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La verità oltre la foresta del linguaggio
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Ebook156 pages2 hours

La verità oltre la foresta del linguaggio

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About this ebook

Qual è l'origine delle lingue e quale principio ideale regola il processo di traduzione?
Come si realizza il percorso conoscitivo messo in atto dall'essere umano per giungere alla verità?
In che modo l'evoluzione ambientale metropolitana ha modificato il sistema percettivo dell'uomo e la sua capacità di vivere e interpretare ogni esperienza?
A queste domande il testo prova a dare risposta attraverso l'analisi delle riflessioni del filosofo berlinese Walter Benjamin e dei critici che su di lui hanno posto il loro sguardo.
LanguageItaliano
PublisherAbel Books
Release dateMar 18, 2014
ISBN9788867520961
La verità oltre la foresta del linguaggio

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    La verità oltre la foresta del linguaggio - Ciro Intermite

    Ciro Intermite

    La verità oltre la foresta del linguaggio.

    Su alcuni momenti della filosofia del linguaggio di Walter Benjamin

    Abel Books

    Proprietà letteraria riservata

    © 2014 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788867520961

    … A chi, su una scena calcata da sagome indistinguibili, ha puntato per me il riflettore su Walter Benjamin, lasciandomi dirigere la regia di un monologo entusiasmante.

    Indice

    Introduzione

    Capitolo primo

    DALL’EDEN ALLA TERRA:

    EVOLUZIONI GENETICHE DELLA LINGUA

    1.  Fondamenti teologici della lingua

    2.  La perfezione limitata della lingua umana

    3.  Dal suono al segno: la creazione delle parole

    4.  Il lamento della natura

    Capitolo secondo

    UNA VIA PER LA SALVAZIONE DELLE LINGUE:

    LA TRADUZIONE

    1.  Originale, traduzione e traduttore

    2.  Itinerarium hominis in puram linguam

    3.  Le due facce dell’intenzione linguistica: inteso e modo d’intendere

    4.  Il vero compito del traduttore

    5.  Per una definizione di simbolo

    Capitolo terzo

    SUL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTAZIONE E DELLA CONOSCENZA

    1.  Rappresentazione e verità

    2.  Rappresentazione di verità e rappresentazione di idee

    3.  Regno delle idee e regno dei fenomeni

    4.  La manifestazione delle idee

    5.  Emersione dell’idea: individuazione dell’origine

    6.  Tra preistoria e storia futura: una nuova teoria della conoscenza

    Capitolo quarto

    LA MODIFICAZIONE PERCETTIVA DELL’ESPERIENZA. A SPASSO CON PROUST E BAUDELAIRE TRA LA FOLLA DELLA METROPOLI MODERNA

    1. La mémoire involontaire in Marcel Proust

    2. Il declino della narrazione: testimonianza di un’esperienza incomunicabile

    3. Stimoli e difesa dagli stimoli: l’esperienza dello shock

    4. La distrazione ricettiva

    Conclusioni

    Appendice

    Bibliografia

    Indice

    INTRODUZIONE

    CAPITOLO PRIMO

    CAPITOLO SECONDO

    CAPITOLO TERZO

    CAPITOLO QUARTO

    CONCLUSIONI

    APPENDICE

    BIBLIOGRAFIA

    INTRODUZIONE

    Il titolo di questo lavoro, La verità oltre la foresta del linguaggio, è indicativo del percorso che è stato seguito. Sebbene la disposizione sequenziale delle parole chiave, nel titolo, mostri la priorità della verità rispetto alla foresta del linguaggio, in realtà il discorso sulla verità nasce a seguito di un’evoluzione discorsiva che prende le mosse dall’analisi dei saggi che Walter Benjamin, tra il 1916 ed il 1921, dedicò al problema della lingua e della traduzione. Non a caso il corsivo del sintagma foresta del linguaggio è dovuto al fatto che esso sia una citazione contenuta nello scritto filosofico Il compito del traduttore del 1921, nel quale l’autore tratta del problema della lingua mettendo in luce l’imperfezione di quella usata dagli uomini in quanto molteplice e fonte di ambiguità, in contrasto con la perfezione della pura lingua di matrice divina, quella propria di Dio, che nomina e crea al contempo e che garantisce conoscenza. La foresta viene dunque usata da Benjamin per rappresentare metaforicamente l’ambiente variegato, indefinito, incerto, intricato al punto da impedire ogni infiltrazione luminosa, a cui dà vita la dimensione linguistica dell’essere umano. La cacciata di Adamo dall’Eden, come si analizza nel primo capitolo facendo riferimento al saggio Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, segna il principio delle lingue storiche umane, molteplici, differenti, plurivoche, matrici di incomprensione e di errore di comprensione, indebitamente significanti e instauratrici di un legame tra parola e senso che rompe, di conseguenza, il legame con la lingua di Dio, puro suono, perfetta perché creatrice e conoscente ad un tempo, univoca e estranea all’ambiguità.

