Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'ultima soglia: L'ultima soglia 4
L'ultima soglia: L'ultima soglia 4
L'ultima soglia: L'ultima soglia 4
Ebook214 pages3 hours

L'ultima soglia: L'ultima soglia 4

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

ROMANZO (134 pagine) - FANTASY - Ancora un viaggio oltre la soglia. L'ultimo...

Oltre l'ultima soglia sono infinite le storie da narrare. Dopo "Specchi D'acqua, I Giardini delle Fiamme" e "La Canzone dei Lupi", Scilla Bonfiglioli ci conduce ancora una volta nella magia di un mondo che non smette mai di affascinare. Un lungo, doppio, appassionante finale, per una delle saghe fantasy più innovative degli ultimi tempi: "Jarl Inverno" e "Viaggio nel mistero", per immergersi del tutto nel mondo che vive oltre la soglia...

Scilla Bonfiglioli nasce a Bologna nel 1983, lavora come attrice e regista con la Compagnia Teatrale "I Servi dell'Arte" per la quale collabora inoltre nella stesura dei testi drammaturgici. Nel 2011 è tra i vincitori della competizione "eSaggi under40" promossa da Il Saggiatore con il testo "Le Maschere di Athena," edito nel 2012. Finalista del Premio Elsa Morante nel 2005, ha pubblicato racconti in diverse antologie (Bacchilega, Delos Book, Edizioni Diversa Sintonia) e sulle riviste "Writers Magazine Italia" e "Robot". Nel 2012 pubblica "Skylla e Karybdis" in appendice al Segretissimo Mondadori di aprile e nel 2013 il racconto "Pagare cara una pelle" nell'antologia Giallo 24 su Giallo Mondadori.
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJun 24, 2014
ISBN9788867753963
L'ultima soglia: L'ultima soglia 4

Read more from Scilla Bonfiglioli

Related to L'ultima soglia

Related ebooks

Short Stories For You

View More

Related articles

Reviews for L'ultima soglia

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'ultima soglia - Scilla Bonfiglioli

    a cura di Andrea Franco

    L'ultima soglia

    di Scilla Bonfiglioli

    Indice

    Colophon

    Scilla Bonfiglioli

    L'ultima soglia

    Nei capitoli precedenti

    Parte prima: Jarl Inverno

    Laguz

    Kaunan

    Tiwaz

    Thurisaz

    Parte seconda: Viaggio nel Mistero

    Mannaz

    Raido

    Perdth

    Ansuz

    Otilath

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

    Altri libri

    1.0 giugno 2014

    ISBN versione ePub: 9788867753963

    © 2014 Scilla Bonfiglioli

    Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0 giugno 2014

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Scilla Bonfiglioli

    Scilla Bonfiglioli nasce a Bologna nel 1983, lavora come attrice e regista con la Compagnia Teatrale I Servi dell’Arte per la quale collabora inoltre nella stesura dei testi drammaturgici. Nel 2011 è tra i vincitori della competizione eSaggi under40 promossa da Il Saggiatore con il testo Le Maschere di Athena, edito nel 2012. Finalista del Premio Elsa Morante nel 2005, ha pubblicato racconti in diverse antologie (Bacchilega, Delos Book, Edizioni Diversa Sintonia) e sulle riviste Writers Magazine Italia e Robot. Nel 2012 pubblica Skylla e Karybdis in appendice al Segretissimo Mondadori di aprile e nel 2013 il racconto Pagare cara una pelle nell'antologia Giallo 24 su Giallo Mondadori.

