Giuseppe Ungaretti traduttore e scrittore
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Giuseppe Ungaretti traduttore e scrittore - Francesco Laurenti
Giuseppe Ungaretti traduttore e scrittore
Indice
Giuseppe Ungaretti traduttore e scrittoreIntroduzioneAlla ricerca del canto perdutoIn principio fu l’autotraduzione«Non pensavo che questo testo m'avrebbe tanto sorpreso e migliorato»: l’Anabase di Saint-John PerseBlake, il miracolo della parola e i «sette lustri» di traduzione«Le voglio, quelle ninfe, perpetuare» o il Faune di Mallarmé tradotto«O memoria, se tu volessi almeno»: Góngora e la traduzione della comune fonte petrarchescaI Sonetti shakespearianiRagioni d’una traduzione: il sonetto LXXIII di Shakespeare.Il partito preso della traduzione: le traduzioni da Francis Ponge«E pur mi giova la ricordanza»: La Terra Promessa tra tradizione e traduzioneScrittura e riscrittura: per una storia delle varianti di GirovagoBibliografia I / poesia di Giuseppe Ungaretti I.a / poesia in italiano I.b / poesia in francese II / traduzioni II.a / traduzioni in italiano II.b / traduzioni dall’italiano III/ contributi sparsi III.a / scritti letterari III.b / lettere III.c / interventi sulla traduzione IV / Su Giuseppe Ungaretti IV.a / Giuseppe Ungaretti traduttore IV. b / la formazione e altro>
Giuseppe Ungaretti traduttore e scrittore
Francesco Laurenti
2014-02-28
Giuseppe Ungaretti traduttore e scrittore
E. Manet, Frontespizio per l'Après-Midi d'un faune, 1876
Il volume ripercorre l'opera ungarettiana alla luce delle opere che il poeta tradusse lungo tutto l'arco della propria esperienza letteraria.
La traduzione si rivela così strumento per arrivare a conclusioni riferite all’atto stesso della creazione poetica, esaminando le influenze che tale attività elaborativa ha sull’opera in proprio del poeta che traduce. Vengono evidenziati i reciproci rapporti che si instaurano tra traduttore e scrittore in proprio e tra autore straniero e autore-traduttore e sono analizzati inoltre i modi con cui la traduzione si inserisce talvolta, attraverso il poeta traduttore, nella tradizione letteraria italiana, secondo un processo osmotico e reciproco.
L'atto traduttivo rappresenta in questo senso un modo d'arricchimento della lingua e della letteratura di arrivo ed è spesso mosso, come si pone in luce nel corso di questa opera, dalle esigenze di innovazione della lingua letteraria.
Nostri strumenti d’indagine sono stati tutti i documenti che, unitamente ai testi letterari stessi, potessero recare il segno del legame intimo che sussiste tra l'opera tradotta da Giuseppe Ungaretti e la scrittura in proprio: s’è tenuto conto della corrispondenza, delle lezioni universitarie, dei contributi sparsi su rivista unitamente alle interviste e agli scritti inediti. La riflessione è però partita sempre dal testo (originale, tradotto e in proprio) e i documenti hanno, di volta in volta, confermato o indirizzato le nostre intuizioni. Sono state analizzate anche le diverse redazioni dei testi, dando rilievo alle varianti d’autore (sia dell’opera in proprio che delle traduzioni) che si sono rivelate in molti casi un ulteriore utile strumento di indagine.
Tra la scrittura e la riscrittura di una poesia, si inserisce sempre nel caso di Ungaretti l'esperienza della traduzione, che rappresenta ogni volta il luogo privilegiato per l'incontro e lo scambio con i poeti di tradizioni ed epoche diverse.
Francesco Laurenti si è formato presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, l'Università di Roma Tre, l'University College di Dublino e la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano.
Ha insegnato presso l'Università della Calabria, l’Università di Roma Tor Vergata, l'Università di Roma Tre e l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
É docente di Teoria e Storia della Traduzione presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici Carlo Bo, nelle sedi di Roma e Milano, e svolge attività di ricerca presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano.
Ha pubblicato traduzioni dal francese, dall’inglese e scritti teorici sulla traduzione. È redattore delle riviste Testo a Fronte e Poli-femo.
Introduzione
La convinzione che l’esame di una qualsivoglia letteratura nazionale sia imprescindibile da un approccio comparatistico costituisce il fondamento di quest'opera che parte dalla necessità, studiando un dato periodo letterario, di tener conto del ruolo svolto dalle traduzioni.
Nel vasto campo esplorabile della traduzione si è focalizzata l’attenzione sulla traduzione propriamente detta d’autore
ovvero quella in cui il traduttore è al contempo uno scrittore riconosciuto come facente parte di una data tradizione letteraria.
Proponendo la traduzione come strumento per arrivare a conclusioni riferite all’atto stesso della creazione poetica, abbiamo esaminato le influenze che tale attività elaborativa ha sull’opera in proprio del poeta che traduce, nel nostro caso Giuseppe Ungaretti.
