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Il bacio della vita
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E-book315 pagine5 ore

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Info su questo ebook

“Finito nella depressione più nera un uomo medita il suicidio. La morte assurge al ruolo di liberatrice diventando l’unica via possibile. Il giorno previsto per la sua fine, però, si ritrova a partecipare al funerale di una sconosciuta attratto dal suo volto misterioso. Da quel momento una serie di eventi casuali ed imprevedibili lo porteranno ad amare la vita, a lottare strenuamente per essa. La trama evidenzia il valore della vita in contrapposizione ai pensieri di autodistruzione. Sbagliare è umano, non si può evitare. Tuttavia la vita è sempre in grado di sorprenderci, anche quando meno ce l’aspettiamo.”
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2016
ISBN9788892541313
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    Anteprima del libro

    Il bacio della vita - Antropoetico

    serrata

    Voglia di farla finita

    Raul beve. Non è una novità, ormai è diventato un alcolista cronico, un uomo che nasconde la sua vera essenza durante le ore del giorno. Un essere umano che lavora, che si relaziona dentro un'apparente normalità mentre nel cervello si espande la follia. Una lucida, presente e attenta pazzia. L'analisi della quotidianità diventa spietata falce che taglia quel che resta della voglia di vivere. <> Definire con lucidità come farlo cancella la delusione del passato, rendendo lontani il senso di fallimento, il marciume del passato <> ma dentro ha ancora un barlume di lucidità. L'obiettivo è farla finita, ma senza che altri ne subiscano le conseguenze. Già, un buono dentro come lui, deve tirarsi fuori da solo dal buco di merda di vita in cui chissà quale Dio bastardo lo ha cacciato. Il pensiero è fisso, ammorbidito solo dall'alcool, non c'è futuro nella vita, il desiderio è quello della fuga. <> Raul tira su l'ennesimo bicchiere, mentre alle sue spalle gracchia, come una nuvola di locuste impazzite, la televisione. Com'è diverso questo mondo da quello immaginato quando aveva vent'anni. Puttane, politici corrotti e collusi, il senso di non aver nulla davanti se non un’enorme montagna di problemi. Come dargli torto? Un’ex moglie in cura dallo psichiatra, affondata dentro la depressione più nera, una vita alla deriva in cui egli si sente coinvolto ma solo come inerme comparsa. Responsabile, peccatore, colpevole e comunque impossibilitato ad agire. Una smorfia di sorriso ironico scioglie la rigidità di quel viso gonfio di vino e dolore. Ci sono lacrime che non riesci a tirare fuori ma che comunque spaccano dentro. Raul conosce bene questa sensazione. Ha vissuto, respirandone l'odore puzzolente, la depressione fin da giovane. Forse addirittura ci si è assuefatto come un drogato incallito. Nessuna prospettiva dentro un lavoro che non gli piace, la nausea di fronte ad una realtà di sopportazione, l’invitabile approssimarsi della morte dei genitori anziani. La vita lo aveva preso per il culo, lo aveva illuso, coccolato, contrastato con violenza e adesso ne provava forte un senso di ribrezzo. Una corda avrebbe risolto il problema. La vita gli aveva fatto male dentro, tutto era inutilmente presente, falso e doloroso. Non restava che pianificare con cura le fasi dell’evento. Certo. Raul non voleva lasciare inghippi a nessuno. Morire era una scelta complessa ed impegnativa, ci voleva tempo per fare tutte quelle cose necessarie al fine di aggiustare al meglio le conseguenze della dipartita. La corda appesa era solo l’ultimo tassello di un puzzle ancora da comporre, il semplice assolo all’interno di una grande melodia, la punta di diamante fino a diventare nella sua mente distorta come l’unica cosa fatta veramente bene. Ed ecco, nella sua testa, egli diventare l’artefice perfetto, l’artista dal pennello eccellente. <>. Il ragionamento così perverso, distruttivo per un