    La condizione linguistica dell’uomo viene dipinta da Benjamin come drammatica, perché drammatico e sofferente è il distacco dalla condizione edenica, e drammatico è quel legame tra senso e parola che provoca la mortificazione della natura, fonte di suoni ispiratori delle parole.

    Tuttavia il male linguistico che vessa sull’uomo non è inguaribile e l’antidoto al caos babelico rinvenibile nella foresta del linguaggio viene individuato da Benjamin nella traduzione: se in Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo il filosofo berlinese aveva posto la traduzione come atto finalizzato alla trasformazione della lingua muta delle cose in quella sonora dell’uomo, ne Il compito del traduttore, oggetto di analisi del secondo capitolo, arriva a concepire la traduzione quale strumento imprescindibile di ricongiungimento tra la lingua umana e la pura lingua divina. La traduzione, secondo Benjamin, indurrebbe un processo di decostruzione del testo in lingua originale finalizzato, non tanto a separare le parole di modo che se ne possa trovare il corrispettivo nella lingua in cui si traduce, quanto piuttosto a cogliere l’inteso celato sotto la superficie linguistica e inerente ad un qualcosa di dato, che mantiene il carattere dell’univocità a prescindere dalla lingua umana che si usa per esprimerlo; l’inteso, nella speculazione benjaminiana, ha il carattere dell’idea platonica. Si forma in questo contesto il discorso sull’idea e sulla sua rappresentazione che vedrà, nel terzo capitolo, la sua maturazione alla luce delle riflessioni stimolate dalla lettura della Premessa gnoseologica, che fa da preambolo a Il dramma barocco tedesco.

    Il procedimento decostruttivo accennato sopra assume ora una connotazione più specifica e diventa prassi finalizzata all’acquisizione della conoscenza e al disvelamento della verità: l’essere umano percepisce un fenomeno sulla base dei propri sensi, con una rilevanza particolare della vista e del tatto, ma, contrariamente alla concezione epistemologica che decreta come vero ciò che è osservabile e scientificamente esperibile, Benjamin sostiene che la conoscenza di un fenomeno e la verità intorno ad esso non possano essere considerate come sintesi dei risultati dati dagli esperimenti. In questo modo verità e conoscenza verrebbero ad essere costrutti, ma non si può costruire ciò che è già dato e nascosto, e allora per giungere alla conoscenza e alla verità bisogna procedere su una linea decostruttiva: bisogna in altre parole scomporre il fenomeno nelle sue piccolissime parti e confrontare le caratteristiche di questo al momento della sua comparsa, in un passato, e nel suo futuro; da questo confronto si riotterrà un fenomeno munito delle sue parti essenziali, congiungibile alla rispettiva idea vivente in una dimensione metafisica, e solo allora si potrà dire di aver conosciuto e di aver raggiunto la verità. La verità viene disvelata in questo ricongiungimento tra il fenomeno sensorialmente percepibile, concettualmente scomponibile e trascendentalmente ricongiungibile con l’idea di cui è copia imperfetta, se si vuole seguire l’insegnamento platonico.

    C’è un momento, per Benjamin, in cui tutto questo si concretizza ed è quello in cui il flusso del tempo e del pensiero vengono interrotti dal comparire dell’immagine dialettica, una visione che destabilizza la regolarità e accende la voglia di scoprire il vero innescando il processo di cui si è detto.