Fatta nostra la teoria del polisistema letterario di Even-Zohar, sono stati esaminati i reciproci rapporti che si instaurano tra traduttore e scrittore in proprio e tra autore straniero e autore-traduttore e sono stati analizzati inoltre i modi con cui la traduzione può inserirsi, attraverso il poeta traduttore, in una determinata tradizione secondo un processo osmotico e reciproco.
L'atto traduttivo rappresenta in questo senso un modo d'arricchimento della lingua e della letteratura di arrivo ed è spesso mosso, come si pone in luce nel corso di questa opera, dalle esigenze di innovazione della lingua letteraria.
In questo senso, nell'Italia e nell'Europa del XX secolo, la traduzione ha contribuito notevolmente al rinnovamento di formule e schemi che erano sentiti ormai come meramente convenzionali e che solo un certo tipo di incontro con lo straniero poteva sommuovere.
Nostri strumenti d’indagine sono stati tutti i documenti che, unitamente ai testi letterari stessi, potessero recare il segno del legame intimo che sussiste tra l'opera tradotta da Giuseppe Ungaretti e la scrittura in proprio: s’è tenuto conto della corrispondenza, delle lezioni universitarie, dei contributi sparsi su rivista unitamente alle interviste e agli scritti inediti. La riflessione è però partita sempre dal testo (originale, tradotto e in proprio) e i documenti hanno, di volta in volta, confermato o indirizzato le nostre intuizioni. Sono state analizzate anche le diverse redazioni dei testi, dando rilievo alle varianti d’autore (sia dell’opera in proprio che delle traduzioni) che si sono rivelate in molti casi un ulteriore utile strumento di indagine.
Il primo capitolo è dedicato a un racconto degli esordi poetici di Ungaretti, utile a comprendere il contesto in cui il poeta operò, e introduce i successivi capitoli che focalizzano sul lavoro di traduzione e sui rapporti con ognuno degli autori stranieri tradotti.
In questo senso, la pratica della traduzione accompagnò Giuseppe Ungaretti costantemente, dagli esordi fino ai tempi dell’ultima poesia in proprio, instaurando sempre con questa un rapporto di complementarità.
Ungaretti iniziò con l’autotraduzione in francese di alcuni componimenti pubblicati in Italia, ma ben presto abbandonò questo progetto per dedicarsi alla traduzione degli autori stranieri. Il traduttore operò allora in risposta alle inquietudini del poeta quando la scrittura in proprio veniva meno o per risolvere personali preoccupazioni formali e tematiche.
Per la risoluzione di «problemi tecnici » infatti si rivolse alla traduzione della poesia di Blake e poi all'opera di Mallarmé, e la traduzione del Pomeriggio di un Fauno si pose, in quest'ottica, a coronamento di una frequentazione, durata oltre un cinquantennio, che influenzò l’interesse verso il poeta francese nel nostro paese. A tale riguardo ci siamo interrogati sul riscontro di un tale lavoro sulla contemporanea poesia ungarettiana de Il sentimento del tempo che reca tracce del Fauno tradotto nella linea tematica, nella parola e nella versificazione.
Ungaretti delineò una genealogia della poesia europea che, generandosi da Petrarca, passando anche per Góngora, Racine e Shakespeare arrivava fino al Novecento italiano, egli incluso. Sono questi i nomi degli altri poeti che egli tradusse e delle cui traduzioni ci occupiamo in questo libro sino a dimostrare come decenni di studi sulla tradizione letteraria (italiana ed europea) e la parallela pratica della traduzione convergano nell’ultimo Ungaretti de La terra promessa in maniera imprescindibile l’una dall’altro.
Nell'ultimo capitolo la riflessione muove invece dallo studio delle varianti della poesia Girovago.
La variante ungarettiana, che con difficoltà può essere immaginata come possibilità scartata ha un valore che è testimoniato dall’attenzione che l’autore stesso le riconosce promuovendola e mantenendola in vita al fianco della poesia nella sua forma definitiva; raggiunta, nel caso dell’Allegria, dopo un quarto di secolo e attraverso sette edizioni.
Tra la scrittura e la riscrittura si inserisce sempre, nel caso di Ungaretti, l'esperienza della traduzione, che rappresenta ogni volta il luogo privilegiato per l'incontro e lo scambio con i poeti di tradizioni ed epoche diverse.
Alla ricerca del canto perduto
L’esordio attraverso un racconto del contesto
Tra Italia e Francia, nella zona del confine agli inizi del Novecento, un soldato semplice del 19° Reggimento di Fanteria andava segnando quotidianamente i moti della propria coscienza su foglietti di ogni sorta. Un giorno quel soldato incontrò un tenente, anch’egli incline alla poesia, che volle leggere quelle parole. La vicenda è nota, e i nomi dei due sono Giuseppe Ungaretti e Ettore Serra.
