Amanti latini - La storia di Catullo e Lesbia
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Amanti latini - La storia di Catullo e Lesbia - Franco Mimmi
Carlo Frabetti e Franco Mimmi
AMANTI LATINI-La storia di Catullo e Lesbia
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Indice dei contenuti
AMANTI LATINI
La storia di Catullo e Lesbia
di
Carlo Frabetti e Franco Mimmi
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Prologo
Il professore di fisica stava spiegando il paradosso del gatto di Schroedinger, quel gatto che, stregato dagli inafferrabili misteri della meccanica quantica, non è né vivo né morto o, a seconda di come si guardi, è vivo e morto al tempo stesso. Il tema era affascinante, però Marco, con lo sguardo fisso sul suo quaderno di appunti, aveva la testa altrove.
In un luogo non molto lontano, visto che l'oggetto dei suoi pensieri stava nella prima fila dell'anfiteatro, a pochi metri dal professore. Era Isabel, una bruna dai grandi occhi neri della quale Marco si era perdutamente innamorato non appena vista, o più esattamente non appena udita, perché, per sopramercato, era la più intelligente del corso.
La ragione per la quale Marco non si azzardava ad alzare gli occhi dal rettangolo di carta bianca era che il giorno prima, in quella stessa aula, lei lo aveva sorpreso mentre la guardava con l'espressione di un agnello sgozzato. E si era messa a ridere.
Alberto, il migliore amico di Marco dentro e fuori dell'università, affermava che Isabel non aveva riso, ma che gli aveva sorriso. Non essere paranoico, ragazzo. Io ero più vicino a lei e l'ho visto chiaramente: ti ha sorriso
. Così, per giunta c'erano testimoni: quanti altri - e quante altre - si erano resi conto della sua vergogna? Lei lo aveva sorpreso a guardarla e aveva riso di lui. Non era un esperto in fatto di ragazze, ma sapeva distinguire tra un sorriso e una risatina canzonatoria, per quanto Alberto cercasse di consolarlo.
Alla fine della lezione, con la testa bassa e meditabondo, i suoi passi lo portarono meccanicamente nella sala dei computer. Nella confusione in cui era sprofondato, solo la incorruttibile precisione dell'informatica poteva dargli un poco di sollievo. E di fatto glielo diede rapidamente: vide con gioia che nella posta elettronica lo aspettava una lettera di suo padre.
Caro Marco,
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sei sempre stato un bravo studente, hai appena incominciato la tua carriera universitaria - all'estero, addirittura, in Inghilterra - e io sono molto fiero di te. Il fatto che il dialogo tra noi sia sempre stato ricco e aperto mi rende felice: parlare con te è il mio maggior piacere, la pacata logica delle tue frasi è per me motivo di orgoglio. Eppure talvolta - devo confessartelo - avverto nella tua conversazione uno sorta di vuoto, non d'intelligenza ma di informazione, di istruzione.
Veniamo da epoche diverse e da scuole diverse, perché le scuole hanno dovuto adattarsi ai mutamenti della società, ma temo che sia stato lasciato per strada anche qualcosa di importante, un bagaglio umanistico che evidentemente è stato ritenuto superfluo per questa epoca tecnologica e che invece era, io credo, il viatico per una comprensione e una vita più ricca. Con l'acqua del bagno, direbbe un inglese, è stato buttato via anche il bambino.
Mi viene alla mente la frase inglese perché eravamo proprio a Londra, dove ti avevo accompagnato per i primi giorni dell'anno accademico, quando è risaltata, nel modo più evidente, una di queste tue lacune. Eravamo in una di quelle grandi librerie che sono tra le maggior attrattive della città, e all'improvviso, anzichè dai testi scientifici ai quali ti eri diretto, fosti attratto - forse perché mi stavi parlando di una tua compagna di corso, a quanto pare molto carina - da un mucchio di piccoli libri contenuti in una grande cesta sulla quale un cartello avvertiva: " Love poems", poesie d'amore. Via via ne prendesti alcuni a caso - Byron, Petrarca, Shelley -, li sfogliasti, e poi ti attrasse uno su cui campeggiava un nome inconfondibilmente latino: Catullus.
- Mi ricorda qualcosa, mi dicesti, ma non so cosa. Forse me ne parlarono a scuola, anni fa, ma non riesco a mettere a fuoco altro. Chi era?
Te lo confesso: soffrii un poco per te. Ricordai la mia adolescenza scaldata dalle bellissime parole d'amore scritte duemila anni prima, e provai pena per te che non ne avevi goduto.
- Un grande poeta, ti risposi, un giovane e grande poeta che devi conoscere, se vuoi fare una buona impressione su quella tua compagna tanto attraente. So che non hai molto tempo: i corsi, le esercitazioni, gli esami. Ma non ti preoccupare: ci penserò io, quando torno in Italia.
Così, felice di farlo per te ma anche per me, poiché questo mi faceva ritrovare cose in buona parte, ahimè, dimenticate, sono andato a ripescare qualche buon libro e, prendendo un po’ dall'uno e un po’
dall'altro, ho incominciato a cucire la storia di quel giovane poeta
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brillante e mondano, prima felice e poi disperato, che visse e amò venti secoli or sono ma continua a raccontare una delle più belle storie d'amore di tutti i tempi.
Te la invierò a puntate, a mano a mano che progredisca nel lavoro, e per questa rivisitazione userò Internet. Infatti quando mi dicesti che potevi usufruire dei computer dell'universita, che di Internet fanno parte, e mi scribacchiasti su un foglietto il tuo indirizzo elettronico -
con una certa aria di sufficienza, mi sembrò: tu quasi uno scienziato, io uno scribacchino -, decisi di collegarmi anch'io. Pensai che mi sarebbe stato utile per alcune ricerche e per leggere i giornali stranieri, ma anche per tenermi in contatto con te e per dimostrarti - te lo confesso -
che ancora non sono un rudere. E soprattutto per farti vedere che amare le cose antiche non significa disprezzare le moderne, e che anzi esse possono e devono convivere e darsi valore a vicenda. Ora, poi, ci servirà anche ad accelerare i miei invii e i tuoi commenti. Sei pronto?
Attento alla cassetta postale del tuo computer. Vale, Marce fili.
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Un poeta alla conquista di Roma
Marco aveva studiato assai poco il latino, e in più non era mai stato il suo forte, però ricordaba che " vale era la parola con cui Cicerone soleva terminare le lettere a sua moglie. Significava qualcosa come
stai bene", e Marce era il vocativo di Marcus Marci, della seconda declinazione.
Stai bene, Marco, figlio mio.
La lettera di suo padre gli diede animo, sebbene, naturalmente, non riuscisse ad allontanare Isabella dalla sua mente. Anzi, tutto il contrario. Forse la storia di quel Catullo, prima felice e poi disperato
, lo avrebbe aiutato un poco a capire che cosa gli stesse accadendo. Che innamorarsi fosse stato sempre così, fin dai tempi dei romani, un miscuglio di felicità e disperazione?
Una