Sherlock Holmes: la sfida degli spettri
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Sherlock Holmes - Luciano Bacchin
Holmes".
I nostri ragionamenti sono fondati su due grandi principi, quello di contraddizione, in virtù del quale noi giudichiamo falso ciò che implica contraddizione e vero ciò che è opposto o contraddittorio al falso.
E quello di ragion sufficiente, in virtù del quale consideriamo che nessun fatto può essere vero o esistente e nessuna proposizione vera, senza che vi sia una ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti, per quanto queste ragioni il più delle volte non possano esserci conosciute.
G. W. Leibniz, Monadologia, 31-32 (1714)
I. Una vecchia conoscenza
Sherlock Holmes tamburellava nervosamente con le dita sullo stretto ripiano in legno davanti alla finestra. Avevo notato una certa impazienza già al mio arrivo, pochi minuti prima.
Ora me ne stavo seduto su una poltrona, rigirando tra le mani la busta che il mio vecchio amico mi aveva indicato, con un rapido cenno, appoggiata sul tavolino.
– La ringrazio di essere venuto subito, Watson. Mi spiace di non averle dato un gran preavviso questa volta, ma si renderà conto che purtroppo non l’ho avuto nemmeno io.
– Non si preoccupi, Holmes. Quest’oggi mia moglie è fuori città, in visita a sua sorella, e le confesso che non stavo facendo proprio nulla di importante quando ho ricevuto il suo biglietto. Avrei approfittato di questa giornata per riordinare alcuni appunti riguardanti il suo ultimo caso: l’avventura del cliente illustre. Quando me lo permetterà e al momento che riterrà opportuno, sa che mi piacerebbe renderlo pubblico con un nuovo racconto.
Finalmente ero riuscito a strappargli un mezzo sorriso.
– Devo dirle, però, che non mi aspettavo di rivederla così presto… Non è trascorso in fondo molto tempo.
– Mmmh, mio caro Watson, – mi rispose scuotendo leggermente il capo e ancora con l’ombra di un sorriso sulle labbra – dopo tutti questi anni, continua ancora a chiamarli i miei casi. Molte volte le ho ribadito che il suo apporto allo svolgersi di queste vicende e alla soluzione dei problemi che ci vengono sottoposti è per me molto importante.
Sapevo che Holmes era sincero dicendo questo, come davvero aveva ripetuto più volte nel corso delle nostre comuni avventure. Oramai la nostra amicizia era lunga e solida. Sapevo, però, allo stesso tempo che un certo lato vanitoso del suo carattere riteneva importante la mia presenza anche per altri motivi: avere subito uno spettatore selezionato per le sue imprese, da seguire di minuto in minuto, e poi, non ultimo, assicurarsi la possibilità che i casi di Sherlock Holmes fossero resi di dominio pubblico, enfatizzando le sue indubbie capacità attraverso i miei racconti.
Sebbene inizialmente ne fosse sembrato quasi infastidito, ben presto, proprio a causa del suo carattere lecitamente un po’ narciso, aveva apprezzato le avventure da me pubblicate; un sottile autocompiacimento accompagnava le loro uscite.
– Sì, mio caro Watson, ha ragione… La vecchiaia sta evidenziando alcuni lati del mio carattere che potrebbero infastidire: la vanità, per esempio.
–Ma Holmes!? Come diavolo sa cosa stavo…
– Lasci perdere ora e prepariamoci all’arrivo del nostro prossimo ospite – di scatto si era voltato verso di me e, allontanandosi finalmente dalla finestra, mi riprese dalle mani il biglietto che aveva ricevuto.
– È stato mandato dal dottor Joseph Bell. Ricorderà il luogo del nostro primo incontro, vero?
– Come fosse accaduto ieri: un laboratorio di chimica presso l’ospedale St. Bartholomews. E soprattutto ricorderò per tutta la vita che mi rimane la mia incredulità di fronte alle sue deduzioni sulla mia persona, ricavate da una prima semplice occhiata!
– Sì, è sempre stato un po’ troppo impressionabile riguardo a questo mio aspetto.
– Le assicuro, Holmes, che non è stato facile abituarsi e ancora oggi, dopo tutti questi anni, riesce ancora a lasciarmi stupito per certe sue conclusioni; anzi, direi per la semplicità con cui le dà per scontate. Ricordo che anche allora si divertì molto, ridacchiando della mia incredulità.
