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Buona montagna
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Buona montagna

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ROMANZO BREVE (78 pagine) - FANTASCIENZA - Un incredibile viaggio a bordo di un verme gigante tra foreste enormi e mari solforosi

Di Robert Reed abbiamo detto più volte che è un autore prolifico ed eclettico che ama spaziare in tutti i sottogeneri della fantascienza, dalla space opera moderna alle sofisticate estrapolazioni del nostro futuro. Stavolta Reed si cimenta con un racconto un po' alla Jack Vance, una storia picaresca di un viaggio incredibile nella pancia di un verme gigantesco in mezzo a gas letali e acque sature di veleni solforosi. Ammaliato dalle grazie di un'affascinante fanciulla, Jopale, un giovane studioso che tenta di sfuggire ai cataclismi che stanno sconvolgendo il suo mondo, si lascia fuorviare dalla sua destinazione nella vaga speranza di raggiungere una mitica montagna e le sue misteriose meraviglie tecnologiche.

Nato il 9 ottobre del 1956 a Omaha, nel Nebraska, Robert David Reed ha vinto il premio Hugo nel 2007 con il magnifico romanzo breve "A Billion Eves" ("Un miliardo di donne come Eva", Delos Books) ed è considerato in patria come uno dei massimi scrittori di fantascienza viventi. Eclettico e multiforme, Reed ha al suo attivo più di una dozzina di romanzi (tutti inediti in Italia) e circa duecento racconti e romanzi, tra cui vanno ricordati, oltre al già citato "A Billion Eves", anche "La verità" ("The Truth"), apparso anch'esso su Odissea Delos, e "Celacanti" ("Coelacanths"). Una particolare importanza riveste, all'interno del suo opus letterario, il ciclo dedicato alla Grande Nave, un'immensa astronave che viaggia da millenni attraverso la Galassia, popolata da innumerevoli culture e civiltà umane e aliene. All'interno di questo ciclo si collocano "Falsa Identità" ("Camouflage", 2005), considerato dai critici uno dei momenti più significativi dell'intera serie e "La Notte del Tempo", che abbiamo già pubblicato in questa collana. 
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateSep 22, 2015
ISBN9788867758944
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    Buona montagna - Robert Reed

    9788867758166

    Un punto su una vecchia carta

    – Bordo del Mondo. Ci avviciniamo a… Bordo del Mondo!

    Il custode del verme era un vecchio uomo di nome Brace. In piedi al centro del lungo tratto intestinale, indossava un'uniforme grigio scuro, rattoppata ma scrupolosamente pulita, stivali a suola morbida e un respiratore allacciato al fianco. Mani forti reggevano un secchio di angelegno pieno di una sostanza bianca, densa e dall'odore acido. Il suo nome stava in rilievo sopra la tasca della camicia, preceduto dal suo rango, ovvero Padrone. Gridando con voce profonda, Padron Brace spiegò a diverse dozzine di passeggeri: – Da questa stazione potete trovare l'ingresso delle piste per Martello e Bassignore e Isola Verde. Se Bordo del Mondo dovesse essere la vostra destinazione, buona fortuna e per favore raccogliete le vostre cose prima di seguire le indicazioni per i checkpoint di sicurezza. E se volete rimanere a bordo di questo splendido verme significa che Sinistra-di-Sinistra sarà la nostra prossima fermata e Porto di Krauss il capolinea.

    Il custode aveva un sorriso convincente e un modo di fare calmo e sicuro. In sua presenza un osservatore innocente avrebbe potuto credere che non vi fosse nulla di sbagliato al mondo.

    – Ma se avete intenzione di restare con me, – continuò Brace, – sbarcherete comunque a Bordo del Mondo, anche se solo per il momento. La mia piccola ha bisogno di riposo, di una buona cena e ha qualche piccola piaga che deve essere pulita – poi fece l'occhiolino ai passeggeri e riprese a camminare, portando il pesante secchio verso lo stomaco, dove erano alloggiati gli pseudoumani. – O forse ci tratterremo qui per un paio di minuti – scherzò il vecchio. – Non mi aspetto ritardi significativi e voi non dovreste preoccuparvi.

    Jopale sospirò e si sedette contro il caldo muro rosa. Non era preoccupato, non a causa di un coraggio innato, ma perché era spaventato da così tanto tempo che non aveva più spazio per nuove preoccupazioni. O almeno così gli pareva in quel particolare momento. Di certo, dopo il suo ultimo sonno prolungato, Jopale aveva goduto di un rinnovato senso di fiducia. Un cauto ottimismo stava mettendo radici. Calcolando quanto lontano fosse andato, vedeva larga parte del mondo alle sue spalle, mentre non era del tutto una menzogna il pensiero che Porto di Krauss lo stesse aspettando appena oltre l'orizzonte.

    Jopale si era preparato anche un sorriso convincente e, guardando gli altri passeggeri, trovò un'altra faccia dall'apparenza altrettanto ottimista.