essere normale, calzava perfettamente come un gambale nel freddo inverno nella mente in decomposizione di Raul. La prima cosa da fare era l’inventario e la distribuzione assegnata dei suoi beni perché la consegna delle cose materiali avrebbe significato il suo giudizio postumo su coloro che avevano vissuto con lui, nei contorni della sua esistenza e che avevano contribuito, a ragione o torto, a quella decisione estrema. Ognuno di loro, così gretti e materiali, all’apertura del testamento, avrebbero dovuto comprendere il suo amore o l’evidente disprezzo. <> esclamò Raul, alzando il calice di prosecco aperto dopo cena, a rincarare la dose al chianti di cui era rimasto solo il fondo nudo e scuro della bottiglia. Una classifica, un modo per gridare dopo morto e al tempo stesso, l’idea assurda di poter diventare il Dio del dopo, dei giorni seguenti la dipartita. Prese dunque un foglio bianco, ci versò sopra il succo delle bollicine nell’angolo in altro a destra, prendendo subito dopo un coltello appuntito. Buttò giù un altro sorso di prosecco, tenendo in bocca per alcuni istanti il perlage inebriante. Brillava come un diamante quella lama affilata ed era bello far girare su sé stesso il filo tagliente, poi di colpo, impugnandolo con la sinistra infilò la punta nel medio della mano destra, entrando nella carne. Bastò un giro per far uscire il sangue. Era questo che voleva Raul, vedere il rosso del suo sangue sporcare il foglio arrivando a mischiarsi con il vino. Lo fece, fino a lasciar scendere la goccia dal dito violato. Inconsciamente aveva celebrato un rito, spinto da chissà quali arcani retaggi della memoria ancestrale o più probabilmente da quelli assimilati in anni di film alla televisione. Ecco, adesso si sentiva speciale, diverso da ogni altro essere vivente sul pianeta e quindi unico e padrone, finalmente padrone del suo destino. Nulla sarebbe più dovuto accadere per volontà di qualcun altro o in conseguenza del caso. Vino e sangue su quella carta dove sarebbe rimasta impressa la volontà voluta. L’ultima e per questo intensa e necessaria. <> Bevve di nuovo, ormai l’alcool non era più nemmeno in grado di renderlo intontito, anzi funzionava nelle sue sinapsi con una specie di effetto leva, potenziandone, almeno nella sua percezione, le capacità e l’intuizione. Fare l’inventario cominciò in quella lunga notte anche ad essere un modo per riepilogare la vita passata. Ogni proprietà, ogni oggetto, narravano i giorni vissuti e possedeva l’energia consumata allora. La prima cosa da sistemare erano gli immobili. Non aveva fatto una gran fortuna in quei fottuti quarant’anni ma non era nemmeno uno con, solo, le pezze al culo e se il fisco avesse aspettato ancora alcuni giorni a cercare di spennarlo avrebbe potuto passare mattoni solidi, pezzi di casa e la palla della vita ai suoi eredi. La casa in montagna, quella al mare, le mura di tre negozi, la villa lasciata in utilizzo all’ex moglie e il bilocale in corte dove si era rintanato. <> pensò Raul, sorridendo come un bambino con i suoi giocattoli. Si era fatto un mazzo tanto, fin da giovane per rendere solido il suo futuro. Come non ricordare la prima casa presa in affitto quasi vent’anni prima? A quei tempi la gioventù scorreva forte nelle vene assieme al sangue e quel monolocale scassato, arredato con mobili vecchi e trasudanti chissà quante vite precedenti, rappresentava il volo fuori dal nido, l’aprire delle ali verso il cielo. Non importavano il gocciolar ruggine del bidè e il rumore delle rotative nel capannone adiacente. Il mondo era lì e la partita ancora tutta da giocare. <> Raul prova un senso di rifiuto per l’immagine che gli s’impregna nel cervello nel tentativo di rinnegare tutta quella voglia di combattere e l’espressione ingenua e gradassa che si vedeva allora dipinta in faccia. Egli porta le mani sul volto cercando di nasconderlo, non vuole vedersi ma non può fuggire da sé stesso. Quello che era stato rimbalzava da una tempia all’altra come un film rotto