– Ebbene, Watson, sappia che il mio lavoro in quel laboratorio di chimica presso il Barts e anche molte conoscenze in quel campo, come in molti altri, mi sono stati generosamente assicurati da un grande uomo: il dottor Joseph Bell. Una persona di notevole integrità morale e per alcuni aspetti addirittura un maestro per me.
– Non me ne aveva mai parlato prima d’ora.
– Ha ragione. E non saprei dirle se c’è un motivo particolare per questo.
– È un uomo di fama nella nostra professione medica; da quando è arrivato qui a Londra da Edimburgo ha formato parecchi bravi dottori della nostra città. Dunque, la assunse il dottor Bell al laboratorio di analisi chimiche dell’ospedale?
– Diciamo che mi permise di lavorare con tempi e modi che già allora erano alquanto discontinui: lei capirà il motivo, dopo tanti anni di complicità nelle mie investigazioni e di vita in comune nello stesso appartamento. Non potevo certo assicurare la mia presenza in maniera regolare, dati i miei interessi più vasti.
– Sì, infatti ricordo che il mio amico Stamford mi parlò di questo suo strano modo di condurre il lavoro al laboratorio.
– Quell’occupazione mi diede, comunque, una dignitosa sicurezza economica, sebbene le garantisco che ho sempre portato a termine i compiti assegnati, senza alcun favoritismo da parte del dottor Bell. Lavorare al suo fianco in molte occasioni è stata una grande fonte di insegnamento!
– Da come ne parla, sono certo che si tratta davvero di un’ottima persona; sono altrettanto certo che sarà poi stato fiero di come lei ha messo a frutto i suoi insegnamenti.
– Ricorderà le mie parole, perché le ha citate anche nei suoi racconti, riguardo alla verità che resta, anche se apparentemente improbabile, una volta eliminato l’impossibile.
– Direi che sono l’essenza del suo metodo. E ora, dopo tutti questi anni, sono d’accordo anch’io in questo.
– Ebbene, mio caro Watson, le confesso solo ora che non sono del tutto mie. O meglio, le parole saranno anche state espresse da me, ma il concetto è da attribuire al dottor Bell, sebbene lui applicasse questo principio in campo medico.
– Il quale dottore, se ora comprendo bene, ritorna a incrociare il suo cammino dopo tutti questi anni. E questo spiega anche, se mi permette, data la nostra amicizia, una certa impazienza che ho notato in lei fin dal mio arrivo qui.
– Ebbene sì, amico mio, devo ammettere che questo biglietto e poi l’arrivo imminente del dottore hanno toccato qualche corda oramai arrugginita dentro di me e solo lei può capire quanto mi costi ammettere questa… chiamiamola debolezza!
– Sentimento umano, caro Holmes, sentimento umano. E non sa come sia felice di riscontrarlo talvolta in lei, felice e fiero di considerarmi suo amico – conclusi.
Giornata particolare, questa. Il viso di Holmes era stato di nuovo attraversato dall’ombra di un sorriso, o forse avevo voluto solo vederlo ancora io, mentre si sedeva sulla poltrona di fronte alla mia.
– Il dottor Bell richiede il mio aiuto per una questione che sembra essere un po’ singolare – disse sfilando il biglietto dalla busta che era stata aperta in precedenza.
– Spero niente di grave o minaccioso per lui.
– Questo non è ancora chiaro per ora, anche se dal contenuto del biglietto escluderei un carattere criminale della faccenda – e dicendo questo me lo porse.
Egregio Sherlock Holmes,
mi permetta di rivederla dopo così tanto tempo; sarò lieto di salutarla e congratularmi con lei per la carriera fatta e la fama raggiunta.
In realtà, avrei anche necessità di chiedere il suo aiuto per un misterioso problema che assilla in questo periodo la mia famiglia.
Attendo una sua cortese conferma per un possibile appuntamento alle 5 di domani pomeriggio.
Grazie
Cordiali saluti,
dottor Joseph Bell
– Naturalmente ho risposto di sì, Watson, mandando a mia volta un biglietto a Bell.
– Non avevo dubbi – replicai.
– E subito dopo l’ho fatta avvisare per essere presente. Le assicuro che, dopo esserci occupati del barone Gruner, era mia intenzione lasciarla in pace, alla sua tranquilla vita, almeno per qualche tempo; mi scuso fin d’ora per averla coinvolta di nuovo.
