La bistecca agli ormoni del fiorentino Matteo Renzi
By Tino Oldani
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La bistecca agli ormoni del fiorentino Matteo Renzi - Tino Oldani
633/1941.
INTRODUZIONE
Ti piacerebbe mangiare una bistecca di manzo o di vitello ingrassato a forza di ormoni? Pensaci bene, e sappi che questa alimentazione è normale negli allevamenti degli Stati Uniti, ma vietata in quelli europei. Qui, niente carni agli ormoni (o, peggio, di animali clonati) sui banchi delle macellerie o nei supermercati. Stesso discorso per i cosiddetti cibi Ogm (organismi geneticamente modificati). In Usa le colture di grano, mais, cotone e colza, con sementi Ogm che resistono ai parassiti e rendono i raccolti più abbondanti, sono la norma, mentre in Europa prevalgono i divieti. Da noi, in Italia, le colture Ogm sono vietate. E che dire dei polli al cloro? Negli Stati Uniti, dopo l’abbattimento in serie, sono sterilizzati con una doccia al cloro. Prassi vietata in Eurolandia.
Se pensi che ti stia prendendo per la gola, caro lettore, non sbagli. Cerco solo di spiegare cosa cambierebbe se l’Unione europea, tramite la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, dovesse approvare il grande trattato commerciale tra Europa e Stati Uniti, noto con l’acronimo Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), di cui Usa e Ue hanno cominciato a discutere nel luglio 2013. A questo tema ho dedicato numerosi articoli, pubblicati su Italia Oggi e qui raccolti seguendo un filo politico-culturale, più che l’ordine cronologico. Fin dall’inizio, mentre i giornaloni ignoravano l’argomento, mi sono convinto che questo trattato – se approvato – condizionerà l’economia nei prossimi venti anni, e con essa la vita e il benessere (o il malessere, dipende dai punti di vista) dei nostri figli e nipoti. Dunque, un tema strategico come pochi altri, da non sottovalutare,
A sentire i promotori, questo trattato mira a costruire sulle due sponde dell’Atlantico il più grande mercato libero del mondo, con 800 milioni di consumatori e un pil pari al 40% di quello mondiale. Un mercato meno ingessato di quello attuale, dove si vogliono abolire non solo i dazi, ma anche le cosiddette barriere non tariffarie
, ritenute colpevoli di ostacolare la libertà dei commerci ancora più dei dazi. Ma cosa sono le barriere non tariffarie
? Detto in parole povere, sono soprattutto quelle leggi europee, varate dai Parlamenti nazionali, a tutela di un’ampia gamma di prodotti a denominazione di origine controllata e della loro qualità, ma anche della salute dei cittadini, della protezione ambientale, in ultima analisi per la difesa di diversi milioni di posti di lavoro. L’Italia, per esempio, è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari e di vini a denominazione di origine protetta (Dop) e con indicazione geografica protetta (Igp): ben 274 prodotti e 523 vini. Etichettare i prodotti con i marchi Dop e Igp, frutto di anni di buone leggi e di disciplinari produttivi rispettati da generazioni, si è rivelato fondamentale per sostenere il sistema produttivo, garantire la qualità dei cibi, tutelare l’economia del territorio e l’ambiente, garantire la salute dei consumatori.
Ma di inserire nel Ttip obblighi analoghi per le etichette dei loro prodotti agroalimentari, gli americani non vogliono sentire parlare. Per loro, sono una classica barriera non tariffaria, che andrebbe abolita, insieme a molte altre. E poiché sanno bene i governi dei maggiori Paesi Ue non vogliono farlo, gli Usa fanno affidamento su un arbitrato internazionale di nuovo conio, previsto dalle bozze del trattato (quelle note, perlomeno), una sorta di tribunale privato e inappellabile, per risolvere le eventuali vertenze tra gli Stati sovrani e le società multinazionali, finora le più interessate alla rapida conclusione del Ttip. La clausola che prevede questo tribunale, anch’essa nota con un acronimo (Isds: Investor State dispute settlement), si è però rivelata la più controversa nel corso dei primi due anni di negoziato, tanto che il governo e il Parlamento francesi si sono dichiarati contrari a firmare il Ttip se essa vi sarà inclusa. Un’opposizione simile, anche se meno drastica, è stata espressa dal governo di Angela Merkel, mentre per l’Italia il premier Matteo Renzi ha dichiarato più volte di essere a favore del Ttip, con un appoggio totale e incondizionato
.
