificare gli elementi primari della propria esistenza. L’inquietudine dei riteatralizzatori li guida tuttavia a livelli diversi di introspezione e di ricerca, che rispecchiano sostanzialmente il diverso interesse ideologico per le componenti fondamentali della comunicazione teatrale, spettacolo attore pubblico, e quindi diversi bisogni di riqualificazione.
Il livello più direttamente individuabile e affrontabile si fonda sul bisogno di rigenerare artisticamente lo spettacolo, restituendo al teatro più specifiche convenzioni, modi più pertinenti di organizzazione del linguaggio, codici espressivi peculiari e inequivocabili. Di qui le rivoluzioni stilistiche di molta avanguardia e le sperimentazioni ardite del nuovo e del classico di molta regia. Si tende a rimodellare il linguaggio dell’opera teatrale come un’entità componibile il cui equilibrio semantico ed estetico si basa sulla combinazione di moduli espressivi privilegiati (a volte estrapolati da altri linguaggi, a volte tradizionali ma ricomposti secondo una nuova sintassi) rispondenti a uno specifico criterio uniformante. A questo livello essenzialmente formale della ricerca – il più diffuso, duraturo e produttivo, in termini di spettacolo – si è spesso fermato l’impegno dei riformatori di allora e degli studiosi di oggi.
Altri tuttavia hanno scavato più oltre: interessati più alla sostanza che alla forma, non fermandosi alla manifestazione organizzata del linguaggio, al teatro cioè, si sono spinti alla ricerca della sua matrice originaria, di quella teatralità di cui il teatro non è che un epifenomeno. Riteatralizzare acquista allora il significato di rifondare, reimpiantare dalle fondamenta e nel terreno adatto l’edificio teatro, piuttosto che ristrutturarlo secondo più moderni criteri di organizzazione, bellezza e idoneità. Il progetto del teatro del futuro si configura in questo caso come un ritorno alle origini, la cui attuazione prevede la rifondazione di quel contesto relazionale da cui il teatro dovrà rinascere. Con queste premesse la ricerca dell’essenza fondante del teatro non può che svolgersi a un livello di preesistenza, penetrando in territori dove il teatro non ha ancora preso forma, territori che non sono più teatrali perché non lo sono ancora. Soltanto qui è possibile rintracciare gli elementi che concorrono alla sua formazione, idee situazioni bisogni esperienze, per scoprire – prima di chiedersi come il teatro possa essere fatto – a chi e a che cosa possa servire. Al centro di questo processo stanno gli uomini, attori e pubblico futuri, e questo fa sì che la ricerca non sia più soltanto estetica, ma divenga necessariamente anche etica.
È questo il percorso speculativo dei grandi maestri, i Padri Fondatori del teatro del Novecento, ed è anche la tensione progettuale che informa alcune meno indagate ma radicali esperienze che a prima vista sembrano allontanarsi dal territorio teatrale e confondersi con ambiti e funzioni diverse della cultura e della società: con il rito, la pedagogia, lo sport, la religione, l’associazionismo, la comunicazione, la politica.
La Germania di inizio secolo, con la sua eccezionale varietà di proposte, ci offre l’opportunità di scegliere come soggetti privilegiati di indagine i due fenomeni che rivelano più radicalmente le proprie esigenze di rifondazione: la nascita di un teatro-danza dalla rivalutazione pedagogica del corpo umano e delle sue potenzialità espressive e quella di un teatro-comunicazione dal rinsaldarsi del sentimento collettivo di una classe in lotta. Ancor più che per l’area geografica e culturale, la nuova danza tedesca e il teatro operaio agitprop possono essere accostati, in un dittico solo apparentemente sconcertante, per la ricerca di elementi primari co