– Non lo dica nemmeno per scherzo, Holmes. Ora che mi ha parlato del dottor Bell e del vostro vecchio legame, sono più che mai interessato a questa vicenda.
– Bene, ne sono contento. Tra l’altro, le dovevo anche parlare di un’altra novità: molto probabilmente avrò per qualche settimana un nuovo compagno in questo appartamento… Come ai vecchi tempi. Si tratta di un giovane russo in esilio per motivi politici e attualmente residente a Londra.
– Oggi è più sorprendente del solito, Holmes! Questa è davvero una bella novità e sono proprio curioso di saperne qualcosa in più…
Il campanello dell’ingresso aveva interrotto il nostro colloquio. Forse il dottor Bell era finalmente arrivato.
– Caro Watson, approfondiremo l’argomento in un’altra occasione – mi disse Holmes alzandosi dalla poltrona e andando a mettersi con le spalle alla finestra.
Proprio in quel momento la signora Hudson introdusse l’ospite: il dottor Joseph Bell.
Era un uomo di statura media, con un completo grigio di una certa eleganza, ma non eccessivamente raffinato. Il viso era incorniciato da una barba ben curata e lo sguardo intelligente appariva offuscato da una preoccupazione.
– Buonasera, signor Holmes. Sono davvero contento di ritrovarla dopo così tanto tempo – disse avanzando con il braccio teso per stringere la mano del mio amico.
– Benvenuto, dottor Bell, la rivedo con molto piacere anch’io. E ometta per favore il signore
davanti al mio cognome. Se non ricordo male, quando non la facevo troppo arrabbiare mi chiamava Sherlock – disse Holmes stringendo vigorosamente la mano al nuovo arrivato.
– Sì, credo ricordi bene. Ma non potrei più farlo ora; vada per un più consono Holmes, a patto che anche lei ometta il titolo dottore
davanti al mio cognome – replicò Bell.
– Siamo d’accordo così. Le presento il mio amico, dottor John Watson, anche lui medico, nonché mio assistente da ormai molti anni.
Mi ero alzato anche io nel frattempo per accogliere l’ospite e strinsi la mano al dottor Bell, affiancandomi a Holmes.
– La conosco come autore delle cronache riguardanti le avventure di Holmes e mi aspettavo di trovarla qui – disse Bell.
– Sono lieto di conoscerla; nella nostra professione ha un generale e doveroso rispetto per quanto ha fatto e insegnato in tanti anni qui a Londra – dissi.
– Ho solo cercato di trasmettere quanto più potevo di ciò che ho imparato per esperienza diretta e per deduzione – mi rispose il dottor Bell, lanciando uno sguardo d’intesa a Holmes.
– Stavamo giusto rispolverando poco fa vecchi ricordi, di quando io e il dottor Watson ci siamo conosciuti proprio al Barts, nel laboratorio di chimica dove lavoravo allora.
– Era un ambiente stimolante e pieno di ottimi professionisti e lo è ancora. Anche se ho ormai lasciato a causa dell’età la professione, ho sempre frequenti contatti con l’ospedale e l’università – commentò il nostro ospite.
– Senta, Bell, con la promessa di non perderci di vista in futuro per poter scambiare qualche opinione, se la sente di parlarci subito del problema cui mi accennava nel biglietto? Naturalmente Watson ha la mia massima fiducia e dunque assisterà alla nostra conversazione, se lei non ha nulla in contrario.
Anche se poteva sembrare una formale proposta, era chiaro a tutti che Holmes aveva posto una precisa condizione, come era capitato altre volte in passato.
– Come dicevo, mi aspettavo di parlare a entrambi e dunque non ho obiezioni – ribatté Bell.
– Bene, allora sediamoci e cominciamo dall’inizio – concluse Holmes accomodandosi sulla poltrona più vicina e indicando quella al suo fianco al dottor Bell.
Allo stesso tempo, con un rapido sguardo, mi invitò a sedermi sulla terza rimasta libera di fronte a loro.
Il mio amico, anche se con una maggiore deferenza rispetto al solito data l’importanza dell’ospite, allungò scompostamente le gambe davanti a sé e unì le mani sotto il mento come l’avevo visto fare ormai decine di volte. Era uno dei suoi modi di concentrarsi sul racconto che apriva un’indagine e che spesso gli dava già molti elementi per chiuderla!