    Dello stesso autore

    Scilla Bonfiglioli, Specchi d'acqua Fantasy Tales L'ultima soglia ISBN: 9788867750986 Scilla Bonfiglioli, Progetto Bokor The Tube ISBN: 9788867751198 Scilla Bonfiglioli, I giardini delle fiamme Fantasy Tales L'ultima soglia ISBN: 9788867751594 Scilla Bonfiglioli, La canzone dei lupi Fantasy Tales L'ultima soglia ISBN: 9788867752744

    Nei capitoli precedenti

    1: Specchi d'acqua

    A Fiordimare, Bjorn e sua sorella Amata giocano da sempre sulle sponde del fiume, fissando i riflessi tremuli che imitano ogni loro movimento. Ma se quelle non fossero solo immagini? Se quello che si vede appena oltre la superficie dell'acqua fosse un mondo identico, eppure invertito, al loro? Bjorn vede lo sguardo maligno con cui quei riflessi fissano la sua bellissima sorella e capisce di dover intervenire, prima che sia troppo tardi. E quando lei scompare, risucchiata nella terra dei Morti, c’è solo una cosa che lui possa fare: andare là sotto, a Mardifiordo, per recuperarla.

    2: I giardini delle fiamme

    Si dice che una Fiamma che perde la testa per un guerriero di Fiordimare, sia condannata a consumarsi per lui. Dopo Specchi d’acqua ecco finalmente il secondo capitolo della saga fantasy ispirata alla mitologia del nord: I giardini della Fiamma. I morti tornano a catturare i vivi e le Fiamme – creature leggendarie che abitavano i Giardini – hanno chiesto aiuto a Fiordimare. Quando il principe Katt giunge da loro scopre che il pericolo è più grande di quanto immaginasse. E la soluzione deve essere trovata in fretta. Ma c'è ancora una speranza, mio principe, per poterci salvare tutti. Ed è qui nei Giardini delle Fiamme.

    3: La canzone dei lupi

    Bjorn è ritornato vittorioso dal suo viaggio nell'oltretomba e quella che ha compiuto è una missione che ben pochi, anche tra gli sciamani più potenti, hanno osato intraprendere prima di lui. Tuttavia, non tutto è andato per il verso giusto. Dopo essere stata riportata indietro dalla morte, la sua amata sorella sembra essere spezzata in due: una parte di lei appartiene ai defunti di Mardifiordo, l'altra ai lupi della foresta. Attraversando questo strappo aperto tra i mondi, l'oscura principessa Helevete porta avanti la prima ondata di un'invasione sanguinosa. Per il regno di Fiordimare è tempo di riscoprire i segreti delle antiche magie legate ai nomi.

    Parte prima: Jarl Inverno

    Laguz è la profondità dell'acqua che cela un segreto.

    Il segno che viene dopo è Kaunan, la fiaccola. Più forte è la luce, più densa è l'ombra, così viene Tiwaz. Viene la guerra.

    Ogni segno si intreccia all'altro, intesse una rete che non lascia scampo.

    Laguz

    Sollevò lo sguardo oltre gli alberi.

    – Per il culo rinsecchito delle Cagne – imprecò il gemello. – Fa così freddo che tra un po' il cielo si spezzerà e ci cadrà in testa.

    – Tira aria da neve – annuì Rav. Sputò fuori le parole con molta fatica. Da quando Helevete gli aveva rubato il cuore, si era fatto ancora più taciturno. Aveva la sensazione che tutto quel gelo provenisse dal vuoto tra le sue costole.

    – Manca poco. – Il gemello si aprì la strada nella radura tra gli alberi, scalciando l'erba irrigidita nella brina. – L'entrata dovrebbe essere qui intorno.

    Bjorn non sapeva com'erano andate le cose.

    Eppure qualcosa doveva sentire, perché non aveva più lasciato il suo fianco, cercando di risvegliarlo da quella quiete eccessiva.

    Per questo Rav, anche se non aveva altro che il gelo nel petto, ricordava l'antico affetto che provava per Bjorn e si era sforzato di produrre almeno quelle parole.

    I primi fiocchi scesero sulla radura, proprio come se il cielo cadesse per il troppo freddo.

    – Ah, eccola qui!