dentro un proiettore. <> La sua mente era spesso presa dall’ansia e dall’angoscia. Passato e futuro giocavano in un girotondo perverso, mischiando rimpianti del tempo consumato e incertezza per quello che sarebbe accaduto. Pensare alla morte stabiliva un punto fisso, un luogo dove andare, una certezza che nessuno avrebbe potuto strappargli dalle mani dove finalmente avrebbe potuto governare gli eventi, tenerli sotto controllo fuori da ogni giudizio altrui. Certo lo avrebbero giudicato comunque, ma avrebbero potuto farlo solo a giochi fatti. <> Una smorfia gli fece sobbalzare il sopracciglio destro <> Era l’ora di cominciare a scrivere su quel foglio reso sudicio dal vino e dal sangue: "Io sottoscritto Raul Tenebra nel pieno delle mie facoltà mentali e senza costrizione alcuna, lascio le seguenti disposizioni testamentarie da rispettare in caso di morte: Alla mia ex moglie Olga Cartesio l’appartamento a Lignano Sabbiadoro compreso gli arredi e il posto auto coperto, i soldi sui conti e la catenina d’oro con la scritta: io e te uniti per sempreProprio in quel momento la mano gli cedette di schianto lasciando cadere la penna. L’aveva tenuta, non era stato capace di liberarsi di quel regalo, l’unico che la sua ex gli aveva fatto in 15 anni di matrimonio e adesso sentiva come un morso al cuore, provando la sensazione di un serpente che gli stesse salendo dalle budella. <> Parole forti come crocefissi sul muro. Per quanto tempo ci avevano creduto lui e la donna con cui si era sposato e ormai non sarebbe stato certo un pezzo d’oro a fare la differenza. Il braccialetto doveva tornare nelle mani di chi glielo aveva dato. Si frequentavano ancora, sul filo del delirio e impacchettati nelle parole dello psichiatra che aveva in cura lei Sarà un percorso lungo, la depressione è in uno stadio avanzato. <> Raul butta giù un altro goccio di vino ma la gola continua a sembrargli secca e la bottiglia di grappa a luccicare stupendamente sul pianale del mobile della sala. Non poteva lasciarsi andare, a differenza della sua ex, era assolutamente impensabile che proprio lui, il combattente di tanti anni su tutti i fronti, potesse essere stato demolito dagli eventi. Egli aveva sempre pensato alle conseguenze, preoccupandosi degli altri a scapito di sé stesso. Che avrebbe combinato a quel punto Olga? E poi, come avrebbe potuto, proprio lui, dilaniare il cuore di mamma? Ma adesso, cominciava a non aver più importanza. In realtà nessuna, di quelle persone che lo aveva circondato, lo aveva amato davvero. Raul si sentiva usato, avevano sfruttato fino al midollo la sua voglia di spendersi per gli altri polarizzando su di lui l’insoddisfazione piena e completa delle loro magre esistenze. Anni e anni ancora passati a sorbirsi amarezze ed incapacità che avevano distrutto il senso stesso della vita oltre che mandato in pezzi il fragile equilibrio su cui si era basato il suo matrimonio. Era giunto il momento di annientare le cellule cerebrali con qualcosa di più forte e Raul versò la grappa non nel bicchierino piccolo ma nel calice dell’acqua. Quasi mezzo bicchiere, tirato giù di botto, per sentire bruciare la gola e lo stomaco. <> Il foglio era ancora lì fermo ad aspettare il tocco della penna. A chi lasciare il resto? <> Il fratello, l’unico fra quelli della famiglia a non soffrire di malesseri e depressione, si era distinto più di lui nella vita, essendo riuscito a staccarsi presto dall’ambiente familiare e aveva fatto pieno centro in tutto. <> Raul lo aveva sempre amato e contemporaneamente odiato, in quanto egli era la rappresentazione perfetta di ciò che avrebbe voluto essere. Suo padre, inoltre, non perdeva mai occasione per fare il confronto tra di loro. Francesco aveva anche avuto due figli che avrebbero continuato la stirpe dei Tenebra. Raul, ogni volta che ci pensava, si sentiva il ramo secco e spoglio della famiglia. Ecco, forse aveva capito. Egli si sentiva come Caino, colui destinato all’errore, inscatolato dentro un percorso