    Una giovane donna, minuta, bassa ma attraente, sedeva dirimpetto a lui. Doveva essere salita a bordo durante la sua ultima dormita. Magari a Qual-Via, ragionò. C'era una buona università in quell'antica città. Forse era una studentessa diretta a casa, dato che tutte le scuole erano ufficialmente chiuse. Aveva pochi e piccoli bagagli, un grosso libro le occupava il piccolo grembo. Il suo respiratore sembrava non fosse mai stato usato, mentre una potente torcia stava assicurata al suo fianco. I suoi vestiti sembravano comodi nonostante fossero pesanti: lana tinta di verde con toppe di cuoio su gomiti e ginocchia. Le nude dita dei piedi si agitavano su una coperta da viaggio. I suoi stivali avevano spesse suole di gomma, e questo spiegava il perché non li indossasse all'interno del verme. Sembrava pronta a un lungo viaggio nella fredda oscurità, ma dove poteva essere diretta una giovane donna, per sorridere delle proprie prospettive?

    C'era solo una conclusione logica: Jopale catturò lo sguardo della donna, le fece un cenno col capo e le offrì un amichevole occhiolino – Anche lei come me, signorina? – chiese. – È in viaggio per Porto di Krauss?

    Lei esitò, gettando occhiate agli altri passeggeri, poi scosse la testa. – Non lo sono, no. – gli disse.

    Jopale pensò di aver capito.

    – Ma sta viaggiando attraverso Krauss – insistette – verso qualche altra destinazione, forse?

    Stava pensando alle Nuove Isole.

    Ma lei scosse la testa, forse un po' imbarazzata ma anche traendo un po' di piacere dalla sua confusione.

    Nessun altro stava parlando in quel momento, e l'intestino di un verme era un luogo molto silenzioso. Era facile origliare ed essere ascoltati quando si parlava. In rapida successione tre ragazzi proposero le loro ipotesi, scegliendo piccole città situate lungo le piste ausiliarie: ognuno di loro chiaramente sperava che la destinazione fosse identica alla sua.

    – No, – disse loro. – No. Mi spiace, ma no.

    Altri passeggeri iniziarono a giocare a quello sciocco gioco e, a sua difesa, la donna rimase paziente e con un sorriso sul volto, rispondendo subito a ogni domanda errata. Poi il grande verme iniziò a tremare attorno a loro, il corpo muscoloso si contorse mentre imboccava una delle piste laterali. All'improvviso vi era un buon motivo per affrettare il gioco: i ragazzi stavano per andarsene, non si meritavano forse un indizio o due?

    – E va bene – disse lei, accondiscendente – rimarrò su questa linea – poi chiuse il libro di colpo, sogghignando mentre pensava alla sua destinazione.

    – Sinistra-di-Sinistra? – gridò qualcuno.

    – Già detto – si lamentò un altro passeggero.

    – Cosa ci è rimasto allora?

    – Qualcuno ha una mappa?

    Jopale si alzò. Anche se il loro verme era giovane e piuttosto piccolo, dei buchi erano stati praticati nei suoi fianchi carnosi evitando i gruppi muscolari principali. In ogni foro era inserito un dilatatore di gomma progressivamente più grande, che infine veniva sostituito con una finestra di plastica che sembrava intagliata da nebbia fredda. Attraverso una di queste finestre, Jopale fissò gli alti edifici della città, le loro lunghe ombre e l'alto cielo terso che era vicino alla notte più di ogni cosa lui avesse mai conosciuto. Che viaggio era stato, e non era ancora finito. Non per la prima volta, Jopale desiderò di aver tenuto un diario. Quando avrebbe avuto il tempo – una volta che fosse andato a vivere sulle Nuove Isole, forse – avrebbe descritto sia ogni tremenda cosa che gli era capitata, sia il suo trionfo finale.

    Una dozzina di viaggiatori stava esaminando le proprie mappe, cercando nomi di piccoli luoghi e città abbandonate. Ci era stato un tempo in cui la gente che aveva vissuto nelle Terre Aggrovigliate e oltre, ma erano passati molti anni. Solo le mappe più vecchie si prendevano il disturbo di mostrare quelle irripetibili destinazioni. Un giovane, molto alto e sorprendentemente magro, stava vicino alla donna – troppo vicino, per i gusti di Jopale – ed elencava con cura una serie di posti che esistevano solo sul foglio di carta ingiallita e inchiostro sbiadito che reggeva alla luce degli oblò.

    – Sì – disse la donna, una sola volta.

    Ma lo spilungone non ci fece caso, continuò a leggere nomi, spingendo il dito lungo la pista nera del verme e la donna diceva No, no, no di nuovo, sorridendo divertita da quell'ingenuità.

    Ma Jopale se n'era accorto.

    – Torna indietro, – disse lui.

    Lo spilungone lo guardò, infastidito dall'interruzione.

    Poi una donna vecchia e tozza allungò una mano colpendolo in mezzo alle scapole. – La ragazza ha detto, ‘Sì.’ Non hai sentito?

    Un'altra donna disse: – Rileggi all'indietro.

    Lo spilungone era troppo stupito per fare qualunque cosa.

    Quindi Jopale prese la mappa e nella luce bassa fece la sua migliore ipotesi. – Che ne dici di Buona Montagna?

    Ancora una volta la ragazza disse: – Sì.

    – Che razza di nome è? – chiese lo spilungone, riprendendosi la mappa, mettendosi a piegarla con cura. – Che vuol dire quella parola? ‘Montagna’? Mai sentita prima.

    Ma il gioco

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