    Bjorn si portò la mano alla bocca per raccogliere l'alito nell'aria gelata. Lo imitò, ma il respiro che usciva dalle sue labbra aveva la stessa temperatura del cielo e non generava vapore. Bjorn si riempì le mani a coppa, poi le aprì per soffiare l'alito in avanti.

    Nell'aria davanti a loro si delinearono volute sottili. Fece il gesto di scostare qualcosa e l'immagine stessa della foresta si aprì, come se avesse sollevato una tenda.

    – Ben arrivati, Figli di Cielo – giunse dall'interno. – Rocca di Bruma vi saluta.

    Si tolsero gli stivali prima di entrare in un soggiorno a pianta circolare sul quale si affacciavano altre stanze a raggiera, che dall’ingresso si vedevano appena.

    Le vetrate lasciavano penetrare la luce in lame perlacee, gli smalti pregiati esaltavano il rigore della pietra, addolcito dai decori in legno, dalle pellicce sui pavimenti.

    L'Uomo col sorriso a brandelli era seduto davanti alle braci del camino, che gli spargevano bagliori sul viso affilato. Era chino su un telaio che aveva preparato inchiodando rami di betulla in una figura rettangolare. Con precisione, aveva teso fili colorati da lato a lato creando un intreccio tortuoso.

    – Padre di Cielo! – si sorprese Bjorn. – Non sapevo sapessi tessere così bene.

    Bjorn aveva da sempre questo amore incondizionato per tutte le attività manuali. Che venisse sbalzata nella forgia l'ascia più letale o che si rammendasse una rete sulla baia, suo fratello doveva prendervi parte.

    – Io so fare tutto – borbottò l'Uomo col sorriso a brandelli.

    Non era da meno.

    Lo raggiunsero sulla pelliccia.

    Bjorn si sedette a contemplare l'ordito, lui rimase in piedi accanto al Padre di Cielo. Mescolava i colori dei fili, faceva creare l'ordito a una navetta di legno.

    – Sembra la superficie del fiume.

    – La superficie, proprio così – sussurrò il Padre di Cielo. Li guardò con occhi troppo grandi nel viso smunto. – Così sottile, divide Fiordimare da Mardifiordo, non è vero? Il mondo dei vivi e quello dei morti tenuti separati da una cosa così fragile. E cosa fa la superficie dell'acqua, Figli di Cielo?

    – Riflette – disse Rav, senza sforzarsi per rispondere.

    L'Uomo col sorriso a brandelli sogghignò. Quando lo fece, la bocca si strappò in lacerazioni spaventose che si inerpicarono fin sotto al naso, sulle guance e gli aprirono crepacci sul mento. Era stato loro padre, re Lejon, a procurargli quelle ferite, punendolo per una colpa così grave che aveva quasi rovesciato il regno. Talvolta lo sciamano permetteva loro di vederle.

    – Distorce l'immagine e la restituisce inversa. Eppure la stessa – confermò. – Come voi, Figli di Cielo, siete uno il riflesso dell'altro.

    Li chiamò più vicini, in modo che potessero ammirare il disegno dell'ordito.

    Sul momento parve a Rav solo un intreccio di colori e forme geometriche, poi si confuse in un barbagliare che ricordava il sole sul fiume. Sotto i loro occhi prese vita il disegno di un albero. Cresceva da terra, forte e scuro, tendendo i grossi rami a un cielo pieno di corvi.

    – Cosa dovrebbe rappresentare? – domandò Bjorn.

    L'Uomo col sorriso a brandelli si strinse nelle spalle.

    – La realtà tutta, ecco che cos'è.

    Bjorn alzò uno sguardo dubbioso.

    – Ma davvero? L'albero?

    – Ogni filo è una vita. Intrecciandosi gli uni agli altri, creano una trama di esistenze. Tu vedi un albero. Chissà cosa vede Rav?

    – Anch'io vedo un albero, Padre di Cielo.

    Lo sciamano fece un altro dei suoi sorrisi mostruosi.

    – Io vedo un impiccato.