senza possibilità di scampo e ne era irresistibilmente attratto. Probabilmente subiva il suo fascino da perdente in contrapposizione allo scontato ruolo di buono promosso dall’idealizzazione di Abele. Il resto lo avrebbe lasciato ai genitori, sopravvissuti alla grande guerra e attaccati in maniera viscerale ai soldi. Ma provava anche un senso di colpa causato dal pensare alle conseguenze devastanti che accadono ad un genitore costretto ad assistere alla morte del proprio figlio. Nella sua follia si immaginava la scena. La processione di corvi neri nella camera mortuaria e i commossi abbracci tra una parola di circostanza e l’altra. Il dramma per l’impossibilità di cambiare le cose, l’annientamento dei progetti di vita, il dolore di madre e padre per essergli sopravvissuti. Adesso però, cominciava a prevalere il concetto che essi, se erano passati indenni nel periodo catastrofico della guerra avrebbero metabolizzato anche la sua dipartita. Queste sono le mie ultime volontà. Milano, 08/03/2011. In fede L’ultimo degli stronzi. Aveva scritto tutto dettagliatamente e adesso mancava solo la sua firma. Quella illeggibile, quasi isterica con cui aveva firmato migliaia di assegni nella sua vita. Raul se lo rilesse con calma, gustando, parola per parola, lo smembramento economico di tutto ciò che aveva costruito in quel quarto di secolo, trascorso per la maggior parte a lavorare e sgranare problemi. <> Firmò in modo quasi rabbioso, preso da una strana isteria e subito dopo iniziò a rovistare nei cassetti della cucina alla ricerca della busta rossa che aveva comprato apposta per l’occasione. Passò e ripassò la lingua umida seguendo il bordo dell’ala superiore affinché la colla prendesse consistenza, dopo di che piegò il foglio in tre e lo infilò con cura. La richiuse, girandola dal lato dell’intestazione e ci scrisse sopra in stampatello Lo so che non capirete, non avete mai capito un cazzo, ho bisogno di fuggire. Nessuno di loro, dai genitori, al fratello, fino alla ex, avrebbe mai potuto comprendere il male che gli avevano fatto. Per anni era stato nutrito nel marcescente liquido di un’infelicità che non gli era propria, lo avevano ingozzato, senza alcun ritegno, del loro malessere come fosse un vanto poter distorcere la faccia e raccontargli la sofferenza, vera o presunta, subita da un destino sbagliato. Adesso tutto quello che lo aveva nutrito, non era più digeribile, il vomito intellettuale era inarrestabile. Nella mente di Raul la morte avrebbe segnato la sua superiorità morale e culturale, i suoi lasciti, uno schiaffo in faccia a persone lontane anni luce dal comprenderlo. Anzi non lo avrebbero capito comunque, ma ciò non era importante. Come un artista scolpisce la sua opera nel marmo e a poco, a poco esalta con lo scalpello la bellezza che alberga dentro, così il suo ultimo gesto avrebbe dovuto lasciare un segno. Un chiodo appeso alla parete del tempo e dello spazio, un segno del suo passaggio e la sua capacità di sconfiggere il male subito, con un gesto di generosità. Non avrebbe ripagato il male con il male, si sarebbe semplicemente tolto di torno, avendo cura di fare il possibile per non lasciare ragni nel buco da togliere agli altri. In fondo, era davvero semplice. Almeno con la sua ex moglie, della quale era diventato un semplice bancomat a comando, l’esecutore dei bisogni materiali, escluso, scartato, annientato come compagno, lontano dalla sfera sessuale di lei. <> Raul versò ancora grappa, non riusciva a sbronzarsi in quella notte lunga e insaziabile. <> L’immagine di sé che custodiva nel profondo, lo legava a doppio filo, al mondo selvaggio dei cani di montagna. Egli si sentiva così, quel pensiero lo aveva salvato molte volte. Almeno l’illusione di vivere d’istinto richiamava i meccanismi arcani e nascosti della psiche, svegliava il cuore dalla monotonia esistenziale.Quando pensava di correre verso la luna, di ululare chiamando la sua compagna in boschi di fantasia, egli era vivo e sincero. Ci vollero