    E come l’immagine dialettica interrompe lo scorrere naturale del pensiero così l’immagine choccante segna un punto di frattura nella continuità dell’esperienza umana, creando uno scompenso nell’organismo che per un attimo esce dall’abitudine per entrare nel non-ancora-esperito. Arriviamo così al quarto capitolo, quello dedicato all’esperienza, quale componente ineludibile della vita umana soggetta alle trasformazioni imposte dal tempo moderno, che costringe ad una diversa ricezione di essa da parte dell’uomo. Attraverso l’analisi dei saggi Di alcuni motivi in Baudelaire, I «passages» di Parigi e L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, è stato costruito un mosaico che ha restituito come immagine un’esperienza mortificata e raffreddata dalle trasformazioni socio-psico-economiche determinate dallo sviluppo dell’industria e da ciò che ha generato: ogni esperienza viene vissuta meccanicamente, coscientemente e senza partecipazione di spirito, così non si deposita nella memoria e non si riesce più neanche a raccontarla, come testimonia la decadenza della narrazione, cui si è fatto riferimento, contemplando nel discorso il saggio Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov. Ma la meccanicità viene fratturata nel momento in cui sopraggiunge inaspettato dal mondo esterno uno stimolo nuovo, uno shock, che costringe a fermarsi a riflettere su ciò che si sta provando: si inaugura così l’esperienza dello shock, quella caratterizzata dal casuale avvertimento dell’ignoto, del non-regolare, del non-abituale, che porta la coscienza a processare lo stimolo imprevisto di modo che ad un’ulteriore manifestazione l’organismo possa difendersene, e che si collega ad una nuova dimensione ricettiva, la ricezione nella distrazione, esemplarmente esperita nel cinema.

    CAPITOLO PRIMO

    DALL’EDEN ALLA TERRA: EVOLUZIONI GENETICHE DELLA LINGUA

    1. Fondamenti teologici della lingua

    In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo. Questi era in principio presso Dio. Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto assolutamente nulla di ciò che è stato fatto.{1}Questa citazione, tratta dal prologo al Vangelo scritto dall’apostolo Giovanni, racchiude in poche parole il principio che ha ispirato la riflessione sul linguaggio di Walter Benjamin. È bene precisare da subito che, sebbene il filosofo, come vedremo più avanti, abbia dissertato sul linguaggio a partire dalla individuazione di un’origine divina di esso, i suoi riferimenti sono legati al Vecchio Testamento, in particolare alla Genesi, e non al Nuovo Testamento, di cui fa parte il nostro riferimento. La scelta è legata a questioni religiose: infatti Walter Benjamin era ebreo e l’ebraismo attende ancora la venuta del Messia, a differenza del cristianesimo che invece ha riconosciuto in Gesù Cristo il figlio di Dio, portatore e proclamatore della buona novella,{2} ossia della parola del Dio Creatore donata all’uomo perché conquistasse la salvezza già in terra.

    Per cui, senza che si creino equivoci circa le fonti a cui il filosofo ha attinto e circa il credo dello stesso, specifichiamo che la citazione d’esordio vuole essere un elemento esemplificativo, scelto personalmente perché consente di cogliere immediatamente quella che, secondo Benjamin, è la natura e l’origine della lingua in generale, e da qui giungere a spiegare la nascita della lingua dell’uomo.

    Partendo da un approccio di matrice teologica Walter Benjamin concepisce la lingua come qualcosa che non appartiene esclusivamente all’essere umano ma come qualcosa che preesiste a tutte le cose presenti nel mondo, dunque all’uomo stesso. Infatti tutto ciò che l’occhio può vedere, l’orecchio sentire e la mano toccare è frutto della creazione operata da Dio. Tutto è comparso per volontà di Dio e questa si è manifestata attraverso la parola. La parola di Dio è parola creatrice e per questo la creazione può essere considerata un atto linguistico,{3} cioè qualcosa che è stato fatto attraverso la lingua. Si legge nelle Sacre Scritture:

    Dio comandò ancora: «La terra faccia germogliare la verdura, le graminacee produttrici di semenza e gli alberi da frutto, che producano sulla terra un frutto contenente il proprio seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne.{4}

    Il Signore crea attraverso un’emissione di parole, il suo fare è un pronunciare parole che danno vita. Ma creare attraverso parole significa anche attribuire un nome a ciò che è stato creato. E il nome rappresenta l’essenza della lingua perché, oltre ad essere ciò che crea, è anche il medium che garantisce la conoscenza.

    Esso è il mezzo attraverso cui Adamo può conoscere e riconoscere le cose che Dio gli ha donato. E di più: Dio ha concesso al primo uomo creato la facoltà di dare, a sua volta, i nomi alle cose. In questo si manifesta ulteriormente la volontà del Creatore di fare l’uomo a propria immagine e somiglianza: infatti Adamo è l’unico elemento della creazione non comparso a seguito di un’emissione di parole, ma la sua vita ha un’origine materiale, nasce dalla polvere, eppure è l’unico essere vivente ad aver ricevuto il dono della lingua. Il dono della lingua è, secondo Benjamin, quello che consente all’uomo di essere comunicante, cioè in grado di dare nome alle cose e,

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