    Rav serrò le labbra. Lo vide anche lui, in un guizzo di lana colorata, mentre Bjorn imprecava con male parole per non riuscire a vedere altro che rami e corvi.

    – La realtà è fatta di facce diverse, Figlio di Cielo. Non tutti vedono lo stesso.

    Rav lo sapeva. Anche ora, per esempio: lui e Bjorn erano entrati nel soggiorno del Padre Cielo proseguendo dal terreno nella foresta. Eppure sapeva che se si fosse avvicinato alle vetrate per guardare giù, avrebbe visto il prato e il lago, in basso, perché Rocca di Bruma era un'alta torre.

    – La principessa di Mardifiordo – disse – aveva con sé un arazzo con un disegno uguale, quando è giunta fino a qui.

    Il Padre di Cielo affilò gli occhi: – Davvero?

    – E mi ha chiamato fratello. Perché lo ha fatto?

    Bjorn, che stava esaminando l'ordito con la punta delle dita, per la sorpresa tirò la navetta con troppa forza.

    – Non me l'avevi detto!

    Rav avrebbe dovuto sentirsi in colpa per quel segreto, invece non avvertì altro che fredda curiosità per quello che avrebbe detto l'Uomo col sorriso a brandelli, per la navetta mossa da Bjorn che adesso scorreva da sola sul disegno, dando l'impressione che sopra l'albero dell'impiccato continuasse a nevicare senza tregua.

    Il Padre Cielo si accarezzò il mento. Scivolò coi polpastrelli sull'arazzo, fermando la navetta.

    – Voglio che guardiate – ordinò. – Immaginate me come un lago profondo. Questo arazzo è la mia superficie e voi, che cercate voi stessi in me, siete il riflesso.

    Da sopra la spalla del gemello, Rav guardò.

    A proteggerlo dal freddo, Lindorm aveva il mantello color ruggine dei Giardini delle Fiamme. La cappa piumata catturava la luce tra le fronde e gli scendeva sulle spalle trasformando le braccia in ali e alleggerendo le costole nella gabbia toracica di un uccello.

    – Siamo quasi arrivati – lo rassicurò il principe Dagaz.

    Cavalcavano insieme da lungo tempo, e più volte il sole era sorto e calato nel cielo. L'ascia d'oro a doppia lama, che Dagaz portava al fianco, catturò sul filo la luce che filtrava dai pini.

    – Avrei dovuto volare e aspettarti a Fiordimare – sbuffò. – Tutta questa strada in groppa ai raspati mi sta spezzando la schiena.

    – Non fate un passo! – Una voce argentina echeggiò tra gli alberi. – Le Lupe della regina Lovinne pattugliano questi boschi e se siete nemici non sopravvivrete abbastanza né per avvicinarvi alla cittadella, né per tornare indietro.

    – Non siamo nemici – Dagaz si parò davanti a lui, placando Crinedoro. Il raspate scuoteva la testa verso gli alberi.

    – Allora chi siete?

    La voce era più vicina. Lindorm non era abituato a tutti quegli alberi e si accorse tardi dell'ombra che scivolava sopra le loro teste. La vide balzare su un ramo più basso, scrutarli appoggiata alla corteccia.

    Era una ragazza.

    Indossava tunica e pantaloni di morbida lana ed era stretta in un farsetto di cuoio. I capelli biondi scendevano a carezzarle il petto, così luminosi che sembrava che il sole stesso brillasse al loro interno. Stagliata nel vento gelido, gli fece battere il cuore. Era sicuro di averla già vista da qualche parte. Sussultò, quando lei saltò giù, gettandosi verso di loro.

    Anche Dagaz balzò da Crinedoro e corse a stringerla tra le braccia.

    Lindorm riconobbe in quel momento la principessa di Fiordimare. La sorella minore che morendo aveva spinto Dagaz a lasciare il regno. L'aveva vista, ecco dove! Nelle sale d'ossidiana di sua madre, capaci di aprire soglie e finestre sui luoghi lontani per seguirne gli accadimenti.