altri due bicchieri di liquore per costringerlo ad un sonno profondo. Il divano del salotto lo accolse nel suo lasciarsi cadere come una marionetta all’improvviso inanimata. Il cervello di colpo aveva staccato la spina, impedendogli di proseguire nei suoi insensati propositi. La mattina dopo però lo stomaco prese a manifestare tutto il suo disagio, imponendo al corpo di vomitare. Raul lo fece non appena cercò di mettersi in piedi, imbrattando tutto il tappeto persiano. <> sbiascicò in modo incomprensibile <> La cena consumata la sera prima si era sparsa dappertutto, anche sui vestiti. L’odore era nauseante causato dalla miscela di sudore, alcool e cibo in decomposizione. I muscoli continuavano a contorcersi cercando di strappargli ancora la bile amara ma ormai si era svuotato. Prese dello Scottex e cominciò a raccogliere alla meglio la poltiglia violacea dal tappeto andandola poi a depositare nel contenitore dell’umido. <> disse Raul scocciato dal fatto di dover continuare a chinarsi nel tentativo di un’improbabile pulizia. <> L’espressione della sua faccia testimoniava il disgusto di sentire gli effluvi maleodoranti che si erano diffusi nel soggiorno. Buttare lo Scottex contro il muro e lasciare tutto così gli sembrò una buona idea. Raul aveva bisogno d’aria, di respirare il fresco del giorno e per farlo doveva rimettersi in sesto. S’infilò dentro il bagno lasciando sparsi lungo il tragitto per arrivarci, tutti gli abiti. Aprì l’acqua per riempire la vasca e ci versò dentro mezza boccetta di bagnoschiuma, assaporando il sapore di pino silvestre come un balsamo. Subito dopo, in attesa che l’acqua arrivasse al giusto livello, prese lo spazzolino da denti e lo ricoprì con il dentifricio cominciando a fregare e sfregare i denti e la lingua nel vano tentativo di togliersi quel sapore di marcio che saliva dal suo basso ventre. Immergersi fu un vero piacere. A poco a poco la mente cominciava a riprendersi dalla nebbia dovuta ai fumi dell’alcol <> Raul, ritornato nella pienezza delle sue facoltà mentali, si rese conto che le sue volontà contrastavano con le norme legali. Avrebbe dovuto informarsi meglio per sapere a chi sarebbe finito il suo patrimonio. Di certo non poteva disporre di ogni cosa senza tenere conto delle quote legittime. Adorava sentire lo scrosciare dell’acqua e il montare della schiuma fino ad avvolgere tutto il suo corpo ad eccezione della testa. Farsi lo shampoo e poi asciugare i capelli con il getto caldo dell’acqua era uno di quei pochi gesti quotidiani che ancora avevano la forza di distrarlo dai pensieri di morte e di abbattimento. Lo fece più a lungo del solito quel rito, poteva, infatti, essere l’ultimo della vita e come sempre accade le cose belle le apprezzi di più quando senti che stai per perderle. Raul non sapeva se avrebbe fatto di nuovo un bagno, dipendeva tutto dal tempo necessario per mettere nel giusto ordine le cose. Era domenica, fuori un sole baciava le case del paese, portando un tiepido calore caratteristico dei giorni di marzo e uscire non poteva che fare del bene a un cervello ormai avviato verso una serie di gravi malfunzionamenti. In effetti, Raul passava da uno stato di depressione assoluta a una specie di innaturale euforia, dai sensi di colpa vissuti come frustate nell’animo a voglia di rivincita contro il sistema e le persone con cui aveva tirato avanti tutti quegli anni. Se ne rendeva conto ma comprendeva perfettamente che era, ormai, inutile ribellarsi. La sua vita non sarebbe mai stata come quella di tante altre persone. In un certo senso, egli andava in giro con diverse maschere attaccate alla cintura e si era abituato a fingere così bene, in maniera talmente perfetta, da essersi perso, da non capire più chi fosse davvero. Ne indossava una diversa a seconda delle situazioni. C’era quella per il lavoro dove era necessario manifestare comprensione, empatia, professionalità assieme ad equilibrio e affidabilità. Quando poi aveva a che fare con i genitori utilizzava quella