La posizione espressa dal governo italiano appare doppiamente singolare. In primo luogo perché le trattative per il Ttip sono state condotte finora nel massimo riserbo, e nessuno ha mai potuto leggere le bozze nella loro interezza, a parte i lobbisti che 600 multinazionali Usa hanno incaricato di seguire il negoziato passo dopo passo, parola per parola. In secondo luogo, l’adesione acritica dell’Italia di Renzi sembra non tenere in alcun conto che una mozione contro il trattato ha raccolto in Europa più di tre milioni di firme (pochissime in Italia), frutto della mobilitazione di centinaia di organizzazioni non governative e di associazioni per la tutela dei consumatori, che in ottobre hanno portato in piazza a Berlino 250 mila dimostranti, contro la firma del Ttip.
Torniamo ora brevemente alle etichette che troviamo su molti prodotti in vendita nei nostri supermercati, con l’indicazione obbligatoria per legge delle materie prime e dell’origine, spesso anche con i marchi Dop e Igp. Negli Usa, è bene ripeterlo, non esistono obblighi altrettanto vincolanti; questo agevola le colture Ogm, le carni agli ormoni e i polli al cloro, di cui abbiamo parlato prima, e facilita l’imitazione di prodotti stranieri di successo, come i formaggi e i prosciutti italiani. Le stime più recenti valutano che l’italian sounding (il commercio di prodotti taroccati e spacciati per italiani) vale 60 miliardi di euro nel mondo, di cui 21 miliardi nella sola Europa, a fronte di un export agro-alimentare italiano di 23 miliardi l’anno. Dunque, un danno enorme per i nostri agricoltori e per le nostre industrie alimentari. Nei supermercati Usa, il parmesan venduto per parmigiano-reggiano doc, ovviamente a prezzo più basso, è la norma; nel mondo, due prosciutti su tre sono prodotti con maiali stranieri, ma venduti come italiani; il 60% del latte a lunga conservazione non è prodotto in Italia; il 45% delle mozzarelle vendute come italiane, sono prodotte con latte e cagliate straniere. In pratica, un assaggio di quello che potrebbe accadere dopo il varo del Ttip, all’insegna del liberismo più incontrollato.
Sentiamo ora l’altra campana. I vantaggi teorici del trattato sarebbero questi: nel decennio 2017-2027, una maggiore crescita media del pil Ue dello 0,48% l’anno, pari a 86,4 miliardi di pil aggiuntivo, a fronte di un +0,39% del pil Usa, pari a 65 miliardi di euro l’anno, con un beneficio di 545 euro per ogni famiglia europea. Tutto sommato, una crescita modesta, che nel caso dell’Italia non compenserebbe mai le perdite causate al settore agroalimentare. I fautori del Ttip promettono anche un aumento dell’occupazione. Ma in agricoltura si prevede il contrario: in Europa vi sono 17 milioni di aziende agricole, tutte di piccole e medie dimensioni, contro 2,2 milioni di aziende Usa, tutte di grandi dimensioni, quindi con maggiori economie di scala. L’abolizione dei marchi Dop e Igp farebbe crollare le produzioni di qualità tutelate e fallire migliaia di aziende europee, con alcuni milioni di disoccupati.
Dopo due anni e ben undici round di negoziati, non è chiaro come andrà a finire. Ammesso che il Ttip arrivi in porto, per entrare in vigore dovrà essere approvato prima dal Parlamento europeo, e poi dai Parlamenti dei 28 Paesi Ue. Un solo no
, basterebbe per affossare l’intero trattato. E’ la democrazia, bellezza!
, direbbe oggi il protagonista di un celebre film. Anche i tempi del negoziato si stanno rivelando decisivi. Chiudere la partita nel 2016, prima della conclusione della presidenza di Barack Obama, come auspicato dallo stesso presidente Usa,