    – Sei davvero tu, Amata? – domandò Dagaz, incredulo.

    – Non usare più quel nome! – lo redarguì la principessa. – Mai più. Né quello, né Susi. Li ho portati troppo a lungo.

    Dagaz la scrutò, affilando gli occhi in due lame azzurre. Sembrava un gatto che punta la preda.

    – Anch'io sono tornato dai Giardini delle Fiamme col nuovo nome di Dagaz – le disse. – È il suono del segno che preannuncia l'aurora. Come devo chiamarti, adesso?

    – Mi chiamo Berkana. Come la vita che sorge dalla morte.

    Helevete sedette sotto il nero cielo di Mardifiordo, allargando il vestito in volute come di nebbia. Oltre le onde pigre che mangiavano la baia, il drakkar poteva ormai contenere una piccola armata. La chiglia poggiava nell'acqua bassa, trattenuta dal cordame che l'assicurava agli scogli; lo scafo pallido riluceva di un bagliore dorato e tenue: l'anima di Glodende Oye era assopita nel cullare delle onde. Gli occhi dipinti sulla prua erano chiusi e la facevano sembrare una mezza luna dormiente.

    Da dietro le rocce, le Cagne trascinavano degli spettri. Bianchi come il latte, si aggrovigliavano come le larve nei sacchetti dei pescatori. Emettevano versi da spezzare il cuore.

    Le Cagne li costrinsero a terra, premendoli nella sabbia umida con le ginocchia ossute.

    Ne sfuggì uno. Era basso e un po' tarchiato, doveva essere lo spirito di un bambino. La morte lo aveva deformato, rimpicciolendo le orecchie e spalancando la bocca in un grido enorme. Una tonda finestra mostruosa.

    Barcollò verso di lei e la principessa di Mardifiordo lo accolse.

    – Va tutto bene – lo cullò e gli prese nelle sue le piccole mani deformi. Aveva artigli di uccello rapace. – Sono belle lunghe.

    La baia si riempì di gemiti strazianti. S'infransero nello sciabordio del mare mentre le Cagne terminavano il loro lavoro, facendo poi raddrizzare i corpi contorti.

    Ammucchiarono il bottino in un cumulo disordinato.

    Helevete avvicinò il viso alle mani del morticino che cullava contro il petto. Esaminò le unghie lunghe, resistenti e del colore delle perle. Quello che ci voleva per Glodende Oye.

    – Desideri che lo faccia io, principessa?

    – No, Kelpie. Faccio da sola, grazie.

    Piantò le proprie unghie nelle dita dello spirito, solcando la pelle molle di annegato fino all'osso. Lacerò la carne fino all'unghia. Il morticino si dibatteva come un pesce, frustandole il petto, ma non lo lasciò andare. Gli strappò un'unghia dal dito, lasciando che i gemiti si levassero alti, poi fece lo stesso con tutte le altre.

    Alla fine, baciò la testa deforme del piccolo annegato e lo lasciò fuggire via. Gettò la manciata di unghie nel mucchio, mandandole a raggiungere le altre.

    – Scioglietele – ordinò. – E rinforzate la prua, in modo che sia stabile per il viaggio.

    L'Uomo col sorriso a brandelli sfiorò i nodi giusti e la navetta ricamò la figura regale di Lejon.

    – Cosa c'entra nostro padre?

    L'Uomo col sorriso a brandelli fece una smorfia.

    – C'entra sempre.

    A ben cercare tra i fili verticali della trama, tutto ciò che aveva fatto era stato per Lejon: il trono di Fiordimare gli era destinato, così lui l'aveva voluto per sé; persino i capelli d'oro della regina li aveva recisi con più entusiasmo del dovuto perché lei era un po' troppo vicina al cuore del al fratello.

    Ti darò una figlia sussurrò un giorno una Puledra. Gli

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1