della sopportazione, del va tutto bene, imprigionato in un ruolo che non gli era proprio. Facce diverse da mostrare all’occorrenza. Se ne era creata una anche per l’ex moglie. Qualunque espressione andava bene pur di non mostrare il suo vero volto. Ma c’era un prezzo da pagare. Sempre la vita ti presenta il conto, lui aveva dato tutto, raschiava ormai quel che restava del cervello. Camminare, questa era l’unica cosa importante adesso. Raul s’infilò nel percorso che faceva tutte le domeniche. In meno di una mezz’oretta riusciva a raggiungere il parco alle porte della cittadina, un luogo che per lui era diventato una specie di santuario mistico. Vedere tutte quelle persone correre dentro una tuta, sudati e affaticati lo incuriosiva, specie gli anziani. Come facevano ad avere ancora tutta quella voglia di tenersi in forma? Come potevano sentire ancora così forte il richiamo della vita? Loro non si erano arresi ai problemi, agli acciacchi. Ma soprattutto si commuoveva vedendo gli scoiattoli scendere e avvicinare le persone in cerca di noccioline. Era insolito che animali selvatici si fidassero così tanto degli esseri umani. Quella mattina decise si sedersi sulle panchine affacciate in bella vista proprio di fronte al laghetto, assiduamente frequentato da anatre e oche. Il riverbero della luce sull’acqua era magico. Gli occhiali scuri, oltre a proteggere gli occhi dal sole, gli permettevano di nascondere lo sguardo alle altre persone. Raul era in una dimensione tutta sua, sentiva lontani i rumori circostanti, le voci, le grida dei bambini erano mischiati in un sottofondo sonoro indistinguibile. <> Per un attimo, provò piacere ma ormai aveva deciso; nel giro di una settimana avrebbe fatto tutto. Dove farlo? Come farlo? La sua mente era orientata verso l’impiccagione. Semplice, veloce, senza rischi per gli altri. Scartò l’ipotesi di farlo al parco, alle prime luci dell’alba, per evitare di traumatizzare gli ignari frequentatori. <> No, il luogo doveva essere appartato e raggiungibile in prima battuta solo dagli stretti conoscenti e quindi l’unico ambiente idoneo era casa sua. Avrebbe dovuto preoccuparsi, con qualche scusa, di lasciare le chiavi a uno di loro, in modo tale da poter accedere senza sfondare la porta blindata. Camminando, egli riusciva a trovare concentrazione e riflessione. Comprendeva di non stare attraversando un bel periodo della sua vita e dell’assurdità di ciò che voleva fare ma bastava pensare a cosa avrebbe dovuto sopportare negli anni a venire a riportarlo all’idea del suicidio. Si sentiva senza forze. <> Si era spinto ben oltre i suoi limiti, aprendo tutte quelle porte, una dietro l’altra, che riusciva a vedere nella sua mente. Insomma si sentiva esausto, ormai incapace di confrontarsi con la vita mentre il mondo, le circostanze gli imponevano un combattimento lungo alla fine del quale avrebbe potuto uscirne comunque solo da perdente. Ragionamenti che avrebbe reputato assurdi se li avesse sentiti fare da qualcun altro ma che, messi addosso sulla sua carne, rappresentavano un abito perfettamente calzante. Raul si rese conto anche di aver compresso dentro una rabbia fortissima, di averla schiacciata e controllata per evitare che esplodesse in maniera violenta. Ce l’aveva con tutti, con chi non lo aveva capito, chi non lo aveva aiutato. Il mondo era solo merda e se c’era qualcosa di diverso, oltre al tempo nella carne, questo era il momento giusto per scoprirlo. Il giorno dopo si sarebbe recato al centro commerciale, avrebbe comprato la corda idonea e un abito blu abbinando camicia e cravatta, scarpe nuove. Voleva anche prendere tutto il necessario per effettuare una pulizia radicale della sua casa. Tutto avrebbe dovuto essere perfettamente in ordine, lindo e splendente. Nessuno avrebbe dovuto pensare a lui come un miserabile, un uomo in stato di abbandono, anche in questo caso nessuno avrebbe dovuto vedere quello che lui era realmente. Ci teneva che pensassero alla sua, come una scelta razionale