Inizia così la storia editoriale de Il Porto Sepolto le cui liriche sarebbero poi confluite nell’Allegria di Naufragi del 1919 rimanendo fino all’Allegria mondadoriana del 1942, fatto raro per Ungaretti, pressoché invariate.
L’eco straordinaria che si genera da Il Porto Sepolto prima e dall’Allegria di Naufragi poi, in Italia e in Europa, è il segno sicuro di una peculiare originalità che caratterizza quella poesia fin dagli inizi e il potenziale di rottura e di rinnovamento si presenta fin da subito, con qualche rara eccezione, riconosciuto dai nostri istituti. Questi erano tutti presi allora in un’ansia di superamento di precedenti posizioni ormai sentite solo come vincolo, causa di uno stallo dell’espressione poetica che più voci cercavano di risolvere.
Al fronte italiano, l’allora non ancora trentenne Ungaretti vi era arrivato dopo l’infanzia egiziana e dopo una prima parentesi parigina. Ai tempi di Alessandria, dove trascorse l’infanzia e la prima giovinezza, mentre si andava formando il suo interesse per la poesia, conobbe Pea e Prezzolini.
Raggiunta la Francia, aveva avuto modo di avvicinarsi e talvolta legarsi in amicizia con Apollinaire, Picasso, Braque, Léger, i fratelli De Chirico, Cendars, Modigliani e, sempre a Parigi, aveva incontrato per la prima volta Papini, Soffici e Palazzeschi, su invito dei quali pubblicò su «Lacerba» le prime poesie.
Proprio in questa triplice origine (francese, italiana ed egiziana) e nella distanza che una tale posizione gli concede dalle rispettive vicende letterarie nazionali va rintracciato il vantaggio che ad Ungaretti è concesso rispetto al suo tempo.
Agli esordi del secolo scorso le lettere italiane versavano in una crisi che non sembrava avere soluzione se non rivolgendosi oltralpe, alla ricerca di nuovi modelli, nel tentadivo di superamento di una tradizione poetica che da decenni risultava cristallizzata.
Dentro e fuori questa crisi si situa la figura di Ungaretti: ad altri era spettato il compito di avvertire una necessità di superamento, a lui quello di dare avvio, quasi da solo per una generazione, alla riscoperta di un canto
che sembrava a quel tempo oramai svanito, perduto.
La ricerca di nuove forme poetiche, nello slancio di riconquista di una tradizione o in atteggiamenti di rifiuto di questa, caratterizzava il fronte interno delle lettere italiane, quando uscì ad Udine, in edizione limitata, Il Porto Sepolto [1] e il 1916 fu l’anno che segnò l’inizio della nuova poesia italiana del Novecento.
In Italia, come dicevamo, s’era rivolta l’attenzione oltralpe e l’impatto generato dall’alessandrino dei Fleurs du Mal (1857 e 1861) e dalla prosa dei Petits Poèmes en prose (1862) si affiancava alla risonzanza del versetto biblico delle whitmaniane Leaves of Grass (1855-1892).
L’assenza
di Mallarmé e l’intelligenza
di Valéry, influenzate dalla poetica dell’americano Edgard Allan Poe (che aveva anticipato gli slanci della stessa poesia pura francese) erano allora le figure tutelari nel confuso laboratorio della poesia in lingua italiana e va riconosciuto, nell’esigenza di adeguamento e confronto con queste poetiche, uno dei principali fattori genetici che, a partire dai poeti nuovi, caratterizzerà la poesia del Novecento italiano[2].
Ma l’Italia non parlava solo francese o inglese, e quando ciò avveniva, avveniva nel tentativo di costruire un contraltare al dogma D’Annunzio-Pascoli-Carducci.
Anche rispetto alle loro voci, la figura di Ungaretti si pose in un atteggiamento che portò a conclusioni uniche nel panorama del tempo. Prima di allora infatti, s’erano riscontrati rari tentativi di reazione ma questi si erano inseriti in un tessuto di forma e contenuto che non poteva comunque prescindere dai tre.
Il nuovo, quella tensione «antiretorica a tutti i costi»[3], si avvia col battesimo poetico de Il Porto Sepolto, e si fa più sicuro e strutturato con la successiva Allegria.Lì, se è presente l’eredità della triade vate-fanciullino-rima barbara, tale eredità arricchisce una poesia più autonoma, debitrice alla tradizione in un senso più ampio, non limitante.
Per il poeta nomade, come si definiva Ungaretti, tradizione significherà allora viaggio, dal proprio passato classico (Petrarca, Dante e il barocco) a quello più recente (Leopardi) e la componente straniera rappresenta un riconoscimento di una più ampia discendenza, e non fuga dalle proprie origini.
Dal Petrarca, attraverso il continente Europa e secoli di genealogia lirica, è rintracciata da Ungaretti una comune familia poetica.
Successivamente il poeta si rivolge ad una poesia nuova che non rinnega né accetta, in toto, la voce dei padri ma che, sempre, la comprende.
Così, in certe sue riflessioni sulla letteratura, si espresse in seguito Ungaretti:
In quegli anni non c’era chi