– Devo fare una breve premessa, anche per giustificare la mia volontà di risolvere questo mistero, sebbene sia consapevole che potrebbe apparirvi un'inutile testardaggine. Sono rimasto vedovo di mia moglie Evelyn già da qualche anno e da allora mi sono affezionato e legato ancor di più alla mia unica figlia, Elisabeth. Per lei ho fatto sempre molto e ancora molto vorrei fare in futuro, finché la salute me lo permetterà. Non so, dottore, se lei abbia dei figli ma credo che potrete capirmi entrambi se vi dirò che si vorrebbe sempre dare tutto per assicurare loro il meglio o comunque ciò che loro credono tale e dunque desiderano – esordì il nostro ospite.
– Posso confidarle, dottor Bell, che proprio le mie esperienze di medico mi hanno fornito più volte nella mia vita questa prova d’amore dei genitori nei confronti dei figli – replicai.
– Ecco, allora potrete comprendere meglio la mia situazione. Veniamo ora al racconto dei fatti. Dopo alcuni anni di fidanzamento con William Harvey, un giovane e promettente avvocato che ha il suo studio qui in città, è arrivata la decisione di sposarsi. E con il mio pieno consenso. William mi è piaciuto fin dall’inizio e ho avuto modo di constatare che ha davvero un grande affetto per Elisabeth; inoltre è di ottima e benestante famiglia. Sono sicuro che, per questo e anche per la sua professione, potrà assicurare un buon futuro a mia figlia. Pur non essendo di Londra, la sua famiglia è infatti del Berkshire, si stabiliranno in città per ovvi motivi di lavoro, a non molta distanza dalla mia casa e questo mi tranquillizza ulteriormente. Però, e arriviamo così al punto, il matrimonio si celebrerà, o dovrei dire si dovrebbe celebrare, in una chiesa del Berkshire, con il successivo ricevimento in una splendida villa dei dintorni: South Hill Park, a Bracknell. William ha in mente un grande evento e, come vi dicevo, la posizione economica della sua famiglia gli permetterà di realizzarlo. Elisabeth, che è molto innamorata di lui, ci tiene dunque immensamente ad assecondarlo ed è rimasta entusiasta della villa quando l’ha vista. Per questo vorrei cercare di aiutarli – spiegò il dottore.
– Mi pare che da quelle parti ci siano alcune importanti residenze di caccia. Mi ricordi, poi, di verificarlo su una delle mie cartine, Watson. Continui, Bell, la prego.
– Vedete, la situazione si è complicata nel giro di pochi giorni. South Hill Park è ora di proprietà di una società d’affari internazionale ed è affidata per la locazione alla Crown Estate di Londra. È possibile affittarla anche per brevi periodi, proprio per questo genere di ricevimenti o per cerimonie particolarmente significative. Elisabeth e William hanno deciso di sposarsi a metà ottobre e l’affitto della villa era stato concordato dalla fine di settembre, per alcuni preparativi e allestimenti. Improvvisamente, qualche giorno prima, ci è stata data notizia di alcuni strani avvenimenti rilevati all’interno di South Hill Park dai precedenti affittuari, che pare l’abbiano poi abbandonata in tutta fretta piuttosto spaventati. Ulteriori ispezioni da parte di rappresentanti della Crown Estate, non avevano fatto altro che confermare questi misteriosi episodi. Il signor Pendleton, il loro mediatore con il quale avevamo concluso il contratto, ci aveva quindi informato dell’apparizione all’interno della villa di sinistre presenze apparentemente soprannaturali; lui stesso ci disse di esserne stato testimone.
– Lei ricorda, Bell, il nome del privato o della società che aveva in affitto la villa in precedenza? – chiese a quel punto Holmes prendendo qualche appunto sul suo taccuino.
– Lo ricordo bene, in quanto volli poi parlare anche con loro per accertarmi di cosa stesse accadendo davvero nella villa. Si tratta dello I.I.A., Institute for International Affairs, un istituto internazionale che si occupa dello studio delle relazioni diplomatiche tra i paesi europei e organizza seminari e convegni in diverse capitali. Proprio per questo avevano occupato per qualche settimana South Hill Park. Mi misi in contatto con il signor Morris, uno dei loro massimi rappresentanti a Londra, il quale mi parlò in modo vago