frutto di deduzione logica. In modo aberrante voleva dimostrare che lo spiccare il volo era stato frutto dell’intelligenza, dell’aver capito che stare sulla terra rappresentava solo una punizione, una condanna e che lui l’aveva già scontata appieno. La morte lo avrebbe reso libero e gli avrebbe dato accesso ad un nuovo universo, a una nuova condizione. Non andava mai in chiesa, nonostante le tante belle parole a condimento di prediche domenicali che si era dovuto sorbire in giovane età, era evidente che i preti più che rappresentare Dio pensavano ad ingrassare le loro pance e i loro portafogli. Decise di farlo, senza una spiegazione razionale, quella mattina. L’istinto lo guidava, forse le poche cellule sane rimaste nel suo cervello stavano cercando un appiglio per cambiare l’ottica sul da farsi. E proprio quella mattina si stava svolgendo un funerale. Raul ne aveva già vissuti di quegli episodi ma adesso si sentì preso da una curiosità particolare. Poteva ricavare delle indicazioni utili anche per organizzare il suo decorso post-mortem. Per prima cosa volle vedere chi fosse morto. Si mischiò alla folla nel via vai dentro e fuori alla chiesa. Si avvicinò al tavolino posto all’ingresso, bardato di velluto rosso, sopra il quale vi era aperto un libro e una penna per sottoscrivere la propria partecipazione. Di fianco, dei santini, dei foglietti con la foto del de cujus e le date di nascita e di morte. Si trattava di una donna, mancata all’età di 48 anni. La foto la ritraeva dentro un sorriso dolce. Raul ne fu irresistibilmente attratto. Firmò e ne prese uno di quei biglietti di ringraziamento alla partecipazione. Non sapeva perché ma comprese che doveva farlo. Poi entrò in chiesa, raggiungendo la camera ardente. Lei era lì, rigida come una statua di cera dentro un pallore giallastro. I lineamenti del viso lasciavano intendere che la morte era stata dolce, il passaggio all’altro mondo evidentemente poco traumatico. Raul si sentì attraversare da un brivido, una scossa dalla testa ai piedi, le sue mani in modo meccanico si appoggiarono sulla bara e subito dopo percepì che doveva andarsene immediatamente. Un sudore freddo cominciò a scendergli dalle ascelle ed il suo passo si fece veloce nell’uscire dal santuario celebrativo della morte. <> Un istinto nuovo e forte gli lasciava intendere che avrebbe dovuto sapere di più su quella donna. Chi era? Come aveva vissuto e soprattutto come era morta? Decise pertanto di aspettare la chiusura della bara e la processione verso il cimitero. Mezz’ora dopo il carro funebre si mise in strada, seguito da un pugno di uomini guidati dal prete verso l’ultima dimora per quella donna. Una trentina di persone in tutto sotto i rintocchi delle campane. Amici e parenti di mezz’età commossi per l’accaduto. Alcuni piangevano, altri commentavano sotto voce. Raul stette in silenzio per rispetto di fronte a quella situazione e con l’intento di osservare minuziosamente le procedure di sepoltura. Avrebbero potuto dargli indicazioni preziose anche per la sua uscita di scena. Una volta entrati nel cimitero ed espresso l’ultimo saluto con benedizione da parte del prete, la bara venne immessa nel loculo, un buco dentro una parete lunghissima rivestita di marmo. Sopra, sotto e sui fianchi le scritte e le foto di tante vite ormai andate. Pochi minuti ed ecco l’arrivo del muratore deputato alla chiusura, armato di cazzuola, calce e una pigna di mattoni. Raul lo vide cementare il loculo con un’esperienza consumata derivata da anni di lavoro, pezzo dopo pezzo. Infine vi mise davanti una lastra grigiastra dove spiccava di nuovo il volto magnetico di quella donna e il suo sorriso enigmatico. Penelope Mattino, nata il 4 agosto 1963, deceduta il 09 marzo del 2011, amante degli animali" Questa era l’iscrizione riportata sotto la foto. <> pensò Raul. Era comunque insolito, che di tante cose che si potevano scrivere su di una persona venisse evidenziata

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